10 - Aurora
L'impazienza quella notte mi aveva fatto dormire poco e male. Ero così felice che non vedevo l'ora di rivedere Simon. Dormii circa un'altra ora dopo che Agàte mi aveva lasciata. Poi, dato che non riuscivo a prendere sonno decisi di alzarmi dal letto e iniziai a organizzarmi per la nuova giornata scolastica.
Andai in cucina e mi preparai la colazione. Poi mi vestii.
Indossai dei semplici jeans e la camicia che avevo messo il giorno prima.
Quando arrivai a scuola mi guardai intorno. Nel grande parcheggio c'era l'auto tirata a lucido di Simon.
Il mio cuore fece le capriole. Vidi poco distante Gabriele. Era seduto su una panchina intento a sfogliare una rivista di auto. A malincuore decisi che Simon avrebbe aspettato.
"Ciao Gabry", lo apostrofai con un sorriso. "Come va?".
Lui alzò la testa come se si fosse accorto solo in quel momento della mia presenza. Si illuminò di un sorriso benevolo. "Oh, ciao Aurora, davo un'occhiata a questi nuovi mostri... dimmi anche tu, non sono fantastiche?".
Mi indicò un'auto rossa fiammante sulla rivista. Non saprei dire che modello fosse. Ero totalmente una frana a riguardo.
"Oh sì... sembra parecchio... costosa!".
Sorrise: "Già, costa un occhio della testa, noi comuni mortali possiamo solo sognarla un'auto così...".
"Tutti a parte Simon, naturalmente", lo stuzzicai divertita. Nel pronunciare il suo nome di nuovo mi venne una voglia matta di incontrarlo.
"Già, Simon è fortunato ad avere uno zio stramiliardario".
Mi costrinsi a trovare un altro argomento. Possibile che i miei pensieri volgessero solo a Simon?
"Allora, come ti trovi da queste parti?". Mi chiese Gabriele, con tutta l'aria di voler fare conversazione.
"Mah, ti dirò. Non è male. Mi piacciono la vita tranquilla e il bel tempo di questo posto".
Notai che mi fissava attento. Sembrava essere perso in un qualche pensiero. Sentii qualcosa vibrare nella mia tasca. Estrassi il mio cellulare e guardai lo schermo lampeggiare. La mia agenda elettronica mi ricordava che quel pomeriggio avrei dovuto frequentare la mia prima lezione al conservatorio.
"Qualcuno ti cerca?", fece Gabriele gentile e leggermente sospettoso.
"Oh, no, no, è solo la mia agenda. Mi ricorda che oggi pomeriggio dovrò andare a lezione di piano".
Gabriele sbarrò gli occhi gioviale. "Ma dai, anche tu studi pianoforte?".
"Sì, perché?".
Lui assunse un'espressione seria. "Io sono al quarto anno di conservatorio, e oggi pomeriggio ho lezione anch'io. Se vuoi possiamo andare insieme".
Gioii della magnifica notizia. "Sì, che bello. Mi farebbe molto piacere dato che da queste parti non conosco ancora molte persone".
"Allora aggiudicato", affermò mentre faceva cenno di sì col capo. "Se vuoi passo a prenderti a casa...".
"Ehm, no, tranquillo. Posso venire io da te!". Mi affrettai a intervenire.
Gabriele si accigliò, ma parve lasciar correre. "Come preferisci!", mi disse cordiale.
"Sai com'è...". Provai giustificarmi, "è meglio se impari a conoscere da sola questa città, dammi un posto e ci incontriamo lì".
"Piazza Cavour, ti va bene?". Mi chiese.
"Ottima idea. È vicino casa mia quanto basta!", mentii.
Gabriele continuava a fissarmi con un filo di allegria. "Da quanto studi?".
"Ho iniziato da bambina, adoro il pianoforte".
Vidi il mio protetto tirare fuori il suo cellulare, mi sembrò uno degli ultimi modelli. Parve sfogliare nella sua raccolta musicale personale, inserì l'auricolare dopodiché me ne diede una e quando fu soddisfatto fece partire una musica leggera. Un pianoforte suonava una melodia che mi era parecchio familiare.
"La conosci?", aggiunse piano. Sembrava non volesse spezzare la magia di quel momento. La musica era favolosa, e sì... certo che la conoscevo!
"Sì", annuii timida.
"Ed è...", mi invitò a proseguire lui con un sorriso dolce.
"I giorni... Ludovico Einaudi".
