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Capitolo 7

Rimasi immobile in mezzo alla fitta boscaglia, con lo sguardo perso nel vuoto. Nella mia testa continuava a risuonare una sola parola. Una parola che portava con sé racconti di orrori passati, storie di terrore e agonia, ma anche di coraggio e sacrificio: Angband.

Antica e immensa fortezza oscura fondata da Morgoth come prigione per la sua roccaforte maggiore, Utumno, era controllata dal suo maggior seguace, Sauron. In quegli anni la Terra di Mezzo era stata sopraffatta dal potere di quell'oscuro regno, cadendo nel pieno controllo di Morgoth, il quale devastò senza pietà quelle terre e portò i Noldor a compiere perfino lotte fratricide. Non vi erano altro che dolore e morte.

Sulla fronte Morgoth portava una corona di ferro, sulla quale vi erano incastonate tre preziose gemme: i Silmaril. Gioielli dall'immensa bellezza e perfezione, creati da Fëanor quando i Noldor vivevano ancora a Valinor. In esse vi era racchiusa la Luce dei due Alberi di Valinor, infatti splendevano di luce propria. Ma Morgoth non era degno di possederle, per questo nel rubarle sì ustionò gravemente la fronte e le mani, e mai sarebbe riuscito a guarire da quelle ferite.

Gli Elfi furono però in grado di recuperare uno dei Silmaril, grazie alla grande, ma anche dolorosa, impresa di Beren e Lúthien. Questa gemma fu presa in seguito da Eärendil, il quale, guidato dalla luce del gioiello, partì alla volta di Valinor in rappresentanza di Elfi e Uomini.

Egli chiese perdono per agli atti orribili che avevano commesso gli uno contro gli altri, e domandò aiuto contro Morgoth. I Valar furono commossi dalla sua preghiera, e, insieme ai Vanyar, i Noldor rimasti a Valinor e ad alcuni Maiar, mossero verso la Terra di Mezzo, dichiarando guerra a Morgoth. Perfino i Teleri offrirono le loro navi all'esercito dei Valar, ma decisero di non unirsi alla battaglia, ricordando il massacro del loro popolo da parte dei Noldor avvenuto ad Alqualondë.

L'esercito attraversò il Beleriand e si scontrò contro le forze di Morgoth sulla pianura dell'Anfauglith. La terra tremava violentemente e i lampi della battaglia erano visibili da lontano. Venne chiamata Guerra d'Ira.

L'esercito dei Valar distrusse completamente le armate di Orchi di Morgoth e i Balrog, tranne pochi che riuscirono a fuggire nascondendosi in profonde caverne. Temendo la propria sconfitta, Morgoth scatenò le sue armi più potenti: i draghi alati. Per un poco riuscirono a respingere l'esercito dei Valar, ma sul campo di battaglia giunse Eärendil con la sua nave volante Vingilot, insieme alle aquile di Manwë, che insieme lottarono contro i draghi, uccidendone molti tra cui il loro capo, Ancalagon il Nero.

Infine Morgoth fu catturato mentre si nascondeva nelle segrete più profonde di Angband, legato nuovamente con la catena Angainor, la più resistente mai forgiata, e i due Silmaril in suo possesso furono presi dal Maia Eönwë, l'araldo di Manwë. Le gambe di Morgoth furono tagliate fino all'altezza delle ginocchia e la sua corona di ferro gli fu messa come collare.

Alla fine, come colpo di grazia, i Valar lo scagliarono attraverso la Porta della Notte oltre le Mura del Mondo, nel Vuoto Atemporale, da dove non sarebbe mai potuto fuggire. Ëarendil stesso si offrì per sorvegliare la Porta, per non dare a Morgoth la ben che minima possibilità di uscirne.

Ma a causa dell'enorme forza usata dall'esercito dei Valar, i danni derivanti dalla guerra furono immensi. Gran parte delle terre a ovest degli Ered Luin furono devastate e sprofondarono nel mare, il Beleriand scomparve per sempre e la Terra di Mezzo ne uscì profondamente alterata.

Ëonwë domandò agli Elfi sopravvissuti di tornare con lui nelle terre di Aman e la maggior parte di loro decise di seguirlo, ma alcuni rifiutarono l'offerta recandosi verso oriente, dove diventarono re dei restanti Noldor e Sindar, e degli altri Elfi che vivevano nell'est, come gli Elfi Silvani.

Utumno fu distrutta completamente e i pochi resti sprofondarono nel mare, mentre di Angband rimasero solamente le mura e parte della fortezza, circondata da un immenso deserto di ghiaccio, il Deserto Settentrionale.

Anche se ridotta in rovina, Angband continuò però a rappresentare una minaccia. Infatti ai confini del Deserto nacque il regno di Angmar, fondato dal Signore degli Spettri dell'Anello, conosciuto poi come Re Stregone di Angmar, ed il Monte di Gudabad cadde anch'esso in suo potere. Da quella nuova fortezza gli Orchi avrebbero potuto attraversare il Deserto Settentrionale, facendo così rinascere il grande potere di Angband.

