Capitolo quattordici
Lauren decise di festeggiare la meritata vittoria con una bottiglia di vodka, ma non avendo possibilità di procurarsene una autonomamente, incaricò Lucy di quell'incombenza.
Decise che quella notte avrebbe vinto non una ma due volte, perché era fermamente convinta di saper resistere alla deprecabile tentazione, anche un po' villana, di andare a letto con Lucy. Così da ristabilire una parvenza d'equilibrio nel loro rapporto ambivalente.
Erano sedute davanti a due bicchieri di vodka, la bottiglia era già dimezzata, lo stomaco bruciava sempre meno per via dell'abitudine che pian piano aveva assunto. Le risate erano sempre più ravvicinate e prodotte per futilità che di norma non avrebbero fatto ridere nessuno, ma soggiogate dall'alcol anche lo svolazzare della tenda era un pretesto per sbellicarsi.
Lauren alzò il bicchiere e fece un brindisi in onore della sua vincita, anche se non sfamò la curiosità di Lucy nel sapere a quale misteriosa scommessa si stesse riferendo. Comunque, la mora non fece troppe domande, dato che il buon umore di Lauren aveva la nomea di essere volubilmente raro... Tanto per fare un eufemismo.
Ad un certo punto, ormai erano già le undici passate e restava solo un goccio di vodka nel vetro squadrato, Lucy allungò la mano sul tavolo e sfiorò il braccio di Lauren, facendo scorrere due dita fino al suo gomito; dopodiché aggirò il tavolino che le separava e si sedette sulle sue ginocchia, accarezzando la pelle scoperta di Lauren fino alle scapole.
«No.» Si oppose la corvina quando Lucy accostò le labbra alle sue, tramandandole una zaffata di alcol.
«Perché?» Si accigliò la ragazza, la quale aveva ricevuto tanti rimbrotti da Lauren, ma mai un rifiuto.
«Perché..» Alzò lo sguardo su di lei e impietosamente decapitò le sue malriposte speranze «Tu crederai che questo cambi qualcosa, ma io non provo niente per te.» Forse fu l'alcol a darle il coraggio necessario per non apostrofare Lucy con tono insolente, ma semplicemente ammettendo una verità che fino a quel momento aveva espresso solo con rimbrotti autoritari.
Lucy rimase stupita, non solo dalla risposta che la fece trasalire, incapace di nascondere un dolore tanto invasivo, ma anche per il modo mite con il quale Lauren animò quella frase.
«Non mi interessa.» Mentì infine, avventandosi nuovamente sulle labbra carnose di Lauren che stavolta non ebbe tempo di replicare o sottrarsi alla volontà di Lucy.
La corvina non solo era disinibita dall'alcol, ma era anche umana e se dopo aver fatto il punto della situazione Lucy insisteva a volerla, strusciandosi e gemendo sopra di lei, beh, allora la sua flemma cedeva rovinosamente al desiderio.
Ricambiò il bacio, avvertendo piano piano il piacere insinuarsi nel suo basso ventre, propagarsi nella schiena con delle scosse elettriche che si addensavano sulla nuca. Quando l'afferrò per le natiche per portarla a letto... squillò il telefono.
Lauren si voltò insospettita a ispezionare l'origine del suono. Era venerdì sera, mezzanotte inoltrata.. Chi diamine poteva cercarla a quell'ora?
«Lascia stare.» Sussurrò Lucy, afferrandole di nuovo le guance e catturando le sue labbra umide e turgide nelle sue.
Eppure il telefono non smetteva di vibrare, e quel suono molesto distraeva non poco Lauren, infondendole delle congettura nefaste che l'angosciavano a dismisura. Spostò con poca delicatezza Lucy, scivolando via dalla sua presa e afferrò il telefono. Il numero lampeggiava sullo schermo, ma non sapeva a chi appartenesse perché non era stato salvato in rubrica. La cosa la insospettì ancora di più.
«Pro..» Non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase che una musica assordante la stordì, seguita da una risata giuliva e chiaramente ebbra che si sorprese di identificare all'istante.
«Lauren fottutamente Jauregui..» E rise, ingoiando un sorso di qualcosa che evidentemente non risanava la sobrietà smarrita «Volevo solamente dirti che.. che ho vinto io, cazzo ho straaavinto.» Rise di nuovo, lanciando un gridolino che obbligò la corvina a distanziare il telefono, imprecando.
«Camila.. ma che cazzo vuoi?» Rispose scontrosa, non capendo perché la cubana si permetteva di infastidirla.
«Calmati, testa di cazzo.» Sputò velenosa Camila, ma subito dopo scoppiò a ridere.
Tutta quella infantilità, mista a sconsideratezza, non facevano altro che avvalorare l'irritazione vivida di Lauren che non poteva fare a meno di chiedersi perché Camila aveva telefonato a lei in un momento di esigua sanità mentale.