Lui sorrise di più. "Già, Einaudi. È una delle mie preferite", aggiunse mentre ascoltava ancora con orecchio attento. "Ormai la suono a memoria, non ho più bisogno nemmeno dello spartito".
"La voglio ascoltare qualche volta...", gli confessai estasiata.
"Un giorno di questi ti inviterò a casa mia!", mi disse lui soddisfatto. "Sai, è bello trovare qualcuno con la tua stessa passione". Mi guardò fisso negli occhi.
Suonò la campanella, lui parve distrarsi da quello che stava per dirmi. Mi tolsi l'auricolare e gliela porsi. Lo vidi trafficare per infilarle nella tasca anteriore dello zaino e quando se lo mise in spalla mi invitò a seguirlo.
"Andiamo? Non vorremo interrompere questa tradizione ormai? Sono il tuo accompagnatore personale!".
Se da una parte ero contentissima, dall'altro mi si rivoltarono le budella. La mia testa era ancora a Simon, eppure Gabriele lanciava chiari segnali di interessamento.
"La tua ragazza?", gli chiesi perplessa.
"Si è presa un brutto virus ed è a casa oggi".
Alzai le sopracciglia. Potevo scommetterci che c'era lo zampino di Albian.
"Ah, capisco. Sta molto male?".
Attraversammo i corridoi gremiti di gente. Vedevo alcune ragazze scoccarci occhiate furtive. Probabilmente mi invidiavano perché stavo parlando con uno dei ragazzi più carini della scuola.
"Credo che si riprenderà in fretta", fece lui noncurante. "Melania è forte abbastanza per mettere K.O. un virus!".
Sorrisi fingendomi divertita.
"Eccoci in classe", Annunciò Gabriele soddisfatto. "Simon deve essere già qui, avevo visto la sua auto parcheggiata quando sono arrivato. Eppure mi sembra strano che non mi abbia cercato".
"Probabilmente ripassa!", gli feci notare.
Gabriele varcò la soglia e io lo seguii leggermente turbata. Non potei fare a meno di guardare nel posto accanto a quello di lui.
Simon mi stava fissando serio. Sembrava essere addirittura indignato.
Un brivido mi percorse la schiena. Mi preoccupai. Possibile che si fosse arrabbiato perché l'avevo piantato in asso in quel modo, la sera precedente? Ingurgitai la saliva di troppo, poi sollevai timidamente una mano per salutarlo.
Lui cambiò espressione. Parve sorpreso e addolorato insieme. Mi rispose solo con un cenno superbo del capo.
Imprecai sotto voce mentre andavo a sedermi al posto. Aprii lo zaino e cominciai a tirar fuori uno per uno i libri. Avevo l'abitudine di metterli tutti sotto il banco e riporli pian piano nella cartella man mano che finivano le lezioni.
Mi concentrai sugli appunti di italiano del giorno precedente ma qualcosa me lo impediva. Mi voltai a guardare Simon. Mi stava ancora fissando con espressione a dir poco inquietante.
Mi immaginai come un personaggio del cartone animato a cui spuntava una gocciolina di imbarazzo sul capo. Che stupida che ero stata a sfuggirgli così! Mi risolsi che avrei chiarito tutto alla ricreazione. Meritava delle scuse.
Le tre ore di lezione parvero interminabili. Il professore di matematica si dilungò in eterno con la spiegazione delle matrici e io proprio non ci capii un accidente.
Mi consolai pensando che avrei parlato con Simon tra due ore esatte. Lui intanto mi scrutava con evidente soddisfazione.
Soddisfatto? E per cosa?
Quando incontrò i miei occhi subito la sua espressione si trasformò nuovamente in allerta.
Gli rivolsi un sorriso innocente e lui mi rispose con riluttanza.
Non potei fare a meno di notare quanto fosse strano.
Passò l'ora di matematica è arrivò quella dell'odiatissima educazione fisica. Detestavo qual genere di esercizi. Simon invece sembrava essere agilissimo e il suo fisico scolpito emergeva chiaro da sotto la maglia nera a maniche corte che indossava. Quando venne il momento dei palleggi a coppie la professoressa mi associò alla mia compagna di banco Matilde. Sembravamo essere l'opposto. Lei era molto spigliata in questa materia. Parò a meraviglia tutti i cattivi palleggi che le indirizzai prendendomi in giro di tanto in tanto.
La terza ora fu quella di italiano. Il professore ci fece cenno di sedere poi passò, come di sua abitudine, o almeno era quello che mi aveva detto Matilde, alla lettura del quotidiano.