Ma quando Sauron fu sconfitto a Mordor, il Re Stregone scomparve con lui dalla Terra di Mezzo ed Angmar venne conquistata dagli Elfi e Uomini del Nord, e venne sventando così il ritorno di Angband.

Se davvero il piano di Davoch era quello di rifondare Angbad, avrebbe dovuto prima riconquistare Angmar e non gli sarebbe bastato di certo il suo esercito di Elfi corrotti, ma ogni creatura del Male della Terra di Mezzo. Un'armata talmente potente che nessun esercito di Elfi, Uomini e Nani avrebbe potuto fermare.

Davoch era potente, ma non così tanto da radunare tutti i servi del Male: doveva esserci per forza qualcos'altro nascosto nell'ombra. L'importanza della sua cattura era più grande di quanto pensassi inizialmente, questa volta non potevo permettermi di fallire.

Ricominciai a correre, aumentando sempre di più la velocità. Sentivo una nuova forza scorrere dentro di me, tanto desideravo stanare quell'essere senz'anima. Sfrecciavo tra gli alberi come una saetta, quasi senza lasciare tracce del mio passaggio.

Ben presto la vegetazione cominciò a diradarsi, lasciando il posto alla fredda roccia delle Montagne Nebbiose. Il sole ormai era scomparso e scure nubi si addensavano spinte da un forte vento gelido proveniente da Est, nascondendo la luce delle stelle. Dal cielo cominciarono a cadere alcune gocce di pioggia, via via sempre con maggiore intensità.

Il sentiero divenne più tortuoso e la pioggia rendeva le rocce scivolose e insicure, per cui dovetti aggrapparmi alla parete di roccia alle mie spalle per non perdere l'equilibrio. Mi ritrovai nel bel mezzo di una tempesta di fulmini e il rombo dei tuoni era assordante, come se si stessero formando nei dintorni.

E fu proprio allora che li vidi: enormi giganti di pietra che combattevano l'uno contro l'altro scagliandosi addosso imponenti massi di pietra presi dalle montagne circostanti. Quello non era un semplice temporale, ma una gara tra Tuoni. Avrei voluto spiegare le mie ali di fuoco e andarmene via all'istante, ma la tempesta di fulmini era troppo violenta e avrei potuto essere colpita da un gigante. Mi sentivo come in trappola.

In quel momento uno dei giganti di pietra venne colpito e perse l'equilibrio; mentre cadeva tentò di aggrapparsi ad una montagna, la stessa montagna dove mi trovavo.

Mi strinsi ancora più forte alle rocce, premendo con maggiore forza la schiena contro il fianco della montagna, mentre il terreno sotto di me tremava e cumoli di roccia cadevano a poca distanza da me. Dovevo assolutamente trovare un riparo, altrimenti non avrei saputo come sarebbe andata a finire. Per cui, sempre con la schiena appoggiata alla montagna, ripresi ad avanzare nel mezzo della tempesta, sperando di trovare al più presto una grotta dove attendere la fine della battaglia tra Tuoni. A malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti e le dita delle mani erano ormai congelate dal freddo, ma continuavo ad andare avanti.

Non so per quanto ancora continuai ad avanzare, ma riuscii finalmente a trovare una grotta. Era piccola e umida, ma almeno mi avrebbe tenuta al sicuro dalla tempesta. Controllai che non vi fossero altre entrate nascoste o crepe nel terreno: le Montagne Nebbiose erano note per l'ingente presenza di Troll. Non trovando niente potei finalmente tirare un sospiro di sollievo: ero in salvo.

Accesi un piccolo focolare per tenermi al caldo e mangiai un pezzo di pane elfico, dal sapore dolce e delicato. Infine mi tolsi la giacca ormai fradicia e la misi vicino al fuoco ad asciugare, insieme agli stivali. Mi sedetti il più vicino possibile alle fiamme, osservando il loro movimento simile ad una danza. Rimasi incantata dalla bellezza del fuoco e ben presto gli occhi si fecero sempre più pesanti, mentre si sentivano ancora i tuoni e i fulmini squarciare il buio della notte ...

Mi ritrovai in una caverna, circondata da teschi ed ossa di antichi cadaveri. Alle pareti vi erano appese delle nere catene, delle altre più robuste tenevano imprigionato un giovane Elfo. Il busto era martoriato da profonde ferite e lividi neri, segni di atroci torture.

L'esile Elfo era steso a terra privo di sensi, con i polsi legati, e i gemiti di dolore erano intervallati dai brividi per il freddo pungente. Le spalle larghe e proporzionate erano coperte da segni di violente frustate, la vita stretta e i fianchi sottili erano coperti da un logoro telo grigio. Era pallido come la luna, in un primo momento avevo perfino pensato che fosse morto. I lunghi capelli castano chiaro che gli coprivano il viso leggermente squadrato, erano unti e sulle punte vi erano grumi di sangue rappreso.

