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Capitolo quarantacinque

Camila pov

Stavo già rifacendo le valigie. Non avevo più sentito Lauren dopo quella chiamata criptica che mi aveva lasciato un senso di angoscia e un sapore acre in bocca.
Ci potrebbero essere state migliaia di ragioni, per questo non volevo saltare direttamente alle conclusioni, ma restare in attesa di una chiamata o di un messaggio che non erano mai arrivati aveva solo accresciuto il senso funesto dentro me.

Stavamo partendo per Dortmund e non avevo nemmeno idea se Lauren ci avrebbe raggiunte direttamente lì, o se prima sarebbe tornata in Francia per poi intraprendere il viaggio con noi.
Non sapevo niente ed era questo non sapere che mi metteva in agitazione, che mi smuoveva le viscere e insidiava in me pensieri dai quali era meglio stare lontani.

Non farti prendere dal panico. Mi ripetevo, ma era solo un mantra scadente che obliava le mie sensazioni solo per poco.

Pensa ad altro, non pensare a niente. Scrivile, non farlo. Esci a correre, stenditi sul letto.
Ero combattuta, in tutto e per tutto e non riuscivo a prendere una decisione che mi dissuadesse, anche se solo per un'ora, un minuto, dall'idea di perderla.
Avevamo appena stabilito un equilibrio, avevamo trovato il coraggio di stringerci la mano invece che tenderla e basta. E non sapevo niente di quello che stava succedendo a New York, ma qualsiasi cosa fosse non presagiva niente di buono e tutte quelle sensazioni opprimenti non facevano altro che sussurrarmi se ne sta andando, ti lascerà.

Strinsi con forza il maglione che stavo riponendo nella valigia che fatalità del caso, era quello che mi aveva regalato lei anni addietro.

Lo indossavo raramente per non disperdere l'odore che era rimasto intrappolato nella lana: un effluvio misto al profumo della sua pelle e quello che si spruzzava addosso ogni mattina. Era un misto fra acuto e dolce. Non saprei come definirlo, non era un odore riconoscibile o equiparabile a sostanze conosciute.
Era un profumo solo suo, che potevo trovare solo fra le pieghe di quel maglione sfilacciato.

Lo portai vicino al viso. Subito il tessuto lanoso solleticò fastidiosamente le mie guance, arrossandole, ma in compenso inspirando il profumo del quale era imbevuto invase le mie narici, inibì i miei sensi. Chiusi gli occhi. Per un momento l'oceano che ci divideva non sembrò così immenso e mi parve di essere ad un passo da lei...

«L'ho fatto io. Lo so che il colore non ti piace, ma l'ha scelto mia madre non potevo dire di no, capisci?» Si affrettò a dire una volta che la carta da regalo fu strappata e il maglione ambrato emerse fra le mie mani.

Subito una sensazione di prurito formicolò contro i miei palmi, i miei polpastrelli affondarono nel tessuto morbido e la prima cosa che mi venne in mente di fare fu annusarne l'essenza.

Come prevedibile sapeva di lei. Ero sicura che l'avesse indossato per provarlo e mi concessi di pensare che ci avesse spruzzato delle gocce del suo profumo per rendere unico l'indumento che sicuramente avrei indossato per tutto l'inverno.

«Lo adoro. Grazie amore.» Mi sporsi verso di lei, stringendo il maglione al petto e protendendo le labbra verso le sue.

«Guarda all'interno.» Mi suggerì, un sorrisetto nacque sulle sue labbra.

In alto, sulla targhetta dove usualmente viene scritta la targa e la marca, aveva cucito il mio nomignolo: Camz.

«Così, se ti dimenticherai chi ti ha regalato il maglione ti ricorderai subito di me perché sono l'unica persona che ti chiama così.» Disse a bassa voce, come se quel gesto celasse più di quanto volesse far apparire. Come se tacitamente stesse rivelando di avere paura di perdermi.

«Be', non mi servirà leggere la targhetta per ricordarmi che è tuo. Lo riconoscerò dal profumo e se anche quello svanirà, ci sarai tu a ricordarmelo.» Sorrisi rassicurante. Non era una frase fatta sul momento per contenere le sue paure, era ciò in cui credevo.

Avevo visto un futuro nel quale non c'era giorno che non passassimo insieme e mi ero convinta di quell'idillio.
Non vedevo me, se non c'era lei al mio seguito.

Riposi accuratamente il maglione nella valigia e con un sospiro pesante mi sedetti sul letto, stringendo il telefono come se potessi farlo squillare con la sola forza di volontà tramandata dal mio sguardo.

Notai l'ora lampeggiare sullo schermo privo di chiamate. Era tardi, dovevo muovermi. Richiusi la valigia a fatica, la lampo si incastrò più volte nel tessuto dei vestiti, ma con uno strattone riuscii a chiudere la zip.

Scesi dabbasso, dove le altre ragazze stavano attendendo me e Normani. Quando fui abbastanza vicina, Ally mi lanciò un'occhiata fugace, leggermente imbarazzata ma allo stesso tempo inquisitoria. Aggrottai le sopracciglia, domandomi quale origine avesse quello sguardo emblematico, ma non ne venni a capo perché la ragazza abbassò la testa e non disse niente.

«Ti sei ripresa Camila?» Domandò Dinah sarcastica, poggiando una mano sulla mia spalla.

Con un movimento brusco lasciai cadere la sua mano nel vuoto e la guardai sardonica «Tu sei l'ultima che può fare sarcasmo.»

Dinah cercò inutilmente di difendersi, non trovando appoggio né in Ally né in Normani, la quale ci aveva raggiunto appena in tempo.

Si limitò a tirare fuori la lingua e a fare una pernacchia derisoria. Io e lei eravamo così. Non ci prendevamo mai sul serio e sapevamo che potevamo permetterci di schernirci l'un l'altra perchè nessuna delle due ne sarebbe rimasta offesa.

Il nostro aereo sarebbe partito fra circa quattro ore, perciò non c'era più tempo di aspettare Lauren. Nessuna delle ragazze fece domande e io ne fui sollevata. Non avrei saputo cosa dire, non avrei saputo come comportarmi. Io volevo confidare loro il segreto che custodivamo io e la corvina, ma non ne avevo ancora discusso con lei.

Una macchina ci scortò all'aeroporto, silenziosamente. Continuavo a girare e rigirare lo smartphone fra le mani, indecisa se lanciarlo dal finestrino. Era frustrante aspettare che il display si illuminasse, talmente irritante che persino i polpastrelli presero a formicare.

Ally mi guardava, senza dire niente, ma aveva una domanda celata negli occhi e io, per quanto tentassi, non riuscivo a decifrarla. Forse avevo fatto qualcosa la sera prima che l'aveva disturbata, forse era solo preoccupata per le mie condizioni post sbornia, ma sembrava uno sguardo del tutto diverso.
Sì colmo di apprensione, ma anche di curiosità.

Stavo per domandarle cosa la tentasse tanto, ma la macchina si fermò e l'autista venne ad aprirci la portiera, avvertendoci che eravamo arrivate a destinazione.

Mentre raggiungevamo il nostro volo, spostandoci a fatica fra la calca di persone che normalmente camminavano nell'androne e i fan che spingevano sulle inferriate per avere un'autografo, mi accostai ad Ally.

«Vuoi dirmi che c'è?» Mormorai, continuando a sorridere per la folla che aveva gli occhi puntati su di noi.

«Niente. Perché?» Fece spallucce, fingendo di essere aliena ai miei infondati presentimenti.

«Dai Ally. Non costringermi a tirartelo fuori a forza. L'ho visto come mi squadri, decisamente qualcosa non va.» Dissi con più fermezza di quanto avessi voluto, sollecitata dal dubbio di aver commesso un errore del quale non ricordavo la colpa.

«Ti sbagli Mila.» Si girò verso di me, alzando leggermente la testa per dimezzare i pochi centimetri di altezza che ci dividevano «Va tutto bene.»

Aumentò il passo, trascinandosi il trolley dietro e non mi rivolse la parola per le seguenti ore di viaggio. Le avevo fatto qualcosa? Perché si comportava così?

Arrivammo in hotel attorno alle sette di sera. Cercai di intercettare Ally per parlarle, ma lei fu più veloce di me e sparì dietro le porte dell'ascensore. Dovevo spendere ancora nove mesi con le ragazze e non avevo nessuna intenzione di permettere ad una probabile affermazione avvenuta durante un momento di completa ebrietà di rovinare il nostro rapporto.

Salii faticosamente le scale, sollevando la valigia con due mani. Mi fermai davanti alla stanza di Ally e bussai insistentemente. Lei non venne ad aprire, probabilmente consapevole di chi la stesse disturbando.

«Ally, per favore, ho bisogno di parlarti.» Dissi, continuando a battere il pugno contro l'uscio, anche se con minor forza.

Mi sembrò di sentirla sospirare, ma dopo qualche istante la porta si aprì. Mi guardò vagamente dispiaciuta, come se in realtà non volesse essere arrabbiata con me, ma non riuscisse a controllare quell'istinto.

Mi invitò ad entrare. Non me lo feci ripetere.

La sua valigia era aperta sul letto, la mia l'abbandonai temporaneamente nell'ingresso e mi sedetti sul divano, a capo basso.

«Ally, non so davvero cosa possa aver fatto per offenderti, ma ti chiedo scusa.» Dissi senza esitazione, rammentando quanto instabile potessi essere sotto l'effetto dell'alcol.

Lei scosse la testa, venne a posizionarsi accanto a me, poggiando una mano sulla mia schiena. Era un tocco gentile, ma timido.

«Non hai fatto niente Mila.» Mi consolò placidamente.

Alzai lo sguardo, incontrando il suo. Ally era sempre stata come una madre per tutte noi e anche adesso aveva assunto quel temperamento protettivo che solo una mamma può vantare di avere.

«Non capisco... Non mi hai rivolto parola e mi guardavi come se, come se...» Farfugliai confusa, scuotendo la testa da una parte all'altra.

«L'ho fatto perché ero molto imbarazzata.» Ammise, tirando le labbra in una smorfia simpatica, ma al contempo apprensiva.

