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Capitolo Tredici

Lauren indovinò il suo sguardo salace e gongolante anche attraverso le lenti scure poggiate sul naso di Camila.

«Hai intenzione di pavoneggiarti a lungo?» Domandò quando era ancora abbastanza lontana da non colpirla.

«Ho appena iniziato.» Confessò percorrendo gli ultimi metri che le separavano.

Lauren sospirò alzando gli occhi al cielo, ma purtroppo per lei i raggi cocenti risalavano l'inflessione morbida delle sue labbra.

Camila occhieggiò l'auto decappottabile alle spalle della corvina. Lauren nascondeva le chiavi dentro il pugno eclissato a sua volta sotto le braccia conserte. «Avrei dovuto scommettere contro di te.» Schiuse malvolentieri il palmo, facendo penzolare il mazzo scintillante davanti agli occhi ancor più scintillanti di Camila. Nemmeno gli occhiali ne osteggiavano la luce.

«Si, se non avessi voluto divertirti.» Obiettò con tono cristallino, sfilandole il tesoro dalle mani. Contrasse le guance fino a indolenzirle per arginare un urlo di gioia.

La prima volta che Alejandro l'aveva sorretta sulle sue ginocchia per farle guidare un trattore, non avrebbe mai creduto che un giorno avrebbe guidato una decappotabile come premio personale per aver battuto non solo la spocchia di Lauren, ma anche altri venti piloti in una gara nazionale.

La sua mente era ancora ferma a qualche giorno fa, quando aveva sorpassato l'ultimo rivale tagliando con largo vantaggio il traguardo. Rievocava la scena più e più volte durante la giornata, cercando di immaginare qualcosa che l'avesse fatta sentire più viva di quel momento. Non sapeva perché, ma le veniva in mente solo il sorriso smagliante che le aveva regalato Lauren quando le aveva lanciato le braccia al collo per celebrare la vittoria.

Circumnavigò la vettura, chiuse lo sportello dietro di sé, allacciò la cintura e inserì le chiavi, ma prima che potesse gustare il rugghio del motore, la mano di Lauren si chiuse lesta sulla sua. Camila alzò lo sguardo ancor più velocemente su i suoi occhi severi. «Audi R8 Spyder, metallizzata. Dieci cilindri, massima velocità stimata sui trecentoventi chilometri orari. È come una figlia, solo più veloce. Intesi?» Conosceva bene quello sguardo omicida.

Camila le sorrise con aria vanagloriosa che non rassicurò per niente l'altra. «Tranquilla, tratterò bene tua figlia. Se le piaccio, posso chiederle di venire al ballo con me?» La derise per quell'espressione mortalmente seria, ottenendo un grugnito che la fece ridacchiare ancora più di gusto.

«Dico davvero, quest'auto è un pezzo di cuore.» Beh, almeno anche Lauren Jauregui sa cosa si prova ad innamorarsi, si consolò Camila visualizzando lo sguardo perso della corvina mentre carezzava la portiera grigia.

«Ho capito, ma devi rilassarti. Hai detto che se avessi vinto la gara avresti fatto tutto ciò che volevo...»

«Infatti sei seduta al volante della mia Spyder.» Precisò stizzita la corvina per il tono piccato dell'altra.

«Si, ma quello che voglio, oltre guidare la tua auto, è che tu ti rilassi per una buona volta. Voglio che perdi il controllo, per un giorno.» Sospirò annoiata Camila, sperando che il suo sguardo fosse abbastanza persuasivo.

«Perdere il controllo va bene, ma non perdere il paraurti della mia auto!» Protestò stringendo la cintura come se stesse afferrando la mano di sua moglie durante il parto. Lei era il padre suscettibile che sveniva al primo vagito. Appena Camila mise in moto, infatti, perse un battito. Fortunatamente era già seduta, in caso di svenimenti.

