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Capitolo cinquantatré


Camila pov

L'evento era stato organizzato al Faneuil Hall Marketplace. Arrivai nel tardo pomeriggio, e per colpa del traffico ritardai di qualche minuto.

Invece che andare direttamente al centro commerciale, mi fermai al Common Park, a sorseggiare una rinfrescante granita. Coca cola e menta, ovviamente.

Lauren mi aveva mandato un messaggio, diceva che andava tutto bene, che il volo era andato come previsto anche se l'aereo aveva ritardato qualche minuto e prometteva di chiamarmi in serata. Sospirai afflitta.

So che Lauren stava facendo tutto quello per noi, per la nostra relazione e io non potevo nemmeno lontanamente immaginare quanto fosse difficile per lei conciliare con le richieste assurde di Lucy, ma il mio pensiero, per quanto errante, giungeva sempre alla stessa domanda "Lauren sarà sempre una marionetta nelle mani di Lucy?"

Per ovvie ragioni non potevamo divulgare la nostra storia. Per prima cosa perché avrebbe portato non pochi guai alla band e questo significava ripercussioni anche sulle ragazze che non c'entravano niente. In secondo luogo, Patrick avrebbe smentito la cosa con qualche sotterfugio, mi avrebbe appioppato un ragazzo qualsiasi con cui farmi vedere in pubblico e reciso il contratto con le Fifth Harmony, togliendomi così la possibilità di stare con Lauren per questi pochi mesi.

Ecco perché Lauren sacrificava tanto, ed io dovevo essere una persona proprio terribile per ricorrere a quel pensiero, ma la nostra storia sarebbe sempre stata così? Noi che tentavamo di adempiere alle minacce di Lucy? Ci sarebbe stato davvero un momento buono per divulgare la notizia della nostra relazione, oppure era solo una bugia che ci raccontavamo per rendere le cose più confortevoli?

Come si fa a saltare un ostacolo alto tre metri, senza avere l'asta che ci dia la spinta?

Scrollai quei pensieri di dosso quando la granita congelò momentaneamente il mio cervello, provocandomi una sensazione spiacevole che durò non più di qualche secondo. Gettai il bicchiere di plastica nel cestino più vicino e mi avviai verso il Faneuil.

Ci saranno altri eventi. Mi ripetevo, camminando a passo spedito sul marciapiede

Lauren sarà presente. Non prendertela. Continuavo, tentando di eclissare le brutte sensazioni sotto una forma di pensiero rassicurante.

Si, certo... Finché Lucy non la chiamerà e lei correrà ovunque le chieda di andare. Aggiunse il mio subconscio e per quanto mi rimproverassi per averci anche solo pensato, per quanto volessi non vederlo, per quanto mi scansassi da quell'idea non tanto abilmente, non potei fare a meno di attribuire un pizzico di colpa a Lauren.

Lauren che non si trovava lì con me.

E so quanto sbagliato fosse, perché la corvina era stata messa davanti ad una scelta che propria non era. Aveva dovuto fare quello che era meglio per la band, per noi... Eppure, per quanto frantumassi quel pensiero, un briciolo restava pur sempre vivo e si insidiava negli angoli più remoti di me.

Lauren mi aveva lasciata da sola per andare con Lucy.

Quando arrivai al centro commerciale, Dinah e le altre si trovavano già lì. Austin non era ancora arrivato.

La polinesiana mi venne incontro, stringendomi in un abbraccio amichevole. Giurai di aver visto delle lacrime velare i suoi grandi occhi.

«Sono così fiera di te. Questo tour sarà pazzesco e, anche se noi saremo molto spesso dall'altra parte del Mondo...» Disse con voce sommessa, leggermente incrinata.

Lauren sarà sempre dall'altra parte del Mondo. Non potei fare a meno di pensare.

«Io cercherò di venire ai tuoi concerti.» Terminò Dinah, stringendomi nuovamente fra le sue braccia.

