Capitolo trenta
Camila pov
L'ultima notte.
L'ultima notte prima di tornare a casa e dividerci per un mese.
Riposi gli ultimi vestiti nella valigia, mi assicurai di non ave dimenticato qualcosa nei cassetti del comodino e lasciai fuori il libro e gli auricolari per usufruirne sull'aero.
Saremo tornate a casa da sole. Ognuna di noi doveva prendere voli diversi. Rick si era occupato di comperare i biglietti e, anche se le destinazioni e gli arrivi degli aerei erano diversi, ci saremo recate tutte assieme all'aeroporto.
La prima a partire era Lauren. Non potevo pensare che sarei rimasta per ore in aeroporto in attesa di un volo che mi avrebbe allontanato miglia e miglia da lei. Avrei preferito essere io la prima ad andarmene; restare in attesa era la parte più ardua.
Avevo impiegato tre anni per abituarmi alla sua assenza e ancora il tempo non era bastato.
Chelsea aveva chiamato dicendo che mi avrebbe aspettata. Doveva passare alcuni giorni a Miami per lavoro e non vedeva l'ora che atterrassi. Disse che aveva delle grandi novità e dall'entusiasmo della voce capii che riguardavano la sua carriera; una passione che accomunava entrambe.
Patrick mi aveva contatta più di una volta, insistendo a lungo sul voler conoscere la mia scelta, ma la verità era che non conoscevo la risposta. Non avevo neanche pensato alla proposta perché ogni volta che lo facevo rivedevo Lauren entrare nella stanza, i suoi occhi posarsi su di me, il nostro futuro sgretolarsi. Avevo rovinato tutto.
Non l'avevo affrontato, avevo solo deciso di pretendere che non fosse mai successo. Quel peso me lo trascinavo dietro.
La mia storia con Lauren era come un libro, un libro bellissimo con un finale triste.
Ripresi a sfogliare le pagine...
«Ti perdonerò, ma solo stavolta.» Disse ridendo, il fiato ancora affannato, i capelli disordinati, il corpo nudo sotto di me.
«Oh... Sembrava una minaccia.» Ridacchiai, muovendo le dita in aria per intimarla a fare silenzio, altrimenti avrei ricominciato.
«Lo era.» Sorrise maliziosamente, sfidando la sua sorte.
«Mai fronteggiare una donna intenzionata a farti il solletico.»
Le lasciai un bacio sul collo che per un momento le diede un secondo di pace, ma subito dopo presi a solleticare i suoi fianchi e la corvina si mosse convulsamente sotto di me, cercando invano di sfuggire al mio controllo.
Mentre con le dita tormentavo la parte vicino alle anche, con le labbra succhiavo un lembo del suo collo, lasciandola interdetta sul ridere o gemere. Fece entrambe.
Rideva muovevo più febbrilmente le dita, ma gemeva quando con la lingua sfioravo la sua pelle e lanciava la testa all'indietro quando, successivamente, mordevo quel punto.
Eravamo rimaste distanti per un mese. Il tour ci stava estenuando, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. Dovevamo pretendere davanti alle telecamere di essere solo semplici amiche, non ci potevamo permettere sguardi che, invece, avvenivano durante le ore notturne nelle quali avremmo dovuto dormire per recuperare energie, ma, al contrario, sprecavamo anche le ultime che ci restavano.
E amavo sentire il mio corpo cadere sfinito sul letto, se era lei a portarmi a quel culmine.
«Okay, okay... basta.» Rise, arrendendosi infine.
Baciai un'ultima volta la sua pelle e alzai le mani in aria, alzandomi per ritorcermi a sedere sulle sue gambe.
Lauren afferrò velocemente le mie spalle, riportandomi ad un soffio dalle sue labbra.
«Intendevo dire basta solletico, non l'altra parte della tortura.» Sussurrò, scandendo ogni parola lentamente, attribuendole quel carattere sensuale e subito dei brividi si propagarono lungo la mia schiena, scuotendomi come una foglia al vento.
Catturai le sue labbra nelle mie, le sue mani furono sulle mie natiche già nude, il suo seno aderì al mio, i capezzoli si accarezzarono l'un l'altro diventando immediatamente turgidi.
Fece scivolare una mano lungo i miei lineamenti: impazzivo quando mi carezzava come se fossi una fantasia appena realizzata.
