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13 - Simon


Non immaginavo che avrei mai passato un pomeriggio così orribile. Ogni minuto di quella giornata lo avevo trascorso a fare e rifare delle congetture senza trovarne mai una che mi andasse veramente a genio. Adesso ero in piscina. Tneske aveva scelto di darmi una casa con tutti gli agi possibili, quindi nella mia super villa c'era anche una piscina interna.

La temperatura si manteneva mite, data la presenza dei condizionatori. Feci qualche bracciata per cercare di sfollare la mia mente da quei pensieri scomodi, ma non ci riuscii.

Dopo aver nuotato abbastanza uscii e mi infilai l'accappatoio. Decisi di tornare in cucina per mettere qualcosa sotto ai denti. Con quell'esercizio fisico mi era anche venuta fame.

Aprii la porta della sala piscina e mi ritrovai in salotto. Un giaccone sul divano in pelle mi indusse a guardarmi intorno chiedendomi chi ci fosse in casa mia. Quel giaccone non era di certo della mia taglia, e soprattutto non era il mio.

"Buon pomeriggio Simon". La voce tonante di Tneske mi sorprese. Scendeva dal piano superiore con aria risoluta e mi guardava coi suoi occhi minacciosi.

"Ciao, Tneske...", feci visibilmente seccato. Non tentai neppure di nascondere il mio malumore.

"Ebbene, vedo che ti sei ambientato bene qui a casa...", continuò lui in tono tranquillo.

Annuii superficiale senza alcuna voglia di fare conversazione con lui. In quel momento lo consideravo solo uno scocciatore.

Tneske non parve fare caso a me e continuò il suo discorso. "Ti sei ambientato talmente tanto, che non ti frega assolutamente niente della tua missione!". Sbottò furibondo.

"Lasciami in pace", sibilai provando a salire le scale. Lui mi bloccò la strada con un suo braccio imponente.

"Dove credi di andare, ragazzo?".

Si rivolgeva a me come un padre, eppure io ero sicuro di non meritare la sua benevolenza.

"Lasciami - in - pace". Sottolineai inviperito.

"Simon, voglio sapere che ti prende, ora! Una volta per tutte... Vuoi smetterla di comportarti da idiota!?", esplose il mio capo in collera.

Chiusi gli occhi reprimendo con forza l'istinto di mettermi a urlare. Mi stropicciai le palpebre. Ormai mi erano comparse due occhiaie profonde frutto di una notte insonne e un pomeriggio stressante. Mi sedetti su un gradino davanti a lui, piegato alla sua volontà.

"Non ce la faccio...", mormorai arreso e allo stesso tempo schifato dalle mie parole. Non potei vedere l'espressione di Tneske in quel momento ma quel silenzio mi fece capire che non era per nulla soddisfatto.

"Non ce la faccio...", urlai. "Tneske, io mi arrendo...".

"Che stai dicendo Simon? Cosa vuol dire che ti arrendi?".

Scossi la testa disgustato nel sapere quali parole avrei dovuto proferire.

"Non posso ucciderla!". Chiusi gli occhi, pronto ad accettare la sfuriata che mi meritavo, tuttavia questa non venne. Sentii piuttosto i passi di Tneske dirigersi verso il salotto e lo udii sprofondare sui cuscini del divano.

Poi sorrise, di un sorriso amaro e colmo di delusione. "E io, che ti ho sempre dato il meglio...".

Rialzai la testa furioso. "Vorresti dire che ti ho sempre deluso? Che non ti ho mai dato motivo di essere felice per il mio operato?". Le mie mani tremavano e io ero pronto a perdere il controllo un'altra volta.

"No Simon, ma questa volta mi hai seriamente deluso".

"Vorrei vedere te!", urlai con disprezzo. Mi raggomitolai su me stesso mettendomi le mani tra i capelli nell'impeto di strapparli.

"Non fa niente ragazzo. Manderò qualcuno qui con te, se tu non ne sarai capace, sarà lui a finire il compito a te assegnato".

Spalancai gli occhi sorpreso e sollevai il capo per fissarlo.

"Sì, Simon, hai capito benissimo. A breve manderò qualcuno qui con te... sarà lui a prendersi il merito. Almenocchè tu...". Lasciò la frase in sospeso come a regalarmi un po' di suspense.

"Non decida a prenderti ciò che è tuo di diritto", continuò.

Conoscevo Tneske tanto da capire che voleva motivarmi. Pensava fosse bastato un semplice spirito di competizione con qualche mio compagno per rimettermi in gioco. Tuttavia io sapevo che si sbagliava.

"Spero tu non voglia passare in serie B, ragazzo. Non sarei molto felice nemmeno io di ricredermi".

Lo guardai con occhi colmi d'odio, non tanto per la paura di essere rimpiazzato, ma per la paura di dovermi mettere contro un mio compagno.

"Cosa ti frulla in quella testolina, ragazzo mio? Cosa ti induce ad avere paura di un'ignobile Alessi? Riflettici Simon...". Un sorriso comprensivo dipinto sul suo viso maturo. "Rifletti alla poca importanza che ha per noi la sua razza. È inaudito che tu abbia paura di lei!".

"Non ho paura di lei!", sbottai.

"E allora cos'è che ti frena?".

Guardai il muro affianco a me infastidito, non volevo guardarlo negli occhi nel rivelare un così grande punto debole. "Non riesco... non riesco ad accettare di farla fuori. Mi rifiuto di pensarlo. Mi preoccupo di farle male, ho... è una sensazione troppo strana! E dire che non la conosco neanche!".

Tneske ora aveva assunto un cipiglio preoccupato, mi guardava quasi con compassione. Presto questa espressione lasciò posto a una tonante risata di scherno.

"No! Non ci credo!", disse tra una risata e l'altra. "È spregevole! Non ci credo... Ti sei... innamorato!". Lo disse con odio, per un momento mi guardò come fossi una pulce da scacciare, ma poi l'espressione del suo viso si ammorbidì e si trasformò in apprensione.

"Non sei nelle condizioni di poter continuare...", disse a bassa voce quasi fosse una constatazione fatta a se stesso.

"No... io continuerò invece!", inveii con rabbia.

"E va bene, ma non sarai solo, questo è certo".

Un impeto di orgoglio mi portò a ringhiare di disapprovazione. Sentii il sangue pulsare alla tempia mentre i muscoli si tendevano sotto la pelle.

"Cerca di calmarti, fare così non serve a niente!". Continuò Tneske placido. "E ora va a dormire. Domani arriverà il tuo braccio destro, il tuo fratellastro, come lo presenterai agli altri. Da domani tu continuerai il tuo operato col suo aiuto e starai lontano dall'Alessi".

Rimasi in silenzio. Come dirgli che ci eravamo anche baciati? Che avevo addirittura accettato di stare con lei? Di uscirci? Decisi di tacere ogni cosa, per paura di una sua reazione. Tneske si alzò dal divano e mi fissò in silenzio per l'ultima volta. Non mi salutò nemmeno. Scomparve dal mio salotto con espressione greve.

Assestai un pugno alla parete poi ci poggiai la testa mentre ansimavo per la rabbia. E adesso cosa avrei fatto? Avrei sopportato che Aurora sarebbe stata uccisa da qualcun altro?

Decisi di andare a dormire. Domani avrei conosciuto il mio fratellastro nuovo di zecca. Ed era domani, che sarebbero cominciati i veri problemi.

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