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Capitolo venticinque



Camila era stata a letto con tante persone nella sua vita, ed ognuna le aveva trasmesso sensazioni diverse, fuochi d'artificio di ogni colore, forma e sibilo, ma...

Quello non era diverso, non era solo il fuoco d'artificio iniziale, no. Era anche l'ammirazione del pubblico, lo sfavillare delle scintille, la trepidazione di un bagliore rinnovato. Era lo scoppio e la discesa, il sussulto e il sorriso. Era.. era...

Il gemito acuto di Camila le si spezzò in gola, uscendo come un mugolio gutturale che fece sorridere Lauren, arcuata sul suo collo. Camila afferrò una ciocca dei suoi capelli, spingendo la corvina verso di lei, mentre reclinava la testa per lasciare libero accesso. Lauren catturò un lembo della sua pelle fra i denti, mentre con la lingua alleviava il dolore e con le labbra succhiava la porzione interessata, alimentando il desiderio di Camila che ora non riusciva a tenere fermo il bacino.

Lauren poggiò una mano sulla sua coscia, contenendo gli irriflessivi movimenti dei fianchi che di rado sfregavano contro i suoi, ma dopo tutte le sventure che Camila aveva portato nella sua vita, non le avrebbe concesso ciò che spasimava tanto presto.

Con una mano percorse il suo addome, premendo contro la sua pelle esiguamente coperta. La cubana percepiva ogni centimetro di pelle bruciare in un spasmo smaniante, agognando un contatto più vivo. Camila non si accorse nemmeno di averle afferrato il polso e aver guidato il suo palmo sul suo seno, tanto era disinibita.

Lauren sorrise compiaciuta, e mentre esplorava le sue minute forme, con l'altra mano le abbassò alla cerniera posizionata sul retro dell'abito. Quando il colletto si afflosciò sul petto della cubana, Lauren le sfilò le spalline allentate e il vestito si ridusse ad un ammasso di stoffa sulla pancia della cubana.

Lauren si avventò sulle sue clavicole, tratteggiando un percorso immaginario verso il basso, sino a lambire il seno. Quando le labbra umide della corvina sormontarono la coppa di Camila, fu la cubana a disfarsi frettolosamente del reggiseno, inarcando la schiena un po' per la temperatura fresca che le sfiorò la pelle nuda, un po' per esortare Lauren.

La corvina non si fece attendere, e catturò il suo capezzolo fra le labbra, succhiandolo avidamente, scambiando baci per morsi.
Camila incuneò le dita delle mani nella sua sua cute, mentre il respiro si faceva sempre più greve e rapido, accrescendo di pari passo con la veemenza che le accapponava il ventre con brividi impetuosi.

Lauren disegnò i suoi fianchi con le dita, scendendo lentamente verso il culmine del piacere della cubana, torturandola con le unghie in zone erogene come l'interno coscia, in prossimità dell'inguine, sul perimetro immaginario che sperava il monte di venere dalle labbra.

Adesso chi è al comando? Sogghignò, afferrando il mento della cubana fra due dita per rosicchiare il labbro inferiore, arrossato dai baci e tumido per i morsi che la stessa Camila si era inflitta.

Scese lentamente nella sua intimità, sorridendo ogni secondo più perversamente, per il piacere di scoprire quanto bagnata fosse per lei.

Adesso doveva ammetterlo, anche Lauren non resisteva più alla tentazione di prenderla, ma il suo orgoglio prevaleva anche in quella situazione, e prima di accontentare le tacite richieste che sfociavano nei gemiti continui della cubana, dovette obbligatoriamente togliersi uno sfizio...

Si accostò al suo collo, lasciando un bacio sotto l'orecchio, mentre con le dita strusciava su e giù sul suo punto debole, ma con lentezza angosciante.

«Dimmi, Camila...» Esordì con voce arrochita più del solito, essendo condizionata dalla libidine «Ti sei messa questo vestito per me?» Sussurrò, sfiorando il lobo dell'orecchio con prima con le labbra, poi con i denti.

La cubana serrò la mascella, e la rimirò con sguardo sinistro, ma era difficile tenere le labbra ermetiche e gli occhi iracondi quando Lauren la stuzzicava nelle parti intime.

«Devi rispondere, altrimenti...» Lasciò volutamente la frase in sospeso, concludendo con un sospiro falsamente avvilito.

Camila lanciò la testa all'indietro, imbattendosi nello specchio che tremò sonoramente per l'impatto, ma la cubana sembrava non farci caso. Si catturò il labbro fra i denti, e strizzò gli occhi con forza impedendo alla frase di sdrucciolare incontrollata, sperando nella clemenza, a lei aliena, di Lauren.

«Camila, non farmelo ripetere.» Impartì la corvina, diminuendo sempre di più il gesto circolare che premeva sulla zona esposta dell'altra.

Lauren sospirò infastidita e senza preavviso distaccò la mano dalla pelle della cubana, che subito avvertì violentemente la mancanza del tocco, e precipitosamente le arpionò il polso riportandolo su di lei.

«Si, va bene... S-si.» Confessò, dedicando al sorriso gratificato della corvina uno sguardo turpe.

Intanto Lauren la carezzava sempre più in basso, soffermandosi sull'entrata, ancora non del tutto soddisfatta «Si cosa?» Rincarò la dose, bisbigliando con voce suadente che fece gemere inaspettatamente Camila.

«Si, l'ho... l'ho me..mes-messo per te.» Farfugliò la cubana, anelante.

Strinse le mani contro il lavandino e innalzò i fianchi verso di lei, sperando fervidamente che adesso ponesse fine alle sue imperanti torture. Lauren ritenne di essere abbastanza soddisfatta, ma aspettò ancora qualche secondo, e Camila, pensando che non fosse abbastanza ciò che aveva testimoniato, addusse.

«Non so.. non so perché, per-perché l'ho fatto, ma.. ma è.. è per te che, che l'ho fatto.» Respirare e parlare era diventata un'impresa, tanto che alla fine del discorso fu costretta a prendere un respiro profondo per recuperare ossigeno.

Lauren sorrise maliziosa, le scostò i capelli che ora erano ricaduti sul collo e si avvicinò al suo orecchio «Stando agli eventi, credo che tu sappia perché l'hai fatto.»

Camila aprì bocca per rispondere, ma il respiro le venne interamente strappato quando Lauren la penetrò senza avviso, e la cubana si aggrappò alle spalle della corvina, conficcando le unghie nel tessuto nero della camicia.

Lauren affondò la testa nel suo collo, mordendo voluttuosamente la pelle sudata e sempre con più forza perché incorata dai gemiti altamente rumorosi che generava spudoratamente la cubana, mentre le sue dita affondavano sempre più in profondità.

«Sapevo che l'avevi indossato per me.» Mormorò affannata, frangendo il respiro sui lineamenti della cubana.

«S-si..» Pronunciò flebilmente Camila, susseguendo un gemito mozzato e poi, arcuando per un'ultima volta i fianchi sotto le spinte sempre più decise di Lauren, quasi urlò «Si!» I muscoli si contrassero rigidamente, e dopo qualche secondo venne pervasa da un'onda di brividi che le squassò il petto, vibrando sul labbro inferiore, e si abbandonò totalmente.

Solo i respiri ansimanti si confondevano nel silenzio della stanza, mentre i loro corpi erano ancora embricati l'un l'altro, e anche i loro pensieri galoppavano all'unisco, imbizzarriti e disorientati.

Camila si schiarì la voce, con una spinta poco gentile spinse Lauren e scese con un breve balzo dal lavandino. Si voltò di schiena, coprendosi le parti spoglie, e dopo aver riassettato alla meglio l'abito, camminò difilata verso l'uscita, immersa in un silenzio accusatore.

Quando sopraggiunse sulla soglia, si girò solo parzialmente verso la corvina, soggiungendo «Questo non vuol dire che siamo "amanti". Non montarti la testa.»

