Parte Terza
Sing me to sleep
Sing me to sleep
I don't want to wake up
On my own anymore
Don't feel bad for me
I want you to know
Deep in the cell of my heart
I really want to go
There is another world
There is a better world
Asleep - The Smiths
III
I giorni passarono con la solita routine di sempre. Giada sentiva il nodo stretto nel suo petto sciogliersi poco a poco, quando si trovava nei sogni con Andrea. La mattina, quando tornava alla sua vita reale, un velo di tristezza sembrava circondare ogni cosa. Dentro ribolliva, non vedendo l'ora di tornare in quel mondo bianco. Tutto le pareva così semplice lì, in quel posto, ma soprattutto con lui. Parlarci, ridere, conoscerlo. Sentiva di potergli dire qualsiasi cosa, e lui non l'avrebbe presa in giro o derisa. Sentiva di potersi fidare. E finché rimaneva all'interno dei sogni si sentiva protetta, come in un guscio in cui nessuno poteva farle del male.
"Come... come va a scuola?"
Andrea scrolla le spalle: "Bene, come al solito. Oggi ho evitato per un soffio un'interrogazione. E tu?"
"Fisica diventa ogni giorno più difficile", ammette.
"Scommetto che sei una di quelle che dice di non sapere nulla e poi prende dieci al compito"
Giada mette le mani avanti, schermendosi: "No, non è vero!". Il salotto dove si trovano assomiglia a uno di quelli che si trovano all'interno delle riviste di design.
Andrea ridacchia."Stavo scherzando". Silenzio.
"Mi sarebbe piaciuto fare il classico. Quando ho finito le medie ero indecisa, ma alla fine sono dovuta andare allo scientifico perché era più comodo da raggiungere"
"Quindi, oltre al liceo fai qualcos'altro?", chiede Andrea. La ragazza scuote la testa.
"Niente di che", dice, ma non le va di rivelargli che i suoi pomeriggi trascorrono solo sui libri.
"Nessun interesse?". Giada ci pensa un po' su.
"Mi piace leggere". Andrea si raddrizza sul cuscino del divano dove sono seduti.
"E sei più da romanzi rosa sdolcinati o fantasy con avventure improbabili?"
Giada ride piano, imbarazzata. "Non lo so, mi piace leggere in generale".
"Immagino la tua stanza piena zeppa di libri che non sai più dove mettere. Ho indovinato?"
Giada annuisce e poi abbassa lo sguardo. È vero, ha tanti libri a casa. Ognuno è un luogo dove rifugiarsi quando non vuole pensare. All'improvviso le viene in mente che è da tanto che non apre un libro che non sia di scuola, da quando ha imparato a fare i sogni lucidi. Ripensa allo spazio bianco che l'accoglie ogni notte quando si addormenta: assomiglia alla pagina di un libro, un libro che però può scrivere lei stessa.
"Senti, visto che a quanto pare ormai sembra che ritroveremo sempre qui insieme, che ne dici di, non so, fare qualcosa?" propone Andrea. Appare imbarazzato mentre lo chiede. Giada ci riflette un po' su. Poi accetta: nei sogni può essere chi vuole, anche una ragazza che ha un amico.
"Bene, perché l'ultima volta ero appena riuscito a far apparire un aereo" svela Andrea ridacchiando. "Non ci sono mai salito e ho sempre desiderato farlo"
"Va bene", sorride Giada di rimando. "Proviamo insieme"
L'autobus rallentò e le porte scorrevoli si aprirono con un lamento. Non appena Giada mise piede a terra, il mezzo ripartì. Le lezioni quel giorno erano state così lunghe. Percorse a passo veloce la strada che la portava a casa. Quando arrivò all'appartamento, posò lo zaino e si diresse in camera. Guardò di sfuggita un libro lasciato sul comodino, il segnalibro posto a metà. Non si ricordava l'ultima volta che l'aveva aperto. Accanto al libro, c'era la confezione del farmaco a base di melatonina. Si cambiò, abbassò le serrande per non fare entrare la luce e si infilò a letto. Prese una delle compresse la mandò giù, senza acqua. Indossò il goldreams, ma prima di scivolare nel sonno la luce oltre le serrande si era fatta scura.
