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Capitolo 16

Ero un po' intimorita. Sarebbe stata la prima terapia della mia vita, e non era di certo una bella cosa da affrontare. Ciò che pensai, quando andai in ospedale, non è certo stata: ma sì, dai, divertiamoci!

Ma dovevo farlo, dovevo affrontarlo, nonostante tutte le difficoltà che avrei trovato, il dolore che avrei subito. Volevo provarci per mio marito. Soltanto per lui.

Era triste pensare e sapere che ogni sguardo affranto di Fabio portava dentro dolore e rancore. E, ogni volta che si presentava una seconda opportunità, c'era un luccichio che si accendeva nelle sue celesti iridi. Come se d'un tratto fosse speranzioso. Ogni alternativa, lui, la prendeva come una speranza, una nuova opportunità.

E mi chiedo sempre, perchè le alternative che rimangono sono sempre più difficili e dolorose da affrontare e/o superare?

Non esiste la decisione di prendere una via facile, perchè alla fine, un po' per coraggio, un po' per orgoglio, si finisce in quella strada piena di vetri rotti e rami taglienti. Che poi si sa, anche le rose, simbolo di amore e bellezza, nascondono nel gambo un mare di grandi spine.

-Non credono ti facciano entrare con me- Dissi, mentre Fabio cercava un posto libero per la macchina, nel parcheggio sotterraneo dell'ospedale.

-Spero di sì e, ad ogni modo, voglio essere lì con te.

Tirai un sospiro e guardai fuori dal finestrino.

-Preferirei rimanere da sola...

La malinconia mi fece abbassare la testa.

Finalmente, quando trovammo un posto vuoto, Fabio parcheggiò l'auto. Una volta spenta, posò una mano sulle mie unite sul mio grembo.

-Piccola -Mi chiamò, ed io mi girai verso di lui- Non voglio lasciarti da sola. Voglio passare questi momenti con te.

-Preferirai che passassi i bei momenti con me.

-Ma potrei rendere questo un bel momento.

Feci una risata sarcastica.

-Non credo che ci riusciresti- Mi passai le mani sugli occhi, sfregandoli, per eliminare un paio di lacrime.

-Non piangere, Cami...

-Non sto piangendo -Lo rassicurai, col nodo in gola. Davvero, non volevo che lui entrasse con me. Non volevo fargli vedere quanto sarebbe stata sicuramente dolorosa la terapia- Sono solo stanca.

Devo ammettere, però, che era vero. Ero sempre stanca. A volte molto, a volte poco, ma lo ero.

Aprii lo sportello della macchina e scesi, Fabio scese insieme a me, ci prendemmo per mano e c'incamminammo verso l'entrata dell'ospedale.

-Davvero -Lo pregai ancora una volta- Non me la sento di farti venire con me.

Mi avvicinò a sé e mi strinse al suo petto con un braccio posato sulle mie spalle, mentre l'altra mano aveva ancora le dita incrociate con le mie. Mi baciò la fronte.

-Sicura? Voglio venire, ma non vorrei che poi ti sentissi agitata...

-Va' a prendere un caffè con Franco. Io ti chiamerò non appena avrò finito.

Finalmente, il Dottor Blanco uscì dal suo ufficio.

-Camilla! Fabio! -Si sorprese di vederci. Unì le mani e se le sfregò, come se stesse architettando qualcosa, mentre mi guardava- Pronta per la chemio?

-Sì- Risposi sicura. La verità è che mi saliva già la bile. Avevo i nervi a fior di pelle. Come quando dovetti affrontare gli esami per la maturità.

-Ti accompagno io, siccome è la tua prima volta, così puoi orientarti e andare direttamente nella sala da sola, la prossima volta.

La prossima volta.

Percorremmo il corridoio fino ad arrivare alla parte opposta, dove si trovava una porta blindata. Il Dottore l'aprì e ci fece passare per primo. Io, con un piccolo sorriso, lo ringraziai. Qui, si estendeva un altro corridoio dove infermiere correvano da una parte all'altra, dottori avevano in mano cartelle e ragazzi sulla sedia a rotelle facevano giri guardando dentro le sale attraverso le vetrate. In fondo al corridoio, sul muro, c'era un cartello con una grande freccia che puntava verso sinistra e una scritta che diceva "Sala d'attesa". "Ma è possibile che gli ospedali abbiano sempre le pareti bianche? O sono io a beccare sempre quelli dipinti come manicomi?", pensai, con sarcasmo.

-Francisco! -Gridò un ragazzo sulla sedia a rotelle. Era calvo e avrà avuto diciassette anni. Nonostante ciò, pareva allegro e sorridente. Questo, si avvicinò al Dottor Blanco- Come butta, Dottore?

