Capitolo dodici
Lauren pov
«Lucy, è il quarto messaggio che ti lascio. Per favore richiamami, parliamo.» Spensi la chiamata. Risultavo banale e ripetitiva, perché era la quarta volta consecutiva che le chiedevo la stessa cosa, pretendendo che la conversazione che avevamo avuto non fosse mai avvenuta.
Le puoi nascondere certe emozioni, insabbiarle e fingere che non ci siano, ma quando ti viene espressamente chiesto di dargli voce non puoi mentire perché riconosceresti subito quella fitta al petto, la morsa al cuore, che rovinerebbero tutti gli sforzi fatti per dissimulare un sentimento doloroso.
Ti ricorderebbero che esiste, che non è mai andato via, ma si è solo nascosto.
Lasciai cadere il telefono sul tavolino e mi distesi sul divano supina, portando le mani a coprire la faccia.
Era mattina presto, mi ero svegliata, come di consuetudine, per andare a correre, ma non avevo la forza di muovere un solo muscolo.
Avevo passato l'intera notte a pensare, a rimuginare. Su Lucy? No, su Camila.
Mi sentivo in colpa anche per quello. La mia ragazza se ne era andata con le lacrime agli occhi e io potevo stare male soltanto per il modo in cui Chelsea aveva sfiorato la corvina.
Non volevo vederlo, non volevo ricordarlo, ma ogni volta che chiudevo gli occhi mi passavano davanti le immagini di loro due troppo vicine e sentivo qualcosa agitarsi nello stomaco, risalire fino alla gola dove ne usciva solo un sospiro.
Non potevo fare niente.
Camila non era la mia ragazza, ma allora perché agivo come se mi appartenesse ancora?
«Hai indossato la fedina.» Notai, prendendo la sua mano nella mia.
«Sì, ma se ti dà noia che la tenga davanti alle altre posso toglierla.» Si affrettò a dire con aria rattrista è preoccupata allo stesso tempo.
Intrecciai le mie dita alle sue, guardai l'argento luccicare sotto la luce del sole, riverberare la promessa incastonata in esso.
«No.» Scossi la testa sorridente, abbracciando il suo sguardo a pochi centimetri dal mio
«Le altre sanno di noi, perciò va bene.» Con il pollice accarezzai il dorso della sua mano. Ci stavamo dirigendo all'albergo, dopo che la ragazza al mio fianco era stata dimessa dall'ospedale, dove Ally aveva organizzato una piccola festa per Camila.
«Vorrei che lo sapessero tutti.» Sospirò abbattuta e subito le sue palpebre si fecero più pesanti, come se sostenessero il peso di un dolore a me conosciuto.
«Lo so. Lo vorrei anch'io.» Appoggiai la testa contro la sua spalla.
Se avessi guardato un secondo di più dentro quegli occhi color cioccolato, adesso spenti dalla proibizione alla quale eravamo rilegate, avrei potuto percepire l'impervia che stava attraversando la mia anima dalla quale fuggivo costantemente.
«Però a me va bene anche così.» Continuò Camila con tono placido «Non ho bisogno che tutti sappiano che sei mia, mi basta guardarti negli occhi per sapere che è così.» Giocherellava con le mie dita, facendo attenzione a non nascondere mai la fedina, come se vederla la rallegrasse.
Alzai lo sguardo verso di lei, sorrisi amorevolmente e subito le sue labbra, prima incurvate verso il basso, si innalzarono melliflue.
Protesi il collo verso l'alto e le lasciai un bacio casto sulle labbra. Qualcosa dentro me scalpitò, si infiammò nei miei visceri.
Avevo bisogno di lei.
E non importava se eravamo dentro una limousine: dovevo farla mia in quel preciso istante.
«Lauren...» Una voce mi richiamò, il ricordo si frantumò e scomparve.
Aprii lentamente gli occhi, mi facevano male per il modo nel quale gli avevo serrati, strizzandoli con forza come per riprendermi qualcosa lasciato nel retro di quella limousine.
«Stai bene?» Domandò Dinah, inclinando la testa di lato per scrutarmi meglio. Mi tirai su, mettendomi a sedere a gambe incrociate per farle spazio accanto a me.
«Sì, ho solo... dormito poco.» Scrollai le spalle, minimizzando le ore di tormento che mi avevano perseguitato per tutta la notte e non accennavano a placarsi.
«Uhm-uhm.» Mugolò in risposta, unendo le labbra in una linea conservatrice.
C'era qualcosa nel suo sguardo che mi diceva che non avevo bisogno di addurre il motivo della mia assenza di sonno; lei già sapeva.
«Hai sentito Lucy?» Sviò la conversazione, assecondò il mio gioco, sapendo che mi era molto più facile parlare della mia attuale ragazze che della mia ex.
«Ho provato, ma non risponde.» Afferrai il telefono in mano per controllare di non aver perso nessuna chiamata o qualche messaggio.
Nessuna notifica.
«È stata una brutta discussione...» Iniziò lei, lasciando la frase in sospeso come per assicurarsi che avessi voglia di parlarne e di non apparire indiscreta.
«Già... Capita.» Abbozzai un sorriso, passando una mano fra i capelli particolarmente selvaggi quella mattina.
«Posso chiederti perché non le hai detto quello che voleva sentire?» Si girò verso di me, poggiando il gomito contro lo schienale del divano e fissando la guancia sul palmo della mano.
La imitai, sistemandomi di modo che potessimo parlare faccia a faccia.
«Non potevo.» Sussurrai. Dinah annuì ad occhi chiusi, inspirando profondamente. Ebbi la consapevolezza che i miei dubbi fossero fondati; non aveva bisogno di spiegazioni.
«Hai intenzione di fare qualcosa per rimediare?» Chiese dopo svariati minuti di silenzio.
«Ho provato.» Mi mossi faticosamente sul divano per raggiungere il telefono. Le mostrai lo schermo privo di messaggi. «Però non ha funzionato.»
«Non credo tu abbia capito...» Poggiò la mano sul mio polso e abbassò il telefono, come per allontanare non solo lo smartphone, ma anche il pensiero della ragazza ormai dall'altra parte del Mondo «Non mi riferivo a Lucy.» Terminò, facendo un cenno all'indietro col capo mirato ad indicare la cuccetta di Camila.
Mi accigliai, abbassai lo sguardo sulle mani e scossi la testa in segno di diniego.
Dinah sospirò profondamente, poi intuì che era meglio tagliare corto e si diresse verso i fornelli dove mise a riscaldare il caffè.
Dopo una mezz'ora Normani ed Ally ci raggiunsero, mentre la corvina che tanto aspettavo non si era ancora destata.
La colazione era la parte migliore di tutta la giornata.
Mi permetteva di passare del tempo con lei, di lanciarle occhiate furtive, di sbirciare il modo buffo con cui addentava i cornetti caldi. Parlavamo tutte insieme come se non fosse mai successo niente, come se Camila non se ne fosse mai andata.
Mentre Ally ci stava raccontando della sua nuova conoscenza, un ragazzo di una band che distinguevo, la tenda della corvina si aprii lentamente. Distolsi lo sguardo prima che potesse beccarmi a spiare i suoi movimenti, ma irrimediabilmente un sorriso spuntò sulle mie labbra.
«Buongiorno Mila. Ci siamo alzati tardi oggi...» La rimproverò Dinah, oscillando la spatola verso di lei. La polinesiana guardò l'amica aggrottando le sopracciglia confusa.
«Vai da qualche parte?»
A quel punto la mia curiosità non poté resistervi. Mi voltai verso Camila, notando che aveva poggiato sull'avambraccio una gran quantità di vestiti.
Il mio cuore prese a battere forte.
Se ne stava andando?
«Dinah, ho bisogno del tuo aiuto.» Esordì la ragazza, mantenendo lo sguardo dritto davanti a se come se si stesse costringendo a non guardare altro che l'amica alla quale si stava rivolgendo.
«Che succede?» Suonò subito apprensiva la polinesiana, andando verso di lei a passo svelto.
«Ho un appuntamento.» Ammise Camila timidamente a tono cautamente basso.
Dinah saltellò contenta sul posto, stringendo l'amica in un abbraccio esaltato.
«Ci penso io.»
Poggiò le mani sulle spalle della ragazza e la spinse verso il bagno, riempiendola di domande.
Se prima il mio cuore batteva forte, adesso si era spezzato.
Non stava lasciando il tour, stava lasciando me.
So che sembrerà banale, infantile.
Io e Camila ci eravamo lasciate anni fa, io ero fidanzata di nuovo e anche lei meritava di esserlo, ma vederla andare avanti era come ricevere un pugno nello stomaco.
Mi passò l'appetito, ma restai seduta sul divano con il pretesto di ascoltare i dettagli che Ally ci stava riservando, ma in realtà volevo solamente vedere come Camila si sarebbe acconciata per Chelsea.
La pedofila.
Dopo circa mezz'ora uscii dal bagno.
Il mio sguardo scattò immediatamente nella loro direzione.
Cercai di apparire disinvolta, incrociando le braccia al petto e apparendo disinteressata.
Era bellissima nella semplicità.
Indossava una camicetta bianca che lasciava intravedere il reggipetto, i pantaloni neri attillati che mettevano in risalto le sue curve e un paio di tacchi dello stesso colore che slanciavano le sue gambe snelle.
«Mila stai benissimo.» Si congratulò Normani sorridendo ed Ally subito assecondò il complimento dell'amica.
«Tutte le curve al punto giusto.» Aggiunse maliziosamente, provocando una risata sonora da parte di tutte.
Mentre le ragazze ridevano della battuta di Ally, io rimasi immobile a fissarla nella sua purezza.
Dio, come fa diventare ogni giorno più bella?
Mi domandavo, mentre Camila iniziava ad agitarsi per l'assiduità del mio sguardo sul suo corpo.
«Sei bellissima.» Le parole caddero dalle mie labbra senza che me ne rendessi conto.
Ora la cacofonia provocata dalle risate si dissolse in un silenzio assordante.
Sapevo che tutte mi stavano guardando, ma riuscivo a vedere soltanto due occhi. I suoi.
Erano fissi dentro i miei, increduli di aver appena udito quella frase.
Le pupille si erano dilatate e le iridi rischiaravano il colore cioccolato.
Davvero avevo ancora quell'effetto su di lei?
«Okay... Dai, adesso vai.» La voce di Dinah ruppe quel momento che si era creato fra di noi e da una parte la odiai per averlo fatto, dall'altra gliene fui grata perché sarebbero bastati altri secondi a farmi catapultare fra le sue braccia.
Camila scosse la testa, come a scrollarsi di dosso quella sensazione. Abbozzò un sorriso tirato, si sistemò il colletto della camicia e poi annuì, non del tutto convinta.
La seguivo con lo sguardo, ogni passo che faceva mi chiedevo cosa le avrebbe raccontato, se avrebbe passato la mano sopra la sua come era solita fare con me, se avrebbe riso alle battute per compiacerla. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, ma le scacciai velocemente con la manica della felpa.
«Ah Mila.» La richiamò Dinah prima che potesse lasciare il pullman.
«Non pensare non me ne sia accorta. Dammela.»
Tese il braccio verso di lei schiudendo la mano, poi mosse le dita verso di se con tono autorevole.
«Co-cosa...? Non capisco.» Balbettò la corvina, fingendo malamente di non sapere a cosa si riferisse l'amica.
«Sì, certo. C'hai provato.» Avanzò un passo avanti, ripetendo il gesto con la mano.
«È solo che...»Sbuffò Camila, girandosi qualcosa fra le mani che non riuscii a distinguere.
«Non sono mai uscita senza. Non la indosserò prometto! Devo solo sapere che, che c'è.» Mormorò a tono basso, puntando lo sguardo sull'oggetto nascosto nel pugno della mano.
«È il momento di rinunciarci. Per favore Mila, non obbligarmi a farti il solletico.» La punzecchiò Dinah, sorridendo per inculcarle un briciolo di coraggio.
Camila guardò sospettosa la mano della polinesiana, inspirò profondamente e poi mise qualcosa nel palmo dell'amica, facendo attenzione che nessuna di noi la notasse.
Quando la mano di Dinah si richiuse, proteggendo qualcosa di estremamente raro per Camila, quest'ultima rilasciò andare il respiro mozzato.
«Però per... per favore puoi metterla sotto il mio cuscino?» Farfugliò incespicando nelle parole come se fosse davvero intimorita di affidare quell'oggetto a qualcuno.
«Certo.» Le rispose amichevolmente Dinah, abbracciandola velocemente per poi spronarla ad andare prima di fare ritardo.
Cosa che ovviamente avrebbe fatto perché lei non era mai puntuale.
Quando Camila lasciò il pullman, tutto il mio corpo voleva reagire; brulicava sul divano.
Corrile dietro, afferrale la mano. Dille che sei ancora sua.
Mi incitò il mio subconscio, ma non lo ascoltai.
Al contrario, mi alzai con la scusa di dover andare al bagno e rimasi chiusi dentro lo spazio angusto per diverso tempo.
Sentii dei passi dall'altra parte della porta, tesi le orecchie e uscii solo quando fui sicura che non ci fosse più nessuno nel corridoio.
Sapevo che non dovevo farlo, che era sbagliato, ma non resistetti a quell'istinto.
Andai a controllare cosa aveva riposto Dinah sotto il cuscino di Camila.
Frettolosamente immisi la mano sotto la federa e al tatto percepii qualcosa di piccolo e rotondo. Non mi ci volle tanto per capire cosa stavo stringendo fra le mani.
Non è possibile pensai, ma la fedina che avevo davanti agli occhi non mentiva.
Era quella che le avevo regalato cinque anni prima.
L'aveva tenuta. Per tutto questo tempo l'aveva addirittura indossata ad ogni appuntamento, come se non volesse andare avanti senza conservare qualcosa di me.
«Cerchi qualcosa?» Una voce alle mie spalle mi ridestò.
Sobbalzai spaventata, sbattendo lo testa contro il soffitto di legno.
«Cazzo.» Imprecai, massaggiando il punto che era stato percosso malamente.
Nascosi la fedina sotto al cuscino, poi lentamente uscii trovandomi davanti Dinah, in piedi con le mani dietro la schiena.
Corrugò la fronte e una smorfia contornò le sue labbra, mentre aspettava una risposta.
«Ah ehm... io stavo... stavo cercando un libro.» Mentii, risultando falsa persino alle mie orecchie.
Dinah sospirò, scuotendo la testa rassegnata.
«L'hai vista?» Chiese, allungando il collo per controllare alle mie spalle.
Tentai di negare, pretesi di non sapere a cosa stesse alludendo, ma in fondo mi limitai ad annuire ed accettare il fatto che a Dinah non sfuggisse nulla.
Ero quasi sicura che avesse aspettato dietro la porta il momento in cui mi ero accinta ad intrufolarmi dentro la cuccetta di Camila.
«E pensi ancora che Camila non sia innamorata di te?» La sua domanda arrivò come un fulmine a ciel sereno e sentii qualcosa creparsi dentro di me.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro