Parte Prima
All around me are familiar faces
Worn out places, worn out faces
Bright and early for their daily races
Going nowhere, going nowhere
Mad World - Gary Jules
I
Giada chiuse gli occhi.
Si rigirò nel letto, tirando su le lenzuola e una smorfia infastidita le si disegnò sul volto quando sentì lo scricchiolio delle molle. La luce nella sua camera era spenta da ore, ma non riusciva a prendere sonno. Allungò a tentoni il braccio verso il comodino e quando trovò la sveglia premette uno dei bottoni. La luce del display le ferì l'occhio che aveva appena socchiuso. Controlló l'ora: 2:47. Sospirò piano. L'indomani avrebbe avuto scuola ma non credeva di riuscire ad affrontarla. L'ansia le attanagliava le viscere e contraeva il suo stomaco, la rodeva da dentro, poco a poco. Tentò ancora una volta di addormentarsi, cercando di liberare la mente.
Respira, si disse, inspira ed espira. Si tranquillizzò e si aggrappò quasi con disperazione a quella calma appena ritrovata. Sprofondò in un sonno buio e senza sogni.
Quando si svegliò, la mattina, la stanchezza piombò su di lei. Si sporse appena dal letto per spegnere la sveglia, che continuava a suonare. Facendo leva sulle braccia si alzò e scostò le lenzuola, il freddo del mattino la assalì. Si lavò, si vestì e rifece il letto meccanicamente. Afferrò lo zaino di scuola, preparato la sera prima, e lo mise in spalla. Uscendo di casa, passò un attimo per la cucina, dove mandò giù a forza una tazzina di caffè. Il solito biglietto che la madre le lasciava ogni mattina spiccava sul frigo, fermato da un magnete: Scalda il pranzo nel microonde. Torno verso mezzanotte. Ti voglio bene, stellina.
Uscì dall'appartamento e camminò frettolosamente fino alla fermata dell'autobus, sperando che la caffeina entrasse in circolo il più velocemente possibile.
Quando mise piede a scuola, la solita calca spingeva nell'atrio dell'edificio. Alcuni erano rimasti fuori, a fumare. Giada li ignorò e proseguì, sgusciò tra gli altri studenti. Raggiunse le porte d'ingresso che i bidelli avevano appena aperto e si infilò dentro. Con passo veloce salì le scale e raggiunse la sua classe, la IV G, e si sedette al suo posto, l'ultimo banco in fondo della fila a destra. Nell'aula c'erano solo lei e un suo compagno di classe. Lui le fece un cenno di saluto, poi la sua attenzione tornò al libro di scuola che stava leggendo. Giada si sedette e, aperto lo zaino, rovistò tra i libri. Trovò quello giusto, lo tirò fuori e lo aprì sul banco, cercando di ripassare. La mente stanca riusciva a malapena a stare dietro alle parole, ma si costrinse. Poco a poco, la classe si riempì. Sottecchi, vide i suoi compagni di classe salutarsi e chiacchierare, ignorandola. La sua compagna di banco, Martina, la raggiunse, buttò lo zaino accanto alla sedia e ritornò dai suoi amici. Giada voleva fermarla ma non lo fece. Abbassò lo sguardo, tornando a leggere, ignorando le fitte allo stomaco. Quando il professore entrò in aula, la confusione scemò e ognuno tornò al proprio posto. Giada seguì la lezione prendendo appunti, la mente più attiva grazie al caffè, mentre accanto a lei Martina scarabocchiava con la penna sul quaderno. Con la coda dell'occhio, Giada vide che si trattava della sagoma stilizzata di un coniglietto. Le ore si susseguirono monotone, mentre il sonno cominciava a farsi sentire.
La campanella dell'ultima ora portò con sé i sospiri sollevati di alcuni compagni, che si affrettarono verso l'uscita. Giada preparò il suo zaino e li seguì fuori. Passando accanto a loro raccolse qualche frammento di conversazione, scoprì che si stavano organizzando per vedersi quel pomeriggio. Indugiò un attimo, una piccolissima parte di sé sperava la coinvolgessero. Scosse la testa e tirò dritto. Uscita da scuola si diresse verso la fermata dell'autobus, quando ad un tratto la sua attenzione venne catturata dall'insegna del negozio di elettronica lì vicino. Passava davanti ad esso ogni giorno, ma non ci aveva mai fatto molto caso. Si avvicinò e un particolare oggetto, tra quelli esposti in vetrina, la incuriosì: assomigliava ad una di quelle mascherine per dormire, cui erano stati applicati dei sensori. Accanto, un cartellino indicava nome e prezzo. "Goldreams".
