Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo ventitré



Lauren aveva gli occhi pesti, l'incarnato del volto scialbo. Anche trasportare il secchio con l'acqua a giro per i corridoi era una gran fatica.

Dopo la notte movimentata con le bizze di Camila, era tornata a casa alle tre e mezzo del mattino circa, e dopo solo due ore era suonata la fatidica sveglia, che l'aveva disarcionata dal letto con il trillo dispotico. A niente era servito il caffè, anche se ne aveva già ingurgitati cinque, l'effetto non accennava ad agire.

Non aveva neanche la forza di mettere le cuffie nelle orecchie, perché paventava che la voce suadente di qualche cantante le conciliasse il sonno, e addormentarsi sul posto di lavoro non rientrava nei suoi propositi.

Cercò di concentrarsi su altro per ammortizzare l'incombente stanchezza. Elencò i nomi delle strade, da casa sua all'azienda e poi viceversa, ma era come contare le pecore, perciò si dedicò ad altro. I nomi delle birre, da quelle che le piaceva di più alla meno gradita, ma le insorse una sfrenata voglia di alcol, e anche questa tecnica venne depennata.
Allora tentò l'ultimo metodo... Le tabelline. I numeri tenevano sveglia la mente e aveva bisogno di un ripasso matematico.

Lavò il pavimento con il detersivo al limone, un prodotto chimico che lei detestava, ma che piaceva tanto ad Alejandro. Dopo che ebbe sistemato gli uffici sull'ala sinistra, pensò a quello di Camila. Intanto era arrivata alla tabellina dell'otto, una di quelle che le restava più complessa.

Aprì la porta -con il labbro catturato fra i denti e un mugolio infastidito perché non ricordava il risultato di 8x7- e trasecolò. Camila era seduta alla sua scrivania, ma non stava dormendo.. Era vigile, anche se il suo sguardo vacuo ed assente dava l'impressione che non lo fosse affatto. 

Impugnava una busta gialla fra le mani, con i pollici vessava gli angoli della carta. Pareva fossilizzata; l'unica parte del corpo in possesso della cinetica erano le labbra, increspate da un caduco fremito.

Lauren si schiarì la voce per annunciare la sua presenza, sentendosi un'intrusa nell'algido attimo meditabondo della cubana. Camila sollevò lo sguardo solo per un secondo, per poi riportarlo sull'etichetta.

«Chiudi la porta.» Anche la sua voce sembrava provenire dall'oltretomba, tanto era sepolcrale e atona.

Lauren, miracolosamente, obbedì. Appena la stanza tornò ad essere immersa nell'asetticità statica delle quattro mura, Camila gonfiò il petto con un respiro profondo e indicò a Lauren la sedia con il dito indice, senza però lasciare la presa sulla busta.

La corvina tentennò, poi accondiscese nolente al volere della cubana e si stravaccò sulla poltroncina. Camila depose la carta gialla davanti ai suoi occhi, spingendola verso di lei con movimento incerto e tremulo, speculare al suo respiro.

Lauren distaccò le scapole dallo schienale, e strizzò appena gli occhi per mettere a fuoco la scrittura piccola che campeggiava sul frontespizio.

«Cabello..» Iniziò sommessamente, scandendo però con chiarezze le parole «Sinu.» Storpiò le labbra, scuotendo flebilmente la testa, esponendo la sua perplessità.

«È..» Deglutì «Era mia madre.» Concluse, inspirando con forza per compensare lo squilibrio di ossigeno che difettava i suoi polmoni.

Lauren schiuse la labbra in un'espressione stupita, poi annuì lentamente e con fare solenne.

Camila era stata a ritirare gli oggetti di sua madre, ed anche se quella busta non era più grande di una pagina di quaderno, custodiva il peso più oneroso della vita della cubana. Già non è facile fronteggiare il passato, figuriamoci se qualcuno lo impacchetta e te lo consegna.