In prima pagina un titolo a caratteri cubitali annunciava di un tentato stupro avvenuto proprio quella notte nella nostra città. La classe fu scossa dai bisbigli. Vidi Simon lanciarmi un'occhiata strana, ma quando restituii al suo sguardo uno sguardo interrogativo la sua espressione si rilassò.
Ripensai alla visione di quella notte, quando avevo visto il Kelsea compiere brutalmente quell'omicidio. Quando l'avevo sentito e vissuto sulla mia pelle, come fossi stata io l'artefice del delitto.
Il professor Greggi passò subito dopo alla lezione regolare, così io ebbi il tempo di vagare coi pensieri su ciò che poco dopo avrei detto a Simon per farmi perdonare.
Finalmente la tanto attesa ricreazione fu annunciata dal suono della campanella. Mi alzai da mio posto decisa a parlargli ma Simon parve prevedere la mia reazione e letteralmente scappò. Mi indignai mentre fissavo Gabriele che invece stava ancora riordinando i suoi libri.
"Dimmi...", mi invitò quando mi vide in piedi davanti a lui con espressione ebete.
Vidi Simon gongolare sulla porta quasi fosse geloso, poi scomparve prima ancora che potessi provare a rivolgermi nuovamente a lui.
"Ehm... niente, io veramente... volevo parlare con Simon, ma...".
"Ma se n'è andato... Lo so, non mi ha rivolto la parola tutta la mattinata. Sembra arrabbiato, o forse no, meglio dire preoccupato, non so per cosa però, mi spiace...". Mi pose una mano sulla spalla.
"Oh, fa niente". Balbettai confusa.
"Ce l'ha con te per caso? Vi ho visti insieme ieri sera".
"Non ne ho idea... volevo capire proprio questo...". Dovetti intristirmi talmente tanto che Gabriele parve fare una faccia più dispiaciuta della mia.
"Dai, vieni con me, ti offro qualcosa". Mi prese per mano e mi trascinò fino alla macchinetta sotto gli occhi sbigottiti di tutti.
"Allora? Cosa preferisci? Io ti consiglio il cioccolato bianco, è unico!".
Sorrisi: "Anche a me piace il cioccolato bianco, sai? Soprattutto se è la barretta ai cinque cereali!".
Lui si illuminò. "Ho giusto quello che fa per voi signorina". Mi portò davanti al vetro dell'altra macchinetta e inserì una monetina.
Vidi la molla lasciare cadere la barretta di cioccolato avvolta in un elegante carta azzurra poi Gabriele la raccolse e la scartò, porgendomela già pronta da assaggiare.
"Coraggio mordi!", mi sorrise mettendomela sotto il naso.
Io accennai a un morso mentre lui sembrava assaporarlo con gli occhi. Masticai con aria indagatrice poi deglutii. Gabriele era ancora in attesa di un mio parere.
"Allora?".
Sorrisi: "Ottimo".
Ne staccò un pezzo senza curarsi del fatto che l'avessi già morso io e lo mangiò, poi mi diede il resto.
"Io e te abbiamo proprio gli stessi gusti", sghignazzò.
"Già", ridacchiai. Questo fatto per me era già risaputo. Lo avevano pure annunciato gli anziani. Io e Gabriele eravamo due anime affini. Non avrei mai immaginato che stare con lui sarebbe stato tanto divertente quanto piacevole.
Ci voltammo insieme, e senza volerlo i miei occhi andarono in cima alle scale. Simon ci scrutava torvo. Sembrava avercela sia con me che con Gabriele. Mi chiesi se in questo modo non avessi peggiorato di brutto la situazione. Possibile che avesse visto in diretta tutta la scena del cioccolato?
Ingurgitai l'ultimo pezzo di cioccolato e per poco non mi strozzai se non fosse stato per Gabriele che evitò con un pronto intervento la mia morte per soffocamento.
"Se ti interessa Simon è in cima alle scale", disse piano al mio orecchio.
"L'avevo notato", lo informai.
"Allora va' a parlargli, no?", mi sospinse leggermente.
"Già, giusto... a parlargli...". Mi mossi come un automa verso di lui. Simon mi scrutò con sospetto ma aspettò che lo raggiungessi in cima alle scale.
"Ciao..." squittii timida.
Come al solito mi raggelò con un suo sguardo distaccato e un sorrisino ironico. "Era buono il cioccolato?".
Ecco appunto, aveva visto tutto!
"Ehm, sì". Arrossii violentemente.
Lui ghignò divertito dalla mia reazione. "Sei incorreggibile Aurora!". Il suo volto si illuminò di un raro sorriso che mi parve meraviglioso, proprio perché spontaneo.
"Simon...", iniziai non appena la sua risata si fu esaurita. "Volevo... chiederti scusa per ieri. Sono scappata senza motivo e... so che sei arrabbiato con me, ma...".
Lui mi zittì con un dito sulle labbra ma si tenne a distanza da me. "Non scusarti di nulla".
"No, mi scuso invece... sono stata scortese!".
Il suo sguardo sembrava sofferente mentre mi guardava negli occhi. Mi parve quasi di sprofondare nell'oceano misterioso e oscuro dei suoi occhi smeraldo. Lui distolse in fretta lo sguardo.
"Va bene, va bene". Annuì con l'aria di uno che voleva che il suo noioso interlocutore si togliesse di torno.
Mi zittì senza sapere che altro aggiungere. Lui non parve regalarmi nessun appiglio di discussione, così, sentendomi di peso, decisi di levare le tende.
"Beh, allora... sarà meglio che... vada?". Terminai a mo' di domanda.
"Sì, vai Aurora", mi disse voltandomi in fretta le spalle e scomparendo tra la folla dei ragazzi che stavano facendo ritorno nelle proprie classi. La campanella era appena suonata e io rimasi in piedi per qualche altro secondo. Gabriele mi raggiunse e mi prese al braccio.
"Allora? Com'è andata?". Mi chiese raggiante come sempre. "Ce l'aveva con te Simon?".
"No, non credo", aggiunsi scettica. "Sembrava più che altro avercela con se stesso".
Ci dirigemmo in classe e ognuno si sedette al proprio posto.
Le altre tre ore trascorsero più lentamente delle prime mentre mi chiedevo quale fosse la causa dello strano comportamento di Simon. Di contro il mio protetto era più che cordiale. E di questo ne fui felice, almeno in parte.
All'uscita ero quasi arrivata in macchina quando mi sentii strattonare delicatamente. Era Gabriele con tanto di sorriso. "Allora non dimenticare, eh? Piazza Cavour alle quattro e mezzo".
"Tranquillo, non dimentico!", lo rassicurai contenta.
Gabriele si chinò incerto, poi mi schioccò un bacio sulla guancia. "A più tardi piccola".
Mi voltò le spalle e salì sulla sua mini coupé rossa.
Gli sorrisi da lontano, poi aprii la portiera della mia auto. Per poco non mi pigliai un colpo quando ci trovai dentro Simon sprofondato nel sedile del passeggero con un sorriso smagliante e i piedi sul cruscotto.
"Holà, chi si vede!", mi disse allegro.
Lo guardai turbata e ancora col fiatone per lo spavento. "Come... come... hai fatto a entrare?".
Lui mi guardò in obliquo. "Segreti del mestiere...", buttò lì.
Sbattei le palpebre confusa. "No, come hai fatto?". Esigetti una risposta.
"Forse perché ci metti un ora ad aprire la portiera di questo rottamino, Aurora?".
Sospirai di sollievo. "Credevo di averla lasciata aperta!".
Simon abbassò i piedi dal cruscotto e si girò a fissarmi. Intanto l'ingorgo di auto e motorini stava cominciando a defluire dal cancello della scuola. Io gli restituivo ancora uno sguardo incredulo. Dentro di me esultavo dalla gioia. Simon era nella mia auto! Con me! Possibile?
Il mio cuore sussultò nel vederlo avvicinarsi a me. Ma subito il ragazzo cambiò direzione dello sguardo e lo posò sul mio navigatore satellitare.
"Bell'apparecchio...", sghignazzò, "dall'esterno non si direbbe".
"Non offendere la mia cinquecento! Netty, è la mia auto personale", dissi irritata.
"Cosa hai detto? Netty? Cos'è? Il nome che hai dato alla tua macchinina?", sorrise di gusto. Di nuovo il sorriso che avevo visto illuminargli il volto quella mattina tornò a splendere.
"Proprio così. Dato che ha un cofano piccolo piccolo, quindi un cofanetto... la chiamo Netty! È un diminutivo". Mi unii alla sua risata, e questo lo fece fermare. Sembrò parecchio scosso dal mio sorriso. Forse perché si era reso conto di quanto fosse spontaneo? Mi imbarazzai e abbassai lo sguardo con la mente annebbiata.
Mi riscossi quando sentii sfrecciare una moto poco vicino a noi. "A cosa devo la tua presenza qui, oggi?". Gli chiesi tranquilla.
Simon rifletté in silenzio. Di nuovo un'espressione sofferente gli colorò il volto. "Niente, volevo solo...". Si bloccò.
"Sì?", domandai incerta.
"Volevo capire se avevi paura di me...".
Mi accigliai dubbiosa, ma riflettendoci colsi l'ironia nella battuta. "Oh sì, certo che mi hai spaventata. Per poco non mi prendevo un colpo quando ti ho trovato qua dentro!".
Lui sorrise mesto e scosse il capo. "Non era quello che intendevo".
Non capii. Non aveva torto Gabriele quando diceva che quella mattina Simon non era normale.
"Tu? Farmi paura? E perché?".
Fece spallucce e si scompigliò i capelli con una mano.
"No, che non mi fai paura. Al massimo, certe volte... come dire? I tuoi... sguardi... mi incutono soggezione!".
Alzò un sopracciglio in maniera talmente accattivante che il mio cuore tornò a fare le capriole.
"Non ti faccio paura? Neanche un po'?".
Mi spazientii. Non capivo proprio dove volesse arrivare con quel discorso.
"No, non mi fai paura... e poi perché dovrei averne?".
Lui aprì la portiera della mia auto e fece per scendere.
"Aspetta!". Lo bloccai prendendolo per una mano. Lui mi guardò interrogativo.
"Volevo dirti che...". Mi guardai intorno in cerca di un appiglio. Il parcheggio della scuola ormai era deserto. Non c'era più nessuno.
Sembrava curioso mentre mi fissava serio.
"No, non mi fai paura...". Continuai. Non era proprio quello che avrei voluto dirgli, ma riflettei che non era il caso di spiattellargli tutto in faccia all'improvviso, dirgli che ero cotta a puntino per lui senza prima conoscerlo meglio.
"Questo me l'avevi già detto", fece lui perplesso.
"Okay, allora volevo dirti anche un'altra cosa...".
Tornò a fissarmi paziente. Il mio cuore iniziò a battere ribelle e credo proprio che lui dovette accorgersene.
"Volevo... volevo che... insomma. Mi sarebbe piaciuto se... ci frequentassimo un po'. Se magari uscissimo insieme di tanto in tanto. Simon... ti prego, non dirmi...", sputai le parole una dopo l'altra a raffica. Senza fermarmi né darvi la giusta inclinazione tanto ero agitata.
Lui parve essere sorpreso di quella improvvisa e rozza dichiarazione ma continuò ad ascoltare le mie parole.
Notai che la mia mano era ancora stretta a quella calda di lui. Questo parve turbarlo parecchio ma non disse nulla.
"Simon?". Lo riscossi dalla trance profonda in cui pareva essere crollato.
Tornò a guardarmi dubbioso. Sembrava essere sofferente il doppio di quanto già non l'avessi visto quella mattina.
"Lo so, non avrei dovuto dirtelo così presto, ma...".
Lui scosse la testa con un sorriso ironico. E mi parve davvero che ce l'avesse con se stesso. Sussurrò talmente piano che stentai a sentirlo un: già, tu che colpa puoi averne?
Io lo fissavo, ancora in attesa di una sua risposta. Mi stupii quando mi rispose con un'altra domanda.
"Ti piaccio?".
Mi sorpresi. E ora che avrei risposto? Ci avrei scommesso che ero rossa fino alla punta più remota del mio corpo da umana. Decisi di annuire inibita.
Simon mantenne un'espressione grave. Poi sciolse la sua mano dalla stretta della mia e me la batté sulla gamba con fare consolatorio. Dopo pochi secondi di silenzio mi disse: "Se è quello che vuoi...".
Non aggiunse altro. Si girò, ma poi parve ripensarci e senza che avessi il tempo di rendermene conto si avvicinò a me e pose le sue labbra delicate sulle mie. Le sentii morbide e calde. La reazione del mio corpo fu istantanea. Arrossii e il cuore per poco non mi esplose fuori dal petto.
Tuttavia fu talmente veloce che quando riaprii gli occhi lui era già a debita distanza da me.
"Posso... posso prenderlo... per un sì?", balbettai.
"Decidi tu". Mi disse lui, stavolta scendendo dalla mia auto.
Rimasi interdetta e confusa. Ma lo seguii con lo sguardo finché non ebbe quasi chiuso la portiera.
Era pressappoco incastrata quando la riaprì con uno strattone e prima di andare aggiunse: "Fossi in te però... avrei paura...".
E con uno dei suoi sorrisi enigmatici incastrò lo sportello definitivamente.
In quel momento non capii se stesse scherzando o stesse dicendo sul serio.
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