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Capitolo tredici

Camila pov

«Ma te l'ho detto, è andato tutto bene.» Ribadii, dando una gomitata a Dinah che insisteva per maggiori dettagli.

Le avevo detto che eravamo andate in un ristorante in centro, che Chelsea aveva ordinato le portate principali. L'atmosfera era giusta, calda e accogliente. Le raccontai di come avessi riso a tutte le sue battute, di come la sua mano avesse cercato la mia durante la cena e di come la punta del suo piede avesse carezzato la mia caviglia.

Non era vero. Niente di quello che le dissi era vero.

Avrei voluto che l'appuntamento andasse bene, che passare la serata con Chelsea mi avrebbe distratta, ma non fu così.
Lei era adorabile e si assicurò che tutto andasse come programmato, ma la mia mente vagava erratica da altre parti.

La cena trascorse abbastanza velocemente, lasciai che fosse lei a riempire i vuoti di silenzio; mi limitai ad annuire e sorridere.
Così, quando Dinah mi chiede di ragguagliarla sulla serata, senza volerlo, le raccontai di uno degli appuntamenti che avevo avuto con Lauren, cambiando però la protagonista della storia.


«Hai indossato il vestito nero... Quello trasparente.» Mormorò con voce rauca è maledettamente sensuale quando ci sedemmo al tavolo.

Mi schiarii la voce, pretesi di non avvertire quelle vampate di calore provenienti dal basso del mio ventre.

«E tu quello rosso. Decisamente troppo aderente.» La punzecchiai, ammiccando maliziosamente nella sua direzione.

Lauren si irrigidì visibilmente: non ero la sola a combattere contro le scosse elettriche che scuotevano la colonna vertebrale e inumidivano il centro delle nostre intimità.

«È un appuntamento.. Dobbiamo restare concentrate.» Puntualizzò lei, stendendosi il tovagliolo suo grembo e impugnando le posate.

«Hai ragione.» Concordai, annuendo e imitandola nei gesti.

Lauren si sporse avanti sul tavolo, inizialmente pensai che avesse già rinunciato alla sua premessa, ma poi con voce flebile disse
«Ti racconto una barzelletta.»

Le sue "barzellette" erano rinominate. Lauren raccontava quel genere di freddure che a me facevano sempre ridere per la loro banalità.

Mi sistemai per bene sulla sedia come se stessi per assistere ad uno spettacolo teatrale.

«Che cosa ci fa una mucca supina?» Enfatizzò l'ultima parola, come per darmi uno spunto per rispondere correttamente alla domanda.

Ci pensai su qualche istante, ma non mi venne niente in mente e la curiosità di conoscere la risposta era troppa. Poggiai le mani contro le sue braccia e le agitai lievemente, incitandola a rispondere al quesito.

«Pina muore schiacciata.»

Scoppiai a ridere, lanciando la testa all'indietro. Lauren seguii la mia risata con più contegno però, ebbi la presunzione che si stesse godendo il movimento dei miei muscoli facciali contratti verso l'alto.

«Come si fa a non innamorarsi di te?» Chiesi quando la mia risata si calmò e le mie dita si intrecciarono alle sue in maniera dolce.

«È per questo che sei innamorata di me, oppure per...» Sentii qualcosa sotto il tavolo sfiorarmi la caviglia e appena realizzai che fosse il suo piede mi aggrappai con le unghie alla sua carne «Questo.» Domandò avvicinando il volto a me per sussurrare contro le mie labbra.

«La-Lauren... Non dovevamo... concentrarci?» Balbettai miseramente, vergognandomi di come un minimo contatto potesse farmi perdere il controllo.

La ragazza mugolò in risposta e qualche secondo dopo che i suoi occhi si erano irradiati di quella luce passionale tornarono a risplendere in maniera pudica.

«Allora... Perché il pollo non dorme nel frigo?» Riprese, attirando nuovamente la mia attenzione, ma in maniera del tutto diversa da come aveva svegliato i miei sensi poco fa.

«Perché?» Catturai il labbro fra i denti, scuotendo la testa non conoscendo la risposta.

«Perché l'insalata russa.» E scoppiammo a ridere assieme, scompostamente, ma felici.


Dinah rise rumorosamente, prendendo una manciata di patatine dal sacchetto di plastica davanti a noi.

«Non sapevo Chelsea fosse così simpatica.» Rispose meravigliandosi nello scoprire un lato che in realtà non apparteneva alla bionda, ma alla corvina.

«Già.» Riempii la bocca con delle patatine e abbassai lo sguardo sul tavolo, sentendomi in colpa per aver condiviso con lei una falsità.

Certo, era successo davvero, era stato uno degli appuntamenti migliori che avessi mai avuto, ma quel momento non l'avevo vissuto con Chelsea. E questo Dinah non poteva saperlo.

Restammo a parlare a lungo, le diedi maggiori dettagli sull'appuntamento che ricordavo a memoria. Omisi qualche particolare, come ad esempio non le raccontai della parte in cui la ragazza si complimentava con me per il vestito perché quella sera non indossavo lo stesso abito, ma le fornii abbastanza minuzie da saziare la sua curiosità.

Dopo un po' ci raggiunse anche Normani, mentre Ally era fuori città; era andata a fare una sorpresa al suo ragazzo. Non lo definiva ancora così, però quando parlava di lui aveva sempre quel tono di voce diverso che si attua quando si parla di qualcuno a noi speciale.

«Ma quanta sfacciataggine! Mi piace questa ragazza.» Disse Mani, sedendosi accanto a me e addentando una mela.

«Anche a me.» Mormorai, riferendomi però a tutt'altra persona. Giocai spensieratamente con le dita della mano, trovando strano la mancanza della fedina all'anulare.
Mi aveva lasciato una sensazione di vuoto che ero avvezza a colmare indossando di nascosto l'anello, ma adesso non potevo farlo perché c'erano le ragazze con me.

«Chi è che ci piace?» Si intromise Lauren, sbucando dal corridoio improvvisamente.

Nessuna disse niente. So che avrei dovuto dire qualcosa, ma vederla nella sua mise mattutina mi aveva lasciata senza parole.
Lauren "acqua e sapone" era quella che preferivo. Senza veli, senza trucco, senza appesantimenti. I capelli disordinati, le guance arrossate e rigate dalle pieghe del cuscino.
Alcuni dei ricordi più belli che conservavo erano proprio quelli; i momenti in cui si svegliava accanto a me e si mostrava nella sua naturale bellezza.

«Chelsea.» Proferì Dinah al posto mio, sollevandomi fortunatamente dall'incarico.

Le labbra di Lauren si ridussero in una linea rigida al pronunciare di quel nome, ma subito dopo si ricompose e senza dire niente andò ad aprire l'anta del frigorifero, un'azione consueta, ma che ricordò a Dinah di proferire la battuta appena conosciuta.

«Ehi Lauren, lo sai perché il pollo non dorme mai nel frigo?» Domandò, trattenendo una risata che minacciava di lasciare le sue labbra.

La corvina di irrigidì immediatamente e istintivamente strizzò il cartone del latte che stringeva in mano.

«Perché l'insalata russa.» Rispose freddamente, senza accennare ad un riso che invece colse Normani impreparata.

«Uffa, la conoscevi già.» Si lamentò Dinah, sbuffando irritata perché la sua battuta non aveva fatto breccia come sperato.

Intanto lo sguardo di Lauren si posò su di me come un tacito rimprovero.
Abbassai gli occhi sul tavolo, dove le mie mani giocherellavano nervosamente.

«Oh, aspetta aspetta!» Riprese verve Dinah, lanciando un'occhiata beffarda a Lauren.
«Che cosa fa una mucca supina?»

Sentii l'anta del frigorifero richiudersi in un colpo che mi fece sobbalzare per lo spavento.
Mi girai velocemente verso la corvina, trovando un'espressione infuriata dipinta sulla sua faccia.

«E tutte queste battute te le avrebbe raccontate Chelsea?» Domandò direttamente a me, con il tono altero di chi si sentiva profondamente ferito e umiliato.