Il silenzio regnava nella stanza, nessuna delle due sapeva bene cosa dire o fare. Era una situazione imbarazzante, non solo perché Lauren era piombata nel suo ufficio in un momento inopportuno ritrovandosi nel mezzo di una sciarada, ma anche perché Camila, in cuor suo, era rasserenata che ci fosse qualcuno con lei, anche se a a darle manforte era la persona più estranea fra le sue conoscenze.
Ma forse poteva sfruttare quel dettaglio a suo favore, prenderlo come un vantaggio. A volte gli sconosciuti sono l'entità perfetta per alleggerirci di un peso.

«Aprila tu.» Sentenziò infine Camila, fissando la busta con sguardo terrorizzato, anche se ben larvato dietro una maschera di resilienza.

«Cosa? Non mi sembra il caso.» Scosse la testa la corvina, sentendo di non appartenere minimamente a quel momento di surreale connubio familiare.

«Per favore.» La voce le si ruppe, gli occhi si velarono di una patina inconfondibile, ma Camila reclinò leggermente la testa e abbozzò un sorriso per contenere le imprudenti lacrime.

Lauren sospirò, si passò la lingua sulle labbra secche e poi afferrò la busta. Camila congiunse frettolosamente le mani davanti e le portò davanti al mento, fissando il tafferuglio fra le mani della corvina.

Quando strappò l'ultimo pezzo di carta, Camila trasalì, al che Lauren le lanciò un'occhiata come per accertarsi che non avesse cambiato idea, ma la cubana annuì convalidando il suo pensiero.

Lauren estrasse il portafogli della donna, e sbirciò all'interno della busta per sincerarsi che non ci fosse altro. C'era solo una collanina ammaccata che srotolò sulla scrivania di Camila generando un rumore metallico che impersonò la voce dell'attesa.

Fece scattare il laccio che vegliava la sicurezza del portafoglio, e all'interno ci trovò qualche spicciolo, delle foto di famiglia, la carta d'identità e un dente da latte, probabilmente di Camila. Allineò gli oggetti sulla scrivania con calma ponderata, sbirciando furtivamente la reazione della cubana ogni volta che sguainava un nuovo ricordo. Era impassibile, anche se la morsa delle mani si era indurita, imbiancandole le nocche e le labbra si erano tradite più volte, contorcendosi in effimere smorfie addolorate, ma a tratti anche risentite.

Lauren razzolò con l'indice fra le tasche strette del portafogli, assicurandosi che non ci fosse più niente, poi depositò anche quello accanto al coacervo degli oggetti e si afflosciò contro la poltroncina, come se volesse sparire, essendo stata solo il tramite fra Camila e il suo passato.

La cubana non mosse un muscolo per un tempo indefinito, poi allungò la mano e fra tutti i ricordi che poteva vivisezionare andò a scegliere la collanina. La alzò controluce, irritandola di riflessi aurei che rischiararono la scritta trasandata sul retro. Era una data, Lauren ne era sicura, ma non fece domande.

Camila adagiò il ciondolo rotondo sul polpastrello dell'indice, lo rimirò con sguardo rabbuiato e le labbra infossate in una linea falcata verso il basso. Rimise la collanina nel posto prescelto dalla corvina, e per un istanti sembrò che fosse in procinto di esaminare un altro oggetto, ma invece afferrò la busta gialla e con la mano affastellò tutto insieme e lo fece sprofondare nel fondo della carta, chiudendola dentro un cassetto.

Tirò un sospiro di sollievo, serrò le palpebre e abbassò leggermente la testa. Anche se il suo sguardo non era più accessibile, la cubana aveva lasciato aperto un andito che Lauren non sapeva individuare, ma dal quale emanava un incommensurabile tristezza diluita nella rabbia.

«Grazie.» Si schiarì la voce Camila, alzando di scatto la testa e schiudendo le palpebre.

Sembrava aver riacquisito il colorito naturale, e l'inflessione della bocca era di nuovo rigida come Lauren la ricordava. Riconosceva quell'attitudine di simulato stoicismo, tipico di chi eludeva il dolore pretendendo che non fosse proprio. Relegandolo in esilio, lontano da una patria che sarebbe rimasta comunque sua.

La corvina annuì flebilmente, senza distogliere lo sguardo da quello dell'altra. Si alzò di scatto, tornò ad impugnare la granata ed uscì dalla stanza senza dire altro, ma parlava da se il macigno che le gravava sul petto. Negli occhi di Camila aveva riconosciuto la stessa inestirpabile nostalgia che aveva infestato la sua adolescenza... E la medesima prudente fuga da un ricordo che non poteva altro che sbiadirsi.

Molò il pavimento con il cencio sdrucito, rimuginando sugli eventi accaduti. Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine dello sguardo vitreo di Camila, incupito sotto le folte ciglia, annerito dal peso di una colpa che non era sua, ma che si arrogava ugualmente. Sì, le sembrava proprio di guardarsi allo specchio ed era una sensazione ineffabile quella di ritrovarsi nelle esperienze altrui.

Passò la mattinata a pulire corridoi e a bere caffè mucido, perennemente con la testa altrove, ingarbugliata in pensieri remoti dei quali non riusciva a trovare il bandolo.

Alle una e mezzo si costrinse a scendere al bar a mangiare qualcosa, dato che il suo stomaco recriminava agonizzante. Ordinò un panino con l'insalata, carne di manzo e maionese, accompagnato da una bibita fresca e frizzante, ma non alcolica.

A quell'ora i tavoli erano quasi tutti occupati da manager insigni e donne dinamiche che non lasciavano incustodita l'agende nemmeno durante il pranzo. Si sedette in un angolo, dove la cassa dello stereo diffondeva una melodia di sottofondo, sintonizzata su una stazione radio di cui non conosceva il nome.

Mentre addentava avida il pane oleoso, cosparso di semi, e leccava via un rivolo di maionese all'angolo della bocca, le si avvicinò una donna. Si fermò al cospetto del suo tavolo, portamento eretto e impeccabile, sorriso sornione ed eristico che perdeva veracità nelle guance artificialmente contratte.

«Ah.. serve qualcosa?» Alzò un sopracciglio Lauren, scuotendo leggermente la testa, infastidita.

«Fai parte dell'azienda, vero?» Squittì la donna, e la corvina annuì cautamente, con gli occhi ridotti a mezz'asta, come se stesse studiando le celate intenzioni della sconosciuta.

«Bene! Allora sei invitata alla festa a sorpresa indetta per il signor Cabello, che si terrà domani sera in onore dei suoi venti anni d'attività.» Fece scivolare un foglietto blu sul tavolo, mettendo in mostra la raffinata manicure che agghindava le unghie tozze.

Lauren si rilassò capendo i reali motivi che avevano spinto l'insopportabile donna ad accostarsi a lei. Portò una gamba sul ginocchio, tenendosi la caviglia con una mano, mentre con l'altra studiava il rettangolo sul quale svettava l'incisione aurea e forbita del rispettabile cognome del suo datore di lavoro.

«Ti aspettiamo!» Concluse la bionda, elargendo un altro dei suoi nauseanti sorrisi e se ne andò a passo svelto, dirigendosi verso il prossimo tavolo.

La corvina lasciò perdere l'invito, per il momento, e si dedicò alle cose davvero importanti... Il suo panino, ammezzato, ma pur sempre succulento.

Si chiese come mai Camila non le aveva parlato della celebrazione, ma si rispose da sola. Dopo il tumulto nebuloso di quella mattina, sicuramente la cubana aveva scordato quel particolare futile. E poi che gliene importava a lei!

Alle tre del pomeriggio, uscì dall'edificio. La stessa mattina il cielo era plumbeo e il tempo uggioso presagiva temporali, ma adesso la volta celeste era trascolorata in un azzurro limpido, terso. Il Sole irradiava con poca forza, donando un tiepido e piacevole calore sulla pelle.

Il bus non transitava prima di mezz'ora, quindi Lauren, per ingannare il tempo, si accese una sigaretta e svoltò l'angolo dell'edificio dove sul dietro vi si trovava il parcheggio. Un giorno, la sua panchina era stata ingombrata da una coppia che non facevano altro che sbaciucchiarsi e sussurrarsi frasi sdolcinate. Prima di vomitare, Lauren era andata in avanscoperta e si era imbattuta nel brulicante parcheggio dell'azienda. Da quel giorno in poi, soleva scegliere un'auto e appoggiarsi comodamente contro il cofano, consumando in assoluta serenità e solitudine la sigaretta.

Quel giorno, però, vi scovò una sorpresa inverosimile.

Camila era posta di schiena, ma la sua silhouette era inconfondibile, per svariate ragioni... Diciamo pure che le sue prominenze erano univoche.

Lauren la riconversione all'istante, la sentì imprecare più volte mentre si approssimava di soppiatto, e rimase sbigottita quando uno sfiato di fumo si librò nell'aria e Camila tossì, cavernosa.

«Com'è che dicevi? Smetti perché il fumo fa male.» Esordì Lauren, osservando le spalle di Camila sollevarsi per lo spavento.

La cubana si voltò di scatto, trasalendo, ma quando distinse la figura della corvina su tranquillizzò e le rivolse un'occhiata bieca che fece sorridere, sardonica, Lauren.

«Da che pulpito viene la predica.» Cantilenò Camila, titillando il filtro stretto fra le dita per alleggerirlo dal cumulo di cenere.

«Questo sono sempre io a doverlo dire.» La rettificò Lauren, avanzando con passo cadenzato nella direzione della cubana, arrestandosi a pochi centimetri dal suo volto, con aria sbruffona.

Adesso era in possesso di una futile informazione che poteva comunque sfruttare per difendersi dalle omelie della cubana.

Il suadente profumo di Camila adesso era asperso di inquinante fumo, ma quel miscuglio dolciastro, a tratti pure mefitico, donava alla sua pelle un odore ancor più provocante.

Lauren le sfilò la sigaretta dalle mani, sotto lo sguardo inebetito di Camila che a distanza così ravvicinata aveva perso inspiegabilmente il respiro, se la portò alle labbra e aspirò a polmoni aperti; reclinò la testa verso l'alto e soffiò con forza, tingendo per un istante il cielo con il respiro arzigogolato dal refolo.

Riportò gli occhi sulla cubana, e con un sorrisetto superbo, sibilò «È così che si fa.»

Camila ingoiò con prepotenza, sciogliendo il groppo alla gola. Per la prima volta capiva cosa intendeva Dinah quando sosteneva che Lauren era sexy. Da così vicino la sua boria si annullava nei vertiginosi smeraldi, la scontrosità scemava negli angoli carnosi della bocca e i suoi lineamenti non erano marmorei come apparivano quotidianamente. E poi, il filo serpeggiante di fumo che scalpitava dalle sue labbra infiorettava l'immagine con un pizzico accattivante. E Camila deglutì di nuovo.

Forse fu suggestione, un'illusione artefatta dal suo raziocinio compromesso, ma le parve che lo sguardo ammaliante della corvina sdrucciolasse sulle sue labbra e il respirò le si mozzò in gola.

Un clacson alle loro spalle le fece rinsavire. Un manager spazientito doveva uscire dal parcheggio, ma loro intralciavano la strada. Si spostarono sul margine per farlo passare, e quando lui le superò a passo d'uomo inveendo sgarbatamente e nominandole con epiteti irripetibili, Lauren alzò spregiudicatamente il dito medio. Camila le afferrò il polso e eclissò il gesto screanzato, ma non la redarguì con tono severo perché era impegnata a mordersi il labbro per arginare la risata che a stento tratteneva.

«Ci vediamo, Cobello.» Si svincolò sbrigativamente Lauren, abbozzando un sorriso sghembo, un po' a disagio per il contatto inaspettato, ma non irritato.

«Il mio cognome è Cabello. Con la A!» Le urlò dietro la cubana, indispettita.

Lauren la salutò senza voltarsi, alzando la mano in aria e mosse rapidamente le dita in successione, espirando una boccata di fumo dalla sigaretta che aveva argutamente sottratto a Camila.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro