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Capitolo 14


Don't you get lost in nostalgia,
No It's not too late, it's not too late, no
Don't you get lost in nostalgia, no
Lonely little lover, little lover

————

«D'accordo, io credo che sia una buona idea.» Annuii Ally, cercando assenso nei presenti.

«Si, secondo me é un buon piano d'azione.» Si accodò John, assieme ad altri due compari.

«Concordo anche io con Lauren.» Dissi.

Ally mi guardò incredula, come se fossi un fantasma. Un po' lo ero.

«Allora abbiamo deciso come agire.» Sentenziò Ermes, uno dei colleghi della nostra squadra.

Ci fu un applauso generale e conclusivo. Eravamo tutti sollevati dall'aver trovato un punto in comune che riscontrasse le esigenze di ognuno. Un rilassamento generale della stanza permise di sbrigliare qualche sorriso. Ally ruppe le righe, accostandomi a me da dietro.

«Che novità é questa?» Filtrò le parole attraverso un sorriso di copertura.

«Momenti, Ally. Sono solo momenti.» Puntualizzai, senza risolvere alcuno dei suoi dubbi.

Balbettò qualche morso di parola al mio orecchio, senza metterne in fila più di due, alla fine si arrese; c'era un linguaggio che il Mondo non capiva, ma Lauren si. Era l'unico col quale andassimo d'accordo. Avevamo dovuto inventarci una lingua nuova per parlarci.

«Facciamo finta che abbia capito.» Tagliò corto, dissolvendo la nuvola con una mano. «Senti, stasera andiamo tutti a festeggiare, ti unisci?»

«Festeggiare cosa? Non abbiamo ancora vinto.» Storsi il naso e la testa, ammettendo ma non condividendo l'ottimismo.

«É già una vittoria esserci messi d'accordo.» Era ironica, ma era vero. «E comunque, a prescindere, ce lo meritiamo. É solo una cena.»

«Ci penserò, va bene?» Poggiai una mano sulla sua, per ringraziarla, ma la mia fretta diceva tutto. Ally mi lasciò andare, non senza un'occhiata sinistra.

Avevo speso diverso tempo a pensare agli altri per non godermi un pomeriggio a giro per Chicago in totale tranquillità. Addirittura ero riuscita a mettermi d'accordo con Lauren, prima di aver fatto un giro turistico, il che la diceva lunga sui miei piaceri e doveri. Malgrado lo sforzo -o forse proprio per quello- ero contenta di aver trovato una via di mezzo con la corvina. Non che dovesse (o potesse) essere un evento da cui aspettarsi il secondo, ma a volte anche l'unicità é abbastanza soddisfacente per una vita contraddittoria. Adesso però che era finita non c'era bisogno di continuare a pensarci. 

Pensai a sbrigare qualche telefonata, a risolvere alcune beghe, dopodiché mi cambiai in abiti più comodi per fronteggiare la torrida città. Prima che potessi attuare i miei piani, venni interrotta dal bussare alla porta. Contando che a Chicago eravamo tutti colleghi, non potevano essere buone nuove. Mi avviai annoiata verso l'uscio, ma rimasi stravolta quando l'aprii.

Portai una mano al cuore, ma faticai a riprendere aria. Il mio cervello arrivò dopo il mio corpo, come succede quasi sempre nello stupore o nella paura. «Halsey?»

«Ciao, Camila.» La ragazza si sciolse in un sorriso amorevole.

Erano passati anni dall'ultima volta che avevamo riso assieme, e adesso si era materializzata di fronte alla mia porta, proprio come sognavo quando ero giovane e del Mondo conoscevo solo la mia scuola.

«Ma, che diamine...» Ero ancora sconvolta per agire secondo il mio impulso. In più, la mia esperienza mi insegnava a seguire la ragione prima della volontà.

«Ho pensato di passare a salutare. Ho trovato Ally nella hall, mi ha detto dove cercarti.» Adesso che la storia aveva un senso, mi concessi un abbraccio.

Halsey mi strinse a sé, rammentandomi serate di fantasie ormai appassite. Ero contenta di vederla, più sconcertata che altro, ma l'effetto trepidante, impaziente, se l'era portato via il tempo. Una cotta adolescenziale può servire per dirti chi sei, ma non resiste agli altri scalini del tempo. Provavo un immenso affetto nei suoi confronti e anche un filo di nostalgia; non avevo più trovato sentimenti puri e autentici dopo quel primo sogno.

«Hai fatto bene a passare.» Le carezzai una spalla, ancora inebetita dalla rapidità con cui certi attimi possano accadere.

Nella frenesia, mi ero quasi dimenticata dell'inconveniente nella stanza accanto. Pensai fosse giusto metterla al corrente prima che lo venisse a scoprire. Non volevo si sentisse tradita di nuovo.

«Cavolo, Halsey.» Borbottai qualcosa, ma niente di articolato. «Come dire, vedi...» Fu solo l'ansia della scoperta a indurmi a parlare. «C'è anche Lauren, qui.»

«Si, lo so. Abbiamo pranzato insieme. Me l'ha detto lei che ci fossi anche tu.»

«Oh, okay.» L'angoscia si diluì in un sospiro, ma il nodo allo stomaco rimase. Non ci diedi peso. Anche a distanza di anni, soffrivo una sfida a cui non partecipavo più. Non trovavo altre origini per il mio fastidio.

«Stavi uscendo? Ti ho...»

«No, no!» Scossi energicamente la testa. Prima non mi sarebbe neppure interessato, probabilmente, ma adesso desideravo trascorrere del tempo con lei, dimostrarmi al mio meglio. «Entra pure, faccio portare qualcosa da bere.» Mi attardai a chiudere la porta, sbirciando maliziosamente ogni angolo del corridoio.

Halsey si sedette sul divano, impacciata. Chiedi alla receptionist di portare in camera la bottiglia più costosa, raggiungendo poi la ragazza sul sofà.

«E tu che ci fai a Chicago?» Piano piano riordinavo i pensieri, compiendo ragionamenti logici.

«Ci vivo.» Sorrise fra un cenno del capo e l'altro, dissipando il mio stupore. «Mi sono trasferita subito dopo il liceo. L'idea era di continuare gli studi, ma... non ho potuto. Adesso lavoro in un bar qua vicino. Non é molto, ma...» Tutte quelle lacune dopo un "ma" mi davano da pensare ci fosse un taciuto da sospendere, per il momento. Al contrario del mio sesto senso, non feci domande.

«Ti trovo bene. Felice e soddisfatta.» Non cercavo di consolarla, piuttosto di inquadrarla.

«Lo sono, davvero.» Mi rassicurò, serenamente. Non so quanto vero fosse, ma era molto brava a renderlo tale.

Il cameriere si intromise durante un momento di silenzio. Mi consegnò la bottiglia di Chardonnay e si congedò. Versai due calici moderati per entrambe.

«Dobbiamo trovare qualcosa per cui brindare.» La sollecitai.

«Al tuo caso?»

Il sorriso si affievolì come una luce scarica. Sospirai sonoramente, incavando le labbra.

«Oppure no.» Indossò l'espressione mortificata di chi aveva appena rotto qualcosa in casa altrui.

«Lauren te l'ha detto quindi?» Con l'esordiente delle bollicine, eclissai la mia bocca.

«Me ne ha parlato, sì.» Anche lei trangugiò un sorso di vino, gustandolo lentamente. «A quanto pare non smetterete mai di combattere faccia a faccia.» Lo disse ridendo, ma era una maledizione di cui ero persuasa pure io. «Dovunque vi trovi, siete insieme e state dalla parte opposta. Sembra quasi l'ordine naturale delle cose, per voi.»

«Lo é.» Concordai, annuendo più espansivamente del dovuto. Lei ridacchiò.

«Allora stasera immagino che dovrò decidere con chi parlare.»

Mi offuscai in un cipiglio: «Stasera?»

«Per la cena... no? Ally mi ha chiesto di unirmi. Non ci sarai o...»

«Ci sarò.» Decisi in quel momento, tagliando la testa al toro.

Un sorriso irraggiò il volto aureo della ragazza, rischiarendo anche le parti più oscure di me. Adesso capivo perché sia che Lauren che io ci eravamo invaghite di lei, tanti anni fa. Solo una luce accecante sgrana il buio più fitto. E noi eravamo nero pece. Quando non trovi qualcosa di buono in te, devi per forza chiederlo agli altri. Halsey era la parte mancante di tutte e due: solare, smaliziata e candida. Persino allora, al di là della maturità, mi faceva uno strano effetto parlare con qualcuno così genuino, disinteressato, per niente macchiato dalla malvagità del Mondo. Forse per questo ero attratta dalla sua rete, forse per questo ci tenevo a provarmi migliore. E forse sempre per questo Lauren era disposta a sedersi allo stesso tavolo di Halsey, malgrado il suo nome avesse ferito entrambe: perché non aveva ancora finito di dimostrare.

«Ottimo! Brindiamo a questo.» Si prodigò gentilmente, facendomi bere il suo immenso sorriso assieme alle bollicine.

Gli anni erano passati, ma quella sfida era ancora aperta. Non si trattava più di Halsey, ma di quello che rappresentava. Chi delle due riceveva il raggio senza guardare l'ombra? Lo avremo scoperto in poche ore.

Halsey si trattenne per chiacchierare del più e del meno, poi mi salutò per andarsi a cambiare in abiti più formali. «Come ci si comporta fra avvocati?» Domandò ridendo, ma arrossita.

«Come se odiassi tutti.» Le consigliai.

«Sarà facile.» Disse, dopodiché se ne andò, abbandonami ad un senso di naufragio.

Era una tempesta a cui non ero più abituata, di cui non indovinano neanche più il vento, ma che mi soffiava dentro con tenacia. Immagino che ogni terra inesplorata conduca pur sempre ad un senso di adrenalina. E non so dire con precisione se fu proprio questo fermento a spronarmi, fatto sta che scelsi il vestito migliore dell'armadio, i tacchi più alti e l'acconciatura più accattivante. Una vocina mi suggeriva di impegnarmi per suscitare un rimpianto, ma l'altra voce si confondeva nel furore.

Alle otto in punto, raggiunsi gli altri direttamente al ristorante. Ally mi aveva chiesto se volessi un passaggio, ma io avevo preferito l'effetto teatrale, così avevo studiato un ritardo. Lauren fu la prima a vedermi. Era seduta capotavola e occhieggiava la porta quasi aspettasse questo momento. Per quanto ci odiavamo, ci aspettavamo in ogni stanza. Forse solo per la follia del disprezzo, ma aspettarsi qualcosa, anche nel peggiore dei desideri, molto spesso, significava avere già un pensiero da nascondere.

Mi scusai per il ritardo e presi posto all'altra punta del tavolo. A quella scacchiera, c'erano due regine e nessun Re.

Halsey era seduta vicino a lei, ma le sorti stavamo per ribaltarsi.

Lauren non aveva distolto gli occhi da me per un solo istante. Io avevo sostenuto quell'attacco con altrettanta alterigia. L'antica ostilità era più scottante che mai. Tanti equilibri stavano per cedere, sentivo il terreno tremarmi sotto i piedi. E non so dire perché mi piacesse il rischio di precipitare... ma dovevo ancora scoprire il suono della caduta.

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