Capitolo undici
Lauren venne abbacinata da un raggio di sole che penetrava dall'oblò appannato dalla lanugine. Strizzò gli occhi per scacciare l'ospite indesiderato, e si voltò dall'altra parte per fuggire all'uggioso richiamo della mattina.
Era abituata a dormire fino a tardi, quando aveva il giorno libero. Stravaccarsi nel letto era la maggior attività che compiva, attorno al mezzodì si alzava, si stiracchiava, e trasfondeva un po' di caffeina nell'organismo per azionarsi.
Quella mattina non avrebbe voluto fare altro, ma una voce femminile, squillante e insopportabile a quell'ora mattutina, deviò i suoi piani.
«Buongiorno!»
Lauren alzò la testa lentamente, stordita ancora dal sonno predominante. La luce le accecava la vista, rendendo la figura di fronte a se solo un'ombra aurea irriconoscibile. La sua interlocutrice dovette accorgersi della difficoltà visiva, e fece un passo avanti per semplificare l'identificazione.
«Che cazzo vuoi, Lucy?» Borbottò sospirando Lauren appena ebbe profilato le sue fattezze associandole all'immagine che preservava nella memoria.
«Caffè. Ieri notte ho finito la caraffa, così stamani sono andata a ricomprarla e te l'ho portata.» Disse con tono ruffiano, innestando già di prima mattina l'irritazione funesta della corvina.
Lauren udì lo scrocio della bevanda che veniva trasfusa dalla brocca provvisoria alla sua fidata caraffa. Mugolò qualcosa; il massimo ringraziamento che Lucy poteva sperare di ottenere. Aveva eliso la parola "grazie" dal suo vocabolario tempo addietro.
«Ne vuoi una tazza?» Chiese deferente la ragazza, ma fu una domanda retorica perché l'attimo dopo Lauren percepì un dondolio scuoterle la gamba e quando trovò la forza di alzare il capo, infossato nei cuscini, visualizzò Lucy ai piedi del letto, con un sorriso smagliante e la tazza stretta fra le mani.
«Che cazzo di ore sono?» Tastò il letto alla ricerca del telefono e, quando riuscì a recuperarlo, sbarrò gli occhi «Le otto e mezzo. Ma che ti passa per la testa?»
«La mattina ha l'oro in bocca.» Sorrise Lucy allegra; tutta quella gioia le infastidiva il sistema nervoso.
«Meglio che non ti dica cosa ho in bocca.» Ringhiò Lauren, trattenendo a stento invettive ardenti.
Lucy storse le labbra e sospirò, sembrava che fosse sull'orlo di una crisi isterica, ma l'attimo dopo tornò a sorridere come se niente fosse e protese la tazza a Lauren che, controvoglia, l'afferrò. Almeno poteva rincuorarsi con un po' di nettare divino, ma non era sicura che fosse abbastanza per risarcire il danno inferto al suo sonno.
«Ho comprato anche dei biscotti.» Il timbro di Lucy era sproporzionatamente acuto quella mattina, tanto che Lauren fu costretta più di una volta a spremere gli occhi, oltraggiata da quel suono illegale, a suo dire.
Lucy aprì la credenza usurata, ne estrasse un piatto e ci poggiò sopra i biscotti, sedendosi sulla sponda del letto, addentando un biscotto tempestato di scaglie di cioccolato.
Lauren si rimproverò mentalmente per aver affogato i suoi malumori con Lucy. Ormai doveva aver imparato la lezione: sesso uguale moine e fastidi perenni, ma non ci pensava mai. Sul momento pareva che l'unica cosa precipua fosse di evadere dalle problematiche asfissianti, la mattina dopo, invece, si accorgeva solamente di aver danneggiato maggiormente la situazione.
Lucy continuava a sgranocchiare il biscotto e sorridere. Tutta quella ossequiosità e la ostinata contentezza non facevano altro che ricordarle delle segretarie nell'azienda Cabello e di conseguenza pensò a Camila. Un ghigno le contorse le labbra in uno spasmo estemporaneo.
Era da una settimana che non vedeva la cubana, dopo la sfuriata che aveva condannato Camila e la sua improduttività, Lauren non aveva ricevuto più chiamate assillanti dalla cubana. Aspettava che fosse Alejandro a contattarla, cosa che avrebbe fatto presto, appena rientrato dalla Svizzera. Lauren aspettava con sgomento quella telefonata, per scoprire come si sarebbero mossi di lì in poi dopo che Camila aveva sprecato la loro unica possibilità di uscirne illesi. Un altro ghigno le si disegnò sulle labbra, ma stavolta le cadde anche un grugnito che attirò l'attenzione di Lucy.