Che nome stupido, pensò Giada. Tuttavia la curiosità prevalse ed entrò. Il negozio era piccolo ma accogliente. L'interno era riscaldato. Indugiò qualche istante, poi si diresse verso gli scaffali. Scorse con gli occhi alcuni smartphone, poi più avanti laptop e computer. Nella corsia più a destra c'erano playstation e altre consolle di gioco.
"Stai cercando qualcosa in particolare?" chiese una voce alle sue spalle. Giada sobbalzò appena e si voltò. Un uomo le si era avvicinato, rifilandole uno dei sorrisi da commesso. Era giovane, sui trent'anni, gli zigomi sporgenti e gli occhiali con la montatura sottile. Sulla camicia era appuntato un cartellino, Davide, recitava. La ragazza annuì: "Quel... quell'apparecchio in vetrina, quello che assomiglia ad una mascherina" cominciò "cos'è?".
Davide le fece un altro sorriso da commesso: "E' il goldreams. L'hanno inventato qualche anno fa ma è stato lanciato sul mercato da pochi mesi. Si tratta, come dire, ti permette di fare sogni lucidi".
Giada lo guardò perplessa.
"Lo so, è un nome stupido. Però è forte quell'apparecchio" continuò a parlare il giovane, mentre l'accompagnava verso un altro scaffale dove si trovavano i goldreams. "Praticamente capisce quando sei nella fase REM, ovvero quando stai dormendo, attraverso il movimento degli occhi. Hai presente che quando sogniamo gli occhi non stanno fermi, no? Ecco, grazie alla mascherina è in grado, come dire, di percepirlo. Così ti manda un segnale acustico, forte abbastanza da avvertire il tuo cervello ma troppo debole per svegliarti".
Le confezioni colorate riportavano tutte la stessa scritta in stampatello goldreams e la plastica trasparente faceva intravedere la mascherina, disponibile nei vari colori che variavano dal nero al rosa.
"E poi tu puoi sognare quello che vuoi. Il tuo subconscio piano piano si abitua e una volta che ha imparato, ti permette di fare sogni lucidi, come dire, coscienti. Ha mai sognato con la consapevolezza di stare in un sogno? Ecco, quando sei cosciente di stare sognando puoi fare tutto quello che vuoi. E questo ti aiuta a farlo" concluse Davide. Prese uno dei prodotti e glielo porse. Giada lo rigirò fra le mani e diede una veloce occhiata al retro. In grassetto vi era scritto: I sogni sono frutto della realtà. La scompongono e la rielaborano, ma non possono creare ciò che non si è mai visto né conosciuto. A caratteri piccoli erano descritti i modi d'uso e la funzione.
"Ti lascio scegliere, ok?" disse il giovane che, non appena Giada annuì, girò sui tacchi e andò ad accogliere un altro cliente appena entrato. La ragazza si mordicchiò le labbra e aggrottò la fronte, poi lesse rapidamente le istruzioni: era spiegato in dettaglio tutto ciò che gli aveva accennato il commesso. Poco più in alto vi era il prezzo. Infilò la mano nella tasca del giubbotto e prese il portafogli, poi lo aprì. Aveva abbastanza soldi per comprarlo. Esitò un momento, dandosi della stupida. Guardò ancora la confezione. Forse valeva la pena provare e se non avesse funzionato avrebbe comunque potuto contare sulla garanzia. Diede un'occhiata veloce a Davide, che nel frattempo si era seduto dietro la cassa. Poi si incamminò e lo raggiunse, mettendo il goldreams sul bancone. Davide gli rifilò il sorriso, stavolta forse con una vena sincera, e batté lo scontrino alla cassa. Giada gli porse i soldi, prese l'apparecchio e lo infilò nello zaino, insieme al portafogli. Con un cenno, salutò il giovane e uscì dal negozio, appena in tempo per prendere l'autobus.
