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Capitolo quindici


«Angie!» Urlò Camila dall'altra stanza, di fretta come sempre «Hai visto la mia borsa?» Si affacciò sulla soglia, fiutando come un segugio la stanza, alla ricerca dell'oggetto in questione.

«Sul divano.» Risolse l'enigma la bionda, additando il sofà.

«Oh, grazie al cielo. Sono già in ritardo.» Sbuffò spossata la cubana, brandendo la borsa con un gesto quasi affaticato.

«Nelle ultime settimane stai lavorando il doppio se non il triplo, ci credo che sei stanca.» Sentenziò gentilmente Angie, sbucciando una fetta di mela con la faccia seghettata del coltello, con una dimestichezza che Camila le invidiava.

«Beh, è il mio dovere.» Si difese la cubana, scrollando le spalle e accludendo un sorriso che depistò i primordi sospetti di Angie.

Era molto gelosa, e anche irrecuperabilmente psicopatica.. Come ogni buona fidanzata che si rispetti. Ironizzò la cubana, scuotendo poi la testa per la battuta insulsa.

«Comunque, stasera non tornerò nemmeno per cena.» Avvisò la cubana, imbronciandosi per esternare il grande, grandissimo dispiacere che le provocava quell'inconveniente «Sai, Lauren ha il primo incontro per le regionali, quindi io e Dinah andiamo ad assistere. Ne avrei anche fatto a meno, ma...»

«Ma no! Fai bene a passare una serata con le tue amiche, ti aiuterà a svagarti e staccare la spina dal lavoro.» La rassicurò Angie, con quel sorriso affabile che trasmetteva tanta simpatia e benessere, ignara della verità di fondo che stava ordendo le sue giornate.

Camila le riservò un sorriso tiepido, poi fece scivolare lo sguardo sul polso e, notando l'incorreggibile ritardo, si affrettò ad uscire. Si augurarono buona giornata con un bacio al vento e un cenno della mano, poi l'uscio si richiuse e salparono verso le loro rispettive giornate.

La mattinata si preannunciava lieta, visto il cielo terso e il tepore del sole che lusingava la pelle. Camila adorava quel clima sereno che l'attorniava quando le persone erano giulive grazie all'influenza positiva del tempo. La faceva star bene sentire il profluvio di risate e voci che si armonizzavano con i rumori di sottofondo, le piaceva proprio.

Pervenne allo studio: non con poche difficoltà varcò la porta, lasciandosi alle spalle quella sinfonia ambientale. Dinah stava chiacchierando con dei colleghi, ma quando la vide entrare si dissociò con educazione da questi e raggiunse la cubana nel suo ufficio.

«Cavolo, sono troppo emozionata per stasera.» Esultò euforica la polinesiana, esponendo un sorriso genuino.

Camila ridacchiò, poi annuì flebilmente e sospirò «Anche io.» Sorridendo di rimando all'amica, alla quale sfavillarono gli occhi.

Dinah non era solo contenta per l'ascesa di Lauren in un torneo rimarchevole, era soprattutto commossa per la partecipazione di Camila alla serata. Era emozionata per l'amore che, malgrado le circostanze e gli interminabili anni di silenzio, si era solo fortificato. Ma non l'amore inteso univocamente, ma l'amore in generale. L'amore che era rimasto del ricordo, del sentimento. L'amore per l'incolumità altrui, sia fisica che emotiva. Insomma, l'amore in tutte le sue più pure forme.

«Okay, ti lascio lavorare. Alle sette vengo a bussarti, sia mai che ti dilunghi in pratiche noiose.» Scherzò la polinesiana, chiudendo la porta alle sue spalle.

Camila sgomberò la scrivania con affanno impareggiabile. Ci teneva molto al suo lavoro e all'efficienza di esso, ma quel giorno era talmente su di giri che non riusciva nemmeno a tenere ferma la penna per più di un secondo, e se questa di arrestava allora era la gamba, sotto al tavolo, ad agitarsi convulsamente.

Non vedeva l'ora di prendere posto davanti al ring e vedere Lauren combattere. Aveva già assistito ad una sua performance, ma quello era un allenamento, mentre ora le cose si facevano serie. Poteva solo immaginare quanto elettrizzata fosse la corvina.

Alle sette in punto, Dinah bussò alla sua porta.

«Eri dietro la porta o che?» Celiò spiritosamente Camila, adunando le sue cose con mascherata fretta.

«Prendo la macchina, ti aspetto fuori.» Notificò Dinah, indicando le porte vetrate alle sue spalle e scomparendo poi dietro di esse.

Camila imbracciò la borsa, strinse la maniglia e, prima di abbassarla, prese un bel respiro. Non aveva pensato ad una probabile sconfitta di Lauren, ma in quel momento, improvvisamente, le sovvenne il pensiero. Non era sicura di cosa sarebbe successo se la corvina avesse perso. Aveva subito già troppe sconfitte, non ne occorreva un'altra per completare la demoralizzante collezione.

Forse stava impiegando troppo tempo, perché il clacson di Dinah starnazzò protestante, incoraggiandola burberamente a sveltirsi. Camila scosse la testa ed uscì.

New York l'accolse con un boato di suoni che adornavano il crepuscolo altrimenti silente. Si era ribellato un venticello fresco che, in assenza  del sole, infreddoliva le braccia, ma era comunque gradevole.

Camila scosse la macchina della polinesiana parcheggiata in doppia fila, al che trotterellò verso di lei e si scusò per il ritardo, quando si fu immessa nell'abitacolo.

Per tutto il tragitto condivisero si e no quattro parole. In qualche modo, probabilmente per la familiarità che aveva con la cubana, Dinah sapeva che Camila era indisposta a parlare. Probabilmente l'ansia la stava assediando, ed era normale, contando che sul ring avrebbe combattuto Lauren... E Lauren, per Camila, era pur sempre Lauren, e lo sarebbe sempre stata.

Davanti allo stadio si ammassava un nugolo di persone che probabilmente avrebbe preso parte allo spettacolo principalmente per la fama che Lauren si era fatta con la storia del processo, non per la sua notorietà in quanto pugile. Questa considerazione inviperì Camila, la quale contenne a stento la collera, sapendo bene di non poter rimediare in nessun modo all'ignoranza sociale, ma chiaramente innervosita da tale sindrome. Sperava soltanto che tutti gli avventori avessero il buonsenso di non accanirsi insensatamente verso la corvina durante una serata così importante.

Dinah posteggiò l'auto nel parcheggio riservato al centro commerciale, perché quello dello stadio era tutto esaurito.

«Camila.» La richiamò una sola volta quando si accinsero a inoltrarsi all'interno dell'androne rumoreggiante.

«Andrà tutto bene.» Sorrise dolcemente, carezzandole la spalla.

«Certo.» Replicò spalleggiante la cubana, tirando però, forse per la prima volta, un sospiro di sollievo.

A volte abbiamo bisogno di qualcuno che ci ricordi che andrà tutto bene, solo sentirlo ci aiuta a crederlo.

Gli spalti erano gremiti, non c'era un solo posto vacante. Camila si osservò attorno con le labbra schiuse e gli occhi ammirati, incuriosita e un po' frastornata da tutto quel caos. Il ring era illuminato da degli appositi faretti che creavano un gioco di luci chiaro-scuro fra il "palco" e la platea. Da quanto baccano rimbombava nell'androne, le corde rosse vibravano impercettibilmente.

Camila frugò con lo sguardo verso lo staff che presidiava l'entrata a destra, quella da dove teoricamente i lottatori. Di Lauren nemmeno l'ombra. Venne sospinta da spettatori impazienti che sbuffarono per l'intralcio che stava ostruendo le scale, così la cubana scartò verso sinistra e si sedette di fianco alla polinesiana.

Si armarono di pazienza, si distrassero con le immagini che volteggiavano veloci sul tabellone, divertendo le persone in trepidante attesa. Ci furono degli annunci, qualche pubblicità, il gioco del bacio, altre pubblicità, e poi diventò tutto nero. Lo schermo, dove Camila aveva puntato gli occhi, fu la prima cosa a spegnersi, a seguirlo tutte le luci che rischiaravano lo stadio.

Ci fu un boato sovraccarico di incontenibile emozione e inarrestabile competitività. Da quanto fu mastodontico l'urlo di massa, Camila incassò le spalle. L'arbitro comparve al centro della scena, i riflettori esplosero sulla sua figura predominante. Annunciò con clamore il nome dell'avversaria, susseguito da qualche strepitio che però niente poteva contro il grido trionfante che accompagnò l'ingresso di Lauren. Il suo viso era coperto dal cappuccio e dal flusso di capelli che ricadevano aderenti sulle guance, ma Camila, forse stupidamente, credette di percepire il suo sguardo vagabondare fra gli spalti.

La corvina scavalcò con agilità le corde, percorrendo i primi metri del ring con incedere pettoruto e un po' arrogante, tipico della fama che si era edificata negli anni. Tutti l'applaudirono, pochi la fischiarono e, quella lobby di aggressori verbali, venne comunque marchiata dallo sguardo cagnesco della cubana.

Camila, quando Lauren si sfilò il cappuccio e mostrò il suo volto non sono alla platea ma anche alle telecamere che trasmettevano sul grande schermo, trattenne il respiro. Era ammaliante, sfacciatamente apatica a quegli acclami enfatici che osannavano il suo nome, ma non poteva sfuggire alla visione penetrante di Camila che riusciva a lambire la perturbazione agli angoli della bocca.

La corvina virò lo sguardo, inconsapevolmente, verso la zona della cubana. Camila non era certa che Lauren riuscisse a contraddistinguerla da così lontano, mentre lei era aiutata dal teleschermo che catturava l'immagine in primo piano. La cubana fissò gli occhi della corvina attraverso di esso, e Lauren, almeno a lei così parve, ricambiò quell'attimo d'intensità.

Camila associò quel momento di legame visivo ad anni imperituri. Rivide negli smeraldi ingranditi di Lauren quel momento di solidarietà e sostegno che la stessa corvina le aveva elargito la sua prima volta in tribunale. E ora i ruoli si erano capovolti, ma entrambe erano ancora lì, l'una per l'altra.

Dopo qualche minuto di applausi vari, l'arbitro diede il via all'incontro. Camila inspirò profondamente e irrigidì le spalle, il suo sguardo non si distolse nemmeno per una frazione di secondo.

L'inizio del match fu decisamente scoraggiante. Lauren non incassò alcun pugno, ma nemmeno riuscì a infliggerne. La ripresa fu maggiormente coinvolgente, perché Lauren riuscì a schivare tutti i colpi e piazzare più di sei jab di fila. Chiuse due volte l'avversaria all'angolo, sommergendola di più serie consecutive di colpi che fecero girare la testa all'antagonista. Ci furono più riprese, addirittura si arrivò all'ottava, e qui Lauren venne messa al tappeto da un destro micidiale che fece sussultare la platea.

Camila si alzò in piedi con uno scatto impaurito. Rimasero tutti con il fiato sospeso, mentre l'arbitro scandiva i secondi, battendo la mano a terra come un giudice insaziabile è impietoso. Lauren, mentre arrancava sul terreno, alzò il capo nella direzione di Camila, e forse non la vide davvero, ma cercò soltanto lei. 

Si rialzò a stento, barcollando sulle gambe, ma solo finché non si fu eretta in piedi e la ressa inneggiò la sua vittoria. Lauren ebbe soltanto quel momento di vacillamento, dopodiché terminò il nono ruond con una tenacia indicibile. Si leggeva nelle sue smorfie il dolore, ma nemmeno per un attimo ebbe la tentazione di mollare.

Ovviamente venne conclamata vincitrice, con un fragore assordante, ma un sorriso ancor più stordente.

«Hai visto? È stato fantastico! Quando le è schizzato il sangue dalla bocca, Dio!» Saltellò Dinah eccitata sul posto, mimando i gesti fluidi delle braccia, fendendo l'aria.

Camila ridacchiò, scuotendo appena la testa e seguì la polinesiana verso il basso, dove Tommy stava discutendo con il loro staff, chiaramente fomentati per la vittoria riscossa.

«Tommy!» Lo richiamò Camila a gran voce, attirando la sua attenzione, ma non tanto per il volume, quanto per la presenza di Dinah al suo fianco.

«Camila! Che piacere vederti. Hai visto? È stata brava, eh?» Gongolò orgoglioso, ancora arrossato dall'emozione che gli imporporava le guance.

«Bravissima. A proposito, dov'è? Volevo congratularmi di persona.» Quasi si giustificò Camila, sporgendosi oltre le spalle aitanti dell'uomo.

«Non è qui. L'abbiamo rapita per una festa in suo onore, nel mio appartamento. Siete invitate, ovviamente.» Lo sguardo salace di Tommy precipitò sul sorriso incisivo della polinesiana che, stranamente, non stava alzando gli occhi al cielo.

«Ah.. non so.. io dovrei tornare a casa da Angie...» Mormorò indugiante la cubana, ma venne provvidenzialmente incoraggiata dallo spirito festaiolo della polinesiana che le diede una pacca ragguardevole sulla spalla.

«Ma sì! Dai! Domani apriamo un'ora più tardi lo studio. Devo salutare Lauren e farle i complimenti, per forza.» Sentenziò Dinah, occhieggiando Tommy con sguardo languido.

«Vabbè dai.. Posso, posso avvertire Angie e magari stare qualche ora con voi.» Pronunziò sommessamente la cubana, vendendo prontamente presa in parola dai due che si accordarono per trovarsi di fronte al patio di casa di Tommy, il quale scrisse casualmente il suo indirizzo sul telefono della polinesiana.

Appena si immisero nell'abitacolo dell'auto, Camila avvisò Angie con un messaggio conciso, mettendola al corrente di come si erano imprevedibilmente evoluta la situazione. Poi, forse senza nemmeno rendersene conto, impostò la suoneria sulla modalità silenziosa, e disperse lo smartphone nella borsa.

«Sai, non mi ero accorta la prima volta di quanto fosse carino Tommy.» Comunicò allusiva la polinesiana, aggiungendo un suono d'apprezzamento alla sua asserzione.

«Dinah, per favore, voglio almeno tornare a dormire a casa.» Prefissò Camila, appuntando il commento come regola d'ordine.

«Tranquilla. Saremo a casa prima di quanto tu creda.» La rasserenò Dinah, con un sorriso amicale che convinse la cubana.

La casa di Tommy pullulava di persone, più che altro facce conosciute perché appartenenti all'aggregazione dello staff che spesso Camila intravedeva allo stadio. Vennero accolte personalmente da Tommy che le inserì all'interno dell'abitazione con spontanea familiarità. Dinah si coagulò immediatamente, ma non c'era da meravigliarsene: grazie al suo animo improntato alla socializzazione non le era difficile ambientarsi. Camila, invece, dopo le presentazioni, si addentrò fra le stanze sconosciute alla ricerca di Lauren.

Dove cazzo...? Mormorò fra i denti, perlustrando prima la cucina, poi il salotto, ma tenendosi alla larga dalle due camere che probabilmente ospitavano scenari poco pudici.

Si era quasi attesa, quando la porta del bagno si spalancò addosso a lei, rivelando proprio la corvina sulla soglia. Lauren aggrottò le sopracciglia, sorpresa e confusa dalla presenza della cubana, la quale però non le diede il tempo di riflettere perché si fiondò fra le sue braccia, stringendola a se.

«Sei stata bravissima, cazzo! Mi hai fatto venire la pelle d'oca.» Si congratulò sinceramente, aumentando la forza della presa attorno al suo collo.

«Grazie, Camila.» E stavolta Lauren reciprocò l'abbraccio, avvolgendo le braccia attorno alla sua schiena.

«Non riuscivo a smetterla di guardare e poi...» Mentre la cubana era intenta a spiegarsi, qualcuno l'urtò violentemente, per sbaglio, e lei  venne sospinta in avanti, schiacciandosi contro il torace della corvina «Oh, scusa..» Sibilò imbarazzata, a un passo dalle labbra che tanto aveva torturato.

Camila deglutì, Lauren respirò. Camila si morse il labbro, Lauren le carezzò il fondoschiena, risalendo pian piano lungo la spina dorsale. Camila reclinò appena la testa, Lauren tentò di scuotere impercettibilmente il capo. Camila chiuse gli occhi, respirando dopo tanto tempo quel profumo irriproducibile che per tanti anni le aveva tormentato le narici in momenti d'assenza indicibile. Lauren era libera da anni, ma solo adesso la riconosceva davvero la libertà.

«Sei stata.. davvero brava..» Sussurrò Camila, schiarendosi la voce e facendo un passo indietro, uscendo dalla presa della corvina, che la lasciò andare, riluttante.

«Bene.. Raggiungo gli altri in sala e ci vedia..» Esordì Camila, ma venne prontamente anticipata da Lauren.

La corvina balzò in avanti, le cinse i fianchi e l'attirò a se, dentro al bagno. La spinse contro l'uscio, serrò la porta con l'apposito lucchetto, e la ingabbiò fra le sue braccia e il suo corpo.

Strofinò il naso contro il suo, con le palpebre chiuse e il respiro mozzato. Camila farneticò qualcosa, ma il suo cuore galoppava troppo forte per coincidere con le parole.

Lauren le solleticò la guancia con il naso, fece scivolare delicatamente la mano dietro la sua nuca, come se stesse tacitamente chiedendo il permesso, ma poi la baciò famelicamente, ed entrambe fecero danzare le lingue le une con l'altre, avvinghiandosi confusamente fra di loro. Il respiro già affannato e il ventre già bramante.

Continua...

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