Capitolo 22
CONSIGLIO PER LA LETTURA : “Ancient light” di Allman Brown
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Thranduil’s p.o.v
Pochi istanti prima stavo discutendo con Mithrandir e Bard l’Arciere sulla remota possibilità di un attacco del Nemico, cosa alquanto improbabile visto che le mie guardie ai confini non avevano avvistato alcun esercito in marcia. Ma poi, come una stella cadente, al fianco di Mithrandir comparve lei.
Belthil.
Alzò lentamente lo sguardo, fino a quando non lo incrociò con il mio. Mi pervase subito uno strano sentimento, un misto di odio e rimorso: la odiavo ancora per quello che era accaduto a Mordor, mio padre era morto a causa sua; ma nello stesso tempo rimpiangevo quella scelta di tenerla lontana da me, di bandirla per sempre dal mio freddo cuore di pietra.
Anche se per un Elfo tre secoli non erano altro che un granello di sabbia nella clessidra della sua vita immortale, notai che qualcosa in lei era cambiato profondamente. La luce del suo volto si era offuscata, non risplendeva più come quando era appena arrivata dalle Terre Immortali, era come se fosse stata catturata da una tetra ombra. Gli occhi chiari erano spenti, sembravano quasi privi di vita; i lunghi capelli rossi erano stati tagliati appena sopra le spalle, gli abiti erano strappati e macchiati di sangue rappreso, eppure il suo corpo non presentava alcun segno di ferite.
Cosa le era accaduto? Non era più la Custode che avevo conosciuto ad Imladris.
Sentii Bard fare un passo indietro ed impugnare d’istinto la spada, sorpreso per l’inaspettato arrivo, mentre Gandalf era rimasto impassibile: sapeva che sarebbe arrivata.
-Abbassate quell’arma Bard, davanti a voi avete la Custode della Fiamma Imperitura, non avete nulla da temere.- esclamò l’Istari.
A quelle parole l’uomo ritrasse subito la mano dall’arma, per poi fare un profondo inchino.
-Mia signora perdonatemi, non avevo idea di poter ricevere una vostra visita. Il mio nome è Bard, sono momentaneamente a capo degli Uomini del Lago dopo l’attacco di Smaug alla nostra città.- disse compiendo la riverenza.
Notai una leggera smorfia sul viso di Belthil, come se non fosse a conoscenza della morte del Drago.
-Alzatevi pure Bard, non avete nulla da perdonare, so quanto il mio arrivo possa essere inaspettato …
La sua voce. Finalmente risentii dopo tanto tempo la sua melodiosa e dolce voce, forse l’unica cosa che non era mutata in lei. Nel mio cuore di pietra si formò una minuscola crepa, ma immediatamente ripresi il controllo dei miei sentimenti.
-Infatti non capisco come mai siate qui, non abbiamo alcun bisogno di voi.- dissi con voce dura, l’astio aveva preso il sopravvento.
Le mie parole per lei furono come uno schiaffo in pieno viso, infatti riuscii a sentire che il suo respiro divenne irregolare e leggermente più pesante, gli occhi si aprirono maggiormente e strinse i pugni ai fianchi. Sapevo che stava cercando le giuste parole da dire, ma decisi comunque di non darle tempo per rispondere.
-Non intendo accettare alcun tipo di consiglio da voi, avete già causato abbastanza danni al mio popolo.
Bard mi guardò con aria stranita, non aveva idea di cosa avevo passato per colpa di Belthil.
-Thranduil ascoltami … - disse lei con voce tremante.
-No, non provare a convincermi a prestarti attenzione. Noi abbiamo chiuso tanto tempo fa, e così sarà ancora per molti anni.
-Ma adesso non si tratta di noi! Non ti rendi conto che ad essere in pericolo è l’intera Terra di Mezzo?!Ho visto l’armata di Azog con i miei occhi, e se non metterai da parte i tuoi sentimenti ti posso assicurare che condannerai tutti quanti i popoli alla rovina.
Mettere da parte i miei sentimenti? Come avrei potuto farlo? Dopotutto anche lei non ne era mai stata in grado. Sapevo che presto avrei perso il controllo di me stesso, e non sarebbe bastato il vino a farmi calmare.
Avevo bisogno di rimanere da solo con lei, di mostrarle una volta per tutte tutto il dolore che mi aveva arrecato con le sue egoistiche scelte.
-Seguimi.- le dissi indicando la mia tenda allestita lì vicino - Lasciateci soli.- ordinai invece a Mithrandir e a Bard, i quali si scambiarono sguardi sopresi per la mia improvvisa decisione.
Belthil mi seguì titubante nella tenda, che chiusi immediatamente non appena fummo entrambi all’interno: nessun altro doveva vedere il mio dolore.
Lei era immobile vicino al piccolo tavolo al centro della tenda, e non aveva mai distolto lo sguardo da me. Cercava di decifrare in qualche modo la mia espressione dura e distaccata, ma presto avrebbe capito ogni cosa.
-Desiderate del vino?- le chiesi mentre presi una brocca colma di quella bevanda, versandone una buona dose nel mio bicchiere di cristallo.
La mia domanda la colse di sprovvista, probabilmente si aspettava una mia sfuriata.
-N-no … perché mi dai del voi? Sai che non è necessario …- sussurrò, ma ignorai completamente la sua domanda.
-Peccato, vorrà dire che ce ne sarà di più per me. Devi sapere che il vino è diventato quasi una cura per me, non riesco più a farne a meno. Mi fa dimenticare per alcune ore ciò che è passato, mi salva dai miei molti ricordi ... soprattutto da quelli a partire dal mio ritorno da Mordor. -feci una breve pausa, mentre quei maledetti ricordi riaffioravano nella mia mente.
- Tornai senza più un padre, senza più un Re per il mio popolo. Non ero pronto a prendere il suo posto, ma non avevo scelta. Dovetti dire a molte mogli che i loro mariti non sarebbero mai più tornati a casa, consolai i loro pianti strazianti, le aiutai in ogni modo possibile a prendersi cura dei loro figli, a volte rimasti senza entrambi i genitori. Ma mentre il popolo mi vedeva come un Re buono e compassionevole, io stavo morendo dentro. Ogni singola notte rivivevo in sogno la battaglia a Mordor, ogni momento di quella strage era impresso nella mia mente. Eppure ciò che mi tormentava maggiormente era l’enorme peso che improvvisamente era ricaduto sulle mie spalle, non appena avevo visto la vita di mio padre spegnersi nei suoi occhi. Senza accorgermene stavo cadendo in un profondo baratro, dal quale forse non mi sarei più sollevato. Lentamente il popolo cominciò a notare che stavo perdendo il controllo di me stesso, infatti quasi tutte le sere mi trovavano steso a terra con in mano una brocca di vino. Il vino era l’unica cosa che allontanava i sogni. Sogni in cui comparivi anche tu, Belthil. Tu eri l’unica che sarebbe stata in grado di impedire tutte quelle morti, ma non hai mosso un dito per fermare Sauron: hai osservato dalla sua alta fortezza oscura migliaia di persone morire per te, hai lasciato che Sauron scendesse in campo. Hai permesso che mio padre morisse. Per te provavo un rancore quasi incontrollabile, solo il tempo è riuscito ad attutirlo, ma non a farlo scomparire del tutto.
Dai suoi occhi scesero alcune lacrime che le bagnavano le guance arrossate: finalmente si era resa conto di ciò che avevo passato solo ed unicamente a causa sua.
-Voglio sapere il motivo. Voglio sapere perché hai ucciso mio padre Oropher, perché hai deciso di distruggermi. Tu sapevi quanto io tenessi a te, eppure mi hai pugnalato alle spalle.
-Davvero vuoi saperlo? - mi chiese tremante.
-Ho vissuto trecento anni di sofferenza per questo, credo di meritarmi una risposta.
Belthil prese fiato, provando a trattenere le lacrime. Passarono diversi attimi di silenzio, non riuscivo a capire come mai esitasse così tanto. Avrebbe dovuto essere una risposta abbastanza facile da conoscere, eppure sembrava avere paura di dire la verità, e forse aveva ragione ad averne.
-In quella torre io sono morta, non solo spiritualmente, ma anche fisicamente. Sauron un tempo era mio fratello, o meglio, il suo corpo racchiudeva lo spirito di mio fratello. Ma un giorno l’Oscuro Signore si riprese ciò che era suo, sterminando la mia famiglia e tutto il mio regno. In quel momento una minuscola parte del suo spirito malvagio si aggrappò al mio, creando un legame indissolubile tra noi. Da qual momento diventai parte di lui, non avrei più potuto controllare me stessa. E fu quello che accade durante la battaglia: lui prese il controllo su di me, per questo non riuscii ad impedire nulla di tutto ciò che accadde a Mordor. Ma non potevo sopportare di veder morire altri innocenti davanti ai miei occhi, e per spezzare il legame vi era un unico modo: sarei dovuta morire. E così feci, mi infilai un pugnale dritto nel cuore. Eppure la mia anima non era ancora pronta per tornare alle Terre Immortali, il mio vero destino doveva ancora avverarsi. Fui riportata in vita unicamente grazie alla Fiamma Imperitura, ma essa non riuscì a rimarginare del tutto la ferita: questa è l’unica cicatrice che non scomparirà mai dal mio corpo, un segno indelebile del legame con Sauron.
Mi crollò letteralmente il mondo addosso: avevo passato tutti quegli anni ad odiarla con tutto me stesso, quando in realtà era innocente. Anzi, il suo sacrificio aveva salvato la maggior parte di noi: spezzando il legame aveva indebolito Sauron, permettendo così ad Isildur di mozzargli il dito su cui portava l’Anello Sovrano e di sconfiggerlo. In realtà dovevo la mia vita a lei. Mi pentii di averla bandita, di averle dato l’intera colpa senza conoscere tutta la verità, di averla fatta soffrire. Mi ero lasciato vincere dalla rabbia e dal rancore, ero io stesso la causa del mio fallimento come Re degli Elfi Silvani.
Lei rimase immobile, non riusciva più a trattenere il pianto. Lei era rimasta sola, non vi era nessuno che avrebbe potuto consolarla. Il mio cuore si aprì ancora una volta per Belthil, decisi che da quel momento non l’avrei più lasciata sola. Mi avvicinai a lei e la avvolsi dolcemente tra le mie braccia, asciugando con le dita le sue lacrime.
-Perdonami, sono stato uno stupido ad addossarti tutta la colpa. Tu non hai fatto altro che salvarmi la vita, e di questo te ne sarò per sempre grato.- le sussurrai all’orecchio.
Lei rimase incredula per qualche istante, per poi abbracciarmi stretto senza interrompere il suo pianto. Era come se si fosse liberata di un enorme peso, e che quelle lacrime fossero lacrime di liberazione e di gioia. Ma non era così, c’era qualcos’altro che la tormentava, qualcosa che la faceva soffrire in un modo intollerabile, ed io sapevo di cosa si trattava: Calen non era mai stato ritrovato.
-Queste lacrime non sono solo per me, non è vero?- le domandai, e lei annuì timidamente sul mio petto. - Calen ha lasciato un vuoto incolmabile nel tuo cuore, non sai quanto sono addolorato per la tua perdita …
-Ma io non l’ho perso: Calen è ancora vivo.
Rimasi sorpreso dalle sue parole, come era possibile che fosse tutt’ora in vita? E se ciò era vero, dove si trovava? Belthil anticipò le mie domande, distaccandosi leggermente da me.
-Durante tutti questi anni ho passato ogni singolo giorno a cercare qualche sua traccia, sapevo che non era morto. Noi siamo legati, anche adesso riesco a percepire la sua presenza. Ma finalmente ho scoperto dove si trova: è tenuto prigioniero da uno dei più pericolosi e malvagi seguaci di Sauron. Davoch, comandante degli Elfi Corrotti.
Quel nome mi colpì come una pugnalata dritta al cuore.
-C’è qualcosa che non va?- mi chiese Belthil preoccupata per il mio repentino cambiamento d’espressione.
Il mio cuore ricominciò ad essere freddo, avevo bisogno di aria. Sciolsi velocemente l’abbraccio, allontanandomi di nuovo da lei.
-Non ti ho raccontato ancora tutto riguardo a ciò che avvenne in quegli anni … - dissi con un filo di voce.
Anche Belthil mutò espressione, irrigidendosi nuovamente.
-Quando fui sul punto di toccare il fondo del baratro in cui ero caduto, alla mia corte arrivò una giovane Elfa, proveniente da Lórien. Non appena la vidi la mia vita cambiò, vidi una luce tra le tenebre che mi circondavano. Il suo nome era Earinë, ed era la fanciulla più pura che io avessi mai visto durante la mia lunga vita: la sua lunga chioma dorata le contornava il dolce viso, la pelle chiara come la luna era accentuata dagli occhi azzurro tenue, dalle sfumature grigie e verdi; esile di corporatura, ma tenace e forte di spirito, mi colpì fin dal primo istante. Non riuscivo più a fare a meno di lei, era diventata la mia guida per uscire dal baratro. Con lei al mio fianco a piccoli passi riuscii a ritornare me stesso, ad essere felice. Earinë era la mia Melamin, e non passò molto tempo prima che le chiesi di sposarmi.
-Insieme passammo anni felici, ed il culmine della nostra gioia fu la nascita di nostro figlio: Legolas. Finalmente avevo una famiglia per cui sarei stato disposto a morire ed un erede a cui avrei insegnato tutto ciò che conoscevo. Più mio figlio cresceva e più rivedevo in lui molti tratti di Oropher, non potevo essere più orgoglioso di lui. Ma la nostra felicità non era destinata a durare: Legolas aveva poco più di quattro anni quando arrivò una lettera da Lothlorien, scritta personalmente da Lady Galadriel. Ella chiedeva l’immediato ritorno di Earinë a Lórien per contrastare un massiccio attacco i Orchi provenienti dal freddo Nord. Io mi opposi con tutto me stesso, ma mia moglie non poteva voltare le spalle alla sua gente. Partì all’alba del giorno successivo con parte del mio esercito, lasciandomi solo con mio figlio. “Tornerò, te lo prometto” mi disse prima di andarsene, baciando la fronte di Legolas che scalpitava tra le mie braccia, ma non fece mai ritorno. Diversi mesi dopo la sua partenza ricevetti un’altra lettera da Galadriel, nella quale diceva che i soldati di Earinë erano caduti in una imboscata degli Elfi Corrotti. Di lei non c’era più traccia. Senza pensarci due volte radunai il resto dell’esercito e corsi sul luogo dell’accaduto, ai confini del Regno di Dama Galadriel; durante la mia assenza Legolas venne affidato a Galion, uno dei miei servitori più fidati. Al mio arrivo non trovai nient’altro che i resti della battaglia, ma le tracce dei nemici erano ancora ben visibili sul terreno fangoso e conducevano a Nord, oltre la fortezza oscura di Gundabad, dove le forze del Male stavano crescendo senza alcun tipo di controllo.
Interruppi per qualche secondo il racconto, quella parte mi arrecava ancora molta sofferenza.
-Fu lì che la ritrovai. Al centro dell’armata degli Elfi Corrotti, sopra ad una montagna di cadaveri, Davoch la teneva sollevata per il collo, non lasciandola quasi respirare. Non potevo raggiungerla, ero impotente mentre quell’orrida creatura la mostrava al suo oscuro esercito come se fosse un trofeo. Le tagliò la gola davanti ai miei occhi. Accecato dalla rabbia, cercai invano di raggiungerlo per ucciderlo con le mie mani, ma venni ferito gravemente al volo da un mostro sputa-fiamme, una sottospecie di Drago. Le mie guardie mi fecero da scudo con i loro corpi, e mi portarono via da lì. Ma il corpo di Earinë rimase dov’era, ai piedi di Davoch che rideva. Da allora ricaddi di nuovo nel baratro, chiusi il mio cuore a tutti, compreso a mio figlio, il simbolo dell’amore che avevo perduto. Feci chiudere nelle segrete tutti gli oggetti appartenuti a lei, mentre la statua che i miei sudditi fecero in suo onore venne portata ai confini di Bosco Atro, dove nessuno avrebbe potuto vederla. A causa di Davoch ho perso la mia Melamin, l’unica che abbia mai amato così profondamente. Uccidendola mi ha strappato il cuore, ed io intendo fare altrettanto nei suoi confronti.
Questa volta fu Belthil che mi strinse tra le sue braccia, un abbraccio carico di affetto e di consolazione. Affondai il mio viso nei suoi capelli rosso fuoco, e solo allora compresi a pieno una mia scelta passata. Anni prima, mente perlustravo i remoti confini del mio regno, mi ero imbattuto in un villaggio elfico distrutto in un tremendo attacco degli Orchi. Nessuno sembrava essere sopravvissuto, ma sentii un debole pianto provenire da dentro una abitazione quasi del tutto crollata. Il pianto era quello di una bambina che stava distesa a terra accanto ai corpi esanimi dei genitori. Erano passati solamente pochi anni dalla morte di Earinë , ma quella piccola Elfa rimasta orfana mi colpì nel profondo. Aveva lunghi capelli rossi, la pelle chiara, le orecchie a punta leggermente sporgenti ed occhi azzurro cielo. Il suo nome era Tauriel.
Solo in quel momento realizzai che somigliava molto a Belthil, e forse era stato anche uno dei motivi che mi indussero a prenderla sotto la mia protezione, senza che me ne accorgessi. In realtà non avevo mai abbandonato Belthil, in qualche modo era rimasta accanto a me.
-Non sei l’unico a volerlo vedere morto.- mi disse -Davoch presto sarà qui insieme all’armata di Sauron, permettimi di sconfiggerlo in battaglia e di farmi rivelare dove tiene prigioniero Calen. Poi potrai farne ciò che vorrai.
Io accettai, il momento della mia vendetta stava finalmente per arrivare.
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