Capitolo 22
No one will win this time.
Flying my white flag, my white flag
Whenever you're ready,
Can we surrender?
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I giorni passarono senza intoppi, in maniera quasi monotona. Tenni il cellulare spento e la testa spensierata. Mi lasciai cullare spesso dallo sciabordio del mare, connettendomi con la natura più di quanto credessi di aver bisogno. Il frastuono e il dinamismo di New York avevano offuscato la pace e la freschezza del mare. Tutte le cose che ci mancano troppo diventano indefinibili, prima o poi, altrimenti si impazzirebbe di malinconia. Insomma, quello che amiamo da lontano lo riduciamo alla vaghezza di una sensazione senza ritorno.
Ma ora ero lì e non ero mai stata così vicina a me stessa come in quelle sere. Custodivo e proteggevo il benessere di chi si sente redento dal suo stesso esilio. Poi arrivò anche il Natale. Riabbracciai i parenti, scartai i regali e risi assieme alla mia famiglia sentendomi parte di un qualcosa che non mi spaventava più, non come allora, quando la mia reputazione era un nome che si portavano anche tutti loro.
Ma i doveri si avvicinavano quatti quatti, ricordandomi dove la vita vera mi aspettasse. Iniziai a fare le valigie con qualche giorno d'anticipo, a rispondere alle email e a prenotare appuntamenti. Mentre piegavo alcuni vestiti in valigia dopo una lunga sessione telefonica con Dinah, mia madre si affacciò timidamente alla porta.
La guardai credendo avesse qualcosa da dirmi, ma rimase in silenzio a fissarmi. «Tutto bene, mamma?» domandai con un sorriso apprensivo.
«É bello averti a casa.» Sospirò nostalgica di un momento che presto sarebbe giunto. «Manchi tanto a tutti noi.»
«Anche voi mi mancate. Dovreste venire a New York più spesso.»
Lei abbassò lo sguardo con aria avvilita. «Lo sai, Camila, non abbiamo tempo di incastrare i turni di lavoro e la frequenza scolastica di Sofia. É difficile.»
«No, mamma, lo so. Intendevo dire che potete venire anche senza avvisare, a me fa piacere.» Mi corressi, ma la sua desolazione non svanì.
«Perché non torni tu? A vivere qui, a Miami.» Lo disse tutto d'un fiato, come se non avesse la baldanza di ripeterlo oltre l'attimo.
Mi girai, senza parole, a guardarla. Come si toccava la speranza di una madre senza ferirla? Dirle di no sarebbe stato atroce, ma dirle di sì sarebbe stato peggio. Potevo lottare per una verità, ma non sapevo combattere per una bugia.
«Mamma...» Non mi diede il tempo di iniziare nemmeno a pensarci.
«Sofia sta crescendo, voglio dire...» Aveva capito che la sua positività era vana, dunque la riversava in aggressività per non sbarazzarsene troppo in fretta. «Dovresti essere qui, dovresti starle vicino, fare la sorella.»
Deglutì a fatica il nodo in gola. Non voglio fingere che non fossi ferita, ma ci sono momenti in cui il dolore di un altro dovrebbe renderci altruistici. Soprattutto se é una madre.
«Sofia sa di poter contare su di me. Ci sentiamo quasi sempre. Non manco in niente per lei.» Spiegai tranquillamente, tentando di dare un senso alla sua sofferente irrazionalità.
«Non sei qui, é una mancanza che non puoi colmare questa. Per nessuno di noi.» La sua rabbia non erano solo spine, ma anche fiori appassiti e nessuno dovrebbe giudicare mai un campo senza vita.
«Mamma, io non tornerò.» Tagliai di netto il discorso, perché parlarne avrebbe fatto più male.
«Perché sei un'egoista. Pensi solo ai soldi, alla carriera, ma noi? Lo sai quanti sacrifici abbiamo fatto per darti ciò che hai?»
«Anche io ho perso molto, e non lo sto dando per scontato proprio investendolo in qualcosa in cui credo.» Il mio ardore dovette apparirle più rosso del dovuto perché si incollerì maggiormente.
«Cosa hai perso, Camila? Qualche amica forse, ma non mi sembra paragonabile al vuoto di una figlia.» Si affannava per farmi restare, ma era lontana dal vincermi con la commiserazione.
«Ho perso molto più di questo.» Sussurrai sommessamente, perché le parole dette a voce troppo alta rischiavano di farmi piangere.
«Non hai perso più di noi, però. Adesso é passato tanto tempo, potresti tornare, potresti ricominciare qui.» Era un ansito disperato, non avrei voluto fargliene una colpa, ma l'angoscia mi difese urlando.
«Non ci torno qui! Questo posto lo posso sopportare per qualche giorno, ma per tutta la vita sarebbe troppo. Come fai a non capirlo? Proprio tu, che sei mia madre, cazzo!» Sbatacchiai quello che avevo in mano, infine mi diressi a grande falcate verso l'uscita, chiedendole, lapidaria, di lasciarmi da sola.
Siccome sapevo quanto poco venissero rispettate i miei desideri di isolamento, uscii di casa per una passeggiata, andando a schiarirmi le idee lontano dal caos. Tutte le grida in me erano solo lacrime senza sale. E più acceleravo il passo, più stringevo i denti.
Che il proprio dolore non venga capito é abbastanza normale, praticamente scontato; ma che una madre non riesca a vederlo é come accettare che tutta la comprensione del Mondo la si possa ricevere solo da sé stessi.
Mentre camminavo, non sapevo dove stessi andando. Seguivo la strada e la strada mi portava. Certe mete sembrano labirinti, ma poi sono linee rette. E non me ne resi conto finché, andando a sbattere contro Lauren, notai di aver percorso il sentiero della sera prima, quello che conduceva a casa sua. La mente é una mappa e nei momenti di smarrimento spesso si affida alle strade che già conosce, ma se la casualità ci favoriva era poi la fortuna a farci incontrare.
«Camila..» Apparve confusa quanto me, non per la mia presenza quanto per la fragilità in cui mi trovò.
Fu un caso. Lei usciva di casa, io scappavo dalla stessa. Ci imbattemmo senza cognizione di causa, e con la stessa arbitrarietà decisi di restare.
«Facciamo due passi?» Le chiesi con la stessa grazia di un vulcano in eruzione.
«Si, va bene.» Acconsentì.
«Ottimo.» Ripresi la marcia, definendo il ritmo da tenere. Lei non fece una piega.
Non parlammo di niente, a tratti dimenticai addirittura la sua presenza, ma rimase costante e silenziosa, facendosi scudo della mia ombra. Ci orientammo verso la spiaggia e ci sedemmo vicino alla battigia, in un luogo dove spirava troppo forte il vento per essere disturbate da altri.
Inspirai a fondo, gremendo i polmoni di onde. Anche il mare era agitato, infuriava spumeggiando. Mi sentivo come tutta quell'acqua mossa da una parte all'altra senza meta, fatta solo per essere. Era facile accogliere Lauren in quello stato d'animo perché era così che l'avevo conosciuta. La trattenevo vicino alla mia ira perché sapevo come farla entrare, ma nei momenti di calma non trovavo un posto per lei. D'altronde era stata lei a insegnarmi il suo ruolo, ponendosi sempre come rivale. Nessuno avvicina i nemici a ciò che vuole tenere intatto, per questo il mio benessere non era cosa sua. Ma non c'era niente che potesse sciupare nella rabbia.
«Io odio questo posto.» Dissi d'un tratto, ma con la voce rotta. Anche un sopravvissuto detesta casa sua, perché gli orrori si sono compiuti dove prima dormiva.
«Non é male se ci torni solo ogni tanto. Giusto il tempo per non apparire una perenne stronza menefreghista.» Accolsi la sua parafrasi con un sorriso, ma c'era serietà nella sua ironia.
«Non c'è più niente per me qui, ma nessuno sembra capirlo.» Scossi la testa flebilmente, delusa dall'amore perso e non ritrovato. Ero grata a New York, ma non l'amavo. Non c'era molto che amassi, oltre tutto ciò che mi faceva male.
«É difficile comprenderlo per chi vive qui tutti i giorni... O per chi non ha avuto un motivo per sentirsi sbagliato dove é nato.» Approfondì cautamente, quasi temesse di far saltare in aria una mina. Per lei ero un pericolo su cui non mettere il piede, il che solo allora, dopo tanto tempo senza essere stata altro, mi rattristì.
Inalai profondamente. Forse una persona al Mondo che mi capisse c'era, purtroppo per me era proprio quella che mi aveva tolto dal cuore la mia città. Ma quel giorno seppi di aver fatto lo stesso a lei. Ed era abbastanza ovvio non fossi stata l'unica a soffrire, ma ci si vede sempre più feriti nelle nostre lacrime che in quelle altrui.
«Sei la persona che detesto di più, ma a volte vorrei che le persone ti somigliassero.» Dissi cercando il suo sguardo fra il turbine di sabbia e parole.
Lauren mi rimirò profondamente colpita da ciò che avevo detto, se non cambiata almeno capita. «Sappiamo bene come guardarci nelle ferite.» Rispose e non seppi mai quanto cuore ci fosse nella sua ambiguità perché tornò a gettarlo in mare. Non le chiesi niente; chiedere avrebbe rovinato la fiducia della connessione.
Restammo a lungo in silenzio davanti al mare in tempesta; non c'era scenario migliore per due come noi di un'infinità messa a soqquadro. Lauren ammirava rilassata il blu mescolarsi al grigio; sono sicura che avrebbe descritto se stessa con le medesime tonalità. Lo stesso valeva per me. Ero mare, ma ero anche il cielo che lo tempestava, ma soprattutto ero tutto ciò che si agitava al di sotto.
Per un momento fu confortante averla accanto, sapere che ogni parte peggiore di te può essere la stessa dannazione di un altro. E si, ciò che ti rende migliore ti piace di più, ma ciò che é simile a te ti appartiene a prescindere.
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