Corrugai la fronte, la esortai a continuare con un veloce gesto del capo. Lei ritirò la mano indietro, la portò sopra l'altra e prese a giocare nervosamente con le sue dita, nascondendo lo sguardo dietro i capelli biondi ricaduti sul volto.

«Mila, hai detto una cosa ieri sera.» Pausa «Non so se sia vero, ma analizzando i recenti comportamenti, direi di sì...» Mi guardò stavolta. La domanda che ottenebrava il suo sguardo adesso era cristallina.

Non recuperai i ricordi frammentari della sera preveniente, ma non ebbi bisogno di attingere alla memoria per interpretare il suo sguardo adombrato da un'evidente preoccupazione.
Capii che le avevo confessato un segreto inconfessabile.

Presi un bel respiro, spostai leggermente la testa all'indietro e rivolsi gli occhi al cielo, imprecando.

«Ally, non devi dirlo a nessuno.» La pregai, in preda ad un'isterica agitazione. Sapevo di potermi fidare di lei, ma ci tenevo comunque a precisarlo.

«Non lo farò Mila.» Mi tranquillizzò. Si alzò e tornò ad immergersi nelle sue faccende, poggiando pile di maglie nei ripiani dell'armadio.

Ero talmente obnubilata dal senso di sconforto per aver infranto il patto fra me e Lauren che mi ero dimenticata dell'effettiva ragione per la quale ero venuta.

«Ma allora perché sei arrabbiata con me?» Chiesi subitamente, guardandola con aria confusa.

«Mila..» Sospirò amareggiata. Quando riuscì finalmente a raggiungere lo scaffale adibito per i maglioni più pesanti, si voltò verso di me «Io ti voglio bene, lo sai... Però, negli ultimi tre anni tu non ci sei stata e io sono rimasta al fianco di Lauren. Anche se lei non l'ha mai ammesso, sapevamo tutte quanto stesse soffrendo per la tua improvvisa scelta.» Portò le mani sui fianchi, inclinò leggermente la testa e con un ultimo respiro mi domandò «Puoi biasimarmi se sono preoccupata per lei?»

«Pensi che io sia capace di farla soffrire... ancora?» Sibilai. Certo, comprendevo la sua apprensione, ma dannazione non era stata l'unica ad aver sofferto!

«Non lo so. Quello che so è che Lauren farebbe di tutto pur di stare con te. Ho paura che, anche involontariamente, tu possa ferirla.» Scrollò le spalle con disinvoltura, abbozzando un leggero sorriso. Chiaramente non voleva ferirmi, be'... ci stava riuscendo.

«Non le farei mai del male. So che in passato l'ho fatto, ma credimi quel dolore si è riversato anche su di me.» Sussurrai. Se avessi alzato un po' la voce si sarebbe accorta dell'incrinatura dovuta al malloppo che avevo in gola.

«Certo, ne sono sicura.» Venne verso di me, poggiò le mani sulle mie spalle e mi strinse in un abbraccio veloce «È solo che certe relazioni sono nocive. Non perché non vi amiate, ma proprio perché lo fate oltre ogni limite.» Sorrise rassicurante, ma non c'era niente che potesse tranquillizzarmi in quella curvatura morbida.

......

Percorsi l'atrio dell'albergo, intontita per la conversazione appena svoltavi. Ally aveva ragione. Io e Lauren ci eravamo fatte male a vicenda, non per vendetta, non per rabbia, ma per paura. Entrambe avevamo il terrore di perdere quel sentimento puro che ci faceva scorrere la sensazione di vita nelle nostre vene. Avevamo talmente paura che alla fine l'avevamo perso davvero e ci eravamo ridotte ad essere... niente.

Vuoto.

Dovevo parlarle. Dovevo dirle che stavolta ci saremo amate nel modo giusto, se esiste una maniera per far sì che questo avvenga. Dovevo dirle che l'avrei mai più ferita. Dovevo dirle che...

Aprii la porta e Lauren era seduta sul letto, con le mani poggiate sui ginocchi e la testa penzolante verso il basso.

Alzò lo sguardo su di me, gli occhi arrossati per il pianto, le labbra scosse da un tremore, i respiri pesanti e spezzati. Deglutii, avvicinandomi lentamente a lei.

«Ch-che succede?» La mia voce si ruppe, risultando più instabile della sua che tentò di rispondere, ma solo un lamento cadde dalle sue labbra.

Non feci ulteriori domande. Non era pronta a rispondere.

Mi sedetti accanto a lei, circondai le sue spalle con il mio braccio e l'attirai a me, portando il suo capo contro il mio petto. Sussultò febbrilmente, stringendo la mia maglietta nei suoi pugni. Le accarezzai i capelli, mormorandole che andava tutto bene.

-Spazio autrice-

Sono riuscita ad aggiornare, un po' in ritardo, ma comunque...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, è da qui in poi che la trama si farà ancora più complicata... Posso già sentirvi chiedere "più di così?" Sì, assolutamente. 🙌🏻🙊

Non vi dirò altro perché penso che solo leggendo potrete apprezzare davvero i capitoli. Vi aspetto!

Alla prossima 😘

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