Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 16



Someone told me stay away from things that aren't yours
But was he yours, if he wanted me so bad?
Pacify her
She's getting on my nerves

————

«Halsey, fai piano, per favore.» Mi morsi il pugno della mano, spremendo gli occhi ad ogni suo movimento. Immaginavo un disastro dietro ogni suo passo.

«Tutto ok, tutto ok.» Inciampò, rialzandosi sghemba.

«Vado a prendere dell'acqua, aspetta qui.» Sussurrai, avviandomi in punta di piedi verso il frigo bar. Le versai un bicchiere e glielo portai, sempre ponendo riguardo alla leggiadra.

«Tieni.» Le sorressi il bicchiere anche mentre beveva.

«Cazzo! Ho preso proprio una bella sbronza!» Gridò in un acuto.

«Shh! Halsey, fai piano, ti prego.» Ispezionai ogni angolo della stanza, quasi temessi un rimprovero da ognuno di essi, ma non c'era nessuno. Eppure, ero circospetta anche del niente.

«Rilassati, sorella. Adesso facciamo un bel casino, woo!» Le tappai la bocca con una mano, invenendo fra me e me. Halsey mi leccò il palmo della mano. Era come un bambino: prendeva tutto come un gioco, e proprio allo stesso modo andava redarguita.

«Smettila, Halsey. Ma quanto hai bevuto?»

«Uffa, sei antipatica. Dovevo restare a bere con Carola ed Ally.» Si piccò, incrociando braccia e sopracciglia.

Lo avrei preferito, mi sentii in colpa per i miei pensieri, ma non era mai stata una condanna a impedirmi di riformularli.

«Torno subito.» Avevo notato una finestra aperta. Mi prodigai per chiuderla il prima possibile, occhieggiando poco fuori dal vetro quanto del rumore attutisse la sua voce. Ma non ne ebbi il tempo perché le sue urla mi sollecitarono a chiudere.

«Wooo! Distruggiamo questo posto!»

«Halsey, porca puttana. Scendi dal letto, adesso.» Non so perché mi ostinassi a mormorare quando lei saltava sul materasso strillando. Stupidamente credevo che prima o poi mi avrebbe imitato.

«Mi ricorda quando da piccola saltavo sui gonfiabili. Adesso il pavimento é lava! Oh no, stai andando a fuoco, ti salvo io!» Si lanciò verso di me, che riuscii a schiavato più per fortuna che per agilità.

Con una mano urtò il vaso sul tavolino, frantumandolo. La pazienza non era più un'opzione efficace, ammesso lo fosse mai stata.

«Halsey, basta!» L'afferrai per le spalle, immobilizzando la pazzia. «Adesso andiamo a letto e...»

«Mi piace.» Disse languida, accarezzandomi i capelli.

«No. Tu vai a letto, io dormo sul divano.» Sospirai, rimettendola al suo posto ma con le mani in tasca.

Era una situazione fuori controllo. L'indomani non so come si sarebbe scusata, ma le avrei risparmiato la metà degli eventi. Anche perché creavano più imbarazzo a me che a lei.

«Sei noiosa. Noiosa e antipatica.» Si crucciò, sbruffando tutta la sua noia nella mia direzione.

L'aiutai a mettersi a letto, assicurandomi i cuscini contenessero potenziali movimenti inconsulti. Dopodiché girai la chiave nella serratura d'ingresso prima di nasconderla; dovevo evitare fughe notturne se non desideravo essere l'avvocato di me stessa.

Mi cambiai e recuperai una coperta dall'armadio e un cuscino extra con cui arrabattai un letto. Prima di andare a riposare, controllai più volte Halsey fosse k.o, ma in realtà il mio orecchio era costantemente teso verso il corridoio. Era la tipica ansia di chi si sorprende il peggio non sia ancora arrivato, ma sa benissimo di non doverlo aspettare a lungo. Mi convinsi il sentore fosse solo una paranoia, e mi addormentai più per sfinimento che per volere.

