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Ma quant'è bello quando ti dicono che non puoi assolutamente mancare ad un funerale ma evitano con cura di dirti chi ha lasciato questo mondo ingiusto?
Shizuo si guardava allo specchio, apatico e confuso, senza capire la ragione che lo muovesse a presenziare a quell'evento che capita una volta sola nella vita.
Il completo nero gli fasciava gentilmente il corpo massiccio, donandogli uno strano senso di inquietudine; lo faceva sembrare umano. Lui, abituato a sentirsi chiamare con l'appellativo di mostro, così vestito sembra solamente un uomo solo.
Guarda i fiori che ha scelto di acquistare per l'occasione, il loro candore in contrasto con il cielo plumbeo. Non conosce il nome della persona morta, è vero, ma gli è sembrato un gesto da fare, doveroso quasi.
Lascia la mente libera di vagare mentre aspetta Shinra.
Quando il castano lo raggiunge, Shizuo non può fare a meno di notare l'assenza dell'allegria che l'ha sempre caratterizzato sostituita da cupa consapevolezza e uno strato di malcelata preoccupazione. Il biondo non fa domande, la reazione del castano è comprensibile dato il luogo dove si stanno recando.
Vorrebbe chiedere chi stanno andando a salutare per l'ultima volta, in modo da non fare la figura del fesso una volta innanzi alla famiglia. Ma non lo fa.
Resta in silenzio, camminando al fianco del dottore per le strade di Ikebukuro.
Quando inizia a piovere, da prima gocce leggere e sporadiche come una dolce carezza, ben presto un temporale degno di questo nome, il castano porge un ombrello color pece all'amico, identico al suo. Di solito, al biondo la pioggia non dispiace, tuttavia è costretto ad accettarlo, presentarsi zuppo non sarebbe molto indicato.
Shizuo, con la vista in parte celata dall'ombrello segue docilmente l'amico, fino a quando due paia di piedini, vestiti tutti e quattro di ballerine nere con un fiocchetto del medesimo colore, non si presentano a interrompere la sua visuale, altrimenti occupata dal manto grigio del marciapiede.
Incuriosito alza l'ombrello quel tanto che gli basta per vedere le bambine ferme innanzi a lui. Le bambine in questione non hanno alcuno ombrello a ripararle dalla pioggia, che imperla i loro capelli scuri, lasciati sciolti per l'occasione e lungo i vestiti, del medesimo modello ma di colori differenti. Bianco e nero.
Sono fradice, e Shizuo ha la vaga consapevolezza che dovrebbe passargli il suo ombrello o portarle in un luogo chiuso, evitando loro di prendere un malanno. Ma Shizuo non ci riesce.
È confuso. Stupito, forse. Kururi e Mairu ricambiano il suo sguardo, lasciando vedere al biondo null'altro che dei grandi specchi scuri e vacui.
Se gli occhi sono lo specchio dell'anima, a loro è stata appena portata via.
Vederle sole, in giro per la città, non è poi una gran sorpresa; a stupire Shizuo è il loro abbigliamento, oltre all'espressione. Si ricompone, poi, e lascia vagare lo sguardo nei dintorni, in cerca, possibilmente di un corvino alquanto psicopatico. Non trovando ciò che cerca si rivolge alle minori della famiglia.
"Izaya vi lascia girovagare conciate così? Potrebbe essere pericoloso." Pericoloso, certo, pericoloso più per i possibili maniaci che per le bambine. Shizuo guarda Kururi abbassare il volto, lasciando i capelli a coprirle il viso.
"A Izaya non importa più." La sente mormorare prima che ella giri i tacchetti e trascini via la sorella prendendola per mano. Le guarda andare via, cercando una spiegazione a quella possibile reazione. Quando Shinra gli si avvicina, poco dopo, lo fa lentamente studiando con cura la sua espressione. Pare essere sollevato da ciò che non trova e Shizuo lo conosce abbastanza da sapere che è meglio non chiedere.
Per sua volontà è rimasto lontano dal rito funebre. Non gli sono mai piaciuti gli addii, o la gente che piange, o la gente che piange durante gli addii. Capisce il dolore che le persone provano nel dire addio ad un loro caro, ma impersonando il defunto, non pensa che egli possa mai desiderare questo per le persone che ama. O almeno, lui non lo vorrebbe.
Guarda il piccolo gruppo di persone strette fra loro, un'unica macchia nera in mezzo al prato verde in cui spicca il vestitino candido di Mairu. Resta lì, solitario, accanto ad un albero dalle ampie fronde, un'ombra che si staglia sul cielo grigio. Quando la gente inizia a scemare si allontana dall'albero, avvicinandosi solo quando di quel gruppo non resta altri che Shinra. Anche in quel momento, quando sa che tutta la sua attenzione dovrebbe essere catalizzata davanti a lui, non può fare a meno di guardarsi intorno, cercando una slanciata figura corvina che abbraccia le due bambine. Di nuovo, non è soddisfatto.
Proprio mentre si sta appuntando mentalmente di fare un bel discorsetto a quella pulce irresponsabile e menefreghista si trova abbastanza vicino alla tomba da leggerne i kanji.
I fiori in mano sua cadono ordinatamente sul monumento funebre e lui, mai come adesso, avrebbe voluto essere analfabeta. Ma, anche se lo fosse stato, la fotografia non ha bisogno di essere letta.
Il tempo si ferma, come tante volte in cui i loro occhi si incontrano, ma stavolta è diverso. Sono lì, uno innanzi all'altro, ma non lo sono. Gli occhi di Shizuo non si scontrano, per poi fondersi, con quelli castano-rossastri dell'Informatore di Ikebukuro. Incontrano il gelido vetro della fotografia, su cui le gocce di pioggia scivolano come lacrime, e lì si fermano.
Hanno lottato per anni, dalla guerra aperta alle scaramucce tipiche dei bambini, dalle lame dei coltelli agli insulti biascicati quando si ha troppo alcool in corpo per scandirli chiaramente. Hanno ballato per anni questa macabra danza, senza mai attraversare nessun filo che avrebbe portato la situazione ad un qualche finale irreversibile.
Amici, nemici, rivali, amanti, erano qualunque cosa. E non erano niente.
Ed ora eccoli qui, non volevano scegliere nessun filo, allora un filo di ferro si è avvicinato a loro, recidendo con una crudeltà sorprendente il fragile filo rosso; spezzando in maniera irreversibile e definitiva ogni cosa.
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