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Capitolo due

Non mi esprimo rispetto a quest'atto di generosità! Leggete le note autrice. Ciao 😂😂

Buona lettura :)


«Sembra di tornare in un posto che non mi appartiene.» Sussurrò nostalgica la corvina, facendo scivolare le dita sul ripiano della cucina, dove i cocci erano stati lavati e asciugati, ma mai riordinati.

«Sei diventata Shakespeare dietro le sbarre?» La schernì Normani, tentando di dispiegare la tensione che chiaramente aleggiava nella stanza.

Non era un clima rigido, ma dopo diversi anni due persone devono capire come incastrarsi l'un l'altra, cosa sostituire al ricordo che preservano e modificarlo con i nuovi stigmi accaparrati nelle diverse esperienze quotidiane. Erano entrambe variate, in qualcosa di più in qualcosa di meno, ma lo erano. In più, ovviamente, si tangeva quel rispetto, quasi timoroso, di evitare intenzionalmente argomenti potenzialmente deleteri.

«Fottiti.» Alzò il dito medio Lauren, ispezionando ogni angolo della roulotte, ma non con la solita confidenza che aveva rivendicato l'abitudine anni addietro.

Era più stranita, sicuramente, ma anche stordita. Quella era indiscutibilmente casa sua, ma per una farragine di motivi non la sentiva più parte di se. È come guardare un quadro da lontano, il paesaggio ti rapisce, la figura in rilievo ti cattura, ma poi ti avvicini e realizzi che le sfumature sono di una tonalità più intensa, che quel verde non è propriamente verde ma forse è una sfaccettatura di celeste, e no, no la tela non storpia di bellezza, ma non la senti più tua, nel vero senso della parola. Non è più tua.

Lauren armeggiò con la caffettiera del caffè, sciacquata e riversa sullo strofinaccio, chissà da quanto tempo... Improvvisamente le sovvenne un pensiero, e virò parzialmente lo sguardo verso l'amica, stagliata ancora sul fondo della roulotte.

«Li hai lavati tu questi?» Suonò disinteressata, ma l'orecchio era teso verso la fonte del suono.

«Uhm... non ricordo, Lauren. Non venivo qui da qualche anno, ma può essere che sia stata io, sì.» Scrollò le spalle, non comprendendo dove stesse andando a parare Lauren, che però dirottò subitamente discorso, non dando tempo alle sinapsi dell'amica di fabbricare congetture.

Si stravaccò sul letto, capitolando a peso morto sul materasso, sempre gracchiante. Normani si addentrò verso lo stipite, appoggiandosi sciancata contro di esso a braccia conserte, senza vocalizzare alcun pensiero.

«Dio, quelle brande mi hanno rovinato la schiena.» Si lamentò gemebonda la corvina, massaggiando la parte bassa della zona lombare, dove il dolore si concentrava.

«Non che ti sia andata meglio adesso.» Sghignazzò sbeffeggiante Normani, colpendo delicatamente la suola penzoloni della scarpa della corvina.

«Fottiti, di nuovo.» Rincarò Lauren, ma un fievole sorriso le affiorò sulle labbra.

Normani doveva scappare a lavoro, in più supponeva che Lauren necessitasse di qualche tempo in solitudine per metabolizzare. Anche le cose belle hanno bisogno di essere processate da una mente infreddolita come lo era quella di Lauren.

«Sono contenta che tu sia di nuovo in giro.» La salutò così, chiudendo l'uscio con un po' troppa forza, così gridò delle arrabattate scuse e se ne andò.

«Si, anche io.» Mormorò la corvina, intrecciando le mani dietro la nuca, ma non prima di aver occhieggiato il coacervo di stoviglie che alloggiava sul ripiano... E poi sprofondò la testa nel cuscino, girandosi verso la finestra, e chiuse gli occhi.

*****

Camila titillò l'angolo del foglio con il cappuccio della penna, tentando di inforcare il sottile strato nella sottile fessura, ma puntualmente la carta si rattrappiva e i suoi tentativi si rivelavano esser vani.

Erano le dieci, le dieci inoltrate. Angie aveva già chiamato tre volte e puntualmente Camila l'aveva rassicurata, dicendole che era oberata di pratiche che non poteva rimandare, altrimenti si sarebbero impilate sulla scrivania, zavorrando onerose.

Non si dilettava in straordinari da incalcolabile tempo, ma soprattutto non si versava un bicchiere di whisky da quando aveva lasciato Detroit ed insieme a Dinah avevano brindato con una doppia porzione di liquore.

Comunque, quella sera era inquieta come gli automobilisti pedantemente frenetici e spazientiti che imperversavano nel reticolo di strade ingolfate con insofferenza.

Sbrigò tutte le faccende in mezz'ora, opportunità che avrebbe potuto cogliere svariate ore prima, poi spense la luce e si incamminò verso casa, trovando Angie ancora alzata e seduta sul sofà in paziente attesa.

«Non dormi ancora?» Domandò la cubana, ostentando disinvoltura mentre si accingeva al divano, togliendo prima una scarpa e poi l'altra.

«Aspettavo te.» Concesse stizzita Angie, ma il suo livore era dovuto soltanto all'inaspettato lasso di tempo che Camila aveva trascorso fuori, in ufficio.

«Mh.. Ti ho fatto fare tardi.» Il tono della cubana si incrinò salacemente, mentre circumnavigava il divano per pararsi di fronte alla ragazza.

Le labbra della ragazza erano aspramente sigillate, e le braccia incrociate al petto preannunciavano chiusura, ma Camila sapeva come scioglierla. Sollevò lentamente i lembi della gonna, scoprendo con accattivante lentezza le gambe fasciate nelle calze fini che si mimetizzavano con la sua pelle caramellata.

Si mise a cavalcioni su di lei, malgrado l'opposizione passiva della ragazza che ripiegò la testa all'indietro, distogliendo lo sguardo verso il soffitto. Voleva apparire indifferente e non defezionare il suo umore inalberato a cui era molto abbarbicato il suo radicato orgoglio.

«Direi.» Assentì seccata la bionda, ma una mano si mosse istintivamente verso le cosce della cubana che in quella posizione era irresistibile.

«Posso farmi perdonare?» Sibilò provocante, sfiorando le sue labbra coriacee con un accenno di sorriso chiaramente ruffiano.

«Sai che puoi.» Si addolcì Angie, umettando le labbra con un gesto suadente, mentre le sue mani tracciavano le anse della cubana, scivolando sulla pelle tesa.

Camila afferrò il suo mento fra le mani, collimò le loro labbra assieme, dolcemente perché era così che avevano sempre fatto, e poi le diede un altro bacio e un altro ancora, con estrema lentezza, mentre le mani dell'altra trastullavano un po' incerte la cerniera della cubana, come se volesse tenerla sulla spine, ma non fosse capace di ricreare quella suspence agognate che certi mani erano abili a calibrare.

Camila spinse il suo bacino verso quello dell'altra, venendo accolta da un gemito della bionda che irriflessivamente le morse il labbro inferiore... Quello era il massimo dell'irruenza che osavano.

Mentre Angie si stava occupando di abbassarle le spalline, squillò il telefono della cubana. Entrambe sbuffarono indispettite, arrendendosi alla suoneria incessante che riecheggiava nell'appartamento dapprima silenzioso.

A quell'ora poteva essere solo Dinah, che di solito aveva combinato qualche guaio o aveva bisogno di essere confortata per qualche finale tragico di un film che l'aveva condizionata riguardo la realtà, oppure era un cliente fidato che aveva bisogno di impellente aiuto. In entrambi i casi, la chiamata si sarebbe protratta a lungo, quindi nel frattempo Angie approfittò per dedicarsi all'igiene notturna e indossare il pigiama.

«Pronto?» Domandò seccata la cubana, spirando un sospiro annoiato.

Silenzio.

La cubana aggrottò le sopracciglia, discostò appena il telefono e non solo notò l'orario decisamente inopportuno, ma appuntò anche il numero censurato sullo schermo. Era sconosciuto, irrintracciabile.

Camila deglutì, avvertendo la gola prosciugarsi all'istante. Riportò il telefono all'orecchio, stavolta con voce tremula riformulò la domanda «Pr-pronto?»

Stavolta ottenne un respiro, un respiro greve e strozzato, rotto, ma un respiro classificato inequivocabile dalla sua mente suggestionata dalle circostanze.

Camila tappò la bocca con la mano, perché non era sicura se le stava per sfuggire un singhiozzo o se stava per trasalire dallo stupore, ma preferì arginare qualsiasi reazione, dato che Angie era nell'altra stanza.

«Pronto, cazzo?!» Si alterò improvvisamente Camila, sentendo la pressione ingigantirsi secondo dopo secondo. Aveva preso a dondolare freneticamente la gamba accavallata sotto al tavolo, e la mano sorreggeva la fronte indirizzata verso il basso.

«L...» Non ebbe nemmeno il tempo di pronunciare la vocale successiva che la chiamata venne interrotta.

Chiunque avesse composto il suo numero, aveva deciso di riagganciare e a lei non era rimasto altro che un filo di respiro.

Porca puttana.

Angie uscì dal bagno, si affacciò in salotto e le chiese se andasse tutto bene, ma non traendo risposta ribadì la domanda, e stavolta guadagnò eccome una reazione da parte della cubana. La ragazza balzò in piedi, lanciò il telefono verso il divano sotto il cipiglio perplesso dell'altra che studiò sommariamente i suoi irrazionali gesti, prima che la cubana le afferrasse con forza il viso e la baciasse di slancio, con una passione che non avevano mai sperimentato prima.

«Mila, Mila! Aspetta!» Protestò interdetta Angie, sospingendola dalle spalle e la scrutò con sguardo investigatore «Non sei.. mai stata così, così... così irruenta.» Virgolettò con le dita, esaminando l'espressione determinata della cubana che invece di giustificarsi si fiondò nuovamente sulle sue labbra, pilotandola verso la camera e chiudendo la porta alle loro spalle.

                                    *****

«Okay, quindi cosa hai intenzione di fare adesso?» Domandò Normani, sedendosi di fronte alla ragazza dagli occhi pesti.

Non era riuscita a dormire granché perché nonostante il suo letto fosse inoppugnabilmente più comodo rispetto alle brande della sua cella, aveva riscontrato problemi ad abituarsi al materasso, e non aveva chiuso occhio per l'intera notte.

«Riguardo al letto o alla mia vita?» Sdrammatizzò la corvina, anche se un'incertezza reale venava il suo tono.

«Beh...» Normani si sporse per osservare il materasso posto alle spalle di Lauren, un'espressione eloquente si pitturò sul suo volto quando si avvide delle pessime condizioni di esso «Entrambi, direi.» Sollevò le sopracciglia e annuì, riportando lo sguardo dentro quella della corvina.

«Per il letto, mi ci abituerò.» Sgrullò le spalle Lauren, alquanto indolente nei confronti del menomo problema.

Poi bevve un sorso di caffè; se non poteva attivarsi la mattina senza aver ingerito caffeina, figuriamoci se era in grado di riflettere sulla sua vita.

«Dovrei trovare un lavoro..» Esordì la corvina, riscontrando subitamente assenso da parte di Normani che aveva già preso udienza per consigliarle annunci che aveva scorso sul giornale, ma la mano schiusa di Lauren fu un chiaro segno di dovuto silenzio.

«Ma non lo cercherò.» Confessò colpevolmente, scaturendo lo stupore e l'indignazione di Normani che non aveva alcuna intenzione di permettere all'amica di vegetare.

«Lauren, non credo che questa sia una buona idea.. So quanto possa essere difficile, ma...»

«Non lo cercherò...» Enfatizzò la corvina, anticipando la filippica interminabile dell'amica che era avvezza inculcarle «Perché voglio tornare sul ring.» Ammise infine, annuendo flebilmente, con un sorriso incipiente che si diramava sempre di più sulle sue labbra.

Normani emise dei versi striduli, un po' infantili, ma l'esaltazione è così. Balzò in piedi e protese le braccia verso di lei, stringendola in un abbraccio.

Era l'inizio di una nuova era.

                                     *****

«Certo. Papà, tranquillo, sto mangiando un sacco ultimamente. Colpa di Angie.» Ridacchiò la cubana, osservando gli scarabocchi astratti che stava incidendo con la biro nell'attesa che la chiamata terminasse «Ok, allora ci sentiamo presto. Un abbraccio, si anche a te, ciao papà.» E attaccò.

Emise un sospiro, allentando la pressione. Quando interveniva suo padre era sempre un'angoscia alzare la cornetta. Ovviamente le chiedeva come stava, come procedeva a New York, insisteva sul fatto che le mancasse... Ma! Non mancava mai la parte pragmatica, ovvero l'attuazione del suo meticoloso senso del dovere e ansiosa era la smania di verificare che ogni cosa progredisse propiziamente.

«Cavolo, tuo padre è sempre logorroico.» Convenne Dinah, seduta sulla poltrona di fronte alla scrivania dell'amica, perché bisognosa di un consiglio riguardo un cliente sul quale non aveva smodata fiducia.

Camila produsse un suono monocorde, annuì e tornò a dispensare una visione personale sulla vicenda. Dinah ascoltò l'intero sproloquio con inviolabile attenzione, senza mai perdere il filo del discorso, poi alla fine ringraziò e fece per andarsene, ma mentre era ancora issata sulla poltrona, a metà corsa fra l'indecisione, si risedette.

Camila si accigliò e scosse la testa, non capendo dove il suo ragionamento avesse confuso la polinesiana, ma ben presto intuì che le questioni lavorative non avevano niente a che vedere con lo sguardo tiepidamente ammonitore dell'amica.

«Una settimana fa.. Tu lo sai che Lauren potrebbe essere uscita di prigione.» Sganciò prettamente la bomba la polinesiana, carpendo che girarci attorno non serviva a niente.

Camila dapprima rimase impassibile, anche se sul suo volto si tinteggiò un'ombra che le incupì gli occhi. Dopo qualche secondo prese un bel respiro e si alzò dalla poltrona, marciando avanti e indietro, ma con leggiadria.

«Non voglio più parlarne.» Sentenziò autoritaria la cubana, mantenendo lo sguardo fisso sulla punta delle scarpe e le mani allacciate dietro la schiena.

«Ma Camila..» Si caracollò la polinesiana, tentando di affrontare propriamente l'argomento, senza remore.

«Mai più, Dinah.» Decretò Camila, volgendo lo sguardo verso l'amica con assoluta risolutezza e intimidatoria flemma.

«Ok.» Si arrese la polinesiana in un sospiro abbattuto, poi percorse i pochi metri che la speravano dalla porta ed uscì, lasciando Camila a svolgere il suo lavoro.

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Spazio autrice:

Ciao a tutti.

Io sto diventando troppo buona, ma okay! In realtà è una questione egoistica, spudoratamente parlando, perché non vedo l'ora che leggiate il prossimo capitolo. Sono troppo contenta di quell'idea e aspetto un vostro parere. Quindi, ovviamente, domani aggiorno 🙌🏻

Intanto spero che questo capitolo vi sia piaciuto, preparatevi ad un altro salto temporale... 😉

A presto.

Sara.

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