Arrivò a casa prima di quanto avesse sperato. Posò lo zaino all'ingresso e andò in cucina. La nota della madre era ancora sul frigo. La staccò e la gettò nel cestino sotto al lavandino. Guardò il freezer sotto il frigo: all'interno c'erano surgelati e qualche vaschetta di alluminio di quei pranzi pronti che sua madre comprava spesso al supermercato. Non le toccò. Sentiva una strana ansia, mista a curiosità, crescerle nel petto. Si affrettò all'ingresso e recuperò la confezione del goldreams, decisa ad aprirla. All'interno c'era lo strano apparecchio che assomigliava alla mascherina per dormire, come quello che aveva visto in vetrina. Il tessuto era morbido e spesso, ai lati, dove avrebbero dovuto esserci le orecchie, due piastrine dure. La indossò. L'elastico che la teneva ferma alla testa si impigliò ai capelli, però le piastrine si posavano sulle orecchie. Aveva gli occhi aperti, ma vedeva completamente nero, nessuna luce che filtrasse attraverso la mascherina. Se la tolse e la portò in camera, insieme allo zaino. Decise che l'avrebbe provata, prima però doveva fare i compiti. Per riuscire a concentrarsi e lenire la stanchezza, si preparò e bevve un caffè. Studiò per tutto il pomeriggio, concedendosi ogni tanto qualche pausa per distrarre la mente. Percepiva l'ansia continuare a scavarle dentro, il nervosismo affiorare a causa della caffeina, ed aveva la bocca secca e lo stomaco attorcigliato.
Quando giunse la sera, si mise il pigiama e gettò i vestiti sporchi nel cesto della biancheria. Ripiegò i pantaloni e li ripose nei cassetti dell'armadio. Prima di andare a dormire, indossò di nuovo il goldreams. Dava un po' fastidio, ma era sopportabile. Posò la testa sul cuscino e, sospirando, aspettò di addormentarsi. Ci riuscì solo dopo aver sentito la madre rientrare e quando nel dormiveglia sentì due labbra posargli un bacio sulla tempia.
"Il compito sarà sui capitoli quattro e cinque, vi consiglio di ripassare bene, rivedere tutto e se avete dubbi chiedete pure chiarimenti" stava dicendo il professore "Si, Molinari?".
Giada vide il suo compagno di classe abbassare la mano e domandare qualcosa. Erano passate due settimane da quando aveva provato per la prima volta il goldreams. Fin'ora non era successo nulla. Abbassò lo sguardo sul proprio libro. Era delusa che non ottenesse i risultati sperati. La sua compagna di banco, Martina, mosse leggermente il busto in avanti per bisbigliare qualche parola a quello davanti, che soffiò una risata. Giada tornò a concentrarsi sulla lezione.
La campanella suonò per l'intervallo. Il professore trattenne la classe per qualche istante, per finire la spiegazione. Salutò i ragazzi ed uscì, seguito dai primi studenti.
"Non vedevo l'ora che finisse! Non lo sopporto, davvero" sbottò a voce alta Martina, mentre Giada si stava alzando per andarsene.
"Dovrai sopportarlo ancora per un anno e mezzo, amica mia" Giada afferrò la risposta di Simone prima di uscire dall'aula. Andò in bagno, poi tornò in classe. L'aula si era praticamente svuotata. Era abbastanza grande per ospitare la sua classe numerosa, divisa in tre file di banchi. Le pareti bianche erano scrostate in qualche punto, le cartine geografiche e qualche poster sulle scienze appese al muro davano un triste tocco di colore. Sistemò la propria parte del banco, rimettendo i libri nello zaino, tirando fuori quelli per l'ora dopo e riponendo le penne e la matita nell'astuccio.
Uscì nel corridoio, salutò con un cenno un paio di ragazze, poi scese in cortile. La puzza delle sigarette formava una cappa di fumo che le fece storcere il naso. Riconobbe nella folla Martina, una stecca accesa tra le dita e un sorriso sempre sulle labbra, che stava parlando un ragazzo. Poco lontano intravide un gruppetto, alcuni erano suoi compagni di classe. Si avvicinò.
"L'ha fissato per lunedì, si" stava dicendo Simone, il respiro in piccole condense per il freddo.
"Non ce la farò mai, domenica ho una partita di calcio e sono indietro di non so quante pagine" ammise amaro uno, passandosi la mano fra i capelli.
"Salta la partita" propose un altro.
"Non posso"
"Sei un coglione". Il commento suscitò qualche risatina. Altri presero parola e Giada rimase ad ascoltare, una stretta soffocante ma sopportabile al petto. "Per quanto riguarda le interrogazioni di domani?" "Che carina la gonna, dove l'hai trovata?" "Sono sicuro che qualcuno si offrirà volontario" "L'ora di latino passa troppo lentamente" "Grazie, l'ho presa in un negozietto in centro, se vuoi usciamo un giorno e ti porto lì" "Ho iniziato un corso di tennis" "Per non dire quella di chimica-" "Con la tua sfiga dubito" "-vorrei andare al laboratorio, almeno lì non facciamo un cazzo" "E come sta andando?" "Hai sentito cos'è successo alla festa?" "Magari, vorrei rifarmi il guardaroba" "No, racconta"...