«I-io... Non proprio...» Farfugliai imbarazzata, stringendomi nelle spalle per farmi più piccola possibile.

«Cazzo. Almeno abbi la decenza di non raccontare i nostri appuntamenti come se appartenessero ad altri.» Sbottò ad alta voce, avvicinandosi al tavolo dove ero seduta.

È vero, ero dalla parte del torto, ma quando quella frase lasciò le sue labbra sentii il sangue ribollire nelle vene e tutto quello che avevo soppresso fino a quel momento sfociò inesorabilmente.

«Almeno io gli racconto, mentre tu non hai detto nemmeno una parola!» Scattai in piedi, puntandole il dito contro. La faccia di Lauren si arrossì maggiormente e avanzò un altro passo, trovandosi dall'altra parte contro il bordo del tavolo.

«Che cosa vorresti dire?» Ringhiò a denti stretti, additandomi a sua volta.

«Non pretendere che non lo sappia! La tua ragazza se ne è andata perché ha scoperto da sola della nostra relazione. Tu non le avevi accennato nemmeno una parola!» Gridai ancora più infuriata, infervorando maggiormente anche lei.

Sentivo quel sentimento strisciare dentro di me, afferrare ogni mio organo. Non concepivo il fatto che lei non avesse mai, in tre lunghi anni, raccontato a Lucy di noi.
Le aveva parlato di me come un'estranea, conosceva a malapena il mio nome.

«E quindi? Cosa avrei dovuto dirle? Solo pronunciare il tuo nome mi spezzava il cuore!» Urlò, indicando il punto in cui il suo muscolo pompava vita dentro di lei.

«Tu hai spezzato il mio!» Ribattei, poggiando le mani contro il tavolo per spingermi in avanti con il busto e dimezzare la distanza che ci separava.

«Ok, forse dovremo contare fino a dieci e calmarci tutti.» Propose Dinah, alzandosi lentamente dal suo posto pronta a scattare se io e Lauren ci fossimo avvicinate anche solo un centimetro di più.

«Io ti ho aspettato per tre anni! Immagina la mia gioia nello scoprire attraverso delle foto che eri andata avanti!» Continuai gridando, non sentendo più niente e nessuno se non la voce della rabbia, delusione e tristezza dentro di me che, dopo essere state anestetizzate a lungo, ora reclamavano la loro rivincita.

«Tu mi hai tradito! Io non sentivo più niente per colpa tua! Volevo solo tornare a provare qualcosa, in qualsiasi modo.» L'ultima parte della frase non uscii allo stesso livello vocale della prima, ma cadde dalle sue labbra in un grido stridulo triste e mozzato che preannunciava il principio di un pianto.

«Tu mi hai fatto molto più male del tradimento. Mi hai negato la possibilità di amare qualcun altro! Ecco come mi sento: impossibilitata ad amare di nuovo.» Urlai con tutta l'aria che avevo nei polmoni, battendo i pugni contro il legno duro del tavolo.

Lo sguardo di Lauren si incupì subitamente, le sue palpebre si adombrarono e assunse tutt'altro atteggiamento. Non era più rude, accaldata dall'impeto d'ira, ora il suo volto si era incurvato in linee tristi che ispiravano un certo cameratismo.

Disciolsi lentamente i pugni, sentendo la rabbia defluire dal mio corpo.
Avevo permesso ai sentimenti di prendere il sopravvento e adesso lei sapeva tutto.
Sapeva che non avevo più un briciolo d'amore da elargire a nessuno, perché l'avevo già donato tutto a lei.

Dinah mi avvolse amichevolmente fra le sue braccia, incitò Normani a fare lo stesso con Lauren e mentre la polinesiana mi guidava verso l'uscita, Mani si occupava di accompagnare Lauren verso la cuccetta.

Entrambe eravamo talmente sconvolte da non riuscire a coordinare i pensieri con i movimenti e ci lasciammo guidare dalle mani protettrici delle nostre amiche.

L'aria mi investì in piena faccia, sferzando dolcemente il mio volto. Asciugò prontamente alcune lacrime che avevano rigato le mie guance, ma non alleggerì il peso sul mio petto.

«Perché sono tornata? Dovevo continuare per la mia strada, dovevo... io dovevo...» Le parole mi morirono in gola quando sentii le lacrime risalire e ristagnare negli occhi.

Appoggiai la fronte contro la parte metallica del pullman e la scossi, rimproverando me stessa per avere preso una decisione così affrettata in un momento di fragilità.

«Mila...» Dinah mi abbracciò, sentendosi commossa anche lei per il mio stato d'animo.
La polinesiana era sempre stata legata a me in modo più profondo rispetto alle altre; era come una sorella.

«Devo andarmene Dinah. Non posso restare qui, non dopo... non dopo... questo.» Dissi, voltandomi verso di lei con aria dispiaciuta.

«No.» Scosse energicamente la testa, rifiutandosi categoricamente di accondiscendere alla mia richiesta «Il tour non era più lo stesso senza di te. Non ti permetterò di andartene di nuovo.» Adesso era lei ad avere le lacrime agli occhi.

«Dinah.. Io, io la amo ancora. Io non smetterò mai di amarla e forse ingenuamente credevo che tornando sarei riuscita a riconquistarla. Credevo che lei mi aspettasse davvero...» Mossi la testa da un lato all'altro, capendo solo adesso quanto risultassi stupida.

«Lei non mi ama più. Non c'è niente che faccia più male che guardarla negli occhi e non riconoscere più lo sguardo che mi riservava prima.» Portai una mano sulla faccia per coprire le lacrime che adesso scorrevano veloci sulle mie guance senza che ne avessi il controllo.

«Camila, voi vi siete fatte molto male a vicenda. Fra di voi era una relazione d'amore-odio. Siete sempre state agli estremi e una relazione come la vostra non è bilanciata, non è facile gestirla.» Non so se stesse difendendo me, lei o se stesse solo provando a mettermi davanti la realtà. Ricordo solo che le sue parole mi colpirono come una pugnalata, tanta era la verità che si celava dietro di esse.

Due estremi non si incontrano mai, non riescono a trovarsi, ma per tutta la vita sono attratti gli uni dagli altri.

«Però siete cresciute, siete maturate. Siete due persone completamente diverse, se solo riusciste a parlare invece che evitarvi e urlarvi contro, forse le cose sarebbero diverse.» Inclinò la testa per guardarmi meglio e mi asciugò le lacrime con il palmo della sua mano.

Tirai su col naso e annuii, ponderando seriamente il suo discorso.
Forse c'era una possibilità e anche se non ci fosse stata io mi sarei comunque aggrappata all'idea di poterla avere. Ne avevo bisogno.

«È che quando sono vicina a lei non so se schiaffeggiarla o baciarla.» Ammisi, scatenando una risata sonora da parte sua.

«Si beh, è più o meno quello che si prova quando si è feriti ma comunque innamorati.» Aggiunse in modo più gentile, spostandomi i capelli dal volto per lasciarmi un bacio fraterno sulla fronte.

«Dinah, devo davvero allontanarmi un per un po'.» Dissi, notando il suo sguardo farsi più buio «Non me ne sto andando per sempre, ma tra poco non potrò più vedere Sofia per via del tour e magari posso approfittarne per andare a casa e stare con lei per qualche giorno.» Sospirai sentendomi opprimere al petto al pensiero di dover lasciare Lauren di nuovo, seppur per pochi giorni.
«Non voglio affrontare la stessa situazione di poco fa, devo imparare a governare le mie emozioni. Non posso reprimerle, o lasciarle esplodere tutte insieme. Devo moderare la cosa.»

La polinesiana annuì, poggiò le mani sulle mie spalle e fissò il suo sguardo dentro al mio, parlando con aria autorevole.
«Però tornerai.»

«Non credo di poterne fare a meno.» Conclusi, poggiando le mani sulle sue per attirarla in un abbraccio che mi riscaldò.

«E io che volevo solo fare una battuta...» Sdrammatizzò Dinah, con un tono vagamente serio.

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