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Speciale: Guardian II


-1- Flora

"Flora! Flora svegliati! Non vedi quanto è tardi?".

Mi alzai dal letto di soprassalto. "Oh no... ho staccato la sveglia e mi sono riaddormentata", dissi confusa con la voce ancora impastata dal sonno.

Zia Alisa mi guardò un po' seccata. "Che ore sono?", le chiesi.

"Le otto".

"Oh diamine!". Scesi a razzo dal letto e mi fiondai in bagno per prepararmi. Infilai i primi vestiti che mi vennero sotto le mani e dopo aver raccolto la colazione mi diressi a scuola con la mia auto.

Non trovai nessuno ad attendermi. La campanella era già suonata e le mie amiche a quell'ora erano tutte in classe a fare lezione. Sbuffai di disapprovazione ed entrai in corridoio.

"Sempre in ritardo, eh?", mi disse il bidello sghignazzando.

"L'ho rifatto...", piagnucolai, "mi sono riaddormentata!".

Salii le scale a precipizio e spalancai la porta della mia classe preparando mentalmente una scusa da riferire alla professoressa per giustificare il mio ritardo.

"Ancora una volta in ritardo, Flora?". Mi accolse la professoressa Graziani arcigna.

Era una donna di mezz'età, con i capelli rigorosamente tinti di rosso e delle rughe attorno alle labbra che la facevano somigliare ad una tartaruga.

La tartaruga, era così che tutti la chiamavano a scuola.

"Mi scusi professoressa... ho bucato mentre ero per strada".

Lei mi squadrò arcigna, aveva un modo di guardare la gente che metteva paura. Il suo naso era adunco e i suoi occhi neri e acquosi sembravano essere dei radar adatti a scoprire le bugie dei malcapitati alunni.

"Benissimo, vai fuori!", mi disse tranquilla.

Rivolsi uno sguardo sperduto verso Conny che era già in classe da tempo. Lei mi guardò alzando le spalle.

Io rimasi di sasso. "Ma... ma... professoressa io...".

"Vai fuori! O sarò costretta a spedirti dal preside".

Iniziai a tremare. Perché mi metteva sempre così paura? "Professoressa, la prego...".

"D'accordo, vorrà dire che scriverò sul registro...", raccolse la sua penna e fece per vergare una nota.

Spalancai gli occhi. "No! No! Ci vado".

Lei si appoggiò allo schienale della sedia soddisfatta e i suoi occhi si socchiusero pigramente in un sorriso. Mi diede l'impressione di un gatto che si bea soddisfatto del suo operato dopo avere sbranato la propria preda.

Con una faccia da funerale raccolsi la mia cartella e uscii nel corridoio.

Che vergogna! Chi avrebbe avuto la faccia di stare per due ore consecutive fuori dalla porta mentre i ragazzi delle altre classi passavano e ti additavano come un animale da circo?

A testa bassa rimasi appoggiata al muro e lentamente scivolai per sedermi sul pavimento, accanto alla porta. Poi un fracasso dalla classe di fronte alla mia attirò la mia attenzione.

"... e resterai fuori per tutta l'ora! Mi sono stufata di sopportare la tua sfacciataggine!!!", aveva urlato un'insegnante.

La porta si aprì e ne uscì fuori Samuel.

Aveva un sorrisetto spavaldo e l'aria di chi non si sarebbe preso assolutamente preoccupazione delle conseguenze del suo gesto.

Quando uscì in corridoio si richiuse la porta alle spalle e rivolse verso la classe un segnaccio di gran lunga maleducato. Io rimasi a guardarlo con curiosità, chissà in che guaio si era cacciato per essere sbattuto fuori dalla classe. Sghignazzai, forse un po' troppo forte perché lui mi sentì.

"E tu?", mi disse puntandomi addosso i suoi profondi occhi neri.

Rimasi impietrita. Samuel mi stava fissando con evidente sorpresa e io... io beh... avevo dimenticato come si faceva a rivolgere la parola ad un ragazzo carino.

"Ehm... ciao, Samuel", balbettai. Con impaccio approfittai del momento di imbarazzo per aggiustarmi il cerchietto sui capelli. Quando rialzai lo sguardo me lo ritrovai seduto accanto.