I minuti scorrevano e senza che nessuno se ne fosse accorto la ricreazione era finita e ognuno tornò nella propria classe. Sembrava di avere un deja vu, ma era la stessa routine che si ripeteva da qualche anno a quella parte.
Rientrò nel proprio appartamento alla solita ora. Staccò la solita nota che le lasciava la madre ("Riscalda il pranzo nel microonde. Puoi farti due uova per cena e ricorda di mangiare la frutta. Faccio tardi.") e ignorò come al solito il cibo nel freezer. Afferrò una mela dalla cesta della frutta e la sbocconcellò mentre studiava. Fuori dalla finestra, il cielo si colorò dei colori del tramonto poi calò la notte.
La sveglia digitale segnava mezzanotte passata quando Giada riuscì a prendere sonno. Scivolò lentamente nel buio.
All'inizio è tutto nero, ma poco a poco compaiono chiazze di luce, simili al bagliore delle candele. Sembra di fluttuare nel nulla e per un istante Giada è spaventata. Poi tutto diventa un bianco ovattato e capisce di stare sognando. È una sensazione strana: avverte il suo corpo pesante e la mente addormentata, ma al contempo è come se si fosse ritagliata un piccolo spazio da qualche parte, dove tutto è leggero e impalpabile. Non riesce a sentire nulla, né all'orecchio né al tatto. Si guarda le mani, ma è come se non riuscisse a focalizzarle bene e le sembra addirittura di avere un dito in più.
La sveglia la strappò bruscamente dal sogno.
Seduta sul letto in camera, quel sabato pomeriggio, dopo le lezioni, non sapeva come sentirsi. Era stata un'esperienza incredibilmente strana, come se si fosse estraniata dalla propria testa per qualche momento. Non sapeva se si trattasse effettivamente di un sogno cosciente, ma da come l'aveva descritto il commesso del negozio, doveva essere così. Aveva voglia di riprovare, ma era trattenuta dal farlo. La curiosità mista all'eccitazione la invadeva, insieme all'incertezza e al timore. Si guardò le mani. Erano sempre le stesse, chiare come la sua carnagione, il dorso percorso dalle vene leggermente in rilievo, le dita affusolate con le unghie ovali, pulite, non troppo lunghe. Le chiuse a pugno. Il tremore appena accennato delle mani la turbava un poco.
Prese un respiro profondo e scacciò, per quanto possibile, i pensieri dalla sua mente. Sentiva il bisogno di parlarne con qualcuno, ma lo represse.
Quella sera cenò con la madre, che era riuscita a rientrare prima dal lavoro. I segni della stanchezza e dello stress le appesantivano il volto e l'odore della friggitoria dove lavorava tutti pomeriggio, dopo aver fatto il turno mattutino al bar, le rimaneva addosso, nonostante la doccia.
"Com'è andata la giornata?" chiese alla figlia.
"Bene, come al solito" rispose Giada, rimestando il cibo nel piatto. Con la forchetta infilzò un pezzo di patata e lo portò alla bocca. Masticò lentamente, mentre chiedeva del lavoro alla madre.
"Stancante, ma sono soddisfatta. Forse se al bar mi danno anche il turno del pomeriggio, potrò lasciare quello alla friggitoria. Non ne posso più di quest'odore..." disse la donna, annusando l'aria.
Giada arricciò le labbra in un sorriso.
"Ti ho portato una cosa, me l'ha consigliata il farmacista" continuò la madre "è per aiutarti a dormire, l'ho messa sul comodino in camera tua. Ne prendi un po' prima di andare a dormire e ti rilassa. Credo sia a base di melatonina, così ha detto lui, non dovrebbe far male".
"Grazie" replicò dolcemente Giada. Chiacchierarono ancora un po', poi sparecchiarono e andarono a dormire. Giada prese la dose indicata di melatonina buttandola giù con un po' d'acqua. Fece per coricarsi quando la mascherina catturò la sua attenzione. La guardò indecisa per qualche momento, poi l'afferrò e la indossò. Si sdraiò, aspettando che il buio si trasformasse in incoscienza.
È come trovarsi nell'acqua, senza affogare. Fluttua nel vuoto bianco senza poter andare da nessuna parte. Si sente incorporea, libera, senza pensieri. Vaga in quel posto e ricorda le parole di Davide: può fare tutto quello che vuole qui, questo mondo è dentro la sua testa e può creare qualsiasi cosa. Chiude i suoi occhi immaginari e pensa ad un oggetto semplice. Li apre e davanti a lei c'è una pallina da tennis. Soddisfatta, cerca di acchiapparla, ma è come se non avesse più le mani. All'improvviso, il posto si fa più scuro, il bianco si tinge di grigio. Un attimo dopo una forte luce l'abbaglia.
Giada si destò con il chiarore tiepido del mattino che filtrava attraverso i vetri della finestra: la mascherina durante la notte si era spostata dagli occhi. Giada sbuffò interiormente per essersi svegliata così bruscamente. Sbatté le palpebre un paio di volte per abituarsi alla luce, poi decise di alzarsi, dopo aver rimboccato le coperte sul materasso. Raggiunse la cucina: sua madre, già in piedi a preparare la colazione, le diede il buongiorno con un sorriso. Si sedette al tavolino in cucina, posando una tazza sulla tovaglietta di plastica a quadretti blu, gialli, rossi, verdi, bianchi e arancioni. Bevve il latte e si sforzò di mangiare qualche biscotto. Andò in camera: era abbastanza piccola, il letto, con accanto il piccolo comodino di legno su cui era posata una lampada, era addossato al muro laterale e di fronte ad esso stava la scrivania, occupata in parte da un vecchio computer, accanto al quale erano impilati ordinatamente i testi che le sarebbero serviti per ripassare. Una piccola mensola ospitava una fila serrata di libri di narrativa e di scuola. Si sedette alla scrivania e studiò, concentrandosi e distraendosi, per gran parte della giornata per prepararsi per il compito, interrompendo a pranzo per buttare giù qualcosa. La sera giunse con una lentezza esasperante, accogliendo finalmente l'impazienza di Giada.
La pallina da tennis ricompare perché vuole provare ancora. La fissa e come l'altra volta non riesce a metterla bene a fuoco: sembra di vedere un oggetto attraverso l'aria calda di un deserto, che ne sfoca i contorni e ne distorce leggermente la forma. Tenta con un altro oggetto e un cubo di Rubrick si materializza. Soffia una risata, ma non riesce a sentirla perché si perde in quel mondo ovattato. Ma il cubo e la pallina scompaiono e si ritrova in un posto che assomiglia alla cucina della sua casa. Si guarda intorno, il cambiamento repentino non era voluto e l'ha presa di sprovvista. Forse non ha il pieno controllo del piccolo mondo dentro la sua testa e il subconscio emerge quel tanto da cambiarlo. Davanti a sé ha il frigo, sotto lo sportello del freezer è socchiuso. Si china e lo apre. Non ci sono surgelati né le vaschette dei pasti pronti che solitamente restano lì, intatte. Le pareti interne del congelatore sono ricoperte di ghiaccio ma non si riesce a vedere il fondo. Sembra l'ingresso di un tunnel. Giada entra a gattoni e percorre qualche metro. Non riesce a percepire il freddo. Mano mano che si addentra, intorno a lei si fa sempre più buio, più soffocante. Le pareti invisibili sembrano restringersi, mentre un senso di solitudine le piomba sulle spalle. Si affretta quanto può, avverte la pelle d'oca e i brividi corrergli lungo la schiena. All'improvviso il tunnel termina e Giada cade nel bianco lattiginoso che ormai gli è amico. Riprende fiato, respirando piano. Intorno a lei è di nuovo tutto come prima.
Arrivò a scuola in anticipo, come ogni mattina. Sgusciò fra gli studenti e raggiunse la classe, ancora vuota. Si sedette al solito posto, ordinò i libri per la giornata. Giada si mordicchiò il labbro, nervosa. Quel giorno era fissato un compito in classe. Il professore entrò salutando, posò il registro sulla cattedra, fece l'appello e distribuì i compiti. Giada si risistemò meglio sulla sedia. Accanto, c'era il posto vuoto lasciato da Martina. Lesse le domande e scrisse le risposte, con una calligrafia ordinata e precisa. Finì poco prima del suono della campanella, così ebbe tempo per ricontrollare e correggere gli errori. Il professore ritirò i compiti, riprese il registro e uscì, salutando. Giada sentì finalmente le spalle rilassarsi e la testa farsi più leggera.
