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Capitolo 19


She don't really like it but she needs me
She saying she don't really miss me
But fuck it now I'm faded off the wrong things
But I'm into it, I'm into it

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Ally era ripartita da qualche giorno, ma Dinah aveva stabilito una routine involontaria per cui ci sentivamo almeno due volte al giorno, rendendo il lavoro una convivenza forzata col passato. Non facevano altro che parlare di vecchie storie, ridere di vecchie storie, piangere per vecchie storie... Senza dubbio avevano lasciato qualcosa nel passato che nel futuro non avevano ritrovato. Per me il contrario. La malinconia non era mai stata la mia malattia, piuttosto la smania di andare più avanti possibile per dimenticare cosa lasciavo indietro.

Purtroppo nessun ricordo viene cancellato del tutto, soprattutto quelli brutti... soprattutto se si presentano nel tuo ufficio.

Lauren sarebbe arrivata fra otto ore. Avevo pensato di rimandare? Si. Avevo addirittura ideato una strategia inconscia per cui ogni giorno mi ponevo in una situazione potenzialmente pericolosa sperando di uscirne contusa, così da non dovermi assumere le responsabilità della codardia. Ma il giorno era arrivato e, anche se avessi tentato di indispormi volutamente, avrei sempre saputo che non era stato il caso bensì la mia volontà a farmi indietreggiare, e non volevo dare ulteriori motivi a me stessa per non piacermi.

Dinah fece capolino verso mezzogiorno, dopo aver terminato l'ultimo colloquio della mattina.

«Ti ho portato il pranzo.» So che la sua generosità era un'indole, ma so anche che quel giorno c'entrava ben poco con i suoi gesti.

Le feci segno di sedersi, sgombrando la scrivania quel poco che bastava per star comode. Dinah divagò da subito, come se ci tenesse ad allontanare l'attenzione dall'elefante nella stanza, sottolineando i suoi smaliziati intenti. Non durò a lungo. Quando si ha un pensiero, evitarlo conduce solo a incontrarlo due volte: la prima per caso, la seconda per tormento.

Girò la forchetta dentro la sua vaschetta di carta, ormai vuota. Rimestava le sue parole. «Allora...» Alzò gli occhi su di me, tentando di catturare la mia predisposizione prima di indisporla. «Come sei messa per il processo Tackaman?»

Okay, ha deciso di prenderla larga. Non gliene facevo una critica, ma ero stupita.

«Ho sistemato tutte le carte, ripassato i punti fondamentali... Alex verrà qui alle sette, un'ora prima. Voglio che sappia cosa deve dire, ovvero niente.» Dissi con un'espressione alquanto simpatica, ma più che determinata.

Dinah ridacchiò, ma non aveva ancora colpito il centro del bersaglio. Aveva solo fatto un tiro di prova. «E tu cosa dirai, invece?» Parlare per allusioni non era da lei. Forse il mio silenzio l'aveva intimorita più della mia furia. Sapeva che la rabbia era una difesa per me, ma interpretava il mio silenzio come un rifugio, e per quanto il fuoco bruci fa sempre più spavento il buio.

«Mi atterrò ai fatti legali.» Mi strinsi nelle spalle, scansando il suo sguardo.

«Camila.» La dolcezza nella sua voce bussò contro il mio muro.

La rimirai sprovveduta, annuendo coscienziosa al suo sguardo. «Sono tranquilla. Comunque non voglio passare per codarda...»

Dinah sospirò grevemente, condividendo il mio peso con apprensione. «Che diamine é successo a Chicago?»

Inspirai, distogliendo lo sguardo verso un punto impreciso. Mi misi in moto, riordinando la scrivania, pensando agli appuntamenti del pomeriggio, alle email... «Sei stata preziosa, ma devo davvero smaltire alcune pratiche.»

Dinah aveva l'aria smarrita. Si rendeva conto di cosa mi inquietasse, ma non trovare un motivo alla causa era peggio del non conoscere la causa stessa. A quel punto meglio essere ignari che indovinare; l'immaginario é di natura crudele.

Mi lasciò alla mia solitudine, in cui ritrovai un senso di pace e di equilibrio per affrontare gli impegni del pomeriggio. Ma quella giornata la ricordo come uno spillo: mi pungeva appena mi distraevo. Guardavo l'orologio per tenere sotto controllo una chiamata o l'altra, ma il tempo mi ricordava solo la sua corsa verso l'inevitabile. Non so perché fossi turbata. Avevo affrontato Lauren in situazioni peggiori di quella, per esempio nel pieno del mio odio. Ma forse era proprio lo spostamento dal centro che mi faceva sbandare, come una trottola che diminuendo velocità si arrestava.

Alle sette in punto, Alex bussò alla mia porta. Aveva l'aria sbruffona e allegra, proprio il mix che non ci serviva. Gli ordinai educatamente di startene al suo posto, di lasciar parlare me e soprattutto di non intervenire con commenti fuori luogo che avrebbero portato la discussione su un piano poco professionale. Non era contento, ma non perse la sua boria. Mentre ci spostavamo nella sala riunioni, chiesi ad Erika di avvisarmi quando sarebbero giunti. 

Mi adoperai per organizzare il tavolo come fosse un'arena. E un po' lo era. Se io e Lauren ci trovavamo nella stessa stanza, c'era una battaglia in atto. Non posso mentire ammettendo che non mi piacesse. Era la parte migliore di tutti i nostri difetti: l'adrenalina.

Erika bussò lievemente, sporgendosi solo per metà all'interno: «Sono qui.»

Mossi un solo cenno con la testa.

Il cliente di Lauren entrò per primo, venendo a stringermi la mano. Mentre scambiavamo dei convenevoli, la corvina varcò la soglia, penetrandomi col suo sguardo impetuoso. Mi prodigai in un sorriso eccessivo verso un'altra sorgente per eludere il batticuore dal mio respiro.

I due clienti si erano seduti dall'altra parte del tavolo, mentre io e Lauren eravamo rimaste in piedi. Mi osservava imperterrita, con le spalle larghe e il busto impettito. Entrambe stentavano a credere di esserci odiate a tal punto da volerci.

«Camila.»

«Lauren.»

Mi girai di scatto, raggiungendo il mio lato del tavolo. Lei mi emulò, ma con più calma. Alex si accostò al mio orecchio, sussurrando: «Vi date del tu?»

Amico, se solo sapessi quante cose ci siamo date. Gli rivolsi uno sguardo truce che mise fine alla sua supponenza.

Lauren sfogliò la sua cartella, infine con un'occhiata mi diede il via.

«Anche se oggi ci troviamo qui, questa non é la prassi.» Misi in chiaro subito. «É un caso delicato, molti ne parleranno appena metteremo piede in tribunale, perciò vediamo di venirci incontro dove possibile.» Evitavo di proposito gli smeraldi della corvina, per non perdere il filo del discorso o l'attitudine autoritaria dello stesso.

«Se vado incontro a questo stronzo, é solo per finire bene il lavoro.» Abbaiò Alex. Lo incenerii con lo sguardo, serrando la mascella per non insultarlo. 

«Questo lo mettiamo agli atti.» Disse Lauren, stappando la penna.

«Non mettiamo niente agli atti perché questo incontro non é ufficiale.» La fermai, sostenendo il suo sguardo come se non fosse un peso.

La corvina depositò la penna sul tavolo, incrociando le mani davanti a se, come chi aspetta la prossima mossa falsa. Dedicai un'ultima occhiata ad Alex, intimidendogli di tacere.

«John,» mi rivolsi direttamente al cliente di Lauren, che nella stanza sembrava la persona più morigerata malgrado le apparenze. «Possiamo evitare di chiedere un risarcimento danni tanto cospicuo, sapendo che entrambi avete sbagliato?»

«Ho rischiato di restare paralizzato per la vita, avvocato.» Se non era un affronto, era una risposta.

Annuii una sola volta, contenendo il riverbero irritato del mio respiro. Alex scalpitava sulla sedia, bofonchiando fra sé e sé parole che sperava cogliessero tutti ma bisbigliate così da non assumere la gravità della voce.

«Voi avete chiesto una condanna per tentato omicidio. Mi sembra un'esagerazione.» Intervenne Lauren, stampandosi un'espressione quasi divertita.

Afferrai la cartella clinica del mio cliente e la lanciai sul tavolo, facendola scivolare di forza fino alla donna. Fece spola fra me e la pliche, esterrefatta per il gesto audace. Senza dire niente, avvicinò i documenti.

«A me sembra che la cartella clinica dica il contrario. Al massimo possiamo chiedere una condanna per lesioni aggravate, ma il succo é quello.»

«Mi sembra già un compromesso.» Accordò Lauren. «Se volete che il risarcimento venga alleggerito, dovete annullare completamente il vostro.»

Una risata irrispettosa mi tradì, ma non mi feci scomporre dal mio sarcasmo: «No.» Risposi intransigente.

«Siccome siamo abbastanza sicuri che questo processo...»

«Ho detto no.» Ribadì perentoria, registrando la sua espressione draconiana.

«Va bene, allora abbiamo raggiunto e stabilito un solo compromesso.» Terminò la corvina, riordinando le sue cose, senza premurarsi di sentire la mia opinione.

«Ottimo.» Tagliai corto, perché sapevo che non darle soddisfazione era l'unico modo per batterla.

Alex si trattenne per capire come avremmo proceduto da lì in poi e lo rassicurai facendogli capire che diminuire la colpa aumentava la probabilità di vederla riconosciuta. Era tautologico... tranne per me e Lauren. Più colpe vi erano, più ce le additavamo. Facemmo uscire prima Alex e poi John, restando da sole nella sala.

Solo il ticchettio delle penne e il crepitio dei fogli spezzava il silenzio. Muovevamo guerre anche se una era da una parte e l'altra il più distante possibile.

«Avresti dovuto accettare la condizione sul risarcimento.» Disse improvvisamente Lauren.

Mi obbligai a guardarla negli occhi per non abbassare la testa alla sua sfida.

«Ti ringrazio, ma so fare il mio lavoro.» Abbozzai un sorriso sardonico, avviandomi verso l'uscita.

Marciavo tronfia e spedita, per sorpassare il più rapidamente possibile il punto in cui ci incrociavamo. La corvina tenne il capo basso sulle sue cose solo fino a quando non le arrivai vicina. Mi agguantò per un polso, facendomi trasalire. C'erano parti di me che non accettavano tutto ciò che avevo negato loro. Mi fermai, ma non mi voltai a guardarla.

«Camila, lo so che mi odi più di prima.» Mormorò afflitta. Ecco, era quel prima a farmi tremare. Perché c'era stato un dopo e se si poteva pretendere non esistesse nello spazio, non lo si sarebbe mai cancellato dal tempo. «Ma non fingere di essertene pentita.»

Girai di scatto la testa verso di lei, districandomi dalla sua presa. «Sei tu che menti a te stessa pensando che lo rifarei.» Le puntai un dito contro, ma tutta quella rabbia era così inutile da farmi apparire colpevole.

«Non credo che nessuna delle due lo rifarebbe una seconda volta.» Confermò serenamente. «Ma se tornassi alla prima, lo vorresti ancora.» Sollevò l'acredine del mio sguardo senza fatica. «L'odio per me non ti fa nemmeno vedere cosa vuoi.»

«Io voglio che tu mi stia lontana, chiaro?» Tuonai, ma facendo un passo.

«Questo é quello di cui hai bisogno, non quello che desideri.» L'immobilità fra noi era fautrice di una rottura. Stava per avvenire, lo percepivo con la pelle, in tutti gli strappi delle mie cicatrici.

Lauren si mosse agilmente, afferrandomi per i fianchi. Mi spinse contro di sé. Il fulcro del mio disprezzo non era mai stato così incandescente, ma l'odiavo di più solo perché aveva ragione.

«Pensi che io non ti detesti mentre ti bacio?» Reclinò leggermente la testa, canzonandomi col mio stesso desiderio. «Sei sempre la stessa che mi ha reso peggiore di quello che ero, non me lo dimentico nemmeno mentre ti voglio.» Fece scivolare la mano sul mio collo, spostando pian piano i capelli sull'altra spalla. Parlava come se non mi potesse vedere, ma mi guardava come non avesse visto altro in vita sua. Sotto una voragine c'è sempre un'altra voragine e solitamente é quella che racchiude la verità, ma per arrivarci bisogna perdere tutto il respiro.

«Non ignorarmi più, Camila.» Sussurrò al mio orecchio, solleticandomi la pelle con le labbra. «Lo sai che non mi piace perdere.» Stampò un bacio sul mio collo, dopodiché si allontanò in un baleno. Mi contemplò come se i miei brividi fossero la sua opera. Sorrise soddisfatta del quadro.

Raccolse la sua valigetta e si incamminò sinuosa verso l'uscita. «Ci vediamo a Miami per le vacanze natalizie!» Aprì la porta, scivolando nel pertugio.

«Io ti odio!» Le gridai, perché era l'unica accusa che smontasse la sua condanna. Ma mai ero stata vicina al mio odio per non bruciarmi, e forse adesso avevo trovato una fiamma che ardeva maggiormente della rabbia nella quale volevo morire cento volte per rinascere altrettante.

Forse avevamo imboccato una strada ancora più pericolosa dell'inferno, ma, senza accorgercene, ci saremmo trovate in purgatorio, a espiare i nostri peccati, perché a scontarli eravamo già brave.

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