"Ciao...", mi disse deliziato, "per fortuna ci sei tu a tenermi compagnia!", mi sfiorò il mento con una mano e io arrossii.

"Perché ti sei fatto sbattere fuori?", gli chiesi riacquistando un po' della mia sicurezza.

"Uhm... niente di importante, stavamo solo facendo qualche prova per un video da mandare a scuola zoo!".

Trattenni a stento una risata. "Scuola zoo?".

"Sì, non sarebbe male piazzarsi ad un buon posto nella classifica dei video più divertenti!".

Sorrisi. "Tu sei matto!". Lo guardai di sfuggita negli occhi ma poi abbassai lo sguardo imbarazzata.

Samuel aveva un che di magnetico. Eppure, fino a quell'ora ero riuscita a fare finta di non capire che lui ci stesse provando con me.

Lui mi rispose con un sorriso sghembo. "Naaa... mi piace la popolarità... tutto qui... e tu invece? Sei la perfettina della scuola. Che avrai mai combinato per esserti beccata questa punizione?".

"Sono arrivata in ritardo, e la Graziani mi ha sbattuta fuori!", misi su una faccia rammaricata.

"Oh, capirai!!! Quella vecchia strega... non mi preoccuperei più di tanto! Vedi il lato positivo, sei con me invece che stare a sentire quella vecchia tartaruga racchia e la sua noiosa lezione di matematica!", mi fece l'occhiolino.

Sollevai il viso per tentare di guardarlo negli occhi. "Sei proprio uno studente negligente!".

Sollevò le sopracciglia. "E tu sei proprio una secchiona... sorry!".

Mi imbronciai. "Non sono secchiona... adempio solo al mio dovere di studentessa!".

"Oh, it's terrible, I think that homework is not useful, absolutely... I hate it!".

Lo guardai di sbieco. Era molto sexy quando parlava l'inglese, non c'era dubbio. Mi chiesi se anche questo non fosse un tentativo di rimorchio.

"No... non è terribile come credi. Basta un po' di passione per studiare".

"Giusto quella che mi manca!", mi rimbeccò lui placido.

Rimanemmo in silenzio per un momento. Chi passava per andare al bagno ci fissava con ardente curiosità negli occhi. Mi ritrovai a pensare che Samuel non era poi così dolce... era più bastardo, che il resto degli aggettivi che gli avevo attribuito.

Lui mi fissò con gli occhi ridotti a fessure. "A che pensi?", mi chiese indagatore.

"A quanto voi maschi siate tutti uguali!", sbottai noncurante.

"Ah sì? E cosa te lo fa pensare!".

Sorrisi ironica. "Lo scarso impegno per lo studio e i ridicoli tentativi di rimorchio".

Alzò le sopracciglia perplesso. "E con questo...", domandò, "dove vorresti arrivare?".

Sorrisi di più. "Al fatto che non mi interessi! Per quanto tu ti stia impegnando a rimorchiarmi...".

Sbatté le palpebre preso alla sprovvista. "Un momento...".

"Sì, hai capito bene...", aggiunsi, "con me non hai alcuna speranza, mi dispiace!".

Lui rimase senza parole per un attimo. Si grattò la testa con fare pensieroso e sorrise a sua volta incredulo.

"Come sei perspicace!", mi disse.

Era già passato un mese dal primo giorno di scuola e quella era la prima volta che ci ritrovavamo a parlare da soli. Era vero, a volte ci era capitato di incontrarci a qualche festa... poi però qualche ragazza se l'era portato via con la pretesa di ballare e la cosa era finita lì. Quanto avrei voluto che in quel momento qualcuno lo avesse invitato a ballare!

"Scusa... potresti guardarmi negli occhi quando mi rivolgi la parola?", mi chiese.

Tenni lo sguardo voltato, fingendo di essere interessata a un armadio coi libri sistemato nel corridoio.

"Ehm... non credo che sia utile!", balbettai spiccia.

"A me piace che la gente mi guardi negli occhi, quando parlo".

Mi girai e cercai di sforzarmi di tenere lo sguardo fisso sui suoi occhi. Ma... era impossibile! Sembrava che mi bruciassero le pupille. Odiavo quella sensazione di imbarazzo.

