Capitolo venti
«Com'è possibile prendere una porta in faccia? Hai messo il ghiaccio?» Il tono di Angie si era fatto più stridulo, mentre contemplava con minuziosa attenzione i lividi violacei che tumefacevano il labbro e la tempia della cubana.
«Eh.. Dinah ha aperto improvvisamente la porta, io stavo uscendo e.. Beh, il resto lo vedi.» La cubana indicò le ammaccature sul volto livido, increspando le labbra in un sorriso che rassomigliò più ad una smorfia, dato il dolore che ogni volta l'agguantava quando contraeva la guancia.
«Mettiti sul divano, ti prendo del ghiaccio.» Ingiunse premurosamente Angie, affaccendandosi anche per riporre borsa e cappotto della cubana.
«Ma guarda davvero, non c'è bisogno.» La rassicurò Camila, tentando di sottrarsi ad ulteriori medicazioni che non facevano altro che ricordarle la figura patetica e melensa che aveva intascato.
«Siediti, Mila. Ti prendo il ghiaccio.» Scandì perentoria la bionda, additando rigidamente il divano.
La cubana incassò appena le spalle, alzò le mani, sventolando bandiera bianca, e sotto lo sguardo austero e pedantesco della ragazza, si andò a sistemare sul divano. Camila si morse il labbro inferiore durante la discesa verso il sofà, perché anche le costole erano sofferenti, ma questo non poteva dirlo ad Angie che altrimenti avrebbe sbugiardato la menzogna della porta. Interrò con forza i denti nel labbro, rilasciando un solo ovattato rantolo che camuffò abilmente in un sospiro.
«Ecco, premilo con poca forza, sennò ti farai ancora più male.» Illustrò Angie, guadagnando un'inevitabile battuta di scherno per l'asserzione elementare appena impartita.
«Ma va, ma non mi dire.» La sbeffeggiò la cubana, ottenendo un pugno sul braccio.
Il colpo le provocò, indirettamente, una lancinante fitta al costato. Le sembrava quasi che la fragile ossatura si spezzasse ad ogni movimento. Era spaventata da questa prospettiva, ma pensava di depistare il pensiero per non farsi soffocare dal panico.
«Grazie.» Disse con voce incrinata, avvicinando la sacca blu sulla guancia per attenuare il dolore contagioso, già sparso su varie aree del viso.
«Ma guarda qua.» Sussurrò attonita Angie, scostando un ciuffo ribelle dallo sguardo contuso della cubana.
«Eh già, ma non è niente.» Rabbonì la sua fervente preoccupazione, stemperando la tensione con un sorriso che le provocò non poco impegno.
Un preludio di silenzio innervosì Camila, che temeva per l'attendibilità mitomane della sua bugia. La porta in faccia era stata una buona scusa, ma abbastanza banale e infantile. Scoprire il vaso di Pandora non era compito impossibile, e quel silenzio meditabondo innescò un meccanismo difensivo paranoico nella cubana, che già stava formattando delle nuove opache bugie.
«Certo che, è strano che Dinah non abbia bussato.» Ipotizzò sospettosa, gli occhi già aguzzati e la mano a sfregare compulsiva il mento, somatizzando il primitivo dubbio.
Camila aveva già abbassato lo sguardo prima ancora che verbalizzasse la domanda, adesso si era letteralmente voltata dall'altra parte «Beh, non lo fa mai, perciò..» Virò di scatto il capo, colta improvvisamente dal pensiero che la sua postura schiva potesse piantare nuovi dubbi in Angie.
Incrociò gli occhi della ragazza, ancora sottili e guardinghi, e abbozzò un sorriso, tentando di stemperare le angustie dell'altra con un perbenismo amorevole.
«Mila..» Sospirò la ragazza, chiaramente giunta ad una conclusione che metteva la cubana alle strette.
Camila si alzò dal divano, sentendosi letteralmente senza scampo. Lasciò cadere la sacca del ghiaccio sul sofà, poi portò le mani sui fianchi e camminò avanti e indietro per la stanza, emettendo suoni monocorde che esternavano la sua incertezza.
«Ho iniziato a prendere lezioni.. lezioni di boxe.. con, con Lauren.» Mentì nuovamente, sperando che stavolta l'espediente facesse breccia nelle illazioni pregiudicate della bionda.
«Ma perché non me l'hai detto? Ma.. ma poi a cosa ti servono?» Domandò disorientata Angie, smanacciando disordinata mentre tentava di raffazzonare il puzzle.
«Non lo so, io... ecco non si sa mai, no? Quindi ho pensato che una solida difesa personale mi potesse aiutare in casi estremi.» Incassò le spalle la cubana, migrando lo sguardo attorno a se come per trarre ispirazione in caso d'emergenza improvvisa.
«Si, ma..» La bionda di alzò di scatto, l'afferrò per le spalle, e le rivolse uno sguardo penetrante, un po' impensierito «È successo qualcosa per cui hai voluto prendere lezioni?» Il suo respiro si era un po' velocizzato, al che Camila scosse energicamente la testa.
«No, Angie. Avevo soltanto voglia di imparare. Non c'è un altro...» La cubana venne bruscamente interrotta dallo squillo invadente del telefono.
Angie sbuffò annoiata, ma notando l'espressione dispiaciuta della cubana capì che non poteva sottrarsi al suo dovere: se quella era una chiamata di lavoro, doveva rispondere.
«Ah.. mi, mi dispiace. Aspetta un attimo, solo un attimo.» Si scusò ripetutamente Camila, imprecando sottovoce mentre rovistava nella borsa.
La telefonata proveniva da Tommy, motivo in più per non riagganciare. La cubana si voltò mortificata verso l'altra, sottintendendo che non poteva dimettersi dal suo impegno. Angie inspirò profondamente, fece un cenno nella direzione di Camila come per concederle di rispondere senza remore, e si accasciò contro il divano, sospirando di nuovo.
«Tommy, scusami, posso...» Esordì la cubana, intenzionata a procrastinare la telefonata, ma l'urgenza dell'uomo l'anticipò.
«Camila, perdonami l'orario, ma dovevo assolutamente contattarti.» Si distrasse un attimo per impartire direttive ad un collega, poi tornò alla chiamata, frettoloso come sempre «Ti rubo pochi minuti. Il prossimo incontro di Lauren sarà contro un assistito di Sigmund. Per cause legali abbiamo bisogno che entrambi gli avvocati siano presenti...» Comunicò l'uomo, lasciando in sospeso il discorso di sua spontanea volontà.
«Ma certo, sarei comunque stata presente.» Sorrise la cubana, rassicurando Tommy.
«Si, cioè no.. Nel senso che non si terrà qui. Dobbiamo spostarci nel Queens, insomma si trova ad un'ora massimo.. Sarebbe un problema, cioè per te.. per te sarebbe un problema?» Farfugliò indaffarato, tentando di tenere le redini di tutte le faccende che stava sbrigando.
«Ah.. no, so guidare.» Ridacchiò Camila, tranquillizzandolo.
«Camila, dobbiamo fare alcune interviste, e c'è comunque bisogno della tua presenza. Dovresti arrivare un po' prima.» Temporeggiò nuovamente Tommy, al che la cubana intuì stesse girando attorno al punto.
«Cosa devi chiedermi, Tommy?» Sospirò conclusiva, cogliendo il risolino contenuto da parte dell'uomo che non credeva di essere scoperto così presto.
«Dovresti arrivare qualche giorno prima. Ovviamente è tutto pagato da noi, albergo, viaggio... Insomma, ti prego.» Supplicò spudorato, mentre continuava a somministrare ordini allo staff.
«Ah.. mi prendi alla sprovvista.» Si grattò nervosamente il sopracciglio.
Il vero dilemma non era dormire fuori casa per qualche notte; il vero dilemma era dormire fuori casa qualche notte con la presenza di Lauren.
La cubana si voltò parzialmente, scrutando la bionda stravaccata sul divano, immusonita per l'interruzione intempestiva che l'aveva molto irritata. Angie stava vessando una pellicina sul pollice, ingannando l'attesa. Camila si perse qualche istante ad osservare quell'interazione docile della ragazza, e poi planò con lo sguardo lungo le pareti, tastandone l'estraneità.
«Camila..?» La voce perplessa di Tommy la risvegliò dalla trance.
«Ah, si. Si, cioè voglio dire, si. Vengo, si.» Acconsentì infine, visualizzando le dita della bionda paralizzarsi, vigili.
«Grande! Grazie, Camila. Grazie davvero.» E spensero chiamata, lasciando la cubana ad ascoltare il reiterato bip che in qualche modo denunciava la sua avventata decisione con un silenzio accusatorio.
Angie notò la disponibilità della cubana, anche se il suo sguardo vacuo era ancora incatenato allo schermo.
«Mila, allora?» Le andò incontro, anche se la cubana non accennava ad alcun movimento cinetico «Perché ti sei segnata a boxe?»
La cubana non replicò, era ancora incantata sullo smartphone ormai rabbuiato.
«Mila, mi dici perché l'hai fatto?» Le mani della bionda avvolsero le spalle dell'altra, confortanti.
Camila poggiò il telefono sulla scrivania più vicina, respirò profondamente e semplicemente disse «Dovevo farlo. Dovevo proprio farlo, Angie.»
E quella risposta valeva per molte altre domande che però nessuno aveva esposto.
*****
Quattro giorni dopo, Camila attendeva esagitata sul ciglio della strada, con la valigia di fianco e uno strato massiccio di fondotinta che mascherava grezzamente le percosse visibili a colpo d'occhio. Sfoggiava anche un paio d'occhiali neri che coprivano l'insignificante livido sulla tempia, più ridotto rispetto all'altro perché scagliato con imprecisione.
Stringeva la maniglia della valigia, battendo ritmicamente la suola sul marciapiede costellato di chewing-gum, sempre più nervosa di togliersi quel dente.
L'ansia dell'attesa è la casa di ogni timore, l'alloggio di ogni fantomatico imprevisto. L'ansia dell'attesa è quel momento in cui le aspettative si ingigantiscono, ma la paura di essere delusi, o di deludere, è sempre maggior di qualsiasi pretesa. È un precetto universale, inderogabile. L'ansia esiste per narcotizzare l'esperienze autentiche. Ma basta pensare che tremano le mani, e quando tremano le mani non può essere una cosa spiacevole.
La vettura di Tommy sbucò dall'angolo, svoltando con lentezza sulla strada principale, e accostò.
«Ehi, bellezza, ti portiamo a fare un giro?» Scherzò l'uomo, affacciandosi dal finestrino, con il solito sorriso marpione e gli occhi oscurati da una nuova montatura di tendenza.
Camila rise e scosse la testa, rassegnata ormai alla personalità perennemente goliardica dell'uomo. Circumnavigò l'auto e ripose impacciatamente la valigia sopra il catasto che si stipava nel baule. Poi aprì lo sportello scorrevole e di fronte a se, accanto a lei, vide la figura della corvina, imperscrutabile e inespressiva come sempre.
«Buongiorno.» Salutò educatamente Camila, sigillando lo sportello con uno scatto netto che diede il consenso a Tommy di imbarcarsi nel flusso della strada.
Andiamo bene.
Lauren per tutta risposta mugolò, accludendo un cenno del capo, statico. Agli albori della mattina non era mai stata loquace, questo lo ricordava.
«Allora, tutti pronti per questa magnifica avventura?» Domandò smodatamente esaltato Tommy, suonando all'impazzata il clacson per celebrare la loro scalata.
«Se lo rifai, ti schiaccio la testa contro il finestrino.» Minacciò a denti stretti Lauren, sprofondando poi nel sedile, con le palpebre chiuse e l'intento di riposare.
Camila si voltò verso il finestrino, roteò gli occhi al cielo, ed invocò l'aiuto divino.
Sarà divertente, si.
————-
Spazio autrice:
Ciao a tutti.
Ragazzi, so che il capitolo è più corto rispetto al solito, ma ci tenevo a farlo uscire per non lasciarvi a secco.
Ovviamente è un capitolo di passaggio, ma vi assicuro che i prossimi saranno BOOM. Non trovo altre parole 😂 Quindi, vi aspetto.
A presto.
Sara.
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