Lauren emise una risata, portò le braccia conserte e scosse lentamente la testa «Giammai.»

    *****

Camila marciava a testa bassa, mantenendo un'andatura celere per evitare di incappare in Lauren, mentre percorreva i corridoi del suo ufficio.

Adesso non sembrava più una buona idea aver assunto la corvina, anzi si malediceva per aver tratto quella decisione con insulsa fretta.

Certo, non avrebbe mica potuto immaginare che dopo due mesi l'insopportabile, egocentrica, scorbutica, maleducata, indecorosa corvina che si aggirava nei meandri della sua compagnia si sarebbe introdotta in parti non aziendali.

Dinah era stazionava alla macchinetta del caffè, sorseggiava la bevanda con disinteresse, abusando di quell'espediente per sorvegliare i corridoi indisturbata, aspettando l'arrivo dell'amica.

Era sitibonda di risposte, non comprendendo il perché della fuga improvvisa della cubana che nel bel mezzo dell'encomio tributato in onore di suo padre se ne era andata, con sospettabile sveltezza.

Camila deambulò proprio di fronte a lei, con la testa china e il passo di chi è intento a nascondersi, ma non poteva scappare dall'interrogatorio meticoloso di Dinah.

La polinesiana l'affiancò rapidamente, lasciando cadere la tazzina di caffè dentro al cestino, ancora piena. Ne aveva già bevuti due, mentre approntava la retata a Camila, quindi poteva fare a meno del terzo.

«Buongiorno!» Cinguettò con un sorriso circostanziale, lasciando trapelare intenzionalmente la sua diffidenza.

«Ciao, scusa ho tantissimo lavoro.» Scattò sulla difensiva la cubana, ancor prima di essere messa sotto torchio... Doveva essere grave, la faccenda.

«Aspetterà.» Ingiunse autoritaria Dinah, artigliando il braccio della cubana e trascinandola verso la prima stanza che apparve sul loro cammino.

Chiuse la porta alle loro spalle, e adottò una posa adamantina che non occorreva di ulteriori spiegazioni, bastava il suo sguardo eloquente e l'inflessione rigidamente sarcastica a definire i suoi propositi.

Camila evinse nitidamente la sua espressione, decifrare la sua migliore amica era come bere un bicchiere d'acqua, dopo tanti anni di conoscenza che avevano affinato il suo istinto nel riconoscere la varietà espressiva della polinesiana. Ma per difendersi pretese di non fraintendere, uscendotene con una frase patetica che aggravò la sua posizione.

«Già.. Bel tempo oggi, eh?» Annuì energicamente, stringendo con più forza i documenti che brandiva nella mano.

Dinah la colpì sul braccio, e il cipiglio che le scavava la fronte si fece ancora più spesso, adombrando gli occhi già ridotti in una fenditura.

Camila inspirò profondamente, portò le mani sui fianchi e le diede le spalle, lasciando ciondolare la testa verso il basso, sconfitta.

In realtà anche lei necessitava di sfogarsi, di liberare quel peso che le opprimeva irrimediabilmente il petto, ma non era sicura che lasciar trapelare un'indiscrezione simile fosse la cosa giusta, soprattutto perché Lauren era una cliente di suo padre che occasionalmente veniva presa in custodia da Camila, e ciò che era avvenuto la sera prima era scandalosamente non professionale.

«Sto aspettando.» La pungolò Dinah, battendo ritmicamente il piede per terra, mentre Camila racimolava le idee, bilanciando cosa fosse più o meno sbagliato.

Si voltò di scatto, percependo l'intrattabile segreto dimenarsi nel petto, ingenerare una grande baraonda. Aprì bocca, intenzionata a scaraventare fuori quel chiasso, ma l'unica cosa che le uscì fu un mormorio cheto perché la porta si aprì, interrompendo la sua bramata confessione.

Lauren apparve sulla soglia, stava fischiettando un motivo, con un auricolare infilato nell'orecchio e l'altro penzolante sul petto. Alzò la testa di scatto, facendo un passo indietro e squadrò con crudo sarcasmo la scena che le si proponeva davanti.

«Se avete da fare, io torno dopo.» Esordì con un ghigno salace, indicando il corridoio brullo alle sue spalle.

«Ma per favore.» Roteò gli occhi al cielo Camila, celando l'imbarazzo evidente sulle sue guance vermiglie con del concitato tedio.

Oltrepassò la sagoma della polinesiana, scansandola oculatamente, poi surclassò anche Lauren, non riservandole la stessa premura. Con la spalla le assestò un colpo diretto sul braccio, senza voltarsi mentre camminava -scappava-via.

Richiuse l'uscio alle sue spalle, tenendo le mani premute contro la porta mentre respirava profondamente, braccando i nervi ballerini.

Non è successo niente, non è successo niente. Ripeté dentro di se, adoperando quella semplice frase come mantra per la giornata.

Non poteva pensare a quello che era successo la scorsa notte, non solo per l'intimità che aveva condiviso con la persona che probabilmente detestava maggiormente, ma anche per il modo subdolo con cui Lauren era riuscita a sovvertire i ruoli, plagiando il suo raziocino illecitamente, facendole ammettere cose di cui vergognava tremendamente. Il solo pensiero le aggricciava la pelle e le guance si imporporavano all'istante, il che non era da lei.

Depose l'assortimento disorganico di documenti sulla scrivania, e decise di riversare l'attuale intorpidimento nel lavoro.

Trascorse mezz'ora solo a sottolineare la prima pagina, perché la sua mente scalpitava facinorosa, impedendole di concentrarsi sulle fitte righe che aveva davanti agli occhi. Infine impiegò più di tre ore per completare la parcella di un cliente e assicurarla sulla memoria del computer. Tre ore per un compito che ne richiedeva al massimo una.

Rimase chiusa in ufficio tutto il giorno, slittando anche il pranzo. Non rispose ai contatti che la segretaria le passava, premendo compulsiva il tasto di rifiuto chiamata.

Si isolò deliberatamente, sperando che ore incessanti di lavoro ridimensionassero l'ordine, levigassero l'imbarazzo acuminato che le abradeva le guance.

A fine giornata fu abbastanza soddisfatta. Osservò la pila di documenti schierati sul lato destro della scrivania, e sorrise. Aveva dovuto faticare il doppio rispetto all'usuale, ma in fondo era riuscita a sbrigare tutti i compiti, librandosi delle asfissianti scartoffie. Le sembrava di aver pagato l'obolo, ma invece il suo strenuo lavoro venne denigrato in un batter d'occhio...

Prima di uscire dallo studio, fece capolino in corridoio per accertarsi che non ci fosse più nessuno. Le luci erano spente, l'unica fonte di chiarore proveniva dalle grandi finestre che offrivano uno scorcio sulla distesa dormiente della città. Sospirò sollevata e sgattaiolò fuori.

Diede una rapida occhiata all'orologio, calcolando che la guardia notturna non sarebbe arrivata prima di due ore, quindi doveva ricordarsi di chiudere a chiave la porta dell'ufficio finché non fosse sopraggiunto Carl.

Svoltò l'angolo, sobbalzando dallo spavento quando una figura si stagliò nel buio, ma dopo qualche attimo si acquietò, rammentando che qualche giorno prima avevano affisso dei cartelloni pubblicitari che ritraevano una donna con una bacchetta in mano che indicava il mappamondo frullante.

Scosse la testa; si stava facendo troppe paranoie. Si avvicinò più pacatamente verso l'uscita, frugando nella borsetta alla ricerca del mazzo di chiavi che sigillavano la porta d'ingresso.

Mentre era distratta, qualcuno le afferrò il polso, spingendola contro il muro.

Camila trasalì impaurita, già con le mani alzate in segno di resa in caso si trattasse di una rapina, ma gli smeraldi che riverberarono davanti a lei smantellarono ogni timore infondato... Partorendone altri però.

«Lauren, smettila di fare la bambina.» Riuscì a larvare, in qualche assurdo modo, le palpitazioni del cuore, e a mantenere un tono stabile.

«Hai paura di me, Camila?» Sogghignò la corvina, appoggiando il gomito contro il muro, all'altezza della testa della cubana, dimezzando pericolosamente le distanze.

«N-no.. ma, ma ho avuto tanto lavoro.» Dovette deglutire prima di continuare la frase, perché incespicava puntualmente nelle parole, il che la infastidiva fuori misura.

«Ahh... Capisco.» Annuì ironica Lauren, oltremodo compiaciuta della reazione che imprevedibilmente suscitava nella cubana.

Per settimane Camila si era divertita ad avere la situazione in mano, era ineffabilmente eccitante poter sovvertire le dinamiche.

«Pensavo di spaventarti.» Addusse disinvolta Lauren, scostando una ciocca di capelli della cubana con ponderata lentezza.

Camila reclinò la testa, osservandola di sguincio, carpendo l'infido gioco che stava praticando. Moriva dalla voglia di allontanarla, deridere le sue seducenti macchinazioni, ma era paralizzata dai brividi che le si propagavano per il corpo, zampillando dal basso ventre. E la odiava ancora di più per questo, per l'effetto venefico che esercitava sul su di lei.

«Invece no.» Rispose con fermezza Camila, brandendo coraggiosamente l'unica risorsa che le era rimasta... La boria.

«Adesso ho da fare, quindi se ti sposti...» Fece un cenno eloquente con le mani, suggerendo alla corvina di liberare il passaggio, ma con gli occhi, oh! Con gli occhi emanava tutt'altro.

«O mi sposto, o cosa?» Incalzò Lauren, dipingendo un sorriso malizioso agli angoli della bocca, con un'espressione ceffa che sobillò Camila.

«Io..!» Pronunciò Camila, ma anche stavolta le mancò il fiato per terminare la frase.

Lauren ridacchiò, con una punta di perfidia incastrata fra i denti «Ci risiamo.»

I loro si sguardi si ancorarono per pochi secondi, prima che la flemma di Camila vacillasse, e il suo sguardo si addolcisse, e le sue spalle si rilassassero, e un sospiro penoso sentenziasse la fine della sua inutile resistenza.

«Cazzo.» Mormorò soltanto, prima di lasciar cadere la borsetta e afferrare la nuca di Lauren, catturando con voracità le sue labbra.

La corvina ingabbiò Camila fra il suo corpo e il muro, facendo aderire con foga i loro petti ansimanti. La cubana gemette in approvazione, mentre con le mani tastava confusamente il volto dell'altra, e le loro lingue danzavano intensamente, sullo stesso ritmo febbrile dei restanti arti.

Lauren la ghermì per i fianchi, e la guidò verso il bancone delle segretarie alle loro spalle. Quando la schiena di Camila si imbatté nella curva del ripiano, Lauren non attese nemmeno un attimo.

Con una mano spazzò via i depliant indicativo allineati sul legno, poi la sollevò con estrema facilità e la distese al di sopra, portandosi a cavalcioni su di lei...

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Spazio autrice:

Ciao a tutti!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, in primis. Poi, ci tenevo a specificare una cosa.

Questa storia è stata pensata fuori dagli schemi. Cioè, cerco di spiegarmi. Non ci sarà un vero punto d'incontro, ma il rapporto di Camila e Lauren resterà sempre un alternarsi di bassi e alti, fino ad un certo punto, ovvio, quando ci sarà una svolta, ma fino ad allora le vedrete litigare e poi avvicinarsi come in questi capitoli.

Non so come verrà accolta l'idea, penso che si intuisca poco dalla mia breve spiegazione. Spero che leggerete i prossimi capitoli e mi farete sapere cosa ne pensate :)

A presto.

Sara.

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