Capitolo ventinove
«Perché hanno contattato te? Il mio avvocato è tuo padre, non tu.» Domandò Lauren, mentre attendevano che le porte dell'ascensore si aprissero.
La cubana era stagliata di fronte ad esse ed esaminava meticolosamente la pliche di carte, mentre Lauren sostava qualche metro dietro di lei, addossata alla parete dell'ascensore, contenta che non fosse munito di specchi cosicché il movimento irriflessivo dei suoi occhi vagheggiasse inosservato le curve allettanti di Camila.
«Perché l'ultima volta ero presente io all'incontro, quindi il suo avvocato ha contattato me.» Spiegò la cubana, senza alzare lo sguardo dai documenti, visibilmente angosciata.
Lauren sbuffò sarcastica e, sommessamente, soggiunse «O forse ti ha chiamata perché ha constatato quanta poca esperienza tu abbia.»
Camila si voltò di scatto, chiudendo il fascicolo con un suono sordo e indirizzò uno sguardo truculento verso Lauren, additandola «Sei stata tu a pattuire, tempo fa: basta con le battute.» Ringhiò a denti stretti, avanzando verso la corvina, che invece di ridimensionare la sua altera attitudine, drizzò le spalle e sostenne boriosa l'accusa.
Camila schiacciò Lauren contro la parete, letteralmente, affondando l'indice nel suo petto. I suoi occhi si erano ormai ridotti a due fessure sottili, e il respiro era mozzato. Lauren, invece, sorrideva provocatrice, anche se Camila non aveva ben chiaro quali delle due sfere stesse tentando di sollecitare: la rabbia o il desiderio?
«Sto lavorando per te, un po' di riconoscenza sarebbe il minimo.» Terminò la cubana, tamburellando il dito contro il suo torace.
Lauren aggettò le spalle in avanti, sorprendendo Camila con un movimento repentino che la fece trasalire. Le afferrò il polso, decisa, e lo spostò all'altezza della sua testa; poi accostò le labbra alle sue, talmente vicine che un respiro infrangeva il livore di Camila, levigandolo.
«Mi sembra di essere già abbastanza riconoscente, con te.» Mormorò con voce roca, sfiorando la bocca della cubana con il fremito della sua.
Camila inspirò profondamente, preparandosi per controbattere, ma oltre al cuore galoppante e al basso ventre pulsante, anche la sua ragione aveva subito ingenti danni.
Restarono a fissarsi per secondi di interminabile indecisione, entrambe vittime l'una dell'alterigia dell'altra, che se prima era considerata lo scoglio che le allontanava, ora era divenuta il punto d'incontro dei loro spirito ribollenti. D'altronde va sempre così; i simili si respingono solo per timore della forza che li attrae.
Un suono acuto interruppe il loro momento, avvisandole di esser arrivate al piano. Camila di distaccò rapidamente, ma non abbastanza veloce da non essere notata dalle segretarie che, durante i momenti smorti, ammazzavano il tempo scommettendo su chi si celasse dietro le porte ermetiche. Così quel giorno colsero anche l'opportunità di un pettegolezzo che Camila era certa l'indomani si sarebbe diffuso in tutta l'azienda. Ma poco importava. Non stava baciando Lauren, erano solo vicine... Maledettamente, pericolosamente, voluttuosamente vicine.
Si schiarì la voce, ed uscì per prima dal cubicolo, ignorando gli sguardi indagatori delle segretarie e il conseguente brusio che si alimentò dopo che ebbero svoltato entrambe l'angolo.
Camila aprì la porta dell'ufficio, mirò dritta alla sua sedia e si accomodò, mentre Lauren sedette sulla sua solita poltroncina di fronte a lei.
«Non credo che Marianne stia strutturando qualche strategia, secondo me è solo intenzionata a parlarti, ma non si è mai troppo cauti...» Sparpagliò i documenti sulla scrivania, passando in rassegna uno ad uno fino a stanare quello che abbisognava «Firma qui.» Porse la penna a Lauren, facendo scivolare il foglio sotto al suo naso.
La corvina era sul punto di opporsi, o comunque di chiedere spiegazioni in merito, ma non voleva angustiarsi con discorsi prolissi su clausole legali delle quali non avrebbe comunque compreso granché. Appose una firma, riconsegnò il documento a Camila,
perplessa dalla sua mansueta collaborazione.
La cubana ripose accuratamente i fogli all'interno della cartella «L'incontro si terrà domani, alle 17. Vedi di non tardare.» Si raccomandò minacciosa la cubana, adottando un tono acrimonioso.
Lauren grugnì in risposta, poi si alzò dalla sedia e si avviò con andatura celere verso l'uscita.
«Oh, Lauren!» La richiamò Camila quando la corvina fu con la mano sulla maniglia.
Si girò, notando subito l'increspatura salace sulle labbra di Camila, rimirandola con espressione arrendevole perché già pronta ad incassare il motteggio della cubana...
«Serietà.» Invece la stupì, preservandosi dal schernirle con qualche imprudente battuta.
E allora ci pensò Lauren a punzecchiarla con una risposta recisa «Basta che non indossi quella gonna.» Ammiccò nella sua direzione, ed uscì dalla stanza, registrando l'espressione inizialmente interdetta di Camila, ma sentendola ridere quando l'uscio si fu richiuso alle sue spalle.
*****
Il giorno dopo, Normani era accorsa in suo aiuto. Si era rifiutata categoricamente di permetterle di indossare la giacca di pelle e gli stivali scamosciati all'incontro con Marianne. Si era procurata una camicia nera, dei pantaloni dello stesso colore, nuovi, e un paio di scarpe da ginnastica presentabili (viste le proteste incondizionate di Lauren riguardo i tacchi).
La corvina sbuffò sonoramente e più di una volta, mentre calzava i nuovi abiti. Era affezionata al suo consono abbigliamento, che variava solo di rado quando era costretta a lavare i vestiti usurati. Per giunta, non era avvezza a sfoggiare un vestiario sofisticato e anche se quello non ostentava ridondante raffinatezza, era comunque un'infrazione a discapito del suo quotidiano stile.
«È proprio necessario?» Alzò gli occhi al cielo, osservandosi con una smorfia disapprovante allo specchio.
«Si.» Annuì perentoria Normani, sbrigandosi a completare l'outfit con un cappotto lungo, beige, che Lauren guardò come fosse caduto dal cielo. Probabilmente era a conoscenza solo delle giacche di pelle.
La corvina non osteggiò l'ammirabile tentativo di Normani di agghindarla per l'incontro, dandole una parvenza di austerità. Non azzardò critiche solo perché l'amica era più ansiosa di lei, e un'opposizione avrebbe aggravato la sua isterica apprensione.
«Okay.. Ora sei.. quasi.. no, no ora sei apposto.» Dichiarò sorridente la ragazza, mentre si apprestava a rifinire gli ultimi aggiustamenti.
Lauren roteò gli occhi al cielo; chiuse l'anta dell'armadio, non volendo constatare con i suoi occhi il risultato finale, altrimenti avrebbe ceduto alla già insistente tentazione di togliersi tutto e tornare al suo stile abitudinario.
«Ehi, testina, fammi sapere come va.» Sospirò sgomentata, sforzandosi di apparire serena, ma Lauren sapeva legger fin troppo bene gli sguardi inquieti della ragazza.
Annuì, e si costrinse a sorridere incoraggiante, come se in ballo ci fosse il futuro di Normani e non il suo.
Sul bus riuscì ad accaparrarsi un posto a sedere. Il giubbotto la infastidiva, e non poco. Ebbe L'impulso di sfilarlo, ma fu più forte la sua momentanea temperanza che la indusse misticamente a sopprimere quell'istinto.
Si sorprese ancora di più quando, scendendo dal bus, tastò le tasche alla ricerca del pacchetto di sigarette e quando ne palpò la consistenza morbida cambiò idea. Non voleva che il suo occasionale abbigliamento venisse imputridito dall'odore sgradevole di fumo. Con una smorfia insofferente ripose il pacchetto ed entrò nell'edificio, dimenticando a stento la necessità insaziabile di nicotina.
Camila l'attendeva davanti alla reception. Lo studio di Alejandro era sprovvisto di un'adeguata sede per svolgere tali procedure, anche se il padre della cubana stava progettando un ampliamento per gli uffici.
Quando Camila notò Lauren varcare la soglia, inizialmente non la riconobbe. I suoi occhi setacciavano la ridda in cerca di un giubbotto di pelle, non si aspettava di vederla arrivare in uno svolazzante cappotto beige, modestamente formale, ma le movenze non lasciavano dubbi;
la camminata sciancata e svogliata della corvina era inequivocabile in mezzo alla folla impettita e composta che mobilitava l'atrio.