Durante l'intervallo, alcuni compagni di classe si organizzarono per un pomeriggio di studio di gruppo per il giorno successivo. Giada non venne coinvolta, perciò andò in bagno e rimase lì, fino alla fine della ricreazione. Ripensò al sogno della notte prima. Forse se avesse avuto abbastanza controllo, non sarebbe successo.
Aspettò che lezioni terminassero, poi tornò a casa, staccò come sempre la nota dal frigo, prese qualche galletta e le mangiò a piccoli morsi. Il piccolo uccellino blu della confezione dei biscotti la guardava torvo. Si rifugiò in camera e passò il pomeriggio leggendo le pagine da studiare e ripetendo a mente, per prepararsi per il giorno dopo. Quando ormai si era fatto tardi, sistemò lo zaino, si spogliò e ripiegò con cura tutti i vestiti puliti.
Si mise a letto prima del solito, dopo aver preso la melatonina e aver indossato il goldreams. Si girò e rigirò nel letto, con i minuti sembravano dilatarsi in ore. Dopo un tempo indefinito, riuscì ad addormentarsi.
Lo spazio vuoto è sempre lì e la tranquillizza. Stavolta non fa riapparire né la pallina né il cubo di Rubrick, ma prova con altro. Un piccolo coniglietto saltella nel bianco lattiginoso. Ha il pelo nero, le orecchie lunghe e il nasino che freme. Giada cerca di accarezzarlo, ma come sempre non avverte le mani. Allora prova a concentrarsi, a pensare alla sensazione del pelo soffice sotto le dita. Il coniglietto fa un balzo verso di lei e si lascia toccare. La ragazza si apre in un minuscolo sorriso, poi lo lascia andare. L'animale fa un balzo scompare. Immagina il bianco colorarsi e subito questo si macchia di un giallo crema, simile a quello delle pareti della sua cameretta. Pensa al letto, al comodino e alla libreria, lo spazio infinito si restringe. Si ritrova nella propria stanza, che prende forma poco a poco. Si avvicina agli scaffali e tira fuori un libro. Lo apre ma le righe non si leggono. Le lettere sono sfocate e le parole delle macchie nere di inchiostro sulle pagine. Lo richiude e lo fa sparire. Si volta e si materializza la porta. Posa la mano sulla maniglia e immagina altro dietro quella porta. La apre e non c'è il corridoio dell'appartamento ad accoglierla: si ritrova in un viale alberato che assomiglia moltissimo a quello che porta a scuola, ma la strada sembra prolungarsi all'infinito. La strada asfaltata è libera dalle macchine, le chiome verdi degli alberi risaltano sul grigio e i palazzi colorati incorniciano il viale. Si incammina e dopo qualche passo, il cielo si tinge di arancione e rosa. Giada adora il tramonto, ma ha sempre desiderato vedere il Sole calare dietro le montagne. Così fa sparire i palazzi, gli alberi e la strada e si ritrova sulla sommità d'un monte. Sembra di trovarsi in una foto di quella rivista sui paesaggi naturali che ogni tanto sfoglia distrattamente. In lontananza, la catena montuosa si snoda fino a dove arriva il suo sguardo e oltre, i pendii verdi contrastano con il bianco innevato delle cime. Il cielo è terso, di un profondo azzurro che sfuma nell'arancio. Il disco infuocato si nasconde dietro le montagne, prima piano poi sempre più veloce, fino a quando non rimane che un puntino luminoso. Irradia una luce sempre più debole, che sembra palpitare. Giada guarda incantata quello spettacolo, osserva il Sole sparire completamente lasciando dietro di sé un cielo vuoto e colorato. Il bianco riprende il sopravvento e tutto viene inghiottito dal nulla.
"Il compito era facile, potevi anche venire" stava dicendo Simone a Martina. Si era girato verso di lei, mentre aspettavano al cambio dell'ora che arrivasse la professoressa.
"Non sapevo un cazzo, per forza l'ho saltato" rispose piccata Martina, con una smorfia. Giada aveva lo sguardo fisso sul libro, senza leggerlo veramente. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva dietro le palpebre quel tramonto.
"Che brava ragazza, responsabile e giudiziosa" fece sarcastico il ragazzo.
"Lo so, non c'è bisogno di ricordarmelo" ripose Martina con tono leggero e scherzoso, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte. Simone fece per ribattere ma arrivò l'insegnante. Si alzarono in piedi all'unisono, poi ad un gesto della mano della donna si risedettero. Lei prese parola e iniziò la lezione.
Quella notte, Giada sognò ancora il tramonto fra le montagne.
Nota
Questa storia partecipa al concorso indetto da Ceelemasisa
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