I primi fievoli raggi della giornata mi riscaldarono con un brivido. Consultai la svegliai. Erano già le otto di mattina. Quello era il giorno in cui avremmo esposto il caso, perciò non avevo modo di temporeggiare. Riordinai la stanza, mi lavai, mi cambiai e feci portare la colazione per due. Appena il cameriere depositò il vassoio sul tavolo, mi feci coraggio per andare a svegliare Halsey.

Senza indugi, aprii l'uscio, trovandola supina come l'avevo lasciata. Mi avvicinai, scuotendola leggermente da una spalla. «Halsey, é mattina. Halsey, svegliati.»

La ragazza mugolò contrariata, obbligandomi ad aumentare la pressione sulla sua spalla. Con voce cavernosa mi domandò: «Che ore sono?»

«Presto, ma purtroppo devo già andare. Ho fatto portare la colazione in camera. Puoi restare per farti una doccia e mangiare qualcosa, ma quando esci... fammelo sapere.» Siccome non dava altri segni di vita, la salutai, lasciandola a sonnecchiare.

Mangiai qualcosa per carburare dopo le scarse ore di sonno e il poco comfort di tali ore. Arrivai all'ascensore più puntuale del previsto. Io e Lauren avevamo completato lo studio del piano, adesso non ci restava che metterlo in atto. Ero soddisfatta, entusiasta del processo come fosse già stato deciso... Ma non avevo ancora visto la faccia di Lauren.

La corvina mi si accostò nel corridoio.

«Buongiorno!» Un sorriso a trentadue denti mi ridicolizzava di fronte alla sua impassibilità.

«Buongiorno.» Non mi guardò nemmeno e il tono era talmente piatto da risultare improprio.

Si immise nell'ascensore con celerità, quasi non sopportasse di starmi vicino dopo dieci secondi. Inspirai a fondo, tagliando la stessa soglia ma con uno spirito diverso. Il silenzio ci pesava addosso. Pensai il problema fosse stato il baccano della notte precedente, e, non senza istigarmi, le chiesi scusa.

«Senti, mi dispiace per...»

«Non iniziare.» Mi arrestò duramente. «Non ti dispiace proprio di un bel niente.»

Mi voltai verso di lei, ancora confusa. Mi fu sufficiente esaminare il suo profilo per trarre la giusta ipotesi. «Mh.» Racchiusi il sarcasmo in un sorriso meschino ma deluso. «Non é come pensi.»

«Credi che mi fidi solo di una delle parole che dici?»

«Non eri tu a sostenere che tutti hanno una possibilità di essere innocenti?» Alzai il volume e la rapidità della risposta, trasformando quei pochi metri in una corte giudiziaria.

«Si, ma forse mi sbagliavo.» Mi rimirò dritta negli occhi, serrando tutto il viso in una morsa acerba.

«Certo, perché il beneficio del dubbio vale solo se applicato a te, giusto?» Anche la mia espressione si era indurita, non tanto per l'accusa quanto per la difesa. Era nella mia indole rispondere al fuoco col fuoco, per questo bruciava tutto ciò che toccavo, ma la cenere era sempre meglio delle sue città di carta.

Lauren mi inchiodò al suo sguardo senza via d'uscita, ma non si azzardò a rispondere. Non so se l'avessi fatta ragionare o straripare, ma il trillo acustico non ci permise di scoprirlo. Lauren si precipitò fuori dall'abitacolo, lasciandomi a respirare l'insofferenza assieme al suo profumo delicato. Sospirai rumorosamente, prendendomi un minuto per rassicurare me stessa di non avere responsabilità, non stavolta almeno. Quando c'era Lauren di mezzo, ogni parte di me giurava di essere colpevole, ma era solo il riflesso del suo egoismo.

Raggiunsi gli altri nell'androne, già seduti in pole position. I loro sorrisi fiduciosi sì che mi fecero sentire in colpa. Mi sedetti affianco ad Ally. Avevo la netta sensazione che avremo assistito alla nostra caduta direttamente dalla prima fila.