Mi avvicinai per soccorrerlo, ma qualcosa mi impediva di muovermi, come se ci fosse un muro invisibile a bloccarmi. Cominciai ad urlare per attirare la sua attenzione, ma sembrava rimanere privo di coscienza.

All'improvviso alzò il capo e mi guardò dritta negli occhi.

Conoscevo quello sguardo, quegli occhi color nocciola chiaro, quasi verdi, con una leggera sfumatura dorata e dal taglio allungato.

Calen.

Le gambe mi cedettero e caddi in ginocchio. Non potevo crederci, non volevo crederci.

- Calen ... cosa ti hanno fatto ... - riuscii a sussurrare con voce tremante e le lacrime agli occhi.

Mi risvegliai di soprassalto, in preda all'angoscia. Il cuore batteva forte nel petto, come se da un momento all'altro potesse uscirne. Il fiato era corto e irregolare, mani e ginocchia non smettevano di tremare.

Del focolare accanto a me rimanevano soltanto dei tizzoni ardenti, mentre fievoli raggi di sole illuminavano l'entrata della grotta.

Mi presi la testa tra le mani e cercai di fare respiri profondi.

"Era soltanto un sogno, uno strano scherzo della mia mente ... non era reale" continuavo a ripetere a me stessa.

Mi alzai da terra e mi sporsi fuori dalla grotta. Il sole splendeva alto nel cielo, doveva già essere mezzodì: senza accorgemene, avevo dormito tutta la mattina. Una leggera aria tiepida mi accarezzò il viso, come se non vi fosse mai stata un tempesta.

Rientrata nella grotta, cominciai a preparare nuovamente la mia sacca. La giacca era ormai asciutta, così come gli stivali a cui diedi un ulteriore pulita. Affilai la lama della mia spada per renderla ancora più letale. Infine migliorai il bilanciamento delle frecce, assottigliandone la punta metallica e sistemando il morbido impennaggio rosso con piccole strisce bianche, dando così minore perdita di traiettoria.

Ma non riuscivo a togliermi dalla testa quel sogno. Quegli occhi pieni di sofferenza, quel corpo martoriato e quella mia incapacità di poter fare qualcosa per aiutarlo mi divoravano dall'interno.

Abbandonai la grotta nel tardo pomeriggio, cancellando prima le tracce del mio passaggio, e mi misi di nuovo in cammino sul sentiero tortuoso che percorreva il fianco della montagna. Il terreno era ancora umido e sulla parete di roccia vi erano grosse chiazze d'acqua, gli unici segni rimasti della tempesta.

Era ormai il tramonto quando arrivai dall'altro lato delle Montagne Nebbiose, in prossimità del fiume Anduin. Improvvisamente sentii un forte rumore provenire dal cielo: il grido di un'aquila. Dopo quello se ne aggiunsero degli altri, dovevano essere almeno una decina.

Non potevano essere comuni aquile, ma aquile di Manwë. Creature estremamente intelligenti, le prime a sorvolare i cieli della Terra di Mezzo.

La loro presenza non poteva essere un caso, nei dintorni doveva essere accaduto qualcosa. Non aspettai altro ed evocai dentro di me la Fiamma, sentendo subito dopo un familiare formicolio alle scapole.

Schiusi le mie maestose ali di fiamme blu, grandi abbastanza da potermi fare da strascico, e dandomi una leggera spinta presi il volo.

Ogni cosa sembrava rimpicciolita e da lassù mi sentivo in pace: vi ero solo io, la luna appena sorta e le prime stelle della sera. Prima che me ne potessi rendere conto mi sfrecciò accanto una gigantesca aquila, sfiorandomi quasi le dita della mani. Altre quattordici mi volarono accanto, come se non ci fossi.

Puntavano tutte verso i pendii di una montagna, da dove divampavano le imponenti fiamme di un incendio.

Un altro suono riempii l'aria: l'ululato di lupi mannari.

Non esitai a seguire la scia delle aquile, qualcuno era in grave pericolo.

ANGOLO DELL'AUTRICE

Salveee :) capitolo più lungo rispetto al precedente, ma volevo spiegare alcune cosette. Per tutti gli appassionati di Tolkien: ho voluto "spostare" leggermente Angband, quindi non risulta più sommersa dal mare ma solo ridotta in rovina, non uccidetemi ahaha ;)

Le fortezza di Angmar, il Monte Gundabad e soprattutto il regno di Angabad, sono davvero abbandonati come dicono? Belthil ha semplicemente sognato il suo amato Calen oppure ha avuto una sorta di visione?

Fatemi sapere cosa pensate che succederà, anche se lo scoprirete continuando a leggere ;)

Bacioni

Giulia :3 

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