"Perché arrossisci?", mi chiese con un sorriso sghembo avvicinando il suo viso al mio.

I suoi occhi neri puntati sui miei parvero scintillare. Non seppi rispondere alla sua domanda così distolsi nuovamente lo sguardo.

"Hai degli occhi meravigliosi, comunque. Sembra che tu abbia rubato due gocce al mare...".

Sbuffai. "È inutile che provi a fare il carino con me... non attacca", lo guardai torva.

"Ti piace qualcun altro?", mi domandò a bruciapelo.

"No! Non voglio nessuna storia... tutto qui...".

Lui fu preso da un convulso attacco di risate, poi si stiracchiò sempre con quel suo fare sicuro.

"Ah, Flora, Flora... sono sicura che già la prossima settimana io e te staremo da qualche parte insieme da soli... e tu... beh, tu sarai cotta di me!".

Finsi una risata ironica. "Ma non farmi ridere!".

"Scommetti?", mi disse con una sicurezza che mi mise a disagio.

"Scommetto!", mi accigliai anch'io.

Si morse le labbra divertito. "Bene...", si alzò. "Ora se non ti dispiace vado a prendere qualcosa alla macchinetta... mi è venuta fame... vuoi venire con me?".

"No!", quasi urlai.

Sorrise, "Non c'è problema... vado da solo, dolcezza!".

Lo guardai torva. "E non sono la tua dolcezza, quindi piantala!".

"Of course, my sweet dolly!". Rimase in piedi a guardarmi dall'alto poi aggiunse. "A proposito, quel cerchietto... ti sta di incanto".

"Dillo alle oche che ti vengono dietro". Sbottai.

Lui non rispose, mi voltò le spalle sorridendo tra sé e si diresse tranquillo verso le scale.

Guardai com'era vestito. Aveva i capelli corti sistemati in ogni minimo dettaglio. Il ciuffo castano che gli cadeva a coprire l'angolo del sopracciglio destro lo rendeva più che attraente, per non parlare dell'odore piacevole del suo profumo. Indossava un maglioncino nero attillato e dei jeans scuri affermati da una cintura molto ricercata. Tra le mani stringeva un i-phone bianco. Ultimo modello, supposi.

Pian piano scomparve mentre scendeva le scale e io me ne restai seduta per terra a riflettere.

Samuel era nuovo, quello che si poteva definire senza mezzi termini il giocattolino delle ragazze a scuola. Tutte gli andavano dietro come fosse stato un dio o una rock star.

Il problema era che... quando mi guardava sembrava che per lui non esistesse nessun altra che io. E questo mi metteva un po' a disagio, anche sa da una parte mi riempiva d'orgoglio.

Ero ansiosa, e non riuscivo a capire perché. Forse stavo attendendo il suo ritorno? Magari mi avrebbe portato uno snack. Me l'avrebbe offerto?

Scossi la testa annoiata. Non volevo nessun grattacapo eppure Samuel sapeva farmi andare in crisi con una facilità unica.

Ad un certo punto lo vidi tornare e il mio cuore reagì. Distolsi all'istante lo sguardo finché non lo sentii chinarsi alle mie spalle.

"Non c'è bisogno che smetti di fissarmi...", mi sorrise malizioso coi suoi denti bianchissimi, "so già di essere irresistibile!".

"Sei di nuovo qui?", sbottai seccata.

"Già... ho pensato che ti avrebbe fatto piacere una buona cioccolata calda... ti va?". Mi porse un bicchiere fumante.

Ecco che arrivava il dilemma? Quell'invitante cioccolata calda emanava un odore così buono che era impossibile resistere. D'altra parte, se avessi accettato, avrei mostrato di avere un debole per lui... cosa su cui non si sbagliava... purtroppo.

"Va bene... accetto, ma solo per questa volta", dissi spiccia.

Lui ammiccò con gli occhi. "Solo per questa volta...", mi fece il verso.

Sorseggiai un po' dal bicchiere. "Sai che se mi vede la prof sono fregata?".

"E tu affrettati a berla...", mi rispose lui. Mi guardò mentre mi bagnavo le labbra con la cioccolata ancora troppo calda per berla tutta d'un fiato.