Lauren arraffava nervosamente i documenti, dispiegandoli sul banco. L'avvocato avversario si stava preparando senza fretta. Ronald ci diede il buongiorno insieme al suo team e dopo aver stretto la mano a qualche amico, diede il via alla giornata.

«Come sapete questo caso é già stato discusso, ma in assenza di un verdetto abbiamo deciso di approfondirlo. L'avvocato Jauregui ha collaborato con la parte dell'accusa ed oggi vedremo il risultato definitivo. Quando volete, noi ci siamo.» Con un gesto fraterno aprì le danze.

«Signor giudice, come si può notare dalle carte, il cliente non ha mai firmato personalmente i bilanci, il che...»

«Obiezione, vostro Onore.» Lauren entrò a gamba tesa, sfoderando un foglio come fosse un coltello. «Questo primo bilancio detiene la firma del cliente. Ora, per una clausola, é necessario dare l'approvazione una sola volta per tutte, dunque...»

«I termini di quella clausola sono scaduti e stati rivisitati anni fa.»

«Si, ma all'epoca era così, e all'epoca ci sono già delle irregolarità.» Lauren estrasse nuovamente un documento dalla pila, proseguendo su una linea sconosciuta.

«Che diamine fa?» Mormorò al mio orecchio Ally.

«Non ne ho idea.» Dissi, fulminando la corvina.

«...Quindi, come si può ben capire l'accusa verso il mio cliente non é sostenuta da prove valide e inconfutabili, ma solo da speculazioni riguardo la sua posizione gerarchica.»

«É il capo dell'azienda, la sua posizione gerarchica verrà sempre messa in dubbio. Se non voleva aver grattacapi, doveva scendere ai piani più bassi.»

Un brusio caotico si levò dalla stanza, indignando l'opinione generale. Ally cercò risposte nel mio sguardo, ma se non ero sorpresa quanto lei ero ignara allo stesso modo. Ronald riportò l'ordine.

«Lauren, se non hai altro da aggiungere...»

«Ho finito.» Fece scattare la valigetta, chiudendo così ogni possibilità di vincita.

Ronald annuì abbattuto, riunendosi per qualche istante insieme ai suoi colleghi per decretare l'esito della sfida. Eravamo tutti instupiditi, frastornati dalla repentina decisione di Lauren di seguire una strategia tutta sua, mai messa in atto o discussa assieme. Quel giorno capii una cosa: nessuna vittoria l'avrebbe ripagata se condivisa con me. Era l'unica volta in cui avrebbe sempre scelto di perdere.

«Bene, siamo giunti al verdetto finale.» Ronald fece accomodare gli astanti. «Visto le scarse prove prodotte dall'accusa, dobbiamo ritenere che il cliente non sia colpevole. Complimenti alla squadra di Taylor, voi andrete avanti.» Infine Ronald si voltò verso di noi, stringendosi in un sorriso afflitto.

Ally e gli altri provarono a braccare Lauren, mentre io uscii dall'androne prima di esplodere. Aveva superato ogni limite. Aveva visto il confine e ci aveva fatto un cappio. Il suo egoismo superava persino la sua arroganza, il che era un difetto irrimediabile.

In ascensore mi presi qualche secondo di silenzio per riordinare le idee, ma tutto dentro di me incendiava. Mi conoscevo: in quei momenti dovevo solo allontanarmi il più possibile, ma le distanze erano un concetto alieno per me e Lauren; in pace no, ma in ogni guerra non eravamo mai cosi vicine.

La corvina salii al piano nello stesso momento, trovandomi faccia a faccia. Inspirai profondamente, costringendomi ad ignorarla, ma le fiamme non hanno voce proprio per non spegnersi.

«Complimenti.» Mi sentii dire incattivita: «Hai fatto il tuo show, hai avuto la rivincita su una sconfitta nemmeno mai avvenuta. Spero almeno te la sia goduta.»

«Te la dedico interamente.» Sibilò a denti stretti.

«Mio Dio, Lauren. Cresci. Cresci!» Anni di silenzio mi vorticavano nel petto, portandomi al centro del mio temporale. Si dice che sia il centro dell'uragano il posto più sicuro, ma questo non valeva quando il cielo  era il proprio. «Questa cosa era importante anche per altri oltre te! Lo so che non riesci a vedere niente che non sia tu, ma potevi dirlo prima!»

«Mi hai costretto tu.» Proferì neutra. Chiunque ti ferisca ha bisogno di giustificare il tuo sangue sulle sue mani, altrimenti come potrebbe dormire col coltello sotto al cuscino?

«Questo é quello che ti dici per dormire meglio la notte? É questo che ti sei detta sette anni fa?» Anche il mio tono si era stabilizzato, quasi in quelle parole ci fosse più grida che in un urlo.

«Adesso basta, Camila.» Digrignò i denti, insufflando come un toro. «Basta. Sono stufa della tua commiserazione. Stufa di dovermi scusare per aver risposto al fuoco col fuoco. Stufa del tuo ruolo da vittima in un gioco fra carnefici. Stufa!» Le tremava il respiro per la rabbia, i muscoli per la tensione.

Marciai a grandi passi verso di lei, già col dito puntato pronta a sparare. Le sostai davanti in tutto il mio fremito. «Tu non hai idea di quello che mi hai fatto. Ti sei mai fermata, una sola cazzo di volta, a chiederti cosa mi avessi davvero fatto passare?! Ti sei mai fermata a guardarti indietro una sola volta, o hai avuto troppa paura di vederti per ciò che sei?!» Gridavo per non piangere, infuriavo per non rompermi. E se mai qualcuno dovesse dire che la rabbia non é un pianto, allora non ha mai dovuto contare le lacrime che spezzava per mangiarsi tutto l'amaro del sale. 

Lauren non fece un verso, mi guardava stoica. Bisbigliando disse: «Tutti i giorni.»

«Beh, non é abbastanza! Non é abbastanza.» Affondai ritmicamente l'indice nel suo petto, ringraziando di non aver qualcosa di più affilato con cui inciderle il cuore. «Ed é un'altra delle tue bugie. Solo un'altra delle tue bugie.» Mormorai.

«Non ho altre verità.»

Le lacrime mi pungevano gli occhi. Avrei preferito strapparmeli che mostrarle cosa aveva rotto. «Allora raccontami un'altra bugia.» Dissi fermamente, e non mi aspettai lo facesse davvero.

Lauren rimase inerme e in silenzio. Non avevo mai sentito il mio respiro spezzarsi così vicino a lei. La sua mano afferrò la mia, allontanandola dal suo petto, ma quando feci per andarmene la fece scivolare verso il mio polso e mi attirò a lei, annullando la possibilità di capire cosa avesse in mente prima di metterlo in atto.

Le sue labbra premettero contro le mie, in una follia di passione che solo il disprezzo sapeva avere. Mi distaccai inorridita, spingendola via. Farfugliai qualche parola inarticolata, completamente spaesata e obnubilata. Il suo sguardo non lasciò il mio, e l'incantesimo non si ruppe.

C'è un posto, al di là della rabbia, in cui il fuoco che ti salva é lo stesso ti uccide, ma non lo sai perché nessuno ne esce innocente.

«Fanculo.» Sussurrai a me stessa, mentre permettevo al delirio di compiersi.

Afferrai la sua nuca, trascinandola in un bacio che era una guerra. Lottavamo con le mani, con le lingue. Dove cercavo di toccarla, lei mi imprigionava i polsi, dove cercava di succhiarmi, io le mordevo il labbro. Inciampò nei suoi passi mentre si spostava verso la porta di camera, con me ancora incollata a quella contagiosa malattia. Aprimmo impacciate la serratura, lasciandoci inghiottire dal buio della stanza come dal buio della nostra coscienza.

Quella era un'altra bugia senza dubbio, ma raccontata meglio.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro