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Capitolo Trenasette


Vabbè io non so perché, ma oggi va così. Domani doppio aggiornamento. CIAO.

«Credo tu abbia bevuto troppo vino ieri.» Dinah storpiò le labbra in una smorfia sulla difensiva.

Camila la incenerì con lo sguardo, anche se protetto dagli occhiali da sole in un giorno di nuvole. «Ne ho bevuto troppo poco, altroché.» Scosse il capo, pentendosi subito amaramente. Il mal di testa non accennava a placarsi, ma non era cagionato dalle tossine etiliche quanto da quelle amorose. Che erano molto più tossiche. «Ho discusso con Robin, dopo cena.» Ammise Camila, spiegando perché fosse già sul piede di guerra di prima mattina contro gli autisti innocenti.

«Non hai abbinato il giusto vestito alle scarpe nere?» Sdrammatizzò l'amica, conoscendo bene le pretese della sua fidanzata, ma nella speranza di strapparle un sorriso riuscì a cavarle solo un mezzo ghigno.

«Che io non sia un asso nella moda è risaputo. Ma sono ancora più scarsa in altri ambiti. Come con le mie ex, ad esempio.» Mormorò con voce impastata, e non sicuramente dal vino della sera precedente. Anche se pareva un po' ebbra, ma era soltanto arrabbiata.

«Ahia.» Mimò Dinah, eppure si voltò dall'altra parte per non sorridere in faccia all'espressione cupa della cubana. «Lauren è tornata agguerrita.» Il pugno si strinse furtivamente sotto al sedile, come si sarebbe serrato di fronte ad una vittoria in pista.

Lei non parteggiava per nessuno, volevo solo che Camila fosse felice. Però simpatizzava per la corvina. Sapeva che l'aveva fatta soffrire molto e perciò avrebbe dovuto lavorare ancora di più per ottenere nuovamente la sua fiducia, però Camila, nel bene e nel male, era molto più sincera con lei di fianco.

«Non sai quanto.» Biascicò sperando di non essere udita, e difatti Dinah finse di non sentire, sperando che smorzare la tensione della conversazione con il volume della radio, aiutasse ad allentare anche la pressione della sua mascella.

Camila avrebbe voluto parlare con Dinah del problema di Lauren, ma non sarebbe stato facile poi spiegarle perché le aveva mentito per anni omettendo un particolare fondamentale che aveva stravolta la sua vita e quella di Siope. Non sopportava l'idea di doverla tenere all'oscuro di un evento tanto importante, eppure solo adesso realizzava che, malgrado il modo in cui la corvina le aveva detto addio, non le era mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello l'ipotesi di spifferare la verità. Forse credeva di aver allontanato Lauren dal suo cuore, ma non poteva negare che aveva sempre custodito la verità in esso, proteggendola anche quando "proteggere" era stato l'ultimo dei pensieri di Lauren.

Il traffico scorreva lento in confronto ai pensieri di Camila. Avrebbe voluto moderare l'accelerazione come poteva fare con il freno a mano, invece, se nella realtà sbuffava per la lentezza degli automobilisti, nella mente pregava per uno stop.

Dopo qualche tempo, in cui non era definibile se avessero subito più imprecazioni o semafori rossi, Camila lasciò Dinah a lavoro e si avviò anche lei verso il suo ufficio, solo che quella mattina avrebbe trovato un pezzo della sua vecchia vita appollaita sulla poltrona del suo nuovo studio. Per quanto ironico fosse, non ci trovava niente da ridere.

Anche Lauren aveva un'espressione seriosa quando la cubana varcò la soglia. Occhieggiava attorno a sé le nuove disposizioni dell'ufficio. Le era più difficile immaginare Camila seduta sulla poltrona che azzeccare il disegno astratto abbozzato sui quadri attorno a lei. Non aveva idea di chi li avesse scelti, ma sicuramente non la cubana.

Camila non ebbe nemmeno il tempo di alleggerirsi del cappotto che Lauren l'apostrofò: «Sei in ritardo.»

«Scusa, hai ragione.» Ammise sospirando già felice di prima mattina di potersi sedere.

«La fidanzata ti ha trattenuta?» La frecciatina della corvina le fece intuire che, malgrado fosse seduta, non poteva certo rilassarsi.

Camila ricambiò l'occhiata sarcastica con una altrettanta tagliente. «Il traffico mi ha trattenuta.» Gli smeraldi dell'altra rimasero impassibili tanto quanto quelli di Camila, infine fu quest'ultima a inspirare spezzando silenzio e contatto visivo.

«Ho fatto delle ricerche.» Afferrò un fascicolo riposto sulla sponda della scrivania e lo scartabellò con dimestichezza. «Alcuni di loro hanno già rifiutato, altri, invece hanno accettato un confronto telefonico o epistolare. Sono tentati all'idea di collaborare con un pilota noto come te, ma ovviamente non sono molto entusiasti all'idea di poter sfruttare il tuo potenziale solo per poche corse. Vorrebbero un accordo più longevo.» Solitamente avrebbe specificato le sue ragioni, però la corvina stava già annuendo. Sapeva non solo come muoversi in pista, ma anche come muoversi sul mercato.

«Si, lo capisco.» Sospirò, stringendo però le braccia al petto con aria pensierosa. «Ma non ho intenzione di tornare a gareggiare a lungo. Voglio solo la possibilità di correre contro mio padre, dopodiché tornerò a guidare solo per passione e non per lavoro.»

Camila sapeva cosa c'era scritto fra le righe, capiva cosa voleva Lauren, qualcosa a cui non era abituata: la rivincita. «Lo so, va bene.» Prese un bel respiro, riorganizzando le idee. «Vedrò di spiegarmi, ma credo sia utile se mi aiutassi anche tu.» Fece schiacciare la lingua sul palato. Era il sigillo alla sua certezza. «Si, si credo che aiuterebbe molto. Avere un parere professionale unito a quello personale instaurerebbe fiducia.» L'additò con la penna, come se volesse ricordarle che la firma dipendeva più da loro che dall'inchiostro.

«Perfetto.» Decretò Lauren, consultando l'orologio. «Allora ci vediamo stasera.»

«Stasera? Non puoi adesso?» Ma la stava già guardando dal basso verso l'alto.

Lauren si aggiustò il giubbotto sulle spalle mentre si stiracchiava le gambe. «No, devo andare. Stasera, cena a casa mia. Ti ricordi la strada?» Lo chiese con disinvoltura, come se fosse più che normale chiederle di cenare assieme dopo due anni che nemmeno le domandava come stava.

«Lauren, io credo che sarebbe meglio...» Scosse la testa la cubana, ma l'altra aveva già chiuso la discussione e anche la porta.

«Ottimo! Alle otto.» Disse infine attraverso lo spiraglio, salutandola.

Camila emise un sospiro greve, lasciando cadere parole e penna prima di afflosciarsi contro lo schienale morbido.

                                      *****

Robin non era contenta di dover rinunciare a risolvere i rovelli con Camila per permetterle di andare dalla donna che li aveva creati, ma era pur vero che aggiungerne altri non avrebbe aiutato, perciò si limitò a dirle che non l'avrebbe aspettata sveglia. Non era una ripicca. Era troppo grande per i dispetti. Sempicemente non aveva voglia di aspettare qualcuno che aveva preferito andarsene da un'altra donna. Ex o amica che fosse.

Camila le garantì che era solo un incontro lavorativo, ma quando arrivò sulla soglia di casa di Lauren, le candele e il vino non avallarono la sua teoria.

«Non ti sembra esagerato per una discussione professionale?» Arcuò un sopracciglio la cubana, ma il sorriso di Lauren non accennò ad affievolirsi.  

«Avevamo detto "cena" o sbaglio?» Rettificò con tono maliziosamente melliflue la corvina, prendendo in carico il suo cappotto mentre chiudeva la porta alle sue spalle. 

«Avevi detto.» L'espressione della cubana sottintendeva il pensiero che increspava astutamente gli occhi di Lauren: certe cose non cambiano mai. 

Ma quell'assioma venne presto sconfessato dalle rinnovate doti culinarie della corvina. L'unica cosa più scura in tavola era il vino, per il resto nessuno avrebbe gustato carbone quella sera. Era pur sempre vero, però, che la cubana irrigidiva i muscoli quando l'altra si approssimava qualche centimetro di troppo, proprio come la prima volta che l'aveva avuta accanto. Per questo il bicchiere si svuotò molto prima del piatto.

Lauren tentò di intavolare una conversazione, anche se generale, per conferire all'atmosfera un senso. Camila accettò la sua proposta civile, ma non azzardò mai il primo passo, ritenendo che già muovere il secondo fosse fin troppo per il suo animo o perlomeno per il modico grado etilico nelle sue vene.  

«È strano tornare a correre in America.» Dichiarò ad un certo punto Lauren, senza riflettere.  

Camila alzò lentamente la testa, stringendo coltello e forchetta con più forza del necessario. Per fortuna le gambe erano sotto il tavolo, così il tremore era ben eclissato. «In America?» La voce mozzata rallentò anche i movimenti della corvina, che socchiuse le palpebre per maledirsi della sua lingua lunga. Anche con la bocca piena riusciva a fare danni. 

Si pulì la bocca col tovagliolo, mantendolo premuto qualche secondo in più. «Si, io... Sono andata a vivere dai miei fratelli in Europa, in questi due anni.» Solo dopo aver terminato la confessione trovò il coraggio di intercettare lo sguardo di Camila.

L'espressione calcarea non si crepava nemmeno sotto i colpi del battito. Solo le nocche sbiancate potevano rimandare la tensione del suo corpo, ma lo sguardo di Lauren era concentrato sugli occhi della cubana, e quelli non battevano ciglio. «Capisco.» Disse infine, come se niente fosse, come se non si fosse svegliata ogni mattina scacciando la paura che si trovasse talmente lontana da non essere toccata. Adesso addirittura scopriva che non solo era lontana, ma anche irraggiungibile quasi. «Vado un attimo al bagno.» Si alzò velocemente, non dando il tempo alla corvina di comprendere quale fosse la miglior cosa da fare, così semplicemente, come sempre, la lasciò andare. Quando tornò il tremore si era estinto Lauren aveva terminato gli insulti da rivolgere a sé stessa. Adesso stavano entrambe abbastanza meglio da potersi sedere sul divano a parlare di lavoro. Anche perché la cena si era raffreddata.

Camila le mostrò sul laptop il nome della scuderia interessata, il suo portfolio e il pedigree professionale. Lauren annuiva, ma mugolava a tutte, come se qualcosa non la convincesse ma sapesse di non poter avere nemmeno troppe pretese. Aveva abbandonato l'ambito automobilistico anni addietro. La sua reputazione faceva ancora risonanza, ma con la faccia poteva accaparrarsi qualche complimento, non un contratto.

Si misero in contatto con due scuderie. Camila riuscì a supplire le pause della corvina e anche i sorrisi, controbilanciando silenzi e cipigli di modo che non vi fosse mai un momento di sifudica da parte dei loro interlocutori. Tutti e due, però, le salutarono con le famose parole "vi faremo sapere." La corvina non se la cavava benissimo con le relazioni sociali, ma gravitava nell'ambiente abbastanza a lungo da sapere che il telefono non sarebbe squillato.

«Lauren, non puoi darti per vinta subito.» La incoraggiò Camila, apprestandosi a scrivere un'altra email mentre l'altra versava un altro bicchiere di vino. 

«Non sono abituata a dover insistere troppo per vincere.» Mormorò amareggiata, ottenendo lo sguardo compassionevole di Camila a cui dedicò esplicitamente il suo brinidisi. Non comprendeva se stesse alludendo alle gare o alle bugie. Forse ad entrambi.

«Magari questa ricerca ti sarà propedeutica per la tua prossima gara.» La guardò da sopra la spalla, abbozzando un sorriso tenue che forse non rallegrò la corvina ma la indusse ad allontanare il bicchiere.  

«Camila, l'unica volta che ho insistito in vita mia ho perso.» I suoi smeraldi non volevano essere accusatori, eppure il dolore mal celato dietro di essi non lasciava scampo al cappio che soffocava il respiro della cubana. 

Adesso sapeva benissimo a cosa si riferiva: a lei.

Inspirò a fondo, elaborando una risposta che non annacquasse gli occhi della corvina più di quanto il vino non avesse già fatto. «A volte anche perdere può insegnare a lottare con più tenacia.» Si strinse nelle spalle, fissandola con un'intensità che Lauren fece fatica sia a tollerare che a decifrare. Sentiva ancora il pugno allo stomaco se pensava che quegli occhi non erano più suoi, e poi avvertiva la necessità di darselo in faccia, un pugno, rammentando che era stata lei a volerli perdere.

Il loro abbraccio visivo venne spezzato dalla luce più accecante del computer. Camila virò di scatto il viso, leggendo il nuovo messaggio. La mano corse prima su quella di Lauren che sulla tastiera. «Hanno accettato! Non ci credo, hanno detto sì!» Esultò, coinvolgendo anche la corvina che drizzò spalle ed orecchie.  

«Ma che dici? Chi?!» Adocchiò perplessa lo schermo, senza sapere dove o cosa guardare. 

«La scuderia HillVert. Ti concedano quattro gare fino alla fine della stagione come secondo pilota!» Intrecciò le dita a quelle dell'altra che, automaticamente, balzò in piedi attirandola in un abbraccio a cui Camila si abbandonò senza pensare.   
«Grazie, grazie, grazie.» Le disse stritolandola al suo petto, inabissando la mano nella sua chioma fluente. 

«È merito tuo, ricordatelo.» Sussurrò la cubana al suo orecchio, sprofondando la testa nel suo collo. Inalare il suo profumo era come respirare le molecole di un miracolo.

Si era assuefatta all'idea che non avrebbe mai più conosciuto la forma dei suoi abbracci e tantomeno ricordato l'aroma del suo profumo, invece ora era lì. Ed erano insieme. Dopo qualche secondo che il suo cuore rimbombava nelle sue orecchie, l'entusiasmo scemò fino ad annullarsi nella realizzazione. Camila si schiarì la voce, distaccandosi dalla donna, ma una mano di Lauren scivolò sulla sua schiena, per catturare i suoi passi, e l'altra sulla sua guancia, per catturare il suo sguardo.  

Lauren esplorava assorta il suo volto. Con il pollice percorse il tratto della sua gota che immaginava avrebbe potuto solcare una lacrima, chiedendosi in cuor suo se ve ne fossero mai state alcune da asciugare per colpa sua. Prudentemente raggiunse l'angolo della bocca, da cui fuoriuscì un respiro irregolare, eppure le parole che susseguirono non l'assecondarono. «Meglio che vada,» sentenziò, spezzando il contatto con la donna. Riordinò i suoi oggetti, gettandoli alla rinfusa nella borsa, poi la ringraziò per la cena. «Non disturbarti. Conosco la strada. Buonanotte.»  

«Buonanotte.» Fu l'unica parola che riuscì a dirle di tutte quelle che le comprimevano il petto.

I passi veloci della cubana le fecero capire che, qualsiasi altra parola, non l'avrebbe trattenuta. Udì l'uscio aprirsi, ma impiegò più tempo a chiudersi. Infine il tonfo le strappò un sospiro arrendevole. Il rumore dei tacchi, però, risuonò troppo vicino. Invece di attutirsi ad ogni passo accresceva.

Quando Lauren girò il capo, Camila stava abbandonando la borsa sulla poltrona, per poi circumnavigarla.  

«Camil...» Non ebbe tempo di terminare, perché le labbra della donna si tuffarono sulle sue impossesandosi di parole e fiato.

La corvina sbarrò gli occhi, esterreffata, ma poco dopo il dolce sapore dell'altra la distrasse da qualsiasi dubbio, sollecitando le palpebre a serrarsi e la bocca a schiudersi. 

Continua...

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