"Qual è la cosa che preferisci fare quando sei qui?", chiede Andrea, osservando il bianco che li avvolge. Giada rimane in silenzio per qualche istante, titubando.
"Mi piace vedere i tramonti tra le montagne". Andrea annuisce. Alza il braccio e subito si ritrovano entrambi in cima a una montagna. Sotto di loro, un mare di nebbia. A Giada sembra di trovarsi nel quadro di quel pittore romantico.
"Ecco, ho quasi fatto", dice Andrea. Con la mano accenna un gesto e la nebbia scompare. Emergono le cime lontane, bagnate dagli ultimi raggi del Sole. È meraviglioso. Guarda Andrea e poi di nuovo l'orizzonte. Sente gli occhi pizzicare. Ma forse è solo la mascherina che la infastidisce.
Quel pomeriggio, tornata da scuola, si diresse nella camera della madre. Il letto matrimoniale era sfatto solo da un lato. Forse quella mattina non aveva fatto in tempo a mettere in ordine. Giada rifece il letto e poi si avvicinò verso l'unico comodino utilizzato. Aprì il cassetto e trovò la scatola dei sonniferi, sapeva fossero più forti rispetto a quelli che le aveva portato la madre. Prese una compressa e rimise tutto in ordine, in modo tale che non si notasse nulla di strano. Tornò in camera, lasciò perdere i compiti e lo zaino da rifare. Abbassò le serrande, si infilò a letto, indossò il goldreams e mandò giù la pillola. Il nero la accolse dopo poco.
Giada fa apparire due poltrone e un caminetto. Il vuoto lattiginoso si trasforma in un'accogliente salotto. Andrea si siede di fronte a lei, in mano ha una tazza da tè. La prende per il manico e solleva il mignolo, facendo una smorfia.
"Sarà così che prendono il tè gli inglesi?", scimmiotta, con un'aria e un tono snob che strappa una risata a Giada. Così posa su un tavolino la tazza, che sprofonda nel legno e sparisce.
"Forse, qualche secolo fa", commenta con leggerezza la ragazza.
"Come mai il mobilio ottocentesco? Hai un animo antico?", scherza Andrea "ammettilo, il tuo sogno nel cassetto è fare l'antiquaria".
"Mi hai beccata", Giada alza le mani.
"Sono un genio: ho il fiuto di un segugio, potrei diventare il nuovo Sherlock Holmes"
Giada soffia una risata e le labbra di Andrea si aprono in un sorriso.
"Sarebbe un po' difficile da raggiungere il suo ufficio, mister Holmes"
"Nulla è impossibile, potrei procurarmi sempre nuovi clienti. Siamo nel mondo dei sogni, dopotutto"
"Questo si chiama barare!", esclama Giada, divertita. "Anche se avresti l'aiuto degli Irregolari, sai, i ragazzini di strada che aiutano il detective"
L'espressione di Andrea torna seria, quasi con una punta di amarezza. "Sapevi che spesso nell'ottocento i figli senza padre venivano abbandonati?". Lei deglutisce. Si, lo sa, ha letto al riguardo ma non si ricorda dove, però mente: "No".
Andrea sposta il busto in avanti per prendere un'altra tazza di porcellana, stavolta vuota.
"Le madri che non potevano mantenerli li avvolgevano in vecchie coperte", racconta "Poi li lasciavano sulla soglia di un convento o un monastero, per non dover farli morire in strada tra le loro braccia". Giada rimane ad ascoltarlo, il suono della voce le arriva delicato alle orecchie.
"E' terribile", è sincera quando lo dice. Andrea annuisce in silenzio, rigirandosi la tazza fra le mani.
"I genitori non dovrebbero mai abbandonare i propri figli". Giada alza lo sguardo su di lui, un onda di un miscuglio di emozioni le si smuove dentro.
"Tutto bene?", Andrea si accorge che qualcosa non va, sembra preoccupato.
"Si... credo. Non mi va di parlarne", sospira. Si rilassa contro lo schienale della poltrona e sente il bisogno di sprofondare nell'imbottitura. Si trattiene dal farlo davvero.
"Scusa, tasto dolente?", le parole di Andrea sono gentili "Non avrei dovuto-".
"Tranquillo, non potevi sapere". I minuti che rimangono li trascorrono in un tiepido silenzio.
Si svegliò con l'ombra di un ricordo. Si alzò dal letto. Non si sentiva stanca e il sonnifero aveva fatto il suo effetto. La sveglia sul comodino segnava le sei di mattina. Spense l'allarme che sarebbe suonato di lì a poco e guardò la scrivania. Era vuota, i libri del giorno prima ancora nello zaino. Si alzò dal letto, preparò tutto in fretta e uscì di casa. Si dimenticò di leggere il post-it attaccato al frigo. Quel pomeriggio prese di nuovo il sonnifero, così come i giorni seguenti. Quando la madre le chiese spiegazioni sulla scomparsa della scatola dal suo comodino, scrollò le spalle e scosse la testa.
"Forse li hai finiti e ti sei dimenticata di ricomprarli"
"Non volevo ferirti l'altra volta", dice Andrea, di punto in bianco. Stanno passeggiando per le vie di Barcellona, così come Giada l'ha vista nelle cartoline.
"Lo so", risponde lei.
"Posso chiederti cosa è successo? Solo se vuoi parlare però", sussurra lui. Poi si siedono su una panchina che appare dal nulla.
"No, va bene. Ne ho voglia", dice Giada. Così inizia a parlare. Parla del padre che è andato via di casa quando aveva dieci anni, dei litigi che sentiva tra i suoi genitori, delle parole che si urlavano contro, ferendosi l'un l'altra. Si ricorda dei cocci delle stoviglie, rotti sul pavimento della cucina. Si ricorda dell'uomo che l'ha salutata all'ingresso della porta, l'ha guardata negli occhi con uno sguardo che non riesce a descrivere. Si ricorda della notte in cui ha visto sua madre piangere guardando la foto del loro matrimonio, per poi buttarla dentro al cestino. Le parole escono rapide, come un fiume. Non riesce a fermarsi, né lo desidera. Andrea la ascolta, attento, non la interrompe. La prende per le mani e continua a guardarla. Allora Giada continua a parlare. Della solitudine che sente quando rientra a casa e non c'è nessuno ad aspettarla, di quel nodo alla gola che quando è sveglia non la lascia in pace, che le impedisce di parlare, di ridere, scherzare, mangiare. Vomita tutto ciò che sente, in una piena di parole. Andrea le stringe le mani e tace. La lascia parlare e non alza nessuna diga, nessun muro.
Quando si svegliò una morsa feroce le prese il petto e un senso di vuoto, bianco, come quell'infinito dei sogni, le prese il petto. Il peso a cui ormai si era abituata le ricadde addosso. Quel giorno saltò la scuola del tutto. Non voleva andare, non voleva sentire i professori parlare, parlare e parlare. Non voleva guardare i suoi compagni di classe, non voleva sentirli chiacchierare complici fra loro, non voleva vederli così uniti. Non voleva rimanere a ricreazione all'ultimo banco a sistemare gli appunti, né stare da sola. Non voleva uscire di scuola, andare da sola alla fermata dell'autobus, rientrare nella casa silenziosa, buttare quel qualcosa giusto per sopravvivere. Non voleva passare il pomeriggio sui libri, in casa, senza nessuno che facesse rumore nelle altre stanze. Non voleva stare da sola, non voleva essere sola. Nella realtà lo era sempre. Sempre. In ogni dannato momento della sua vita. Stesa a letto, si seppellì nelle coperte e pianse. Nella realtà era sola, ma non nei sogni.
Si riscosse quando era ormai sera. Sua madre sarebbe tornata fra poco. Percorse il tragitto verso la camera della madre trascinandosi a fatica. Andò verso il comodino, prese i sonniferi e li portò nella propria camera. Afferrò la bottiglietta d'acqua che teneva appoggiata accanto al letto e soppesò un paio di compresse. Le ingoiò rapida. Poi, di nuovo, ne prese altre due per essere sicura di dormire un sonno profondo. E un'altra, e un'altra ancora. L'ultima. Indossò il goldreams e posò la testa sul cuscino. Sorrise quando il buio l'avvolse.
Lei e Andrea sono seduti in cima al monte. All'orizzonte, il Sole di un arancio sbiadito è bloccato nel tramonto, come in un fermo immagine. Il silenzio è pace e lei si sente bene, vorrebbe rimanere così per sempre. All'improvviso però la terra trema, e Giada si alza di scatto. Andrea l'afferra per il gomito e stringe forte: fa quasi male, il che è strano, perché Giada non ha corpo sensibile nel mondo dei sogni, a meno che non si concentri.
"Giada! Giada!", sente l'urlo in mezzo al fragore. Una roccia si stacca e cade giù, giù, giù. Non tocca terra, ma viene risucchiata da un buco nero.
"Giada!", il richiamo è lontano, la voce del ragazzo è distorta, non sembra quasi la sua. È troppo acuta. Giada preme le mani sulle orecchie per non ascoltare, strizza gli occhi per non vedere. La montagna si divide in due e lei cade nella voragine buia.
Giada si sveglia. Si trova in un tunnel, troppo piccolo per riuscire a stare in piedi. Può avanzare solo carponi e andare avanti o indietro. Si muove incerta, ma il cuore salta un battito quando un coniglietto appare all'improvviso. Ha il pelo bianco, una chiazza di luce nell'oscurità. Giada segue con gli occhi il coniglietto, che procede a piccoli balzi, allontanandosi da lei. Si affretta a seguirlo e gattona per qualche metro, le pareti della galleria sono ricoperte di ghiaccio tiepido. Ad un certo punto si fermano, il coniglietto scompare e lei si accorge che è un vicolo cieco. Nessuna luce, nessuna uscita. Il buio diventa soffocante, Giada respira a singhiozzi, senza riuscire a saziare i polmoni. Il cuore batte veloce e rimbomba nella sua testa. Poi cerca di spingere la parete davanti a lei e quella si apre. Si rovescia fuori, la luce l'abbaglia. Sbatte le palpebre un paio di volte e riconosce la cucina di casa sua. Dietro di lei, il freezer ha lo sportello aperto, che mostra un tunnel senza fine. Chiude lo sportello. Andrea è in piedi, vicino a lei.
"Giada...", Andrea la chiama piano, per paura di spaventarla. Ha sulle labbra un sorriso che le ricorda quello del commesso di elettronica. Tende una mano e l'aiuta ad alzarsi.
"Che succede?", la voce è incrinata. Non si rende conto quanto sia spaventata se non adesso. Andrea distoglie lo sguardo e la incita a seguirlo: apre la porta della cucina e si ritrovano in uno spiazzo erboso. Assomiglia terribilmente a quello da cui sono decollati con l'aeroplano che hanno creato insieme. Un vento invisibile accarezza le chiome degli alberi che circondano la radura, un uccellino blu volteggia nell'aria.
"Hanno tolto il goldreams", dice infine Andrea. Lui sembra calmo. Giada sente la terra mancargli sotto ai piedi.
"Cosa", soffia. Tutto intorno il mondo diventa immobile e silenzioso, come se fosse in stasi. Le sembra tutto così assurdo, reale, impossibile e probabile che non sa, non sa cosa fare, come comportarsi, se è un brutto segno o se credergli.
"Non sto mentendo", afferma lui, come se le avesse letto nella mente "Ma non sei al sicuro adesso, là fuori". Giada sta quasi per ribattere quando intorno a lei si forma la sua stanza, che sorge dal suolo. Un suono assordante rimbomba nell'ambiente e nella sua testa: sembra una sirena. Giada cade seduta sul letto e Andrea l'abbraccia. Le copre le orecchie con le mani e sussurra "Tranquilla". Il rumore continua per un tempo che le sembra infinito, poi termina tutto d'un tratto, così come è cominciato.
"Che sta succedendo?", singhiozza lieve Giada. Andrea si allontana e la guarda fissa negli occhi.
"Lo capirai quando loro ti sveglieranno".
Giada si alza bruscamente. Andrea sa, lui sa ma non lo dice. Perché, perché, perché? La rabbia è rossa, nei sogni, e tinge le pareti di porpora.
"Loro? Loro chi? Chi mi ha tolto il goldreams, e perché?", chiede, si asciuga le lacrime furiosa. Si accorge che le dita dei piedi formicolano. Andrea fa per aprire bocca, ma è come se fosse combattuto.