Camila aguzzò la vista, anche se era già sicura di averla identificata, e quando Lauren le fu distante solo di qualche metro, lasciò che fosse la sua eloquente espressione ad esternare lo stupore.
«Smettila subito di fare quella faccia.» Ingiunse a denti stretti la corvina quando ebbe accorciato il divario.
Camila fece scorrere lo sguardo sulle sue sinuose curve, sull'abbondanza del seno che non scarseggiava in Lauren, sulle gambe slanciate che conferivano alla sua silhouette un'armonia proverbiale.
«Niente giubbotto vedo.» Commentò la cubana, deglutendo a fatica.
È vero: l'abito non fa il monaco, ma era impressionante l'avvenenza che sprigionava Lauren azzimata come una donna in carriera. Era a dir poco mozzafiato, e impoveriva il raziocinio solitamente impeccabile di Camila.
Lauren alzò gli occhi al cielo, come risposta alla battuta sarcastica della cubana, e la oltrepassò radialmente avviandosi in una direzione casuale.
«È dall'altra parte.» Le urlò dietro Camila, sentendo le scarpe nuove della corvina slittare sul pavimento.
Lauren imprecò sottovoce, serrò i pugni dentro le tasche e invertì la rotta, migrando verso la direzione giusta stavolta, seguita dalla cubana che si assicurava di ripassare mentalmente il piano di salvataggio studiato se le cose fossero degenerate. Si presumeva che sarebbe stato un incontro pacifico, privo di screzi, ma quella richiesta inaspettata poteva sottacere secondi fini che non aveva minimamente calcolato. Insomma teneva la guardia alta, cosa che, tra l'altro, aveva imparato proprio da Lauren.
Camila indicò alla corvina la porta, aspettandosi che fosse la diretta interessata ad aprirla, ma la vide titubare. Un sospiro angoscioso salpò dalle labbra di Lauren, al che la cubana appuntò la sua apprensione e, senza sottolinearla con alcun sorriso beffardo, la precedette e si responsabilizzò lei stessa di aprire la porta e, di conseguenza, di inaugurare l'inizio della riunione.
Marianne era seduta su una sedia a rotelle, ma se la si guardava negli occhi altezzosi o ci si focalizzava sulla rigidità delle spalle, non sembrava aver alcuna debilitazione. Ciononostante, la sua tempra inalterabile e intimidatoria si incrinò in un sussulto quando Lauren fece ingresso nella stanza. Fu un istante di peccaminoso timore, che l'attimo dopo si vanificò nuovamente in un'intransigente attitudine.
L'avvocato di Marianne accolse entrambe con cerimoniosa cordialità, le fece accomodare dall'altra parte del tavolo come se la distanza fosse una regola inflessibile. Lauren non si scompose, prese posizione e attese imperturbabile le direttive dei legali.
Inizialmente né Marianne né la corvina ebbero l'audacia di guardarsi negli occhi, entrambe soggiogate dalla paura di incontrare il loro passato che, in modo diversi, nuoceva a tutte e due le parti.
La voce di Camila arrivava ovattata alle orecchie di Lauren, mentre la cubana disponeva dei termini a lei ignoti. L'unica cosa che udiva era un ronzio di sottofondo che le sibilava nelle orecchie, attutendo le voci esterne. Si chiese, ingenuamente, se non fosse la voce evanescente del passato -o forse del destino- a sussurrarle meschina.
Quando fu interpellata, non ebbe l'ardire di proferire parola, così fu Marianne a troncare il relativo silenzio che si era instaurato fra di loro.
«Sei un mostro.» Esordì inviperita, e questo arrivò nitido all'udito compromesso di Lauren, che rinvigorì seduta stante.
La corvina alzò la testa e ancorò il suo sguardo a quello di Marianne, che non mai stata così vicina e neppure mai così lontana.
«Ho sbagliato, ma sappiamo quello che accadde quella notte.» Si difese Lauren blandamente, con un tono talmente fievole da risultare timorosa.
«Tu eri ubriaca e hai cercato di ammazzarmi! Ecco cosa accadde!» Accusò mefistofelica la donna, puntandole il dito contro, ma non più minaccioso del suo sguardo grifagno.
«Non andò così.» Scosse la testa Lauren, visibilmente impacciata a placare i nervi che le avevano già contratto i muscoli.
«Invece sì! Guarda come mi hai ridotto!» Inveì con voce stentorea, senza però perdere una certa compostezza.
«Sono consapevole dei miei errori, ne ammetto la colpevolezza, ma anche lei dovrebbe testimoniare il vero.» Replicò la corvina, che ora serrava i pugni sotto al tavolo e parlava a denti stretti.
«Meriteresti tu di stare su questa maledetta sedia, non io!» Rimbeccò Marianne, sbattendo il pugno sul tavolo.
Quelle furono solo parole vendicative, gravide di comprensibile astio, ma infastidirono a tal punto Camila che si intromise fra lo scambio improduttivo delle due.
«Può bastare così, signora. La mia cliente sa quello che ha fatto. Trovo sconveniente e inappropriato questo battibecco.» La cubana di servì di quanta più flemma riuscisse a racimolare, rammentando a se stessa che stava difendendo una sua assistita e non Lauren.
L'avvocato di Marianne le bisbigliò qualcosa all'orecchio, al che la donna trasse un profondo respiro e annuì.
La conversazione perpetuò in modo più pacato, ma non mancarono le frecciatine che Marianne scagliò con tempestività nei momenti più opportuni. Lauren si contorceva sulla sedia, chiaramente irritata di dover sottostare a tale ludibrio, ma costretta.
Dopo qualche tempo, Marianne riprese l'arrembaggio con più fervore di prima. Insultò senza ritegno Lauren, nonostante le raccomandazioni del suo legale; le augurò il peggio che le potesse capitare, la maledisse più di una volta e quando nessuna delle due corvine ebbe più l'equilibrio mentale per sostenere la conversazione, Camila terminò quell'incontro con fare autoritario.
«Credo che non ci sia molto da aggiungere, dato che mi sembra irreprensibile che la sua cliente abbia richiesto questo colloquio per denigrare la mia assistita.» Camila si alzò in piedi, adunò i documenti con pedante metodicità, e fece un cenno a Lauren di seguirla «Sono molto desolata da come si è svolto questo primo incontro, soprattutto da lei che non ha saputo improntare la sua professionalità in un ambito in cui è di essenziale importanza. Spero che comprenderà la nostra dipartita.» Dopodiché si diresse verso l'uscita, senza che nessuno della parte opposta interferisse con la sua decisione.
Lauren riservò un ultimo sguardo alla donna, che incassò l'occhiata con spavalda, e inutile, fierezza. Poi seguì Camila fuori dalla stanza, venendo immediatamente investita dal clamore della folla che non si estingueva mai nell'atrio.
La cubana stava raggiungendo l'ascensore, quindi anche Lauren si immise nel cubicolo popolato di manager, in silenzio.
«Devi firmare un documento, poi ti lascio andare.» Comunicò Camila, dedicandole un sorriso tiepido mirato a rasserenare l'animo irrequieto di Lauren.
Le segretarie non distolsero lo sguardo dal computer quando le videro entrare, ma questo non significa che non specularono a lungo sulla presenza, quasi fissa, di Lauren nello studio.
La corvina era frastornata dal susseguirsi stordente degli eventi. Sentiva la collera, il livore, il risentimento di Marianne riecheggiare nelle aspre parole che l'avevano colpita. Non riusciva a smettere di pensare a quella tempestosa furia, e neanche ad un'altra cosa...
Camila aprì la porta del suo suo ufficio, ma non fece a tempo a fare un passo che le mani di Lauren le furono subito sui fianchi, a guidarla verso la scrivania.
La cubana approdò contro il bordo legnoso in un impeto tale che smosse il tavolo con suono stridulo. I suoi occhi si sgranarono dubbiosi, mentre quelli di Lauren la scrutavano penetranti.
«Sei dannatamente eccitante quando mi difendi.» Mormorò Lauren, ondeggiando impercettibilmente la testa nella rara indecisione dell'attimo successivo.
Un sospiro si incagliò sulle labbra di Camila, che smarriva la cognizione della realtà quando Lauren era così vicina da percuoterla con il suo respiro. La cubana tentò di richiamare all'ordine la manchevole ragione... Le mani, che aveva poggiato sulle spalle di Lauren, per aggrapparsi quando l'aveva spinta senza preavviso, scivolarono irrimediabilmente verso il petto della corvina, ma invece di discostarla le afferrò i lembi della camicia e l'attirò a se, tuffandosi senza remore sulle labbra bramose dell'altra.
Continua...
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