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Capitolo cinque

Lauren pov

Correvo lungo il ciglio della strada. Non sentivo le macchine arrivare perché le cuffiette nelle orecchie mi impedivano di percepire qualsiasi suono all'infuori della voce degli artisti che si alternavano nella playlist.
Avevo già percorso sette chilometri, più dei soliti cinque che ero avvezza a macinare abitudinariamente, ma non sentivo l'esigenza di fermarmi.
Certo le gambe si era indolenzite, avevo persino iniziato a sentire dolore alle braccia e al collo per colpa del ritmo sostenuto con il quale avevo percorso il tragitto, ma non avevo nessuna intenzione di fermarmi.

I miei muscoli si contraevano spasmodici, il mio respiro trafelato si condensava nell'aria, fitte inaspettate al petto mi affliggevano quando meno me l'aspettavo, eppure trovavo sollievo in quella tortura.
La mia mente era focalizzata su una moltitudine di compiti per poter pensare anche a Camila, ecco perché continuavo a correre.

Macinare chilometri significava non pensare e non pensare equivaleva a garantirmi una leggerezza momentanea.


«Dovremo fermarci, perché non credo di avere una sola particella di ossigeno nei polmoni.» Disse Camila, muovendo la testa da un lato all'altro, facendo oscillare la coda di cavallo.

«Sei una frana. Non abbiamo corso nemmeno per due chilometri.» La derisi in modo affettuoso, cosicché comparisse un'espressione lontanamente affranta sul suo volto che, in realtà, era solo un ideato sotterfugio per far sì che baciassi il labbro ora sporgente.


Mi fermai di colpo.
Non mi ero accorta che la playlist non si riproduceva più.
Non mi ero resa conto che le mie gambe, imploranti di pietà, avevano rallentato il ritmo e ora la mia corsa era diventata una passeggiata.

Se avessi potuto avrei continuato a correre, ma il mio corpo era stremato e portarlo oltre il limite avrebbe soltanto peggiorato la mia condizione fisica, invece che lenire il dolore della mia anima.

Cazzo imprecai.

Tolsi le cuffiette dalle orecchie e le nascosi nella tasca dei pantaloni di flanella grigia.
Mi appoggiai contro la ringhiera, chiusi gli occhi mentre facevo penzolare la testa all'ingiù nel vano tentativo di recuperare aria.


«Lauren dico davvero. Fermiamoci ti prego.» Mi supplicò un chilometro più avanti.
Sospirai sconfitta. Camila era rimasta indietro, ora riposava contro un lampione inutilizzato alla luce del giorno.

Mi avvicinai a lei, poggiai le mani sulle sue spalle e sorrisi sorniona.
«Una vera frana.» Boccheggiai, lasciandole un bacio sulla fronte imperlata di sudore.

«Era la mia prima volta. Che ti aspettavi che tenessi il tuo passo?» Si piegò su se stessa, poggiando le mani sulle ginocchia, mentre faceva dei respiri profondi tentando di ristabilire un ritmo normale.

«Cavolo, nemmeno l'altra notte mi hai fatto sudare tanto.» Esordì, facendomi scoppiare a ridere.

Le sollevai il mento, portando i suoi grandi occhi marroni contro i miei verdi e sorrisi, infine sporgendomi in avanti per lasciarle un bacio casto sulle labbra.

«Stanotte rimedierò, se... Corriamo per un altro chilometro.» Ammiccai.

Camila guardò dietro di me l'estensione della strada. Inizialmente il suo sguardo arrendevole non decretò un verdetto positivo, ma poi i suoi occhi si spostarono sul mio corpo, fasciato da una maglietta attillata che metteva in risalto i miei addominali.

Camila schizzò via, lasciandomi ferma sul posto. La guardai allontanarsi con un sorriso sul volto, mentre lei urlò

«Che fai, non vieni?»


Dovevo smetterla.
Smetterla di ripercorrere quei ricordi che ormai facevano parte del mio passato, smetterla di cercare di recuperare qualcosa che avevo lasciato indietro.

Durante questi tre anni, Camila, era sempre stata un pensiero fisso, ma riuscivo ad eludere i ricordi in un modo o nell'altro.
Invece, da quando era tornata ad abitare sotto il mio stesso tetto, era come se i ricordi avessero preso il pieno possesso delle mie facoltà. Non riuscivo ad allontanarli, anche se ci provavo loro avevano sempre la meglio.

Mi stavano distruggendo, perché ora non solo popolavano i miei sogni, ma contaminavano anche la mia quotidianità.

Mi guardai indietro, mentre il sorriso di Camila continuava ad apparire davanti ai miei occhi e mi sembrava di essere tornata a quel giorno, di aver rievocato la sua presenza solamente pensandoci.

Infilai nuovamente le cuffiette nelle orecchie, feci ripartire la playlist da capo e ricominciai a correre.
Erano altri sette chilometri e sapevo che sarei arrivata stremata al pullman, ma preferivo fare i conti con qualche dolore muscolare, che sarebbe durato soltanto un giorno, piuttosto che con il passato che, al contrario, non avrebbe mai finito di infliggere pena.

Sul bus, le altre ragazze, stavano facendo colazione. Erano appena le otto e mezzo di mattina, ma faceva già un gran caldo, perché era una di quelle giornate torride d'aprile.
Come previsto arrivai estenuata al bus, per gli ultimi metri tracimai le gambe per lo spiazzale che mi divideva dalla casa mobile.

«Che brutta cera.» Non mancò di commentare Dinah appena entrai. Si avvicinò a me, sporgendo la testa verso il mio collo e inspirò «E anche un pessimo odore.» Constatò, tappandosi il naso con le dita.

«Fai pure.» Anelai, ancora in affanno per la corsa. Afferrai una bottiglietta d'acqua e ne tracannai metà «Almeno io la mattina non ingurgito tre cornetti per volta, ma mi dedico ad attività più produttive.» La derisi in maniera amichevole.
Fra me e lei c'era sempre stato questo atteggiamento d'amore e odio, ma in fondo ci volevamo bene e ci prendevamo in giro solo per il gusto di farlo.

«Comunque te ne abbiamo lasciato uno.» Disse Normani, indicando l'unico croissant ancora intatto.

«Alla crema, come piace a te...» Mormorò timidamente Camila, girando solo parzialmente la testa verso di me.

Nessuno disse niente per una manciata di secondi. Sospirai, sentendo le ultime forze venire a mancare.

«Grazie.» Risposi a bassa voce, volendo smorzare la tensione che era venutasi a creare.

Comunque non mangiai il cornetto.
Non avevo per niente fame e l'unica cosa che volevo era allontanarmi il più possibile da quella stanza.
Anzi, no, non lo volevo affatto, ma dovevo.

Sciacquai via la fatica, impregnata nella mia pelle, con una doccia fredda.
Il gorgheggiare dell'acqua mi impediva di sentire le voci provenienti dal corridoio, ma alcune volte delle risate arrivavano fievolmente alle mie orecchie e riconoscere quella di Camila fra queste mi faceva sudare più dei quattordici chilometri che avevo percorso.

Mi appoggiai contro il muro della parete, l'acqua scendeva lungo il mio addome.
Portai i capelli all'indietro e inspirai profondamente, quando un'altra risata risuonò nella doccia.


Le sue mani mi sfioravano dolcemente, più leggiadre del getto d'acqua che colpiva e annetteva i nostri corpi.

«Baciami Camila.» La supplicai, quando l'ardore fra le mie gambe diventò insostenibile e il mio corpo moriva di brama anche solo per un minimo contatto.

Le sue iridi scrutarono le mie, le sue pupille si dilatarono, accendendosi di desiderio. Con il pollice disegnò il contorno del mio labbro inferiore, poi lo lasciò scivolare verso l'alto e subito lo addentò intrappolandolo nei suoi denti.
Gemetti al contatto, rilasciando un sussulto che catturò con la lingua e approfittò per esplorare la mia bocca.

Il nostro desiderio si incontrava, danzava insieme, si coagulava. Camila premette la coscia contro la mia intimità e subito uno spasmo percorse il mio corpo. Mi aggrappai con le unghie ai suoi fianchi e indietreggiai, fino ad incontrare la parete.
Il suo corpo aderì contro il mio, con le dita sfiorò la mia intimità e di rimando divaricai le gambe, permettendole di entrare dentro di me senza nessun preavviso...


Spalancai la bocca in cerca di aria, sbarrai gli occhi e mi piegai in avanti per sostenere l'equilibrio precario del mio corpo attualmente percosso da brividi spasmodici.
Non c'era nessuno nella doccia; solo io.

Tentai di riprendere fiato, mentre la sensazione troppo sbiadita delle sue mani contro la mia pelle si faceva largo in me, esigeva di essere riscoperta, voleva un'immagine vivida di quel tocco lungo i miei anfratti.

Merda pensai.

Non avevo un orgasmo da tempo, pure avendo una relazione con Lucy, non ci vedevamo spesso e andare a letto con lei mi faceva sempre sentire sporca perché quando le sue mani tracciavano il perimetro del mio corpo pretendevo che fossero altre dita a toccarmi. Quando le sue labbra si univano alle mie provavo un senso di fastidio, che spegneva ogni desiderio.

Adesso mi sentivo più sporca che mai, colpevole di essere complice di un sentimento che sarebbe riapparso anche se non avessi voluto... Era un ciclo naturale, come quando il sole tramonta per lasciare spazio alle stelle. Una cosa è sicura: il giorno tornerà a sorgere.

Uscii dalla doccia, avvolsi un asciugamano al petto e detersi lo specchio appannato con il palmo della mano.
La figura che rifletteva, per quanto colpevole potessi essere, per quanto sporca potessi sentirmi, era la Lauren che non riconoscevo più da tempo.

Quella ero io, Camila mi ricordava chi ero e non chi dovessi essere.
E questo faceva paura, perché nessun altro ci riusciva.

Tornai a stendermi nella mia cuccetta.
L'idea di guardare Camila negli occhi dopo aver usufruito di un nostro ricordo per trarne soddisfazione personale, era insostenibile.

Così pensai a lungo, cercai di escogitare un modo per dimenticarmi di lei, di quello che eravamo state...

Quanti chilometri avrei dovuto correre?
Quante conoscenze avrei dovuto fare nella speranza di innamorarmi di nuovo a quel modo?
Quante persone avrei dovuto baciare per cancellare la voglia del suo sapore sulle mie labbra?
Quanti anni avrei dovuto trascorrere ancora ad erodere il pensiero di quegli sguardi?

Il tempo sarebbe bastato?
Il tempo, padrone onnipotente e inarrestabile, sarebbe riuscito ad erodere quel sentimento?
Possono bastare giorni, mesi, anni a disgregare tale ricordo?

Camila mi aveva ferita, più e più volte ed io ero consapevole di aver fatto lo stesso.
Ci eravamo fatte del male, ma nella cieca convinzione che nessuno sentimento potesse replicare il nostro.

Ed era vero, ma a volte l'amore non basta.
A volte bisogna saper lottare, bisogna rialzarsi dopo ogni caduta.
Solo che dopo un po' di volte, le ginocchia sbucciate, le gambe indolenzite e le braccia intorpidite non è facile trovare la forza di rimettersi in piedi e quindi si sceglie di restare a sedere, perché la prossima caduta potrebbe fare ancora più male della precedente e non tutti hanno il coraggio di affrontare un altro schianto.

Io non ce l'avevo.


«Ho sbagliato Lauren. Mi farò perdonare, te lo prometto.» Gridò fra le lacrime, mentre io ero intenta a buttare alla rinfusa i vestiti nella valigia.

«Non c'è modo che tu possa farti perdonare.» Ringhiai, frustrata per le lacrime che ristagnavano agli angoli dei miei occhi.
«Non puoi.» Ribadii, spostandola dalla mia strada nella quale si era frapposta per intralciarmi.

«Lauren non te ne andare. Possiamo rimediare, come abbiamo sempre fatto.» Mi pregò con voce tremula, mentre seguiva con lo sguardo ogni mio movimento impossibilitata di fermare i preparativi per la mia imminente partenza.