Si soffermò sotto il mento, lo alzò leggermente verso l'alto interrompendo il bacio, ma creando un contatto visivo più forte di qualsiasi rapporto fisico.
«Lo sai che ti amo?» Sussurrò flebilmente, un po' intimorita come se la sua stesse voce potesse interrompere quello che ai suoi occhi sembrava un sogno troppo fragile.
«Lo so.» Annuii, sorridendo e tornai a baciarla per assicurarle la mia presenza.
Per ricordarle che ero reale.
Un suono greve mi risvegliò, facendomi rinsavire da quello che ormai non sapevo se consideri passato o presente, tanto il primo influenzava quest'ultimo.
Qualcuno stava bussando.
Mi avvisi verso la porta, schiarendomi la voce.
«Ciao.» Disse la corvina quando aprii l'uscio.
Erano le due di notte, non mi sarei aspettata visite a quell'ora, figuriamoci da Lauren.
«Posso entrare?» Domandò timidamente.
Lauren non era una che si faceva intimidire facilmente, ma adoravo il modo in cui si scioglieva davanti a me. Mi conferiva un potere che mi convivevo di avere solo io su di lei.
La lasciai passare, chiudendo cautamente la porta alle sue spalle.
Non avevo più parlato molto dall'ultima volta che ci eravamo baciate. Ci evitavamo, o meglio lei mi evitava ed io, come la peggior specie di codardi, assecondavo il suo volere, sottomettendomi alle sue decisioni perché più semplici e meno dolorose.
Si guardò nervosamente attorno, cercando qualcosa su cui poggiare l'attenzione per poter attenuare l'ansia che l'attanagliava in quel momento; sapevo quanto odiasse far notare l'esitazione.
Sosteneva che vacillare la facesse risultare debole e lei non era abituata a farsi vedere sotto quella luce. D'altronde, lo è forse qualcuno?
«Che stavi facendo?» La sua voce risuonò nel silenzio.
Stavo pensando a te. Il mio subconscio rispose nell'ombra.
«Stavo facendo la valigia.» Mi affrettai ad afferrare un cardigan, lo ripiegai malamente, riponendolo infine nella valigia aperta sul letto.
«Alle due di notte?» Alzò un sopracciglio, risultando confusa.
«Non ho avuto tempo prima.» Scrollai le spalle, facendo risultare la cosa più normale di quanto in realtà fosse.
«Come mai?» Si spostò adagia nella stanza, se non fosse stato per il rumore che le sue scarpe producevano contro la moquette non mi sarei accorta dei suoi passi.
Stavo pensando a te. Scossi energicamente la testa, ammutolendo il mio subconscio che quella sera sembrava particolarmente impertinente.
«Ho scritto qualche riga e ho programmato delle date per il tour.» Le rivolsi un sorriso che voleva apparire spensierato, ma risultò più tirato del previsto.
«Ah.» Mugolò, sedendosi sul bordo del letto «Comunque sono passata per dirti una cosa.»
Spostai la valigia su un lato e presi posto accanto a lei, in silenzio.
Lauren spostò una ciocca ribelle dietro l'orecchio, scoprendo i suoi grandi occhi verdi prima screziati dai capelli corvini.
«Ho visto Austin, prima che partisse.» Intercorsero alcuni secondi nei quali non dissi una parola. Pendevo dalle sue labbra e dal mistero che si celava dietro la premessa che aveva appena fornito.
«Abbiamo parlato. È diventato un bravo ragazzo, o almeno ci sta provando. Ha anche detto che il pugno che gli ho dato fa ancora male, ma che si rende conto di averlo meritato.» Sorrise flebilmente, annuendo a capo basso, concordia.
«Non avrei mai pensato di dirlo, ma secondo me dovresti andare in tournée con lui.» Sospirò pesantemente, da una parte sollevata per essere riuscita a dirlo, dall'altra affranta per averlo fatto.
«Avrai gli occhi puntati addosso, questo potrà fare solo bene alla tua carriera. Non importa il passato, pensa solo al futuro.» Poggiò una mano sulla mia, io spalancai gli occhi meravigliata per il cameratismo dimostratevi.
«Perché me lo stai dicendo?» Chiesi, fissando lo sguardo nel suo.
«Perché so che stai rinunciando per me, o meglio implicitamente ne ho colpa anche io. E sono qui ad ammetterete che non dovresti.» Scosse la testa, i capelli seguirono il movimento impercettibile della testa riversandosi sulle spalle.
«O-ok.» Balbettai attonita, scrutando attentamente il suo volto per scorgervi qualche dettaglio che mi riconducesse al perché di tale necessità.
Mi alzai dal letto, versai dell'acqua nel bicchiere e la ingollai velocemente. Quando mi voltai Lauren era in piedi di fronte a me, non abbastanza lontana per non identificare l'effluvio del suo profumo, non troppo vicina da poter sentire il suo respiro.
«Questo è quello che dovevo dirti.» Mise maggior enfasi sulla parola, come se quella fosse un'ulteriore premessa.
«Ora, invece, dirò quello che voglio farti sapere.» Avanzò un passo, nascondendo le mani nelle tasche della felpa.
Aggrottai le sopracciglia, seguii i suoi movimenti cercando di intuire dal linguaggio del corpo ciò che stava tentando di dire perché le parole non avevano aiutato in questo.
«Mani mi ha detto che c'è differenza fra dovere e volere. All'inizio non la vedevo, fino a stanotte.» Fece una breve pausa, sospirò. Io trasalii. Il suo tono si era fatto più basso, più persuasivo. Il suo sguardo mi suggeriva che quello sarebbe stato un discorso che non avrei più dimenticato.
«Ho fatto la cosa giusta. Ti ho rivelato le mie buone impressioni, ti ho concesso di perdonarti, spero... Ma ora farò la cosa sbagliata, perché volere e dovere non vanno d'accordo.» Umettì le labbra, conferendoli un rosso acceso.
Mi costrinsi a continuare a fissare i suoi occhi.
«E io non voglio che tu vada in tour con lui.» Terminò, lasciando cadere le braccia lungo il busto.
«A-adesso sono più confusa che mai.» Farfugliai, massaggiandomi le tempie pulsanti.
«Sto per darti una spiegazione.»
Avanzò un passo, i suoi occhi dentro ai miei, le labbra leggermente schiuse. Capii quello che stava per fare e prima che compiesse il suo scopo, frapposi una mano fra noi e la intimai di restare indietro.
«Non lo fare.» Sentenziai, allungandomi ad ogni suo passo. Non rispose, si limitò ad avanzare.
«Non lo fare Lauren, cazzo.» Andai a sbattere contro il muro, inspirando profondamente per fare riserva di ossigeno che da lì a pochi istanti avrei esaurito.
Lei fu subito su di me. Mi intrappolò in una gabbia costruita dalle sue stesse braccia, il suo corpo aderì al mio e l'ultimo respiro che conservavo cadde dalle mie labbra.
«Non lo fare.» Bisbigliai, scuotendo la testa con vivida disperazione «Fra poche ore tu andrai a New York, io a Miami. Saremo con persone diverse, in due mondi diversi. Non darmi un bacio che durerà un attimo, ma rovinerà i prossimi trenta giorni.» La supplicai, nascondendo la faccia fra le mani e poggiandola contro il suo petto.
Carezzò i miei capelli, con due dita alzò il mio mento verso l'alto e baciò la mia guancia. La mia testa diceva di respingerla, il mio corpo non ascoltava.
Incontrai il suo sguardo, riconoscendo la stessa luce che vi avevo accesa io stessa cinque anni prima.
Scossi impercettibilmente la testa, un ultimo disperato diniego che faticava ad uscire.
«Domani mattina te ne pentirai.» Mormorai, socchiudendo leggermente gli occhi.
«Manca ancora molto prima che faccia mattina.» Rispose in un sussurro, le sue labbra si incresparono un sorriso e subito dopo le catturai nelle mie.
Le sue mani scesero lungo i miei fianchi, le mie furono a graffiare le sue spalle scoperte.
Lauren addentò il mio labbro inferiore, lanciai leggermente la testa all'indietro lasciandomi sfuggire un gemito al che, Lauren, spinse con più forza il suo corpo contro il mio.
I suoi seni, protetti dalla maglietta, spingevano contro i miei. Il suo bacino sfregava contro il mio e ad ogni spinta l'umidità fra le mie gambe accresceva, il mio respiro diventava sempre più affannato, i nostri baci più desiderosi.
Affondai le mani nei suoi capelli, stringendoli a pugno fra le mie dita. Era la cosa che adoravo di più. Tirai cautamente all'indietro la sua testa, Lauren si lasciò guidare dalle mie mani, sottomettendosi al mio controllo.
Baciai il collo ora esposto, scendendo fino alla clavicola. Lei gemette, rivolta verso il soffitto, e portò un ginocchio in mezzo alle mie gambe, spingendo con prepotenza contro il mio centro.
Il suo gesto inaspettato fece spalancare la mia bocca in cerca d'aria e mi ritrovai a boccheggiare contro la sua pelle umidiccia.
Mi fermai, fu un secondo, ma mi fermai.
Ancora anelante alzai lentamente la testa, osservando i segni che tappezzavano disordinatamente il suo collo, perdendosi sotto lo scollo della maglietta.
Si accorse del mio distacco e non mi riferisco a quello fisico; eravamo ancora l'una avvinghiata all'altra.
«Non possiamo farlo.» Scossi la testa, il suo ginocchio smise di premere contro di me e involontariamente un gemito frustrato lasciò le mie labbra.
«Non così.» Spiegai a bassa voce, poggiando la testa contro la sua spalla. Cercai di recuperare fiato, ma l'unica cosa che riuscivano ad inalare era il suo profumo che invece di restituirmi ossigeno me lo toglieva.
«Era... troppo?» Domandò imbarazzata, voltando parzialmente la testa verso la mia ancora nascosta sulla sua spalla.
Piegai il capo, poggiando la guancia per poterla guardare negli occhi.
Perché le cose complicate erano sempre le migliori?
«No.» Sorrisi e lei si rasserenò subito, ma la sua apprensione venne sostituita da un cipiglio confuso. «Non intendevo così il modo in cui lo stavamo facendo. Mi riferivo alla situazione. Domani mattina tu andrai a New York per firmare un contratto immobiliare e io tornerò a Miami, con Chelsea.» Un sorriso triste contornò le mie labbra. Mi strinsi nelle spalle.
Era chiaro quanto sbagliato sarebbe stato continuare ciò che avevamo iniziato, ma soprattutto sarebbe stato ridicolo.
Quella notte ci avrebbe portato via più di quanto potesse darci. Lei sarebbe partita la mattina dopo, io sarei tornata a casa. E poi? Avremo fatto finta che non fosse mai successo niente, preteso che le nostre vite andavano bene così, non avremo fatto niente per provare a modificarle perché un cambiamento richiede sofferenza e nessuna delle due era pronta.
«Hai ragione.» Sussurrò, facendo un passo all'indietro.
Lessi nella sua espressione i sensi di colpa, colpa verso una donna che non amava, colpa verso un passato che, quella notte, aveva preso il sopravvento sulla ragione.
«Dormi con me.» La pregai, intrecciando le mie dita alle sue che lentamente stavano allentando la presa.
Dormire non era peccato. Abbracciarla a me non era tradimento. Era un bisogno che poteva venire soddisfatto senza arrecare danni.
Lauren annuì e si sbrigò a raggiungere il letto a capo basso, guidandomi alle sue spalle.
Una volta che lei si fu distesa, recuperai una coperta di lana e la spiegai in aria, lasciando che ricadesse sui nostri corpi stretti l'un l'altro.
Poggiai la testa contro il suo petto, lei circondò le mie spalle con un braccio e mi attirò più vicina a se. Nella sua presa, così salda e amorevole, intuii che stava desiderando la stessa cosa per cui pregavo io.
Fa che questa notte duri il più possibile.
Ma le nostre preghiere, i nostri desideri, non vennero accolti e presto disfatti dal tempo che, inesorabilmente, trascorse troppo veloce per poter essere afferrato e la mattina arrivò puntuale.
Quando aprii gli occhi il letto era vuoto.
-Spazio autrice-
Okay, questa situazione è ingarbugliata, davvero fin troppo, ma vi assicuro che fra pochi capitoli tornerà un po' di pace...
Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi aspetto nei prossimi. Grazie ancora a tutti, lo ribadisco spesso e continuerò a dirlo. Grazie davvero.
Un bacio. 😘
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