«Manca lo zucchero?» Chiese la mora, pronta a scattare in caso di necessità.
«Ne manca tanto, di zucchero.» Rispose con stizza Lauren, rimirando la tazza, ma riferendosi ad altro.
Si alzò dal letto, lasciando Lucy corrucciata a consumare l'ultimo pezzo di biscotto. Ingollò l'ultimo sorso di caffè, infine ponderò di usare la sua giornata libera per andare a cercare un nuovo lavoro, dato che a breve avrebbe perso il suo. Si sciacquò la faccia al lavello, cospargendola di acqua ghiacciata per risvegliare i sensi temporaneamente assopiti.
Con un panno -forse quello che utilizzava per asciugare i cocci- si tamponò le guance, e si sentì vivificata dall'effetto catartico del getto freddo. Lucy le si caracollò dietro, appollaiandosi sulla sua spalla.
«Che facciamo oggi?» Forse era solo un'impressione, ma la sua voce era diventata davvero stridula e intollerabile.
Lauren si scansò, lasciando ricadere il braccio di Lucy nel vuoto. Aprì il frigorifero, sperando di trovarci almeno uno yogurt per saziare il buco allo stomaco, ulteriore sintomo di irascibilità. Gli scomparti erano spogli, a parte per due carote, qualche pomodoro e una mela.
Perché tengo una mela in frigo? Si domandò, restò a guardarla con la testa reclinata. Scrollò le spalle e risolse l'arcano dando un morso alla polpa succosa e dolce.
«Hai una sigaretta?» Domandò la corvina, masticando il boccone.
Lucy annuì e soccorse il bisogno di nicotina della corvina, profondendole ben quattro sigarette. Lauren fece un cenno con la testa, abbastanza indifferente quasi infastidita da tanta remissione.
Non capiva cosa ci trovasse in lei. Era scorbutica, distaccata, fredda, talvolta pure maleducata, ma Lucy non demordeva. Sembrava come ipnotizzata da Lauren, e nonostante le attenzioni che teoricamente avrebbero dovuto lusingare la corvina, espresse in moto talmente esuberante la seccavano oltremodo. E sapeva che di doversi incolpare, da una parte, perché era lei che continuava a nutrire le speranze intramontabili di Lucy.
«Insomma, che facciamo oggi?» Postulò la mora, sedendosi al tavolo dove ora aveva preso posto Lauren.
Incassò le spalle, finì di rosicchiare il torsolo della mela e lo gettò nel cestino, poi si accese una sigaretta e si accasciò contro la parete, comodamente seduta «Ho da fare.»
«Posso venire con te.» Propose Lucy, allungando una mano sul tavolo.
Per un istante ebbe la malsana idea di prendere la mano di Lauren, poi si rammentò di quanto odiasse quei gesti scontati e quotidiani, ma a sua detta smielati e insostenibili. La ritrasse rapidamente, grattandosi il mento per occultare le sue intenzioni.
«Preferisco di no.» Rispose recisa Lauren, cercando di modellare il tono per non far trapelare tutta la sua insofferenza.
Lauren non sopportava Lucy e il suo accanimento, la sua quasi ossessione per lei, ma in fin dei conti era l'unica persona (oltre Normani) che ci teneva davvero a lei. Non sapeva spiegarsi per quale ignoto e astruso motivo, ma Lucy avrebbe fatto davvero di tutto per lei. E anche se aborriva le sue attenzioni costanti che screditavano la sua persona per assurgere Lauren, non poteva non provare un po' di pietà per una ragazza che si era innamorata dell'unica persona non in grado di ricambiare.
«Oh.. okay.» Si rassegnò infine, abbassando la testa come un cane bastonato.
«Devo trovare un lavoro e...» Iniziò, ma la sua banale giustificazione venne interrotta dalla vibrazione del telefono.
Lauren afferrò lo smartphone e dopo qualche secondo di esitazione, sbloccò lo schermo.
Era Alejandro. Il numero comparso apparteneva all'azienda, quindi per un istante aveva creduto di dover udire la voce di Camila e si era imposta di allentare i nervi prima di erompere, ancora rancorosa per come si erano svolte le cose.
«Certo.. Capisco.. A che ora?... Lo so... Va bene.» Riagganciò. Una chiamata breve che Lucy carpì solo in parte, trovandosi con pezzi sparsi di un puzzle che non sapeva come incastrare.
«Il mio avvocato. Devo andare.» Annunciò la corvina, cominciando a spogliarsi e ad arraffare i vestiti.
Lucy non fece domande, doveva ritenersi fortunata che Lauren le aveva già concesso di conoscere la sua ubicazione; non poteva esigere altro. La corvina le disse di fare come se fosse a casa sua, sbuffando sarcastica sulla parola "casa" e rimirando gli angoli angusti di quel tugurio che la seppellivano di muffa, freddo e disordine. Poi se ne andò, sbattendo con forza la porta perché altrimenti la serratura non scattava e l'uscio continuava a sbattere noiosamente.
Durante il tragitto, fumò tutte le sigarette restanti che le aveva elargito Lucy. Doveva calmarsi, arginare l'istinto di colpire in Camila in piena faccia. Solo la nicotina era lo strumento maggiormente efficace per distendere anche i nervi a fior di pelle.
Ignorala e basta. Le tornarono a mente le parole di Normani, e con quella frase impressa in testa varcò la soglia dell'azienda.
Brulicava di manager indaffarati, compulsive segretarie ossessionate dai computer e vigorose guardie della sicurezza assiepate in varie zone dell'androne. Si infilò a fortuna nell'ascensore, sgattaiolando nel pertugio prima che le porte si richiudessero.
Ovviamente restò imprigionata nel cubicolo, stretta fra uomini chiosati di sudore e signorine impettite che mettevano in mostra i loro connotati. Quando arrivò al quinto piano, non fece nemmeno cinque passi che subito incappò nello sguardo di Camila.
Stava consegnando dei documenti alla segreteria, assicurandosi che venissero recapitati al destinatario non oltre i tre giorni. Era di vitale importanza. Testuali parole.
Quando la cubana percepì il suono dell'ascensore segnalare la presenza di qualcuno, si voltò a constatare chi fosse e arpionando lo sguardo di Lauren, una ruga involontaria le sfregiò il volto, all'altezza della tempia.
Non ci riesco. Si risentì dire, forte e chiaro come se l'avesse pronunciato in quel momento.
Le cose che non riusciamo a ignorare sono sempre quelle che ci scombussolano maggiormente, provocando smottamenti e faglie nel nostro essere che scavano in profondità in anfratti che nemmeno noi conosciamo. E ciò avviene sia nel bene che nel male... Che sia fortuna o sfortuna, maledizione o benedizione avviene e basta.
Si avvicinò, contenendo a stento una smorfia rabbiosa che celò dietro quello che secondo lei assomigliò ad un sorriso.
«Lauren.» Imbastì una sottospecie di saluto, accennando un gesto subitaneo con la testa.
La corvina ricambiò nel medesimo atto, ma il suo fu un movimento più lento, oserei direi minaccioso. Camila colse il senso implicito e malcelato, così abbassò la testa annoiata e la scosse.
Lauren la sorpassò rapidamente, si diresse nello studio di Alejandro, pronta ad ascoltare colui che pareva essere l'artefice del suo destino, ma che ora doveva reinventarsi a causa della disdetta della figlia che aveva deluso le aspettative e trincerato le possibili scorciatoie.
Alejandro le disse che se ci fosse stato lui al posto di Camila probabilmente non avrebbe saputo fare molto meglio. Lauren non riuscì a intralciare i suoi istinti e come un automatismo in piena regola, arricciò le labbra in maniera scostante. Odiava il nepotismo, e quello che stava esercitando Alejandro non era molto diverso. Difendeva la figlia, tentava di alleggerire le sue colpe e si assumeva le responsabilità come per depurare l'immagine e la stima che aveva, lui stesso, di lei.
Decisero di tenere un profilo basso, per i prossimi sei mesi, tempo in cui si sarebbero preparati adeguatamente per il processo. Equipaggiati di moralità, ingegno e sotterfugi, perché quelli non mancavano mai negli studi legali. Lauren, nonostante la sconfitta subita, si sentiva fiduciosa di affidarsi ad Alejandro... Sperando che la figlia non avesse ereditato le sue improponibili qualità dal padre, sennò non c'era da stare tanto tranquilli.
Si salutarono con la solita rigorosa stretta di mano ed entrambi furono liberi di tornare alle loro attività.
Lauren era convinta di voler trovare un lavoro, anche part-time, andava bene tutto. Le era sufficiente avere una retribuzione su con cui contare, uno stipendio che le permettesse di non rinunciare ai pochi vizi che aveva: fumo, alcol e caffè. Scosse la testa, avvedendosi che nemmeno uno di questi era salutare.
E poi ci rifletté.
Ciò che ci fa ineffabilmente male, è anche ciò che ci fa stare bene. Sono le facce della stessa moneta. Puoi scegliere testa o croce, ma se esce la prima non voleva dire che la seconda non sia riversa sul tuo palmo.
