Capitolo 14
Passarono i giorni, e le notti non cambiavano. Di lì a poco, comunque, sarebbero arrivati i risultati e speravo che finalmente avrei smesso di vedere mio marito tanto ansioso. Per quanto potesse nasconderlo, io con i miei occhi lo vedevo comunque... la sua insicurezza, la sua tristezza e la sua paura.
Avevo raccontato ai miei genitori della malattia.
Mia sorella, Mia, c'era rimasta di sasso.
Credo che si fosse sentita una stupida perchè, pur essendo una dottoressa, non era riuscita a trovare niente nelle analisi dei miei campioni. Io, continuavo a ripeterle che sicuramente era troppo presto per riuscire a vedere qualcosa nel mio sangue, la prima volta che ci andai. Insomma... avevo cercato di rassicurarla come meglio potevo. Io non capivo nulla di quella roba.
Non solo ai miei genitori, ma anche a quelli di Fabio raccontammo tutto.
Ricordo il viso impassibile di suo padre; che uomo senza cuore. Ad un certo punto, ho creduto che ci godesse.
Fu Teresa che pianse anche per lui, anche se non me lo aspettavo dato che era sempre tanto acida con me.
-Sicura di sentirti bene? Se vuoi, possiamo chiamarli e rimandare...- Mi sussurrò preoccupato mio marito.
-Sì, Fabio, sto bene. Stai tranquillo, per favore- Risposi vacillante.
Veramente, ricordo che non mi sentivo affatto bene, quel giorno. Ricordo che mi ero svegliata con il mal di testa che mi pungeva le tempie e, guardata allo specchio, notai di essere davvero pallida. Anche Fabio me lo aveva fatto notare. Avevo, non so per quale motivo, un nodo allo stomaco. Ma cercai di non pensarci e calmarmi.
E poi, Mia ed Emanuele, il suo fidanzato, e Franco e Sabrina sarebbero dovuti venire a pranzo da noi. Non mi sarebbe piaciuto piantali e pensavo che un po' di compagnia mi avrebbe distratta.
Tutto andò tranquillamente, quello stare all'aria aperta e mangiare e chiacchierare con le persone a me care mi aveva fatto bene. Mi faceva sentire sicura e uguale a loro. Sana e non come tutti gli altri giorni, che passavo nella solitudine dei miei pianti e dei miei pensieri.
-Comunque, io non ho ancora capito dove hai tirata fuori quella camicia giallo canarino a righe arancioni -Rise Mia, guardando Franco- Non ti si può guardare!
-Non insultare la mia camicia preferita!
-Non immagini quante volte ho tentato di tagliarla a pezzettini -Sussurrò Sabrina- Però, poi, sapevo che mi sarei sentita in colpa e mi sono sempre tirata indietro.
Io risi.
-Ora che te lo ha rivelato, dovrai nasconderla dalle sue temibili mani.
-Mi ricordi quel nostro compagno del liceo. Quello inglese, con gli occhiali, che si lisciava i capelli con il gel...- Riflesse Fabio.
-Ah, sì, quello gay che in quinta si è messo a piangere per aver preso otto nella verifica di chimica -Ricordò Franco- No, dai, non può essere. Non posso assomigliare a quella talpa.
-Lui aveva un golfino dello stesso colore, ma con le righe verdi, se non ricordo male- Mi tuffai nel passato.
Dio, quanto si vestiva male quel ragazzo. Credo non abbia mai saputo abbinare i colori. E pensare che voleva diventare uno stilista di fama....
-Siete terribili- Ci ammonì Mia, ma noi continuammo a ridere lo stesso.
-Io incomincio a sparecchiare- Dissi.
Presi il mio piatto in una mano, quello di Fabio nell'altra e mi alzai. Ma, improvvisamente, la testa cominciò a girarmi ed incominciai a sudare freddo. Le risate rimbombavano lontane nella mia testa e vidi dei puntini neri che incominciavano a prendere il posto della mia vista. Temevo che mi sarei messa a vomitare. Tornai ad appoggiare i piatti sul tavolo e mi coprii gli occhi con le mani.
Sentii una mano fredda sulla mia spalla e mi vennero i brividi.
-Cami, ti senti bene?- Mi chiese Fabio, preoccupato.
Quei brividi continuavano ad avventarsi su di me, passando per la mia spina dorsale e scendendo, circondandomi la vita per fermarsi al mio ventre. Un lieve dolore mi fece riprendere.
-H-Ho bisogno di andare in bagno- Sussurrai.
Fabio e Mia mi accompagnarono in casa e mi portarono in bagno. Ma non ce la feci. Le ginocchia mi cedettero e mi liberai dalle mani che mi tenevano le braccia, gattonai fino al gabinetto ed incominciai a vomitare. Il sudore mi bagnava la pelle e i brividi lo rendevano ghiaccio che mi pizzicava tutto il corpo. Incominciai a non comprendere più nulla di ciò che mi accadeva intorno e l'unico suono che sentivo era quello del sangue che pompava nel mio ventre. Mi faceva un male atroce.
Poi, sentii qualcosa colare tra le gambe. Nel riprendere il fiato, infilai una mano nei miei pantaloncini per raccogliere quel liquido, ma non lo guardai, semplicemente afferrai il polso la quale mano manteneva la mia fronte. Alzai lo sguardo ed incontrai quello di mio marito: stava piangendo.
Per quanto cercasse di essere forte, era debole. Per quanto cercasse di essere positivo, era triste. Per quanto cercasse di mantenere la calma, era ansioso. Ed io lo amavo.
Piansi insieme a lui e, col nodo in gola, sussurrai:
-Ti prego... Aiutami.
E i miei occhi si chiusero.
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