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Il tempo passa, lo dicono tutti, ma Shizuo non è poi tanto sicuro di questa cosa.

Le lancette del suo orologio sono sempre in un punto diverso rispetto a quello dell'ultima volta; a volte, ma questo succede più raramente, cambia anche il numerino che c'è nel piccolo cerchio in basso a destra.

Il tempo scorre, dunque. Allora perché non è più in grado di sentirlo?

La vita prosegue, indifferente, ma è come se lui fosse stato messo all'angolo, spettatore di una realtà a cui appartiene ma che non gli appartiene.

E allora prosegue anche lui, indifferente come lei, ma è come se non si muovesse. A volte gli capita di percorrere chilometri interi, ma la sensazione di statico di rimane attaccata alle osse. Una volta arrivò a piedi fino a Shibuya, senza rendersene conto, semplicemente mettendo un piede davanti all'altro come un automa. Giunto lì ci mise comunque un lasso considerevole di tempo per accorgersi di non essere più nella sua città, davanti ai suoi occhi apatici gli scenari di Ikebukuro si sovrapponevano sempre a quelli di Shibuya.

Ma c'erano degli attimi, sporadici, in cui Shizuo poteva sentire i granelli della polvere del tempo scivolargli fra le dita. Non succedeva quasi mai, ma poteva capitare che lui si ritrovasse a seguire un particolare familiare: a volte gli capitava di vederlo. E non sto parlando delle sue solite allucinazioni, no, a volte lo vedeva davvero. Non era mai lui, questo è chiaro e, dentro di sè, Shizuo ne aveva la consapevolezza, ma non poteva fare mai a meno di voltarsi quando vedeva un caschetto scuro come il suo, o un giaccone simile.
Allora prontamente voltava il capo e, altrettanto prontamente, rimaneva deluso.

Il tempo scorre, ripeteva Shizuo quando guardava i fiori appassiti che aveva portato la volta precedente, sono io l'unico orologio rotto, borbottava sostituendoli ad altri freschi.

Il tempo scorre, lento, lascia cambiare le stagioni, sciogliere la neve e sbocciare i fiori, lascia maturare il grano e lo guarda venir falciato.

Il tempo scorre, ma Shizuo è fuori da esso. Non ne è immune, ma non ne può nemmeno essere partecipe.
Resta semplicemente lì, ove il tempo lo ha messo, appena fuori ma non troppo lontano, e osserva. Guarda il tempo scivolargli addosso ed eroderlo come l'acqua alle rocce, immobile come un orologio rotto dimenticato su un mobile.

Un orologio rotto segna comunque l'ora corretta due volte, Shizu-chan.

Due volte. È vero, Shizuo aveva cognizione del tempo solo in due occasioni nel lungo arco della giornata.
La prima volta era in tarda mattina, quando usciva a vagava per le strade di Ikebukuro salvo poi trovarsi davanti all'appartamento di Izaya sempre a mezzogiorno in punto, non aveva importanza a che ora partisse.
La seconda è ultima volta era nel pomeriggio, quando metteva un piede innanzi all'altro fino a quando non trovava gli occhi di Izaya che lo fissavano attraverso il vetro.

Sorrideva, in quell'occasione, uno di quei rari sorrisi che potevano tranquillamente farlo passare per una persona normale.

Nessuno venne mai a sapere che a fotografarlo in quell'istante fu proprio Shizuo.

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