-Marco, smettila di gironzolare per i corridoi e basta gridare, la gente qui riposa- Lo rimproverò il Dottore, senza nemmeno guardarlo negli occhi. Ci fermammo davanti ad una porta in vetro. Accanto alla porta, c'era una lunga vetrata che faceva vedere com'era all'interno la sala.

-Anche oggi brutta giornata, no, Dottore? Io, invece, mi sento energico come una iena!

-A proposito, oggi non è il tuo giorno, perchè sei qui? -Marco arrossì lievemente e il Dottore lo guardò con un mezzo sorriso complice- Non sarà mica il turno di Elena oggi, no?

Il ragazzo non rispose, ma perse lo sguardo dietro di noi. Io lo seguii e vidi una ragazza camminare per il corridoio. Aveva una bandana rosa con delle macchie nere che le copriva la testa ed era completamente vestita in nero da una tuta enorme. Aveva le braccia incrociate al petto e aveva un'aria abbastanza triste.

-Scusate, devo andare. Arrivederci- Disse Marco, dando uno sguardo a tutti e tre. Noi lo salutammo in risposta.

-Allora, -Incominciò il Dottore- la sala dove starai è la numero 3 -Disse segnalando la porta accanto a noi- Puoi sederti su una delle poltrone ed entro poco arriverà l'infermiera con la tua dose di farmaco. Potrai leggere, chiacchierare con gli altri pazienti, camminare, anche se dubito che ne avrai le forze. Se hai bisogno di qualsiasi cosa o ti senti male, chiama l'infermiera. Lì in fondo -Disse puntando col dito la fine del corridoio- alla nostra destra c'è una porta. Lì, se ne hai bisogno, c'è lo psicologo del reparto. Puoi liberamente prendere un appuntamento con lui e andare a consultarlo. Puoi ricevere visite, ma dureranno dai 15 ai 20 minuti -Lo sguardo del Dottore andò su Fabio- Fuori dalla porta blindata c'è un cartello con gli orari di visita -Vidi con la coda dell'occhio Fabio annuire- Cosa dimentico?... -Sembrò pensare tra sé e sé- Ah, sì. Se uno di quei ragazzetti come Marco t'importuna o t'infastidisce, per favore, segnalacelo. Sono molti i pazienti che si sono lamentati e stiamo cercando di rimettere tutto in ordine.

-D'accordo- Risposi.

-Bene. Vado ad avvisare l'infermiera che ti seguirà che sei arrivata. Potete attendere in sala d'attesa, mi serviranno alcuni minuti per preparare tutto- Concluse, e se ne andò.

-Alla fine, hai vinto tu -Disse Fabio con un piccolo sorriso, mentre camminavamo verso la fine del corridoio. Sospirò- Mi raccomando, non combinare guai.

-Cercherò di fare del mio meglio- Risposi.

All'arrivo, ci fermammo e Fabio si girò verso di me. Mi prese il viso tra le mani e posò la fronte sulla mia. Mi diede un bacio umido sulle labbra, un bacio che durò troppo poco, e si separò. In quei momenti, l'unica cosa che volevo erano i suoi baci. Loro e la tenerezza di mio marito riuscivano a calmare un po' i miei disagi.

-Sei nervosa? -Annuii, mordendomi le labbra- Andrà tutto bene.

-Lo spero- Sorrisi.

Fabio alzò gli occhi al cielo di fronte al mio sarcasmo e negò con la testa. Mi prese il labbro inferiore con i denti e lo tirò un po'.

-Ci vediamo dopo. Riposa e chiamami, quando hai finito, capito?

-Sì.

Mi diede un altro bacio.

-Ciao, fanciulla.

-Ciao- Sussurrai.

Mi girai e lo guardai andarsene, mentre pensavo a quanto fosse incredibilmente bello. E dolce. E prezioso. E tutto mio. I nervi salirono ancora più velocemente nel momento in cui lo vidi chiudere la porta blindata. Con le sopracciglia aggrottate, mi morsi ancora una volta il labbro inferiore e decisi di sedermi per tentare di calmarmi.

"Smettetela di tremare, gambe!".

-Cami? -Sentii la voce di un uomo, accanto a me- Sei tu?

Girai la testa e c'era un uomo dagli occhi neri che mi fissava, incuriosito. Aveva i capelli neri ben pettinati ed era vestito con una polo verde scuro e un paio di jeans. Mi ci volle un po' per riconoscerlo.

Ma, quando la mia mente fece un tuffo nel passato, impallidii. Oh, Dio...

-James!

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