"Buona...", disse con lo sguardo ammirato mentre mi fissava.

"Perché buona? Come se la tua fosse diversa", indicai il suo bicchiere.

Lui sorrise. "Vuol dire che non mi riferivo a quella...", ribadì.

Mi accigliai. "E a che ti riferivi?", la mia voce scese di qualche ottava.

"A te... quella cioccolata...", si interruppe, "oh lascia perdere... tanto non capiresti!", lasciò a intendere con un sorriso sghembo.

Mi irritai. "Senti!", sbottai spazientita. "Ora mi sono proprio stufata, va bene? Forse con le ragazze inglesi funziona, ma con me NO! Mi sono scocciata di questo tuo comportamento... mi da fastidio".

Lui guardò la mia sfuriata senza batter ciglio, sembrava divertito dal fatto che fosse riuscito a farmi saltare le staffe.

"Sei pazza di me...", mi sussurrò.

Gli piantai uno schiaffo sul viso che lo lasciò sorpreso.

"Sei veramente... pazza di me!", ebbe il coraggio di asserire.

Imprecai. "Non mi interessi! Come te lo devo dire? Non me ne frega niente di te... tu e il nulla? La stessa cosa! In che altro modo vuoi che te lo spieghi?".

Sghignazzò. "Sei stata chiarissima!".

Espirai soddisfatta appoggiando la testa alla parete dietro di me. "Uh... finalmente!".

Poi il mio cuore sussultò quando mi ritrovai il suo viso a un centimetro dal mio. Mi guardai intorno ma il corridoio era deserto, nessuno mi avrebbe dato una mano.

E Samuel mi baciò... a sorpresa, senza che io avessi potuto fare niente per fermarlo. Cercai di allontanarmi da lui ma la parete me lo impediva e quando sentii le sue labbra muoversi sulle mie per invitarle a schiudersi non ce la feci.

Cedetti alla tentazione di assaporare quella morbidezza così familiare.

Avevo smesso di pensare ormai da tempo al fatto che la voce di Samuel fosse così simile alla voce dei miei sogni, ma adesso, sentire il tocco di quelle labbra sulle mie, mi fece andare fuori di testa.

Non riuscii a non rispondere al bacio, così come non riuscii a vedere passare davanti ai miei occhi un'immagine, come un flash...

Due ragazzi in un bosco. Uno davanti all'altra, identici a me e Samuel, che si fissavano sconvolti. Tutti e due avevano un paio di ali diverse e nei loro occhi leggevo amore e paura insieme...

"Aurora...", mormorò Samuel, "sai di cioccolata calda... lo dicevo che avresti avuto un sapore irresistibile!".

La sua voce mi svegliò da quello stato di trance in cui ero caduta. Gli assestai uno spintone che lo fece cadere carponi per terra, poi gli mollai uno schiaffo fortissimo.

Lui si portò una mano alla guancia dove pian piano iniziava a spuntare la sagoma delle mie cinque dita.

"Ora mi sono proprio stufata... vattene!", quasi ringhiai fuori di me dalla collera mentre mi premevo una mano sulle labbra.

Nonostante tutto lui sorrise lo stesso. "Mi piace il tuo caratterino".

"Evapora!", dissi tra i denti.

Non ebbi il tempo di finire la frase che la porta della mia classe si spalancò. Era la mia amica Conny. Quando vide con chi mi stavo intrattenendo rimase perplessa. "La prof ha detto che puoi rientrare", mi annunciò.

Mi alzai e lasciai il mio bicchiere tra le mani di Samuel. "Fai un lavoro socialmente utile al posto di baciare le ragazze che non ti si filano... buttalo!".

"Of course, dolly!", mi disse lui dolcemente.

Gli rivolsi una faccia seccata: "E comunque mi chiamo Flora... Aurora sarà un'altra ragazza a cui starai facendo il filo per adesso... mi avrai confusa...", terminai con finta preoccupazione "sarà dura rincorrerne tante in una volta, non è così? Alla fine finisci per confonderne i nomi", conclusi ironica, e detto questo me ne rientrai in classe.

Dentro di me... urlavo.

Era così che mi chiamava la voce del sogno... Aurora.


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