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Capitolo Diciassette

Leggete lo spazio autrice ;)

Buona lettura!

Non avevano certo sfogliato vecchi album riesumando ricordi troppo sbiaditi per essere compianti, o non erano andati insieme al cimitero da Sinu, non si erano nemmeno asciugati le lacrime con una risata liberatoria. Non avevano fatto niente di tutto ciò e nemmeno nessuno dei due aveva preteso di poterlo fare con l'altro. Ciò che invece avevano deciso di fare era stato guidare il vecchio trattore con occhi nuovi.

Camila aveva preparato il tè per entrambi, come era tradizione, e lo avevano sorseggiato prima di andare a dormire sulla veranda ancora impolverata dalle loro stesse impronte. Alejandro avrebbe spazzato via la lanugine, ma non il ricordo di quel fine settimana. Erano mesi che non trascorrevano una serata insieme, ma erano anni che non erano più padre e figlia. La perdita di Sinu aveva rovinato l'adoloscenza di Camila, il matrimonio di Alejandro e la complicità fra i due. Quando si è impegnati a tacere un gran dolore difficilmente si trovano le parole da condividere con qualcuno che sta tacendo la stessa sofferenza.

Finché era ancora abbastanza leggera da poterse portare sulle spalle, Alejandro aveva sempre grugnito all'idea che un giorno se ne sarebbe andata di casa. Ma quando le gambe le aveva usate da sola, aveva capito che la lontananza fra di loro li avrebbe impedito di allontanarsi del tutto. Lo aveva letto, una volta: certe cose sono destinate a sopravvivere solo se lontane. Non avrebbe saputo dire il titolo dell'opera, ma solo che aveva ragione. Per loro aveva funzionato.

La domenica mattina, la caffettiera fumigava quando Camila soverchiò i suoi borbottii vaporosi con il ronzio della televisione. Alejandro storse il naso, inizialmente. Non ricordava nemmeno di averlo un televisore. Aveva assistito assieme alla figlia la vittoria di Lauren, sbirciando in silenzio il fremito della sua gamba durante la competizione e occultando un sorriso fra un sorso e l'altro quando invece quel tremore si era trasformato in un'esultazione. Camila si era protratta nelle spiegazioni di ogni particolarità meccanica su cui aveva messo mano in quei mesi, ma Alejandro era prima suo padre e poi il suo maestro, motivo per cui annuì ad ogni disquisizione senza farle notare che non c'era bisogno di intontirlo con chiacchere su motori o pneumatici, poteva semplicemente dirgli la verità, ovvero che voleva assistere anche alla premiazione, e non di certo per vedere la coppa.

Il lunedì mattina, quando le valigie erano già nel bagliaio del taxi e Camila ancora sulla soglia di casa, Alejandro si chiese come avesse fatto a convivere in una casa così grande e taciturna senza sua figlia nei paraggi, ma mentre la salutava il riflesso della cubana dallo specchietto dell'automobile immortalandone il sorriso, rammentò perché era felice anche se attorniato dal silenzio: perché Camila stava vivendo la vita che lui non aveva mai avuto l'ardire di scegliere.

Shawn l'aspettava di fronte alla veranda. L'aiutò tempestivamente a scaricare le valigie, con la rapidità di chi era già pronto da un po'. Aveva visto quel sorriso sul suo viso una sola volta durante gli anni, quando aveva sposato Claire. Camila si lusingò dell'affetto dell'amico, credendo che tale allegria fosse dovuta al suo ritorno, ma in realtà era stata la partenza ad averlo ringalluzzito. Non avrebbe mai pensato che, una volta approdata nella grande città, lontana da qualsiasi ricordo famigliare, Camila avrebbe avuto il coraggio di ritornare alla campagna da suo padre. Era contento, inoltre, che non lo avesse lasciato da solo durante un giorno emotivamente faticoso. Si erano sostenuti abbastanza da potersi illudere che un giorno avrebbero anche potuto abbandonare il dolore fra le braccia l'uno dell'altro, e questo gli faceva sperare che ci fosse ancora una possibilità per la cecità del suo cuore.

«Come sta il vecchio Bill?» Domandò trafelato ma comunque trepidante.

«Sempre più vecchio.» Rispose sarcastica Camila, vantandosi della rotazione completa delle iridi altrui. Le era mancato prendere in giro qualcuno, anche se.. Beh, non era proprio Shawn quel qualcuno.

«E vi siete viste con Margaret?» Il ragazzo poggiò la valigia nel salotto, dedicando la sua attenzione a Camila.

«"Viste" è una parolona, considerato che è cieca da dieci anni, Shawn.» Il sorriso dell'amica lo costrinse a contraccambiare anche se stava scuotendo la testa.

«Sei incorreggibile.» Glielo diceva da quando erano compagni di banco in seconda media. No, non era mai stato una critica anche se voleva travestirla da tale, e Camila lo sapeva bene.

«In effetti non ho niente da correggere.» Ammiccò, mordendo una mela. Perfetta metafora biblica per rappresentare le sue perdizioni peccaminose.

Shawn le raccontò della gara, di quanto Lauren fosse rimasta contenta di aver primeggiato anche in un campo non propriamente affine alle sue capacità tecniche. Avevano indetto una cena per festeggiare, ed in effetti adesso si spiegava il sano nervosismo di Shawn. Non era certo lì per incaricarsi della sua valigia, quanto per aiutarla a disfarla il prima possibile per trovare l'abito perfetto. Di norma avrebbe rifiutato categoricamente qualsiasi invito che non prevedesse il pigiama, ma quel pomeriggio la sua nenia di diniego fu solo un espediente per farsi pregare, così avrebbe potuto continuare a mentire a sé stessa sostenendo che si era fatta trascinare dall'insistenza dell'amico e non dal desiderio di rivedere un paio di occhi verdi.

In realtà la valigia custodiva molto più che un vestito. All'interno vi era il vestito. Non era stato semplice aprire l'armadio della sua vecchia stanza, dimentica che metà degli effetti personali di Sinu erano accumulati lì. La mano si era infeltrita sul maglione di lana che sua madre sfoggiava quando i vetri si appannavano e la cioccolata calda era il loro unico riscaldamento. Una carezza più dolce le aveva lambito la pelle quando le dita si erano intrecciate alla sciarpa serica che Sinu aveva annodato ogni autunno per ripararsi dal mal di gola di stagione. Poi lo aveva riconosciuto prima ancora di vederlo. Era l'unico vestito che sua madre avesse indossato nella sua vita -oltre quello da sposa. Un abito lungo, argenteo, attillato ma non al punto da poter indovinare le sue curve, da immaginare si però. Lo scollo a V lasciava intravedere parzialmente il seno, ma la sensualità non conosceva volgarità che tenesse. Inanellò i capelli, lasciandoli ricadere morbidamente sulle spalle esposte dalle spalline. Indossò un paio di tacchi già esibiti in precedenza, e infine poggiò il cappotto sull'avrambraccio, tornando da Shawn.

Il ragazzo era talmente sicuro della sua risposta che aveva conservato una giacca nel bagliaio dell'auto, abbinandola ad una camicia semplice e un pantalone nero.

Non seppe dire se si schisuero maggiormente le sue palpebre o le sue labbra, ma sul volto di Camila sicuramente fu il sorriso a vincere la concorrenza. «Non hai sicuramente niente da correggere, stasera.» Disse facendo suonare la sua contro-battuta come un complimento.

Camila si chiese se anche Alejandro aveva reagito così quando Sinu si era presentata al ballo scolastico con quel vestito indosso. Tutto ciò che sapeva era che suo padre si era innamorato quella sera. Forse ora sapeva perché.

Lasciò che Shawn l'accompagnasse a braccetto fino alla macchina, poi, però, quando raggiunsero il ristorante, fu l'amico a tenere le mani in tasca. Quello era uno dei motivi per cui era più grata per l'amicizia con Shawn: la conosceva talmente approfonditamente da non abbisognare di richieste precise per eseguirle.

Paul e Juan furono i primi ad andarle incontro mentre varcavano la soglia del ristorante. Molti degli astanti accerchiavano Lauren, cannoneggiando complimenti a destra a sinistra, e in effetti assomigliava molto ad una guerra di fuoco: tutti si prodigavano per sganciare la cannonata più adulatoria, peccato che la corvina dedicasse indiscriminatamente lo stesso sorriso scenico. Paul le disse che era mancata a tutti durante la gara di domenica, mentre Juan, più posato come al solito, si complimentò solamente per la scelta dell'abito. Juan, per un certo verso, le ricordava molto Normani: distaccati e impersonali. Chissà se avevano mai pensato di frequentarsi senza chiavi inglesi di mezzo. Per come erano fatti, probabilmente no.

Lentamente il nugolo di ammiratori assiepato attorno alla corvina sciamò, permettendole di staccare le labbra dal calice, unica fonte di consolazione. Lauren vagolò con lo sguardo sulla sala. Era in cerca del cameriere, ma trovò quaclosa di più effervescente dello champagne. Camila sorrideva alle parole di Lucy, ma i suoi occhi sorridevano solamente verso la corvina. Quest'ultima attinse nuovamente all'ultima scorta di bollicine, ma di certo non per consolazione. Si sentiva talmente ubrica in quel momento che bere un po' di champagne era l'unico modo per smaltire la sbornia.

Camila osservò invaghita quell'occhiata prolungata e calda, stringendo con più veemenza le strette di mano di qualche collega, ma non di certo per cordialità. Lauren rimase defilata finché anche l'ultimo meccanico ebbe salutato Camila, poi finalmente tutti trovarono argomenti più comuni e si raggrupparono altrove, lasciando alla cubana l'occasione per riprendere fiato. Lauren poteva anche essere abituata a quella frenesia, ma non lo era di certo Camila. Eppure, mentre si avvicinavano un passo una e un passo l'altra, era la corvina che tratteneva il respiro.

«Ciao,» la salutò affettuosamente Camila, sostenendo lo sguardo assorto e smarrito di Lauren. Non era certa di cosa avesse provato Alejandro vedendo sua madre, ma adesso sapeva per certo com'era si era dovuta sentire Sinu.

«Sei bellissima.» Pronunciò Lauren. Aveva talmente poco ossigeno che se doveva asfissiare l'attimo dopo aver aperto bocca, voleva che le sue ultime parole avessero almeno un significato da ricordare.

Camila abbassava il mento quando rideva per la timidezza, solo che quella volta lo rialzò abbastanza in fretta per bagnarsi le labbra con le bollicine. «Anche tu non sei niente male.» Rispose troppo spiritosamente per capire se fosse solo umorismo o anche apprezzamento.

Lauren stava ancora barbugliando, perciò Camila comprese che fino a quando non avrebbe avuto un calice pieno in mano, sarebbe spettato a lei tenere le redini della conversazione. «Ho visto la gara. Sei stata brava. Anche mio padre lo pensa.»

«Grazie. Come sta...»

«Alejandro,» la tolse dall'impasse Camila. «Beh, sa ancora la differenza fra un motore a due tempi ed uno a quattro. Finché non dimenticherà i motori, saprò che sta bene.» Era sicuramente un modo insolito per descrivere il proprio padre, ma definiva a regola d'arte la relazione fra lei e suo padre. E poi, sapeva che Lauren non l'avrebbe mai giudicata in nessun ambito, figuriamoci su i rapporti personali.

Prima che potesse farfugliare nuove scusanti, Paul si intromise a gamba tesa, scortandole verso il tavolo, dove i camerieri stavano servendo la prima portata. La corvina ovviamente sedeva capotavola, mentre a Camila era stato assegnato un posto al centro. Trascorsero tutta la serata a conversare con le persone sbagliate, ma gli sguardi venivano magnetizzati ad ogni occasione verso lo stesso punto, quello giusto. Camila appuntava il ciuffo di capelli per occhieggiarla. Lauren riempiva il bicchiere ancora pieno per poterla sbirciare. Entrambe ridevano di gusto a battute mediocri per attirare le occhiate altrui. Nessuna delle due condivideva una parola con qualcun altro senza pensare a guardare dall'altra parte del tavolo. Purtroppo, però, non erano mai sole. Le loro frecce si incagliavano spesso nel muro opposto da Normani. Si era resa conto del loro gioco di sguardi a metà cena, e per il resto della serata si era intromessa di proposito fra le loro traiettorie. Lauren non sembrava farci nemmeno caso, anzi.. La ignorava spudoratamente. Camila, però, si sentiva in soggezione ogni volta, ed ogni volta abbassava gli occhi con maggior confusione di quando li alzava per mandar giù un sorso di vino rosso.

Al termine della cena, nessuno era abituato a restare inoperso così a lungo, perciò si alzarono tutti, mischiandosi fra chiacchere e fette di torta. Camila tentò di avvicendarsi fra un dialogo e l'altro senza farsi condizionare dall'alcol nelle sue vene, alla fine, però, erano tutti troppo stanchi e avvinazzati per spiccicare parola, così adunarono i cappotti e si inoltrarono verso l'uscita.

Camila stava recuperando il suo cappotto quando la mano di Shawn si poggiò sulla sua schiena. «Ehi, sono pron...» Sfarfallò le ciglia per accertarsi che le bollicine non le stessero dando alla testa. No, era certa che Shawn non avesse tinto i capelli e nemmeno fatto le extention.

«Ti porto io a casa.» Le disse semplicemente Lauren, e stavolta fu Camila a balbettare frasi diarticoalte, fin quando la mano della corvina si spostò sul suo braccio e la guidò verso l'auto.

Lauren aveva l'espressione un po' incupita, ma forse era solo un suo presagio. Appena la corvina si immise nell'abitacolo, un sospirò di eloquente sollievo le diede da pensare di non essersi sbagliata. Ma non fece domande, perché il silenzio della corvina le lasciò intendere che le parole erano inutii. Vi erano cose che non poteva capire, e ancora dovevano accettarlo entrambe.

Durante il tragitto scambiarono solo qualche parola, poi lasciarono che a cullare il silenzio fosse la voce di qualche cantante blues. Solo quando spense il motore di fronte a casa sua, Lauren inspirò davvero, e finalmente si concesse di sorriderle. Forse aveva interoposto abbastanza distanza fra lei e ciò che l'aveva rabbuaiata.

Lauren sganciò la cintura e spense il motore, voltandosi gradualmente verso di lei. Lo sguardo dell'altra attendeva paziente che la corvina si decidesse a pronunciare quelle parole che per tutta la sera aveva sciaquato con lo champagne. «Volevo soltanto essere io ad invitarti alla festa dell'ultimo dell'anno.» Disse infine, ma con così tanta angoscia nel suo respiro da scambiarlo quasi per una proposta di matrimonio. Camila avrebbe voluto ridere della sua goffaggine, ma ne sorrise solanto.

«Mi farebbe piacere esserci.» Decretò allora, permettendo a Lauren di acquistare colorito sulle guance innevate.

«Fantastico, cioè... Bene. Non vedo l'ora.» Ammise senza troppi giri di parole. Era brava nei "giri", ma talvolta per tagliare il traguardo c'era bisogno di andare dritti.

Camila occhieggiava la sua indecisione, chiedendosi come tramutarla in certezza. Le sembrava il momento perfetto per fare quello che Lauren le aveva chiesto qualche sera prima: lasciar perdere il controllo. Così, sseguendo il suo stesso consiglio, andò dritta al punto, afferrandole le guance per baciarla. Le sue labbra fredde contrastavano con il suo alito caldo. La corvina, però, rispecchiava più le prime che il secondo. Le sue spalle irrigidite non furono colpa dello spiffero di vento. Camila si allontanò piano piano, scrutando gli occhi dell'altra, ma erano già bassi. Prima che potesse distnzarsi del tutto, però, le mani della corvina scivolarono sulle sue gote e trattenero la fronte contro la sua. «Non posso,» bisbigliò anelando ciò che aveva appena respinto.

«Perché?» Domandò esasperata e confusa Camila. La invitava, ma non la cercava. La voleva, ma la rinnegava. Si avvicinava, ma non la stringeva. Perché.

«Un giorno mi ringrazierai.» Non era una vera e propria risposta, ma la sua voce rotta diceva più di quanto potesse sentire.

«Già,» annuì con il capo ancora fra i palmi delle sue mani e gli occhi già altrove. «Non oggi però.» Lauren non era pronta a condividere il peso dei suoi segreti con qualcuno, e Camila non era pronta a consegnare il suo cuore in mani che non volevano tenerlo ma solo saperlo suo.

«Buonanotte.» Disse brevemente, stringendo le labbra in una linea ermetica che impedì prima al freddo di screpolarle mentre raggiungeva la porta di casa e dopo al calore dell'ingresso di non rievocarle momenti che già voleva dimenticare.

Prima che potesse spogliarsi del cappotto o della sua illusione, il campanello suonò. La cubana era ancora immobile vicina alla soglia. Si voltò ed aprì l'uscio. Lauren aveva ancora il fiatone per la corsa, il suo petto scosso dall'ansimare nascondeva più che fatica.

«Che...» Domandò Camila aggrottando le sopracciglia, ma la corvina la baciò prima che potesse dire altro.

Era la più veloce in pista, ma fuori dal circuito arrivava sempre in ritardo. Quasi sempre. Camila inabissò le mani nella sua nuca, mentre Lauren conficcava impetuosamnte i polpastrelli nelle sue gote arrossate. Il refolo si infiltrava nel corridoio; non raffreddava la libidine fra le due, ma non permetteva nemmeno di togliersi il cappotto. Camila allungò la mano per chiudere l'uscio, Lauren si adagiò contro di esso, avvinghiando le braccia sul bacino della donna. Le sue dita sfioavano il fondo schiena prorompente della donna, mentre il petto di Camila cercava freneticamente un contatto con quello di Lauren.

La corvina riprese fiato, mantendo la mano sulla nuca di Camila. «Un giorno mi pentirò.» Disse parafrasando se stessa. «Non oggi, però.» Sorrise, strappando una risatina anche all'altra che invece di tuffarsi sulle sue labbra si accoccolò contro la sua spalla, aspettando che il respiro si regolarizzasse.

Lauren la strinse fra le sue braccia, riscaldando le parti ancora intrizzitte dall'aria vespertina. Le depositò un bacio sulla testa, ma il sospiro che trasse poco dopo fece intendere a tutte e due che, per quella sera, dovevano darsi la buonanotte. Qualsiasi cosa stesse nascondendo, non poteva eclissare ciò che invece le aveva fatto cambiare idea... No?

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Ciao a tutti!

Dopo questo capitolo leggerete quello che considero il primo dei due spaccati di questa storia! É molto importante perciò come capitolo, per questo ho deciso di disegnare gli stati d'animo di Lauren e Camila per lasciare più spazio a quello che aggiornerò domani, anche se non vi rivelerò tutto, ovviamente, ma qualcosa di fondamentale che muterà le sorti della storia.

Grazie a tutti!

A domani.

Sara.

  

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