Ally e Normani non si potevano dire tanto contente. Essere presenti a quell'evento ricordò loro che la mia presenza nel gruppo era caduca, che presto sarei tornata ai miei impegni e noi ci saremo sentite di sfuggita, senza avere veramente voglia di scriverci.

Accettai i loro complimenti, pretesi di non accorgermi dei sorrisi tirati che mettevano in scena. So che anche loro non volevano risultare meschine, tantomeno ferirmi, ma sapete erano presidiate dal mio stesso problema: subconscio.

«Canterai la nuova canzone?» Domandò allegramente Dinah, sbirciando fra i miei appunti.

«No.» Scossi la testa affranta. «Volevo cantarla perché Lauren sarebbe dovuta essere qui, ma non verrà. Perciò...» Mi strinsi nelle spalle, sospirando.

I loro sguardi si posarono nervosamente su di me. La polinesiana lasciò perdere gli spartiti e si avvicinò con accortezza, poggiando una mano sulla mia spalla.

«Avete litigato?» Chiese con non poca remore.

Forse una discussione sarebbe stata meglio. Almeno avrei avuto la certezza che nessuno la stava allontanando da me.

«No.» Sentenziai, osservando le loro espressioni tramutare da agitate a confuse. «Lucy.» Dissi con disprezzo, portando le braccia conserte. Non mi trattenni dal puntellare le unghie contro la carne, tentando invano di scacciare quella sensazione che si ramificava sotto pelle.

«Oddio, quella ragazza è incorreggibile.» Commentò Normani, trovando l'approvazione di tutte loro che per quanto cercassero di rincuorarmi, non avevano neanche loro le parole giuste per farlo.

Ally ci raccontò di Seul, dirottando l'argomento su un'altra direzione per distrarmi. Il ragazzo le piaceva sempre di più e non credo di aver mai sentito dire ad Ally, prima di allora, di essere innamorata.
"Quasi." Specificò, facendoci ridacchiare.

Austin arrivò quindici minuti dopo, scortato dal suo e dal mio manager. Quando Patrick mi affiancò, le ragazze dissero che sarebbero andate a prendere qualcosa da bere e mi fecero un grande in bocca al lupo per l'esibizione. Era chiaro che detestassero il mio manager tanto quanto me.

«I miei talenti!» Fece scivolare le braccia attorno alle mie spalle e a quelli di Austin, avvicinandoci in un abbraccio stritolante.

Il ragazzo mi salutò con un veloce gesto della mano, io reciprocai con un cenno della testa e un'alzata di sopracciglia. Quello era il massimo della cordialità che potevo sperimentare al momento.

Patrick si risistemò la montatura degli occhiali che nell'impeto gli era scivolata sul dorso del naso, obliquamente.
Passò le mani sulla camicia, rinvigorì il colletto dalla giacca blu navy e sorrise nella mia direzione, annunciandomi che prima si sarebbe esibito Austin con una nuova canzone e dopo sarebbe stato il mio turno.

Quel sorriso che non accennava a dissolversi, lo sguardo abbattuto del ragazzo, il modo in cui Patrick continuava a guardarmi da dietro le lenti che non dissipavano la sua aria sorniona... Che cosa non mi dicevano?

Non ebbi tempo di domandarlo, perché i due se ne andarono in tutta fretta, essendo stati richiamati sul palco dal presentatore.
Approfittai del momento per avvicinarmi alle ragazze, le quali si erano messe al lato del palco per non essere risucchiate dalla piccola folla che si accalcava contro le inferriate.

«Non devi avercela con Lauren.» Esordì Dinah, spiazzandomi compiutamente.

Mi voltai di scatto, cercai di negare, ma uscirono solo parole sconnesse che aggravarono soltanto la mia posizione. Infine sbuffai e annuii, abbassando lo sguardo in maniera colpevole.

«Lo so. Però, non posso fare a meno di pensarci.» Giocai nervosamente con il microfono stretto fra le mie mani.

«Lo sta facendo per voi Mila.» La sua mano circondò le mie spalle, attirandomi in un abbraccio confortevole, eppure tutto quell'essere consolata, non faceva altro che ingigantite le mie ubbie.

«Ci saranno altri eventi e Lauren non se li perderà per niente al mondo.» La sua convinzione veniva tradita da una scaglia di indecisione che franava fra le sue labbra.

Nessuno aveva la certezza che Lucy non avrebbe rovinato anche le prossime serate, le prossime esibizioni, festività, compleanni... Era come una brutta malattia che infettava le nostre vite. Come guarire da qualcosa che sfugge al governo proprio?

La conversazione non proseguì, perché il mio nome echeggiò nel centro commerciale e la folla mi accolse con un boato di urla e applausi. Dinah mi mostrò i pollici, le altre due sorrisero e mi spronarono a salire sul palco.

Cantai cinque canzoni, da partire dalla mio testo di debutto Crying in the Club e terminando con I have questions, la canzone che mi aveva ispirato la notte che avevo scritto la lettera di scuse a Lauren.

Piangevo sempre quando intonavo quella canzone, perché il pensiero ricorreva alla notte in cui avevo deciso di andarmene, consapevole di farlo per il mio bene, ma obbligata a lasciarmi alle spalle anche la persona che amavo.

Quando ebbi terminato la sessione, dal pubblico si levarono delle grida, cartelloni con frasi scritte sopra e qualcuno brandiva il mio album sopra la testa, facendolo oscillare come per richiamare la mia attenzione. Dopo aver comunicato le date della tournée, stavo per scendere, ma Austin fu richiamato sul palco e ci accostarono assieme.

Mormorai un "che succede?" nella sua direzione, ma l'unica cosa che notai, prima della disfatta, furono le sue labbra mimare un semplice "mi dispiace".

Il presentatore comunicò che Austin sarebbe venuto in tour con me, che avrebbe avuto l'onore -proprio così disse- di aprire i miei concerti e mentre i fans ci acclamavano più forte che mai, sentii l'eco delle voci farsi lontano, indefinibile.

Io non avevo firmato il contratto e non l'avrei mai fatto prima di discuterne propriamente con Lauren, ma ricercando lo sguardo di Patrick nel pubblico capii che era stato lui a imbandire tutto quello. Mi aveva trascinata lì con una scusa, quando il reale motivo era annunciare la collaborazione con Mahone.

Fortunatamente chiamarono il prossimo artista e io scesi dal palco come una furia, puntando dritta verso il mio manager. Non mi curai dei fan, né delle occhiate di Austin, o delle prediche delle ragazze.

«Hai firmato senza dirmelo?!» Ringhiai, additandolo rigidamente.

Patrick sospirò, infastidito dal mio comportamento puerile e per l'ennesima volta si sistemò la cravatta, allentandone il nodo rosso perfettamente legato.
«Camila, non mi hai più chiamato, non hai preso una decisione e in quanto tuo manager l'ho fatto io al tuo posto.» La sua integrità era disarmante, sembrava non importargli del mio punto di vista, anzi: era proprio così.

«Ma, ma non hai pensato che... che magari io non volevo!» Balbettai per l'incontenibile rabbia che ribolliva nelle mie vene.

«C'ho pensato, ma ho guardato le cose da un punto di vista professionale.» Alzò il mento, come per vantarsi delle sue doti manageriali che mi avevano sempre portato lontano, ma adesso mi irritavano come non mai.

«Potrei licenziarti per questo.» Ammisi in tono duro, serrando la mascella.

Lui annuì, non mancando di dare sfogo al suo usuale vizio di pulire le spalline della giacca.
«Lo so. Non sei la mia unica cliente, ma mi dispiacerebbe molto. In più, il contratto è già stilato. Anche se mi licenziassi, non cambierebbe le carte in tavola.»

Non sapevo come replicare, non sapevo neanche se avesse senso continuare a battibeccare quando ormai la decisione era, apparentemente, irrevocabile.

