Capitolo 2
I don't like your little games
The role you made me play of the fool
...
I got a list of names and yours is in red underlined
I check it once, then I check it twice.
Look what you made me do.
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Se hai un asso vincente, é buona regola sfoderarlo, ma a questo punto la partita é finita. Per anni avevo creduto di volerla finire e di farlo da vincitrice, ma adesso che la mano decisiva era la mia, non ero più così sicura dei miei desideri.
La verità é che amavo la competizione. Mi svegliavo ogni giorno energica, piena di una vita che difficilmente -sia in passato sia in futuro- avrei ritrovato. L'adrenalina della sfida, la frenesia della prova, l'euforia della rivincita. Per quanto non volessi ammetterlo, adesso che stringevo nelle mani la carta vincente, non potevo mentire più nemmeno a me stessa: dovevo ringraziare Lauren per quelle emozioni. Il risentimento reciproco ci aveva concesso gli anni più concitati della nostra vita, e saremmo state due ipocrita a dichiarare di volere il contrario della follia. Non era solo l'età, ci eravamo nate con il gusto per la sfida. La lotta era la parte che preferivamo; e adesso dovevo decidere se Halsey valesse tanto da rinunciarvici una volta per tutte.
Girovagai spaesata una settimana per i corridoi. La mia testa era un cane che dovevo continuamente richiamare. Siccome pensarci mi allontanava dalla soluzione, provai a svuotare la testa, ma i pensieri sono compartimenti stagni: se ne riempie uno alla volta fino all'orlo. Se non pensavo al video, pensavo agli esami. Se non riflettevo sulle conseguenze di un'inazione, mi concentravo sulle fantasie di un'azione. Se deviavo il pensiero da Halsey, tornavo alla sera della festa. Insomma, tutto, in un modo o nell'altro, mi riportava a Lauren.
Mi sorprendevo di come ogni pensiero mi riconducesse al suo nome. Forse avrei dovuto capirlo già da allora: cercare di scappare mi avvicinava sempre a lei. Ma ancora non sapevo che ogni corsa era un cerchio, che anche la terra gira su sé stessa per continuare a vivere. Allora conoscevo solo la retta del tempo e la sua infinità in ogni mio spazio.
Infiniti furono anche quei giorni solo come i giorni di indecisione sanno essere, finché, spinta come una monetina in bilico, caddi rovesciandomi dalla parte della testa. Ma di croci ce ne furono due. Perché se fra me e Lauren non poteva esserci una vincitrice, allora facevamo di tutto per perdere insieme. E credo che questo, molto prima che la mostra acredine ci permettesse di accettarlo, ci abbia reso più simili di quanto non sapremo mai.
Dopo quei giorni di obnubilamento, ero più lontana dalla scelta di quanto immaginassi, ma fin quando c'erano i dubbi il vento mi avrebbe sospinto più lontano dalla riva, ed ogni tempesta é preferibile ad un approdo per ogni incerto. Purtroppo il caso, per rispettare le leggi del proprio amato caos, non prese posizioni o parti, si divertì però a confonderle.
In tutto quel tempo Lauren era rimasta una nemica sempre presente ma mai tangibile. La nostra competizione era a note ad entrambe, ma dichiarata per nessuno. Una guerra fredda colma di tensione ma priva di evidenze. Bastò un attimo per far cadere la cortina e far tremare la nostra età.
Avevamo classi uguali, ma con professori diversi e ad orari diversi. Quel giorno, per qualche malevola forza indeterminata, le nostre strade si incrociarono senza via di fuga. Lauren cozzò contro di me e troppo tardi si rese conto di chi aveva davanti per ritirare le scuse.
«Scusa...» Era la prima volta che la sua voce si rivolgeva a me.
«Colpa mia.» Le feci dono di un pizzico di generosità, forse per bilanciare il senso di colpa derivato dal coltello nella manica, o forse volevo solo nasconderlo meglio.
Mi chinai a raccogliere i fogli sparsi sul pavimento e tutto mi aspettavo fuorché un aiuto, ma dovetti ricredermi scontrandomi con i suoi smeraldi. Non si affannò per raccogliere il materiale, anzi, sembrava voler dilatare quegli attimi di confidenza il più a lungo possibile, ma erano artigli ad aprire le fenditure del tempo, una bestia che scava nel nascondiglio della preda per farci entrare le fauci.
«Tu sei nel corso di Halsey, vero?» Mi fissava da una distanza ravvicinata, ma nemmeno per un attimo pensai di tremare.
«Si, lo stesso corso di chimica. Halsey é la mia preferita.» Annuii guardandola direttamente negli occhi. Adesso sapeva che se il caso ci aveva condotte lì, non era comunque più lui a guidarci.
«Mh.» Un cenno solenne con il capo impresse la sua austerità. «E oltre la chimica, a te piace leggere, Camila?» Pretendeva di non conoscermi, ma mi chiamava per nome. Un passo falso o una resa dei conti?
«Direi che apprezzo la buona letteratura.»
«Concorderai sul fatto che Albert Camus faccia parte della buona letteratura.» Attese la mia risposta quasi con altruismo, ma c'era della meschinità nei suoi intenti sottolineata da ogni silenzio. Annuii. «La mia frase preferita si applica ad ogni contesto di vita.»
«E vuoi condividerla con una sconosciuta?» Inarcai un sopracciglio all'unisono con l'angolo della bocca.
«Io e te ci conosciamo molto bene, inutile scadere in convenevoli adesso.» Fu un taglio netto, una ghigliottina dalla quale il tempo venne separato fra prima e dopo. Aveva scelto per tutte e due, adesso non si poteva tornare indietro, a quando la finzione era ancora considerata deferente educazione.
«Tu non sai proprio niente di me.» Dissi a denti stretti.
«Forse no, ma so che, come dice Albert Camus, siamo all'inferno e possiamo scegliere solo se essere i dannati tormentati o ì diavolo addetti al loro supplizio. E penso che questo basti a spiegare chi sono io.» L'intensità del suo sguardo mi fece bruciare come l'inferno di cui parlava, ma la fissità del mio non le concesse alcuna supplica per la sua fiamma. Mi restituì gli appunti e mi lanciò un'ultima occhiata prima di alzarsi e camminare in direzione opposta.
Il suono dei suoi passi testimoniava l'esistenza di quel momento, spronandomi a stringere i fogli in un pugno che deteneva anche la sua sorte. Lei parlava per metafore, ma era pronta a viverle?
Il giorno dopo ero decisa a scoprirlo. Aspettai Halsey fuori dalla classe di biologia. Potevo inventare un espediente, ma andai dritta verso la verità.
«Hey, stai andando alla lezione di letteratura della Groove?»
«No, Halsey.» Ci ha già pensato la tua fidanzata alla letteratura. «Volevo parlarti, in realtà. Hai qualche minuto?» La serietà del mio tono le aggrottò le sopracciglia prima ancora di rispondere.
Annuì e ci dirigemmo insieme verso il giardino. Scelsi con cura un posto appartato; l'imbarazzo di certi segreti svergogna anche il più puro degli intenti. Mostrai il video ad Halsey, spiegando prima le motivazioni dietro al mio gesto e poi le ragioni della mia scelta. Non sembrava ascoltare né le une né le altre. Le immagini erano immobili sullo schermo, ma Halsey non aveva smesso di rimirarle. Attesi in silenzio una sua parola.
«Cancellalo.»
«Cosa?»
«Cancellalo. Non farlo vedere a nessun altro.» Mi restituì il telefono senza batter ciglio.
«Ma...»
«Camila, apprezzo la sincerità, sono grata di avere un'amica come te, ma non serve che nessun altro veda questo video oltre me. Lauren avrà già abbastanza problemi, non desidero ne abbia altri.» Inalò profondamente e si mise in piedi con uno sforzo evidente, come se qualcuno le avesse teso la mano per aiutarla. Trovò anche il coraggio di sorridermi e di ringraziarmi un'ultima volta, prima di avviarsi verso la sua lezione.
Non pensai troppo alla sua richiesta. Quello che volevo era stato compiuto, senza neppure la gratificazione sperata. Conservare il video mi faceva sentire più sporca dell'averlo girato. Nessuno vuole tenere un coltello nella manica dopo averlo utilizzato. Lo cestinai definitivamente, liberandomi di un peso più grosso di quello sostenuto fino a lì.
I giorni trascorrevano nella morsa dell'angoscia. Svoltavo ogni angolo trattenendo il respiro. Non ero più sicura di quello che avevo fatto, ma tornare indietro era impossibile e chiedere scusa ancora più impensabile. Ero pronta ad affrontare le conseguenze, ad avere un nuovo confronto con Lauren, ma quel silenzio sospeso riempieva di parole la mia testa, agitandomi senza rimedio.
Ogni sensazione profonda nasce da un istinto superlativo, da un'origine dentro di noi troppo remota per conoscerla ma quasi atavica che ci suggerisce con grande anticipo e con ancor più grande precisione quale sorte ci aspetta. Il mio tumulto era proporzionato alle conseguenze, solo che non lo seppi finché la segreteria del preside Rogers venne a cercarmi.
«Mi segua.» Disse soltanto, incamminandosi senza aspettarsi alcuna recriminazione.
Lauren era così vendicativa da essere pronta a sacrificare sé stessa pur di vedermi capitolare? Mi ricordava la storia raccontata dalla Bibbia, in cui le due madri dovevano scegliere se tagliare il bambino in due parti uguali o lasciarlo interamente all'altra. Qui non si trattava più di Halsey, ciò che non volevamo condividere era il nostro stesso nome.
La porta della presidenza si aprì rivelando Lauren, la Profesoressa e il signor Rogers tutti riuniti assieme. Allora aveva davvero barattato la sua faccia per un minuto di gloria. Forse non avevo capito quanto in là si sarebbe spinta, ma prima di sedermi su quella sedia non ero nemmeno lontanamente vicina alla soluzione.
«Camila, sono venuto a conoscenza di un fatto... sconcertante.» Il preside rimirava le sue mani, osservava i fogli, tutto fuorché me. «Tu sei una delle studentesse migliori qui, assieme a Lauren, ma capirai che non posso passar sopra ad un fatto tanto grave..»
«Signor Rogers, posso spiegarle perché...»
«No, per favore, preferirei non sentire ulteriori dettagli di questa storia.» Si schiarì la voce, spingendo gli occhiali sul naso. Durante le occasioni pubbliche era raggiante e tronfio, adesso offriva un'immagine talmente ridotta di sé da farmi arrossire.
«Mi rendo conto di aver commesso un errore, ma penso...»
«Camila, non credo ci sia bisogno di nessun "ma" di fronte a taluni atti. Ma io dico, come ti é venuto in mente di filmare una Profesoressa?» Fu quello il momento in cui inizia a insospettirmi. Il disgusto sulla sua faccia era indirizzato verso la persona sbagliata.
«Comprendo la gravità, ma non credo sia questo il problema principale.» Feci spola fra le due e il preside, cercando di capire dove era stata posizionata la trappola, ma temevo di esserci già finita dentro.
«Sicuramente cambiarsi una camicia in classe non é stato professionale da parte della Profesoressa, ma riprenderla é oltremodo scandaloso.»
«Io so... Aspetti. Che cosa?!Ma di che sta parlando?» Osservai prima la donna, ma il suo sguardo afflitto non mi degnavo dello stesso coraggio. Spostai l'attenzione su Lauren. I suoi smeraldi rilucevano impietosi, contratti in un'espressione coriacea.
Tutto fu chiaro. No, non si sarebbe sacrificata per metà del suo nome, era pronta ad ogni sconsideratezza senza pudore pur di cancellare il mio.
«Signor preside, le assicuro che non é vero.» Dissi trafelata, ma le mie precedenti asserzioni complicavano la mia confessione.
«Camila, io vorrei crederti ma Lauren ha assistito alla scena ed é qui proprio per testimoniarne il fatto.»
«Che stronza.» Ringhiai, ma non troppo sottovoce.
«Camila, non peggiorerei la tua situazione.» Mi pregò il preside Rogers, ancora impacciato nel guardarmi. Se aveva reso goffa un'autorità, non osavo pensare a come gli altri mi avrebbero visto.
«Sono tutte bugie e sono anche infondate!» Protestai, ma era la mia parola contro la sua e la sua valeva due milioni l'anno alla scuola. Il padre di Lauren era un assiduo sostenitore di ogni progetto scolastico, mentre la mia famiglia contribuiva con qualche torta al cioccolato a fine anno. Non importava neppure se mi credesse o meno, non aveva scelta da qualche parte stare.
«La Profesoressa gode di una grande stima da tutti noi e anche Lauren é sempre stata impegnata solo nei suoi studi. Non ho motivo di credere che stiano mentendo.»
«Ah no? Io ho un motivo ce l'ho ed é...» Toccai la tasca dei jeans, ma ricordai appena in tempo di aver mantenuto fede alla richiesta di Halsey. Non avevo controprove, non avevo niente. Insinuare un fatto altrettanto grave mi avrebbe solo fatto apparire disperata, confermando i sospetti di Rogers. Tacqui.
«Vorrei dirti che ci sono più possibilità, ma, sia per il bene della scuola sia per il bene della tua reputazione, sono costretto mio malgrado ad espellerti.»
«Sta scherzando!?» Scattai in piedi, battendo il pugno contro la scrivania.
«Camila, non farei bene il mio lavoro se non agissi in questa direzione. E soprattutto non ti salvaguarderei. Cercherò di contenere le voci, ma per quanto tempo? Fidati, é meglio per tutti.»
«É meglio per voi.» Non aggiunsi altro, volevo solo andarmene di lì. Imboccai l'uscita ignorando i richiami del preside; ormai non ero più sotto la sua giurisdizione. Ma mi fermai quando fu la voce di Lauren a invocare il mio nome.
Percorsi a ritroso i miei passi, senza distogliere gli occhi dai suoi. Non sembrava intimorita, proprio come ogni vincitore non si spaventa di fronte allo sconfitto.
«L'hai voluto tu, Camila.»
«Io ho detto la verità, tu non sei stata capace nemmeno di quello.» Le puntai un dito contro, arginando i miei ansiti in un grugno.
«Tu non hai idea di quale verità hai raccontato.» Si avvicinò di un passo, abbassando il volume della voce. «Non basta possederne una per avere quella giusta.»
«Per alcune situazioni, ne esiste solo una. E in questa non ce ne erano molte altre.»
«Hai rovinato la mia relazione pur di averne le briciole. Pensavi sarei rimasta a guardare?» La sua espressione allibita era ciò che più mi inalberava. Era stupita fossi impreparata alla sua meschinità, ma io l'avevo solo vista come un'avversaria, mai come come una nemica.
«Tu hai rovinato la mia vita, pensi che questo pareggi i conti?» Schiusi le labbra in un sorriso sardonico. Fu solo quell'attimo in cui abbassò gli occhi.
«Non avevo scelta.» Mormorò.
«Pensavo tutti ne avessimo una, ma a quanto pare vale solo per gli sbagli altrui.» Inspirai a pieni polmoni, attendendo una risposta che non sarebbe arrivata. D'altronde stavo cercando conforto nel posto più sbagliato.
Non ci dicemmo altro. Entrambe lasciammo la vita dell'altra dopo averla sfigurata. Mentre lasciavo la scuola, pensavo solo a ricominciare il più possibile lontano da Lauren. L'altra parte della strada non era abbastanza. Volevo lasciarmi alle spalle quella storia e solo la distanza poteva scavare un fosso abbastanza profondo da seppellircela. Per questo mi trasferì dall'altra parte del paese.
Sette anni dopo il cerchio stava per chiudersi... o per ripetersi da capo.
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NB: Mi dispiace se non rispondo ad alcuni commenti, ma wattpad me li elimina in anticipo. Vi ringrazio da adesso.
Sara.
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