«Adesso rilassati e divertiti!» Premette il piede fino in fondo sull'accelleratore, strappando uno stridore all'asfalto che non fu comunque più fragoroso del rantolo che raschiò la gola di Lauren.

C'era una differenza abissale fra vederla correre e correre con lei. Non era le velocità a scombussolarle le pulsazione, con quella ormai aveva sigillato un rapporto imperituro da tempo. Era dover subire l'accelerazione sul sedile della sua auto preferita a chiuderle le palpebre di fronte ad ogni dirupo. Camila ignorava la presenza di altre vetture, decelerando sempre più per fortuna che per tempismo. Ogni volta le scoccava uno sguardo fugace stringendosi indifesa nelle spalle più gracili del sorriso che germinava dopo. Le sopracciglia di Lauren si aggrottavano, ma dietro quei sospiri non vi era affatto rancore. Per quanto si sforzasse di esserlo, non riusciva ad arrabbiarsi contro la sua imprudenza. Camila credeva che indossasse gli occhiali per non guardarla, ma in realtà era lei a non voler essere vista.

Continuò a scalare sia marce che scogliere, divorando paesaggi man mano più sconfinati. Anche il cielo si imbarazzava per la bellezza della distesa d'acqua così limpida quel giorno che anche la schiuma spumeggiante delle onde si increspava timidamente. I fiordi frastagliati non disurbavano la panoramica pulita, l'arricchivano con un tocco roccioso ma non ingombrante. La brezza insufflava salsedine sul viso, sedimentando sulle punte dei capelli. Ma anche quel contatto più farinoso arricciava fastidiosamente  i boccoli, ma mai le labbra. Le case, intanto, venivano inghiottite dalla gola celeste, lasciando posto al frullio dei gabbiani, che volavano anche loro lontani dall'oceano immacolato. Lauren inalò la tranquillità di quel momento, riempiendosene i polmoni anche per dopo. Adagiò la nuca contro il poggiatesta e contemplò ogni minimo particolare che non avrebbe notato in altri giorni. Non aveva idea di dove terminasse quella strada, ma sperava che non finisse tanto presto.

Camila sbirciò la corvina con la coda dell'occhio. Era serena e spensierata, sintonizzata solo col ritmo del vento e non con quello del motore. Finalmente aveva davvero vinto.

La corsa proseguì senza meta per un ammontare indefinito di chilometri. Quando Camila posteggiò, a Lauren pareva essere trascorsi solo pochi minuti, ma per il dolore che accusava l'altra alla schiena doveva essere passato molto più tempo. Camila aveva stanato un bar appartato in cima alla scogliera. Si erano appostate su una panchina sul crinale roccioso dopo aver comprato due bibite fresche, unico riparo dalla giornata bollente.

«Spero che quella non sia birra, altrimenti ti scordi di guidare ancora la mia auto.» L'avvisò con voce scherzosa ma inframezzata da una giusta verità.

«Tranquilla,» cantilenò. «È vodka.» L'espressione di Lauren fu impagabile. Camila si coprì la bocca ridendo sguaitamente.

«Divertente, molto divertente.» Scosse la testa, rifocillandosi con un sorso di limonata. Nemmeno farsi prendere in giro fomentava la sua ira. C'era qualcosa in tutto ciò che faceva Camila che la cullava nella gioiosa illusione che nel mondo non vi fosse più persona capace di far del male. Poi, però, il livido sulla tempia tornava a pulsarle sconfessandola.

Camila rilassò la nuca contro lo schienale di legno alle sue spalle. Lauren era seduta su di esso, così riuscì a guardarla dritta negli occhi. «Non è piacevole?» Chiese Camila, anche se la risposta risuonava già nella domanda stessa.

«Farsi schernire? Mh.. passo.» Rimbeccò sempre con tono troppo allegro per scomodare la serietà di Camila.

«È il mio giorno, ti ricordo.» Alzò il bicchiere verso l'orizzonte terso. Era un brindisi alla sua fortuna, però, per questo il sorso che ingollò Lauren fu più amaro del precedente. «Se voglio deriderti, ho il permesso di farlo, perché ho vinto io la scommessa.» Rimarcò puntigliosa. Non c'era gusto nella vittoria se non poteva anche rinfacciarla.

Lauren inarcò le sopracciglia mentre scuoteva la testa, ma in realtà era contenta di aver perso contro qualcuno così simile a lei. Era una mezza sconfitta, giusto?

«Io mi vanterei più che altro di aver vinto una corsa nazionale, non una banale scommessa.» Sottolineò la corvina più sorniona del solito.

Camila raddrizzò le spalle, intercettando il suo sguardo senza percepire il sangue palpitarle alle tempie. «Vuoi scherzare?» Sembrava mortalmente seria, motivo per cui Lauren decise di abbassare la lattina a mezz'aria piuttosto che coprirsi dietro di essa, dedicandole tutta l'attenzione. «Sfidare e vincere contro piloti professionisti nella prima e ultima gara pubblica della mia vita dovrebbe valere più di vincere una scommessa con Lauren l'inavvicinabile?»

«Sei una cretina.» Si arrese sospirando, consolandosi con l'ultimo goccio di limonata.

Camila ridacchiò, ma mentre planava con lo sguardo altrove non si ricordava di aver avuto intenzione di scherzare. Affogò i suoi dubbi nel gusto agrodolce dell'arancia rossa, dopodiché accartocciò la lattina e tentò di far canestro nel cestino più vicino. Lo mancò due volte.

«Menomale che non gioco a basket, altrimenti non ti avrei chiesto di sostituirmi.» Stavolta Lauren riconosceva di essersi meritata il pugno, ma anche Camila ammetteva di averlo sferrato troppo gentilmente.

Lauren assottigliò la propria lattina fino a renderla più simile ad una pallina possibile. La mostrò all'altra con il sogghigno di chi aveva la presunzione di essere in procinto di intascare la propria rivincita. «Scommettiamo che faccio canestro alla prima?»

Camila reclinò impercettibilmente la testa mentre il suo sguardo si induriva ma le labbra si ammorbidivano. «Quando la smetterai di sfidarmi?»

«Quando smetterà di piacerti.» Rispose tranchant l'altra, e Camila poté solamente abbassare lo sguardo mentre scuoteva la testa.

Aveva ancora la mano in pole position quando gli occhi marroni dell'altra si sollevarono decisi su di lei. «Che cosa scommettiamo stavolta?»

Le labbra di Lauren si incresparono esponenzialmente. Aveva appena ottenuto ciò che desiderava. Non doveva neanche attendere l'esito della sfida, sapeva che avrebbe vinto stavolta. «Se non faccio canestro, potrai guidare l'auto fino a casa. Ma se centro il cestino, guido io al ritorno.» Affievolì la voce sull'ultima frase, scatenando un brivido lungo la spina dorsale di Camila che associò all'adrenalina.

«D'accordo, ci sto.» Accettò più che volentieri, ispirata all'idea di arrischiarsi lungo le tortuose scogliere. Era giusto così. Lauren aveva già perso il controllo, non poteva anche perdere una sfida.

Non dovette nemmeno voltarsi a guardare dove finiva la lattina. Quando si alzò in piedi, tese la mano, sicura del risultato. Camila schioccò la lingua contro il palato, ma una promesse era una promessa, e quel canestro era innegabile.

«Preparati alla corsa più entusiasmante della tua vita. Solo che stavolta si corre senza protezioni.» Ammiccò Lauren, pericolosamente vicina alle sue labbra. Poi imboccò il sentiero a ritroso.

Di nuovo un brivido serpeggiò fra le vertebre della donna. Aveva l'impressione di aver iniziato a gareggiare senza casco già da un po'.

Camila agganciò quantomeno la cintura, mentre Lauren riscaldava il motore. Aveva sperato per quel sorriso sul volto di Lauren, ma ora che affiorava mentre era alla guida di un'auto capace di sfiorare i trecentoventi chilometri orari, non sapeva se ne era ancora così contenta.

«Quand'è l'ultima volta che ti sei fatta un giro sulle montagne russe?» Domandò con sguardo illuminato da una furbizia per niente confortante.

«Molto tempo fa, quando ancora era abbastanza giovane per dimenticare in fretta le brutte esperienze.» Rintuzzò eloquente l'altra, sperando che l'antifona riuscisse ad accendere prima il buonsenso di Lauren che la scintilla il motore.

«Beh, in questo caso...» Il sedile tremò sotto di lei, la sua mano, involontariamente, si strinse sulla maniglia della portiera. «... Spero tu sia ancora ancora giovane quanto basta.» Senza alcun preavviso, Lauren affondò impietosa sull'acceleratore, originando un boato che rimbalzò fra le pareti aguzze delle scogliere. Qualcuno seduto ai tavoli del bar si girò di scatto, ma erano già lontane quando i loro occhi catturarono solamente i fanali di coda dell'auto.

Il refolo scudisciava sulle gote di Camila. Il sapore del salmastro le restava incollato sulle labbra, solo così sapeva che la macchia azzurra in lontananza non era solo cielo. Anche lei aveva sfiorato quelle velocità, ma era diverso correre su una pista congegnata per farlo che scapicollarsi lungo una scogliera aggrovigliata su sé stessa. Lauren aveva sterzato ad un certo punto, immettendosi su una strada secondaria, priva di automibilisti, ed era allora che aveva dato il meglio di se.

Camila si sentiva comprimere il petto contro il sedile, faticava per tenere le palpebre aperte, ma tutto ciò che sentiva era il fischio del suo stesso respiro, tutto ciò che vedeva strisce di colore che assomigliavano a stelle cadenti ma più confuse e meno luminose. Lauren non staccò il piede dal pedale nemmeno durante le anse del percorso. Inizialmente Camila si chiese se fosse anatomicamente possibile sopravvivere con lo stomaco nell'esofago, ma poi si abituò alla velocità ineffabile e ai cambi repenini. Si rese conto che la sua mano non era più ancorata alla maniglia, e che le sue labbra non erano serrate ermeticamente a fare da frangiflutti contro le onde di vento. Non seppe perché, ma una risata inspiegabile le carambolò scrosciante fuori dalla gola. Lauren sorrise occhieggiandola solo furtivamente.

Camila gettò la testa all'indietro sul poggiatesta e le braccia in alto contro il vento, gridando a perdifiato. Doveva ancora smettere di ridere quando rallentarono per confluire nel consueto traffico feriale.

«Oddio, credo di aver lasciato un polomone lassù.» Ridacchiò quando la musica dell'abitacolo fu di nuovo udibile sopra la voce del motore.

«Anche l'ugola.» Commentò ironica la corvina, inspirando nuovamente la risata dell'altra.

Camila si asciugò una lacrima sfuggita agli occhi arrossati dal vento, annuendo complice. «Almeno senza voce andremo d'accordo più spesso.» Disse seguendo la scia umoristica dell'altra.

Aveva poggiato la tempia contro il sedile e si era voltata verso di lei con l'ombra di un sorriso ancora sotto i baffi che costrinse Lauren a inforcare nuovamente gli occhiali da sole. Certi panorami era meglio osservarli con una lente scura in più.

«Era quello il piano.» Sogghignò, incassando un pugno che la fece sussultare. Solo allora Camila ricordò la presenza della chiazza giallognola sul volto dell'altra.

«Come sta il livido?» Comprese di aver sbagliato domanda all'istante. Lauren preferì virare lo sguardo sulla coda di auto formatosi di fronte a loro. Un pilota che preferisce guardare il traffico che te... ottima mossa, Camila, venne subito sgridata dal suo subconscio. Anche lui avrebbe meritato un pugno.

«Riesco ancora a vedere tutte le macchina davanti a noi, perciò direi bene.» Con l'angolo della bocca si sforzò per avallare il sarcasmo a verità, ma aveva ragione quando sosteneva che erano più simili di quanto volessero: entrambe si proteggevano sotto l'egida dell'umorismo quando preferivano non mentire ma nemmeno confessarti.

«Ti fa ancora male?» Se stai cercando un modo per ucciderti che sia indolore, hai sbagliato modalità e persona, udì la sua voce interna palesati nuovamente, ormai fuori controllo.

«A volte.» Le nocche sul volante erano bianche come le sue guance quando intavolava l'argomento.

Camila si morse il labbro già pentita delle sue stesse parole prima ancora di pronunciarle, dicendo: «Siamo vicine a casa mia. Se hai cinque minuti ti metto una pomata.»

Non riuscì a decifrare il suo sguardo, occultato dagli occhiali, ma intravide il suo riflesso tondeggiante nelle lenti. Si avvide solo allora di aver stretto i pugni. «Non credo sia il caso.» Tagliò corto Lauren, ma Camila non era avvezza alle sconfitte, purtroppo.

«È ancora la mia giornata, o sbaglio?» Incurvò un sopracciglio, ottenendo da parte dell'altra l'unica risposta che avesse a disposzione: un sospiro rassegnato.

Lauren parcheggiò l'auto davanti al giardino di Camila. Aveva visto la facciata da fuori già quella stessa mattina, ma adesso che Camila inveiva contro la serratura un po' capricciosa, Lauren muoveva più nervosamente le mani di lei. «Puoi sederti sul divano, arrivo subito.» Le disse appena riuscirono a varcare la soglia.

«Ah, ok...» Lauren obbedì senza recriminazioni, sedendo in decoroso silenzio mentre l'altra armeggiava nell'armadietto del bagno.

Non ricordava l'ultima volta che si era accomodata su un sofà che non fosse suo. Quando aveva iniziato la sua carriera si erano accesi i riflettori ma nel frattempo si erano spente tante altre occasioni. Niente amici, niente scappatelle, niente rapporti che non comprendessero l'uso del cambio automatico. I fidanzamenti erano accettabili, ammesso e concesso che al suo fianco apparisse un volto noto quanto il suo. Lauren mal digeriva il suo acclamato riflesso alla mattina, figuriamoci se desiderava vederne un altro nello specchio.

«L'ho trovata.» Camila interruppe la corrente di pensieri, sprofondando sgraziata accanto a lei.

Intinse il polpastrello con una densa goccia di crema e poi le afferrò accorta il mento, voltandola verso di lei. «Brucerà un po',» premise, indorando la pillola. Gli occhi della corvina erano intrecciati ai suoi più di quanto lo fossero i suoi pugni adesso che il calore si effondeva sulla pelle contusa.

«Scusa.» Bisbigliò Camila. Lauren registrò il movimento delle sue labbra e allora il calore si irrorò anche altrove. Socchiuse le palpebre incolpando il dolore, ma le strizzò eccessivamente per voler scordare solo una semplice scottatura.

«Chi l'avrebbe mai detto,» iniziò con sorriso faceto. «Camila mi cura un livido invece che procurarmelo.» Concluse con accezione perennemente sarcastica. Si stava di nuova difendendo, ma era arduo schermarsi da qualcosa che non arrivava dall'esterno, bensì implodeva dentro di lei.

Camila rise più di quanto dovesse mentre sorreggeva il mento dell'altra, ma anche la corvina si sciolse in un sorriso, schiudendo gli occhi. «Chi lo avrebbe mai detto,» rincarò con fare astuto. «Lauren perde il controllo invece che la testa.» Sapeva che si riferiva alla fiducia che stava riponendo -letteralmente- nelle mani di Camila, ma mentre rideva di sé stessa si domandò se era davvero ancora in tempo per non perderla, la testa.

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