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Capitolo diciotto

Lauren pov

«Non lo so Lucy.» Sbuffai seccata nella cornetta del telefono «Dobbiamo pensarci proprio adesso?» Piegai le dita verso il palmo della mano e controllai le unghie; sinceramente ero più interessata alla mia manicure (il che è tutto dire) che alla ricerca degli appartamenti.

«Quando sennò? Abbiamo già aspettato abbastanza.» Mi riprese, infastidita dalla mia apparente negligenza.
«Allora, Central Park o Manhattan?» Chiese per l'ennesima volta.
Penso che avrei vomitato se avessi sentito le alternative ancora una volta.

«Uhm...» Feci finta di pensarci sul serio quando in realtà stavo solo prendendo tempo «Central Park, credo.» Risposi vagamente, non considerando seriamente l'opzione di comprare un appartamento in quella zona, ma scegliendo quella che mi aggradava di più fittiziamente.

«Dai Lauren! Sto facendo tutto io.» Si lamentò scocciata. Lanciai lo sguardo al cielo, con una spinta mi alzai dalla posizione supina in cui ero adagiata e mi sedetti a gambe incrociate sul letto.

«Scusami, sono molto stanca e... Non riesco a pensare al nostro progetto adesso.» Mi grattai nervosamente la nuca.

Stavo evitando l'argomento ancora una volta, lo so. Non avevo ancora deciso cosa fare dell'altro appartamento. Non riuscivo a sbarazzarmene, a metterlo in vendita ed ero consapevole che avrei dovuto farlo prima o poi, ma era come rinunciare ad un arto.
Quella piccola casa era una delle poche cose che mi erano rimaste di Camila.
Non potevo, capite? Non potevo.

«D'accordo.» Sospirò sottomettendosi alla mia volontà come era consona fare «Sai forse ho sbagliato io. Sto affrettando le cose. Insomma... voglio dire abbiamo ancora un anno per pensarci, no? È che sono così emozionata all'idea di andare a vivere insieme.» Disse tutto d'un fiato, lasciandone poco a me.

«Già.» Mi obbligai a sorridere di modo che la mia risata potesse arrivarle, seppur fievole.

Tirai la tendina. Un raggio di sole mi colpì in pieno volto, al che mi venne spontaneo strizzare gli occhi per proteggermi.
Balzai giù dalla cuccetta, emettendo un suono contrariato per il contatto inaspettato con il pavimento freddo.

«Oggi andiamo a registrare una nuova canzone. Ti richiamo appena ho un momento libero.» Controllai il corridoio, notando che stavano ancora dormendo tutte.

Mi avviai verso la cucina, dove trovai la caraffa del caffè, ormai raffreddata, poggiata sui fornelli. Girai la manopola per accendere la fiammella e riscaldare la caffeina della quale avevo costantemente bisogno.

«Va bene. Aspetto la tua chiamata allora. Buona giornata amore.» Deglutii faticosamente al suono di quella parola.

Farfugliai qualcosa che non riuscii a comprendere nemmeno io stessa, dopodiché mi diedi un attimo di tempo per comporre un discorso sensato e risposi.

«Buona giornata anche a te.» Poi attaccai rapidamente, lanciando lo smartphone sul divano vicino a me in una mossa repentina come se mi avesse appena scottato.

Progetti, futuro, idee, supposizioni e niente che mi riconducesse a quella vita che avevo tanto ambito. Niente che si collegasse con quegli occhi color cioccolato, niente che proliferasse quelle cellule oniriche.
Perché sembrava così dannatamente sbagliato? Perché scappavo sempre? Non solo da Camila, adesso anche da Lucy. Da chi ancora dovevo nascondermi?
Avrei vissuto la mia intera vita correndo via dalle avversità?

Scossi la testa, scrollando di dosso quei pensieri opprimenti. Sarebbero tornati a tormentarmi, ma ora non avevo le forze psicologiche per prestarvi attenzione.
Anche quello era un altro modo di fuggire?

«Fai due tazze, grazie.» Disse una voce alle mie spalle, scuotendomi del tutto dai miei dubbi.

«Cazzo Dinah, mi farai venire un infarto un giorno di questi.» Anelai, portandomi una mano sul cuore per lo spavento che mi aveva procurato.

Vivere insieme a quattro ragazze non era facile, specialmente se avevano tutte un carattere completamente diverso l'una dall'altra... Specialmente se, in ogni momento, poteva sbucare una di loro alle tue spalle ricordandoti che non eri mai veramente sola e che una tazza di caffè si trasformava in un simpatico consorzio a cinque.

«Aggiungete un posto a tavola.» Barcollò Ally nella stanza, avvalorando la mia teoria.

Sorrisi, capendo quanto in realtà fossi fortunata ad avere amiche sempre con me.
Le preoccupazioni di una diventavano quelle dell'altra, i segreti non erano mai segreti e i timori venivano alleggeriti in fretta quando l'umorismo di Dinah, la maternità di Ally, o l'empatia di Normani entravano in gioco.