«È questo il punto Camila! Noi mettiamo sempre i punti di sutura sulle cicatrici che ci procuriamo a vicenda, ma quanto credi che durerà prima che il taglio sia troppo profondo per essere suturato?» Passai una mano fra i capelli snervata, lanciai lo sguardo al soffitto e cercai di scacciare le lacrime formatesi ai miei occhi.

Infilai le ultime cose in valigia e la richiusi, trascinandomela dietro mentre uscivo dalla stanza.
Camila mi corse dietro, tentò di afferrarmi il polso, ma mi divincolai dalla sua presa.
Bloccò il passaggio, stagliandosi davanti alla porta.

«Tu... tu non te ne vai, capito?» Balbettò, tirando su col naso per calmare i singhiozzi.

«Come pensi possa dimenticare di averti trovata a letto con un altro?» Dissi con rabbia e indignazione. L'espressione afflitta sul suo volto e l'arrendevolezza del suo corpo mi permise di spostarla e uscire dalla stanza, sbattendo la porta alle mie spalle.


Mi girai dall'altra parte, chiusi gli occhi e premetti il dorso della mano contro la bocca per silenziare i miei singhiozzi.

Non avevo mai dimenticato quel momento.
Come si può dimenticare il giorno in cui ti viene portato via tutto quello che amavi?

Mi rannicchiai sotto le coperte, come se ammantarmi nelle lenzuola potesse riscaldarmi dal freddo che era sopravvento rammentando le grida di quel giorno.

La cosa che mi faceva arrabbiare, che trovavo più ingiusta di qualsiasi altra era che nonostante tutto il dolore che Camila mi aveva procurato, restava comunque l'unico desiderio che esprimevo quando soffiavo sulle candeline, l'unica persona che avrei voluto accanto quando piangevo la notte.

Mi aveva fatto soffrire, aveva distrutto ciò che avevamo di più caro, ma allora perché continuavo a volerla?
Quale logica inspiegabile si celava dietro i meccanismi dell'amore?

«Lauren...» La voce di Dinah mi richiamò. Asciugai le poche lacrime, che erano scivolate sulle guance, con il dorso della mano e mi voltai verso di lei, stampandomi un sorriso artificioso sulle labbra.

«Si?» Domandai con voce spezzata, ma senza assottigliare il sorriso, come se l'increspatura delle labbra potesse dissimulare, e quindi ingannare, lo sguardo scrupoloso di Dinah.

«Stai bene?» Chiese, inclinando la testa su un lato per controllare le mie gote arrossate sotto una prospettiva diversa.

«Si, sono solo... solo stanca.» Mentii, alzando la schiena dal cuscino e mettendomi a sedere a gambe incrociate sul materasso.
«Che succede?» Chiesi, spostando l'attenzione su un altro argomento che non riguardasse me.

«Ah...» Per un secondo fu indecisa, lo capii. Non sapeva se indagare oltre, perché sapeva che le avevo raccontato una menzogna, oppure pretendere di non essersene accorta.
Infine sospirò e scosse la testa, convincendosi, fortunatamente, ad andare oltre.

«Con le ragazze abbiamo pensato di riunirci sul divano, niente di speciale a dire il vero... Vogliamo solo parlare di questi anni in cui siamo state distanti, sai... aggiornarci... cose così.» Sorrise tristemente, come se improvvisamente si sentisse in colpa anche solo per avermelo chiesto.

«Va bene. Aggiungete un posto allora.» Scelsi di accondiscendere alla sua gentile proposta solo per toglierla dall'imbarazzo del momento, per discolparla da un errore che in realtà non aveva commesso.

«Oh, okay..» Rispose sorpresa Dinah, scostandosi all'indietro per lasciarmi scendere con un balzo.

Mi stavo avviando verso l'altra stanza, quando la polinesiana mi afferrò rapidamente il polso e mi guardò con un sorriso amichevole sulle labbra.

«Però prima, magari...» Poggiò le mani sulle mie spalle «Sciacquati gli occhi.»

Unii le labbra in una linea ricurva, analoga ad un sorriso.

«Ricevuto.»

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