Bene e male andavano a braccetto, quindi perché doveva importarle se l'alcol le corrodeva il fegato quando le sgombrava la mente? Perché doveva importarle che il caffè creava dipendenza e le bruciava lo stomaco quando era l'unica bevanda in grado di sopprimere i postumi della sbornia?
Perché doveva importarle che le sigarette le occludevano i polmoni quando le ricordavano di avere un respiro?
«Hai intenzione di non rivolgermi più la parola?» Camila si stagliò davanti a lei, con le braccia conserte e l'aria altezzosa.
«Esatto.» Confermò prontamente Lauren, nascondendo le mani nelle tasche con nonchalance.
«Beh, questo non è possibile. Saremo costrette ad incontrarci quotidianamente, e io non voglio odiare il mio lavoro perché so che quando arriverò in studio ci sarà talmente tanta tensione da farmi pregare di non essermi mai alzata dal letto.» Espose Camila con forsennata enfasi.
Evidentemente anche lei si era accorta di aver errato e ora la sua ambizione ne subiva il contraccolpo. Insomma, avere Lauren fra i piedi tutti i giorni, vedere il suo sguardo contradetto e le spalle irrigidite per il risentimento, era una personificazione della sua negligenza e chiaramente Camila era troppo insicura, riguardo al suo futuro, per sopportarlo.
«Fattene una ragione.» Tagliò corto Lauren, compiaciuta che il rimorso le stesse bruciando lo stomaco.
Lauren avanzò un passo per superarla, ma Camila scattò sulla sua destra per impedirle il passaggio.
Le puntò il dito contro, riducendo gli occhi in due fenditure sottili «Credi sia facile, eh? Credi che questo lavoro sia sempre una passeggiata? Non abbiamo il dono dell'onnipotenza solo perché siamo in grado di contravvenire alla legge. A volte si sbaglia, capita, non puoi mettermi in croce per averci provato.» E per quanta rabbia esalasse il suo respiro corto, Lauren capì che in realtà stava solo sfogando le incertezze, tramutandole in un sentimento opposto per non farle trasparire.
«Ah si? Eh, immagino quanto sia difficile.» Replicò sarcastica, facendo scrocchiare la lingua contro il palato «La macchina privata che ti viene a prendere sotto casa, l'aria condizionata in ufficio quando fa troppo caldo e il riscaldamento per quando fa troppo freddo. Stare seduta tutto il giorno dietro alla scrivania con l'unico compito quello di leggere qualche modulo, ripassare qualche legge.. Accidenti, sono quasi in pena per te.» Portò una mano sul cuore, mistificando la sua commiserazione, ma solo per poco prima che il suo sguardo tornasse ad incupirsi e i lineamenti ad indurirsi.
«È molto più difficile di quel che la fai sembrare.» Fischiò a denti stretti Camila, ferita nell'orgoglio dalla presunzione fustigante di Lauren.
«Si, certo...» Sbuffò la corvina, scuotendo la testa, disapprovante.
Per un attimo Camila non rispose, ma la scrutò intensamente, prima annuendo flebilmente come se stesse ponderando una soluzione e poi sempre con più convinzione mosse la testa, emettendo il verdetto «Pensi sia così facile? D'accordo. Ti sfido a passare un giorno in questo ufficio per capirlo da sola.»
Lauren rise sguaiatamente, lanciando la testa all'indietro. Camila la lasciò fare, perché sapeva di avercela già in pugno. Forse la corvina non praticava più il pugilato, ma era stata sul ring e sapeva che non c'era umiliazione peggiore di non accettare una scommessa.
«Scordatelo, principessa.» Sentenziò con disprezzo quando ebbe finito di ridere.
«Scommetto che non saresti capace di restare qui dentro nemmeno per un'ora.» Un sorrisetto perverso affiorò sulle sue labbra, e comprese dal mutamento istantaneo dello sguardo dell'altra di aver fatto centro.
«Tu credi? Perché tu saresti capace di passare un intero giorno nella mia vita, a fare il mio lavoro?» Accostò minatoria la faccia a quella di Camila, sottolineando la baldanza congenita a quella sfida.
«Scopriamolo.» Rispose disinvolta Camila, scrollando le spalle come per denigrare l'indugio precedente di Lauren «Chi vince sceglie la penitenza per l'altro. Ci stai?» Modulò la voce affinché risultasse impavida e temeraria, così da non far trasudare il timore che le danzavano in petto.
Camila allungò la mano nello spazio ristretto che intercorreva fra i loro corpi. Lauren la strinse saldamente, sancendo un patto che avrebbe destinato le loro prospettive in modo del tutto inaspettato...
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