Versai il caffè bollente nelle tazze, poi, sorreggendone due con la mano destra e l'altra, la mia, con la sinistra, mi sedetti a tavola dispensando caffeina.

«Avete parlato con Mani?» Chiese Dinah a bassa voce, scrutando il corridoio per assicurarsi che non ci fosse nessuno.

«Un po', sì...» Annuii afflitta, abbassando lo sguardo sulla nuvoletta di fumo che si sollevava dalla mia tazza.

«E quindi? Come sta?!» Domandò la polinesiana con più enfasi, sporgendosi sul tavolo per non perdere nessuna parola della descrizione che stavo per darle.

«Non bene. Non ci credo che Val le ha chiesto di incontrarla solo per invitarla al suo matrimonio. Che stronzo.» Sibilai, stringendo il manico della tazza con forza.

Le due ragazze, sedute di fronte a me, si scambiarono mormorii di approvazione e lanciarono insulti diretti verso il ragazzo che un tempo era stato nostro amico.
Adesso non potevo credere alla sua sfacciataggine; al modo deplorevole con il quale aveva trattato Normani.

Sentimmo una voce provenire dal corridoio, prima apparve lontana e sommessa, ma qualche secondo riuscii a discernere Camila.
Vedendoci si immobilizzò un attimo, come se si aspettasse di trovare la cucina vuota, ma le sue aspettative vennero disilluse.

Si ricompose scuotendo le spalle e poi camminò lentamente nella nostra direzione, mantenendo sempre lo sguardo basso e alzandolo solo su Ally e Dinah, ma dando il buongiorno a tutte e tre.

Le cose fra di noi erano diventate non solo tese, ma anche imbarazzanti da quando avevo visto quel video.
Quando mi ritrovai il telefono fra le mani Dinah nascose la testa sotto il cuscino, mentre Camila portò le mani di fronte al viso per nascondere l'evidente vergogna che colorava le sue guance.
Stavano guardando un video camren.

Non feci domande, mi limitai a restituire il telefono alla legittima proprietaria e a balbettare qualcosa tipo "vo-volevo solo... solo... dartelo, cioè... Non ho visto niente comunque." Cosa che risultò del tutto falsa dal momento che il mio frenetico balbettio non mi permetteva di parlare correttamente.
Una scena pietose per tutte e due.

Durante i tre giorni successivi ci eravamo evitate anche più del solito.
Camila era la prima ad arrossire quando ci incontravamo in corridoio, o ci scambiavamo un saluto come quella mattina.

«No, senti smettila...» La sentii ringhiare alle mie spalle. Stava parlando con qualcuno al telefono e io non potei fare a meno di domandarmi se fosse Chelsea.

«Non tirarmi in mezzo a questa cosa, okay? Lo so, lo so che te l'avevo promesso, ma diciamo che le cose si sono... complicate.» Continuò, restando alle mie spalle.

Tesi le orecchie per ascoltare meglio, spingendo la schiena all'indietro e sorreggendomi con le mani al tavolo per ritrovarmi in equilibrio precario che prevedeva il distacco di due gambe della sedia dal pavimento.

«Si, divertente.» Finse una risatina seccata Camila. «Dico davvero Sof. Mi dispiace, okay? Non posso.» Mi tranquillizzai subito sapendo che dall'altra parte della cornetta c'era sua sorella.

Il problema è che mi rilassai troppo.
Lasciai la presa sul tavolo di fronte a me, dimenticando di essere inclinata all'indietro e di essere sorretta solamente da due gambe di legno invece che quattro.
Persi l'equilibrio e caddi miseramente a terra.

Dinah ed Ally scattarono in piedi, ma quando si accorsero che stavo bene scoppiarono a ridere.
Camila, invece, chiuse immediatamente la chiamata e si genuflesse accanto a me, portando istintivamente una mano contro la mia schiena per aiutarmi ad alzarmi.

«Stai bene?» Domandò con un'apprensione eccessiva che, però, mi fece sorridere.

«Sì, sono solo... scivolata.» Ringhiai contro la sedia, colpendola con un calcio. Camila accennò ad una leggera risata, che si premurò di contenere.

«Si, l'ho visto.» Le sue guance stavano diventando man mano più gonfie, come se la risata inespressa stesse le stesse riempiendo.

«Non ridere Camila. Non ti azzardare...» La minacciai, ma non ebbi tempo di finire la frase che la corvina esplose in una risata fragorosa che attirò l'attenzione delle altre due su di noi.

La sua risata. Era da tanto che non la sentivo e quasi avevo dimenticato il suono armonioso che componeva quando contorceva i muscoli facciali e le sue labbra si allargavano in un sorriso.
Improvvisamente, completamente assorta nel suo ridere oserei direi febbrile, venni contagiata anch'io e mi unii al coro.

«Non so come sia successo.» Dissi fra una risata e l'altra, portando una mano sulla pancia per placare il dolore che si stava espandendo per il troppo ridere.

«Sei tipo... tipo volata giù!» Ricordò Camila, lanciando la testa all'indietro e ridendo convulsamente.

La sua mano si poggiò sulla mia spalla per mantenere l'equilibrio. Il suo tocco riscaldò subitamente la mia pelle, anche se sfiorata da sopra il tessuto fine della maglietta, riuscii a percepire il suo palmo adattarsi ai contorni della mia spalla.
Senza riflettere, o forse riflettendoci fin troppo, usai la scusa del ridere spensierate per portare la mia mano contro il dorso della sua.
Necessitavo di quel contatto più di qualsiasi altra cosa al momento.

Dinah ed Ally ci guardavano con un sorriso stampato in volto e forse anche loro si erano accorte di quanta spensieratezza ci legava in quell'istante e proprio come me speravano che durasse a lungo.

«Diamine, fare una confusione...» Recriminò Normani entrando in stanza, poi il suo sguardo virò subito su di noi, ancora accovacciate a terra.
«Ehm... Perché Lauren è col culo sul pavimento?» Chiese confusa e la sua non voluta serietà spezzò il momento che si era creato, riportandoci alla realtà.

Solo adesso Camila notò le nostre mani giunte assieme sopra la mia spalla. La sentii deglutire faticosamente e poi alzare lo sguardo su di me.
Per una frazione di secondo i nostri occhi si trovarono così vicini che ogni paura apparve superflua. Ebbi una gran voglia di baciarla.

E per un attimo fu come tornare ad anni prima.


«Ma che diamine...!?» Mi svegliai di soprassalto, disturbata da un rumore greve proveniente dal corridoio.

Camila non era più distesa accanto a me e mi domandai se fosse scivolata via durante la notte, quando aprii la tendina e la trovai distesa sul pavimento.

«Ehm... Camila, scusa ma come...» Tentai di domandare, ma scoppiai a ridere.

«Ah si, grazie dell'aiuto.» Sbuffò indispettita, issandosi sui gomiti. Sbatté ripetutamente le palpebre, cercando di trovare un appiglio a qualcosa per potersi rimettere in piedi.

«Ohh, okay aspetta!» Balzai velocemente giù dal letto, mi inginocchiai accanto a lei e le sollevai la schiena da terra adagiandole sulle mie mani.
«Non puoi alzarti finché non abbiamo la certezza che non sia un trauma cranico.» La schernii, ma mantenni un tono serio per entrare nella parte.

«Cosa? Trauma cranico?! Oh cazzo, ma sei seria?» Domandò in preda al panico, boccheggiando per lo spavento
«Lauren se dovessi dimenticarti di te sappi che ti ho amata davvero, che il tuo culo è la cosa migliore che abbia mai visto e che come cuoca sei la peggiore!»

Scoppiai a ridere ancora più forte, attirandola al mio petto e rassicurandola che stava bene, che probabilmente avrebbe riportato solo un livido.

«Seriamente? Menomale, ero già preoccupata per l'incolumità dei nostri figli.» Ammise, rilasciando un sospiro di sollievo contro il mio petto al quale si era aggrappata con le mani.

«Non sono così pessima in cucina, ma concordo con tutte le altre affermazioni.» Risposi pavoneggiando ironicamente. Camila alzò il mento verso di me, puntellandolo sotto la clavicola.

«Ho quasi avuto un'intossicazione mangiando i tuoi pancake.» Disse seriamente, accennando però ad un sorriso che mi fece riprendere a scherzare con lei.

«Shh... È il trauma cranico a parlare.» Portai una mano dietro la sua nuca e le feci adagiare nuovamente la testa contro il mio petto, accarezzandole i capelli.

«Ti odio.» Disse sottovoce, colpendomi il braccio con un pugno.

«No, non è vero.» La mia voce risultò ovattata, perché attutita dai suoi capelli.

«No, infatti.» Accordò subitamente, lasciandomi un bacio sul collo.


Fu lei la prima a scuotere la testa, ad annullare qualsiasi pensiero si fosse impossessato di lei che, scommetto, non fosse poi così diverso dal mio.

Sfilò la mano con riluttanza, indugiando sul telefono e poi si alzò lentamente dal pavimento, avendo la decenza di pormi la mano per aiutarmi. Rifiutai cordialmente, dicendo che potevo farcela.

«Vado a prepararmi per andare allo studio di registrazione.» Disse Camila, uscendo dalla stanza a gran passi.

Mi aggrappai alle maniglie dei cassetti, poi recuperai del tutto l'equilibrio sorreggendomi al bancone della cucina.
Le ragazze mi guardavano ancora con i sorrisi stampati sulla faccia, ma non erano dovuti all'ilarità della caduta.

«Beh?!» Le ripresi «Voi non vi preparate?» Chiesi, dirigendomi verso il mio armadio dove ero sicura che i loro sorrisi non mi avrebbero raggiunto.

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