"Ti prego, dimmi che sta succedendo", Giada supplica, parlando a bassa voce. Le labbra di Andrea si piegano in un sorriso, fra l'amaro e il dispiaciuto.
"Giada, tu lo sai cosa sta succedendo. Hai preso i sonniferi prima di addormentarti-"
"Non ti ho mai parlato dei sonniferi", sente il formicolio raggiungerle la pianta dei piedi e un sentore terribile serpeggia nella mente "Come puoi saperlo?". Andrea sembra sorpreso, come se si fosse reso conto di essersi tradito.
"Io... tu ne avevi accennato", esita, soppesando le parole.
"Non mentirmi", sibila Giada, tra i denti. "Mi hai spiata? Mi conoscevi nella realtà e mi hai seguita?", il ragazzo scuote la testa in segno di diniego e tenta di toccarla, ma lei si allontana. Le pareti della camera si allargano e tutto si trasforma in un viale alberato. I rami sono spogli, i tronchi circondati da foglie secche, uniche note di colore che risaltano sul grigio dell'asfalto e dei palazzi.
"Chi sei?", quella domanda le sembra assurda, ma ora più che mai sensata. Crede per un istante di essere sull'orlo della follia, l'unica certezza della sua vita messa in discussione e la perdita di controllo sul mondo dentro la sua testa. Andrea non accenna a rispondere.
"Chi sei?", ripete, avvertendo quel maledetto formicolio raggiungere le caviglie. Il ragazzo sembra incerto, poi si decide.
"Vuoi saperlo davvero?". Non è una risposta, ma Giada esita. Vuole davvero saperlo? C'è quel piccolo, piccolissimo tarlo che le rode la mente. Se quel dubbio fosse vero... se fosse vero... non sa cosa pensare. Ma se non riceve una conferma finirà con l'impazzire: annuisce, un cenno soltanto.
"Io non... sono reale". Il viale, gli alberi e i palazzi scompaiono, inghiottiti dal bianco ovattato. Giada d'un tratto sente di avere lo stesso vuoto incolore dentro.
"È uno scherzo", sussurra. Respira piano, mentre galleggia nel nulla. Andrea le rivolge uno sguardo triste e lei ci vede quello di sua madre. No, no, no.
"È la verità". Giada si prende la testa fra le mani e guarda Andrea ma non lo vede davvero.
"Non è possibile, non capisco, che sta succedendo?", fremono le labbra e le lacrime iniziano a scorrere. Sembrano troppo reali per appartenere solo al mondo dei sogni.
"Giada, tu lo sai", il ragazzo si avvicina ma lei fa un passo indietro. Chi è? Chi è? Chi è? Fa' che non sia quello che pensa, perché non sopravvivrebbe, non è reale, è solo la perdita di controllo, non capisce, è solo uno scherzo di cattivo gusto, appena si sveglierà- no, tornare là fuori non è la soluzione, non si sveglierà mai più, ha deciso, non è possibile che sia vero ciò che pensa, Dio, fa che non sia vero, ti prego ti prego ti prego.
Giada sente Andrea chiamarla con una dolcezza che non gli appartiene, e i ricordi invadono la sua mente. Lui è ovunque: Andrea con i suoi occhi colore indefinito, Andrea che parla, Andrea che le rivolge un sorriso, Andrea che si gratta la nuca imbarazzato, Andrea che si scosta una ciocca di capelli dalla fronte. E poi ricorda gli occhi del ragazzo che le piaceva alle medie, la madre parlare con lei, Davide rivolgerle il suo sorriso sincero, Simone grattarsi la nuca imbarazzato, Martina scostarsi una ciocca di capelli dalla fronte, in un modo così terribilmente simile che la spaventa. E ancora, Andrea che indovina casualmente tutti i suoi gusti, Andrea che pare sempre sapere cosa vuole, Andrea che sembra conoscerla troppo, troppo bene.
"No, no, no", scuote la testa. Dalla macchia confusa emergono lettere chiare e distinte che compongono frasi: I sogni sono frutto della realtà. La scompongono e la rielaborano, ma non possono creare ciò che non si è mai visto né conosciuto. Il formicolio le avvolge le gambe e quasi perde l'equilibrio.
"Ora capisci?", chiede Andrea, e mentre lo fa le sembra una domanda che rivolge a se stessa.
"No, ti prego, non farmi questo", la figura di lui appare sfocata ai suoi occhi "sei l'unico punto fermo della mia vita".
"Mi dispiace, non avrei voluto farti soffrire. Desideravi così disperatamente di farti un amico..." sospira, cercando le parole adatte, ma tanto lei sa quello che sta per dire "non mi hai creato consapevolmente". Giada singhiozza lievemente, un nodo alla gola che le impedisce di respirare, un dolore quasi fisico che le prende il petto. Il formicolio raggiunge lo stomaco e lei si sente contrarre le viscere.
"Perché hai voluto che lo sapessi?", la ragazza allontana le mani dal viso, "Perché non poteva rimanere tutto come prima? Sarebbe potuto rimanere così per sempre!", alza la voce e assaggia le note disperate delle sue parole.
"Sei tu ad averlo voluto", risponde lui. Tende una mano verso di lei, ma quando la vede ritrarsi rinuncia.
"No, non lo volevo", il formicolio diventa insopportabile, come tutto il resto. Le prende il petto e il cuore sembra smettere di battere.
"La vita non è questo", Andrea le sorride.
"Smettila"
"E questa non è la vita che volevi"
"Io non voglio la vita là fuori", dice Giada, si ricorda della solitudine soffocante in cui era immersa.
Andrea le prende una mano e lei non si ritrae. "Volevo rimanere qui, con te, per sempre".
"La vita di cui parli è solo un sogno, Giada", mormora Andrea, come fosse una verità nascosta e svelata. Le circonda le spalle con le braccia e l'attira a se. Lei posa il capo sul suo petto, mentre si sente intorpidire il collo, le braccia e le dita. Respira piano e si accorge di non sentire alcun profumo.
"Non te ne andare", la sua preghiera appare vuota anche alle sue stesse orecchie, "non mi dire addio". Andrea la stringe nell'abbraccio. Sussurra le sue ultime parole e lei sa che non le dimenticherà per tutta la sua vita.
"È ora di svegliarsi".
Il buio dietro le palpebre chiuse era quasi di consolazione. La mente intorpidita di Giada si svegliò poco a poco. Sapeva di essere stesa, su un materasso scomodo, delle lenzuola leggere la coprivano fino alla vita. Nel buio, ascoltò un suono acuto, cadenzato e distante, mentre il formicolio scemava. Cercò di muovere un dito, mentre il bip si faceva sempre più vicino e chiaro. Suonava al ritmo del suo cuore. I suoi muscoli ebbero un fremito, come un tremore improvviso, poi si placò.
"...ed è fuori pericolo. Non aveva ingerito abbastanza sonniferi per arrivare a delle condizioni troppo gravi, ma fortunatamente, signora, ha chiamato l'ambulanza in tempo per evitare ulteriori danni", era un timbro maschile, profondo, la voce sembrava distante. La morsa alla sua mano si fece più stretta. L'aria odorava di medicinali e disinfettante.
"Grazie, dottore", un sussurro flebile, in risposta. Sembrava la voce di sua madre. Una porta si aprì e si chiuse. I passi pesanti si allontanarono sempre di più fino a scomparire, ne sentì di più leggeri che si avvicinavano. Poi, il rumore di una sedia spostata e di qualcuno che prendeva posto.
"Giada, amore", la chiamò la madre. Sentì le dita sfiorarle il viso in una carezza leggera. "Svegliati".
Giada aprì gli occhi.
Note
Questa storia è figlia del mio cuore, ha subito non so quante revisioni ed è il racconto più lungo che abbia mai scritto fino ad ora. Spero vi sia piaciuta, vi abbia fatto emozionare. Se volete leggetela una seconda volta: ho disseminato indizi qua e là durante la narrazione, spero non troppi da far rivelare il finale prima del tempo. In secondo luogo, ogni elemento che Giada e Andrea creano nei sogni è un riflesso di ciò che la ragazza vede nella realtà. Un esempio è il coniglietto, che viene ispirato dal bozzetto di Martina. Se dunque volete rileggerla, spero possiate notare anche queste piccole sottigliezze. A presto, Lyris.
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