Mi confidò di aver firmato un mese addietro, ma di avermi lasciata all'oscuro di tutto fin quando anche il manager di Austin aveva deciso di apporre la firma. I termini erano stati scritti, la decisione presa. Non potevo fare niente, almeno che non cancellassi la tournée ed era l'ultima cosa alla quale pensavo.

Mi voltai verso Austin, il quale ci aveva silenziosamente raggiunti e si era sistemato a qualche passo da noi, per darci una parvenza di privacy.

«Tu lo sapevi?» Domandai acremente, riducendo gli occhi a piccole fenditure.

«Io.. io..» Farfugliò, poi abbassò la testa, sparendo dietro la visiera verde militare ed annuì.

Il mio pensiero volò a Lauren e una lacrima percorse il mio volto. Tutto mi ricordava di quel giorno...

Mi stavo esercitando in sala prove, la mia voce era l'unica a risuonare nella grande stanza, mentre le altre ragazze avevano già finito di prepararsi da un po' e ora si stavano vestendo nei camerini.

Dovevamo esibirci come sempre, ma quella sera un piccolo particolare ostacolava il dipanarsi consueto dei nostri concerti. Io ed Austin eravamo stati ingaggiati per cantare una canzone d'apertura, un testo d'amore storico. Avevo opposto resistenza, naturalmente. Mi ero imposta contro il volere del management, dicendo che era già abbastanza farsi vedere in pubblico, ma a loro non bastava. Non più.

Mi ero piegata al loro volere, chiudendomi in sala prove a gorgheggiare sul testo. Non mi era sfuggito il dettaglio che, fatalità del destino, era la stessa canzone che Lauren aveva cantato per me nello studio di registrazione tempo prima.

Qualcuno bussò alla porta, io l'allontanai bruscamente, avendo espressamente chiesto di non essere disturbata: non era dell'umore giusto per rivolgere la parola a nessuno.

«Non credevo che la regola della quarantena contasse anche per me.» Scherzò la corvina, facendo capolino dalla porta.

«Certo che no.» Sorrisi, facendole segno di avvicinarsi. Richiuse l'uscio alle sue spalle, i suoi passi risuonarono contro il pavimento di linoleum.

«Ho saputo dell'esibizione fuori programma.» Disse, sforzandosi di sorridere, ma storcendo ugualmente la bocca. Certe emozioni non sono facili da reprimere, non puoi pretendere di non vedere ciò che fa male perché il dolore non trova nascondiglio.

«Mi dispiace tanto Lauren. Ho tentato di, ma...» Mi interruppe, avvinghiando le sue braccia al mio collo.

L'abbracciai ancora più stretta a me, immergendo la faccia nella sua spalla, respirando l'effluvio naturale della sua pelle.

«Facciamo quel che dobbiamo.» Mormorò, attutendo la voce nella massa dei miei capelli. Io annuii, ringraziandola tacitamente della sua comprensione.

«Quella canzone è solo nostra, e così resterà. Non importa se oggi la canterai con lui, so che lo farai guardando me.» La sua voce era leggermente incrinata, ma fece di tutto per non darlo a vedere.

«È solo un'esibizione. Loro resteranno sempre fuori dalla nostra vita, no?» Distaccò leggermente la testa per guardarmi negli occhi. E fu in quel momento che riconobbi la paura assorbire il colore verde delle sue iridi.

Proprio come io avevo avuto bisogno del suo conforto, lei ora necessitava della mia convinzione per scacciare i molti dubbi che assediavano la sua mente.

«Certamente.»

Mi guardai attorno, le persone urlavano il mio nome, Patrick sorrideva placidamente nella mia direzione, Austin non aveva ancora alzato lo sguardo e le ragazze si tenevano a debita distanza, attonite tanto quanto me.

Tanta confusione che mi confondeva, disperdendosi nel nulla.

Che cosa avrei detto a Lauren?

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