«Lo sai dove sono?» Biascicò, confabulando a bassa voce con qualcuno che le stava intimando di riattaccare «Sono in un puuub... a Detroit.»
Lauren sgranò gli occhi, deglutì con forza e dovette prendersi un momento per accantonare gli invadenti pensieri che si riversarono come un fiume in piena nella sua mente non propriamente lucida.
«Dove cazzo sei?!» Alzò il volume, allarmata, passandosi nervosamente una mano nella folta criniera corvina.
Camila ridacchiò «Ho dett..» Non terminò la frase perché la chiamata venne interrotta e cadde la linea.
«Pronto? Pronto?! Cazzo!» Sbottò Lauren, lanciando il telefono contro la testiera del letto.
Poggiò i gomiti sul ripiano dove sminuzzava le verdure, raccolse la testa fra le mani e inspirò profondamente. Valutò le opzioni, soppesando le eventuali scelte che le si prospettavano dinanzi allo sguardo annebbiato.
Mentre era intenta a prendere una decisione, sentì le mani di Lucy stringerle i fianchi, le labbra umettate della mora baciarle la spalla e su fino al collo. Non fu una decisione, fu un istinto arcano che dominò la sua ragione, che determinò le scelte successive.
«Lasciami.» La scostò rudemente, andandosi a sedere sulla sponda del materasso «Devo andare.» Raccolse le scarpe da sotto il letto e le infilò frettolosamente, dimenticandosi anche di allacciare le stringhe.
«Cosa? Adesso? Perché?» Chiese sdegnata Lucy, che per quanto fosse invaghita di Lauren, da donna detestava essere trattata come una pezza da piedi.
«Perché la figlia incosciente del mio capo ha deciso di mandare a puttane la mia unica possibilità di scampare la galera. Cazzo, cazzo...» Non sapeva dove si trovasse Camila, anche se i pub in zona non erano molti, setacciarli tutti richiedeva troppo tempo e date le pessime condizioni delle cubana e il modo repentino con cui era stata chiusa la chiamata, il tempo non era un lusso che poteva permettersi.
«Dammi le chiavi della macchina.» Disse perentoria, schiudendo la mano davanti a Lucy.
La mora disponeva dell'auto del padre, il quale le concedeva di appropriarsene per il fine settimana. Era un "gioiello" di famiglia, anche se era vecchia, trasandata e borbottante era pur sempre una vettura e in città in pochi potevano vantarne il possesso.
«Cosa? Lauren, hai anche bevuto... Non posso darti...» Eccepì Lucy, intasata dai molteplici dubbi che le traviavano la mente.
«Dammi quelle fottutissime chiavi!» Urlò la corvina, ansimante dalla rabbia.
Lucy deglutì, poi estrasse il mazzo tintinnante dalla tasca del giubbotto appoggiato sul letto, e le consegnò nelle mani inaffidabili di Lauren, pregandola di fare attenzione. La corvina, invece di ringraziarla, le disse che doveva andarsene subito e che le avrebbe riportato la macchina l'indomani mattina. Lucy non ebbe tempo di ribattere perché Lauren era già uscita.
Aveva guidato tre volte in vita sua. La prima per scortare William all'ospedale quando era scivolato sulla terra ghiacciata e sbattendo il ginocchio non era più riuscito ad alzarsi dal dolore. La seconda per aiutare un amico con una rapina in un bar, una cosa da poco, doveva solo prelevarlo e tutto filò liscio. E l'ultima per scortare Vincent ad un incontro quando aveva acquistato il lotto per poi ergersi la sua, ormai decadente, attività.
In tutte quelle occasioni, nonostante due su tre fossero state estremamente rischiose, non si era mai sentita agitata come lo era adesso... Forse perché, nonostante le conseguenze che avrebbe potuto scontare, quelle tre volte la coinvolgevano indirettamente, mentre stavolta c'era in ballo il suo destino.
Se Alejandro avesse scoperto che Camila non era mai rincasata e che si era fermata ad un pub, a Detroit, ad ubriacarsi in compagnia di tipi ambigui che per una bella ragazza come lei avrebbero fatto a cazzotti, non ci avrebbe pensato due volte a rescindere il contratto e sciogliere gli accordi, lasciando Lauren in balia di una giuria severa che non avrebbe mai creduto alla sua "buona fede", per così chiamarla.
«Porca puttana!» Inveì, sbattendo le mani contro il volante.
Sfilò una sigaretta dal pacchetto di Lucy, quello che teneva di scorta sopra il cruscotto, e calmò i nervi. Era una notte siderale, le strade erano desolate e solo la luce sfarfallante dei lampioni accompagnava la sua corsa sfrenata. Pattugliò tutte le zone del centro, fumando metà pacchetto nel giro di venti minuti, ma nemmeno una volta si imbatté in Camila.
Provò a richiamarla, ma il telefono squillava a vuoto. Nessuna risposta. Spense il motore e arrestò i pensieri. Continuare a peregrinare per la cittadina senza meta e sprovvista di indizi che l'aiutassero a rintracciare la cubana, era inutile e sfiancante.
Doveva cercare di visionare la situazione senza farsi aggredire dalla preoccupazione e dalle prossime atroci conseguenze. Se Camila era uscita dal negozio, significava che non poteva aver lasciato l'area, essendo a piedi... C'erano due pub nelle vicinanze, ma aveva già controllato in entrambi...
Pensa, cazzo, pensa! Si rimproverò mentalmente, incitando le sue sinapsi a collaborare.
Il bar di Allen. La parola suggeriva bene, era un bar, ma la sera ringiovaniva il posto fatiscente con luci psichedeliche e serviva alcolici, alzando il volume della musica. Tutto poteva farlo sembrare un pub agli occhi offuscati di Camila.
Ingranò la marcia e sterzò rapidamente, facendo un'invenzione a U che fece stridere le gomme contro l'asfalto. Svoltò nel vicolo dietro al negozio di Vincent, dove il traffico era teoricamente limitato, ma non le importava. Parcheggiò davanti all'entrata, subendo le proteste impastate degli astanti.
Aprì con furia la porta, venendo investita subitamente da una puzza mista a sudore, alcol e cappe di fumo, inconfondibilmente marijuana. Sgomitò fra le ressa di persone, ignorando gli insulti che le piovvero addosso per i modi sgarbati che aveva. Diede una rapida scorsa ai divanetti dove di solito presidiavano i tossici, coloro che non si accontentavano di uno spinello o di un bicchiere di alcol. Fu sollevata di non scovare Camila fra di questi, così lanciò lo sguardo verso il bancone e la individuò all'istante.
Era seduta su uno sgabello, accerchiata da uomini rozzi e visibilmente interessati all'arringa che stava intrattenendo. Due di loro si scambiavano occhiate d'intesa che non piacevano per niente a Lauren.
Si avvicinò con passo celere e deciso, adombrando il suo sguardo sotto un cipiglio contraddittorio che contaminò gli animi allegri della combriccola. Uno di loro, probabilmente il più sobrio, dovette riconoscerla perché si allontanò appena intuì la traiettoria percorsa da Lauren.
«Quindi, se derubi un supermercato senza arma, potresti ottenere la condizionale, certo...» Disse Camila, rivolta verso quello con la barba incolta e lo sguardo spento dall'alcol, ma luccicante a causa dello stesso veleno.
«E se ammazzo qualcuno, ma poi mi consegnò agli sbirri e mi dichiaro pentito, posso evitare l'ergastolo?» Domandò quello più basso e tarchiato, con la pancia ingrossata dalle cospicue bottiglie di birra che scolava ogni giorno.
«Dipende dalle dinamiche.. cioè..» Iniziò a spiegare Camila, ma venne interrotta da qualcuno alle sue spalle.
«La festa è finita, toglietevi dal cazzo.» Imperò Lauren, avvicinandosi alla cubana che l'accolse con un sorriso inebetito e lo sguardo vispo, ma si rabbuiò immediatamente quando la corvina le l'arpionò le gambe e la caricò sulla spalla come un sacco di patate.
«Lasciami andare!» Scalciò, tirando pugni gracili contro la schiena di Lauren.
La corvina rivolse uno sguardo cupo a tutti i presenti, i quali abbassarono lo sguardo e sciamarono velocemente, bofonchiando sommessamente. La birra che aveva ordinato Camila era ancora a metà, ne prese un sorso e saldò il conto, usando il portafoglio della ragazza che trovò nella borsetta poggiata a terra.
«Non puoi farlo, capito? Stupida boriosa e.. e.. non mi viene in mente altro ora, okay? Ma ci sono tantissimi brutti aggettivi per te!» Recriminò Camila, ma era talmente ubriaca che persino i suoi discorsi strampalati, che solitamente innervosivano Lauren, la facevano ridere.
La corvina non rispose, alzò gli occhi al cielo mentre Camila continuava a protestare, battendo i pugni sulla sua schiena. Uscì indisturbata dal locale, distese la cubana sul sedile posteriore e si immise nell'abitacolo, accendendo il motore gracidante.
Fece retromarcia ed uscì dal cunicolo, non sentendo nemmeno le blande opposizioni di Camila che scemavano minuto dopo minuto, arrecandole sempre più fiacchezza. Lauren rimase taciturna, finché la cubana si appisolò sul sedile, attorta su se stessa.
«Ecco, brava, dormi.»
Quando Camila sbatté le palpebre, si ritrovò di nuovo penzoloni sulla spalla di Lauren. Vedeva il terreno fangoso passarle davanti agli occhi, la punta dei capelli ciondolare nel suo campo visivo e il tallone motoso dello stivaletto di Lauren calpestare le pozzanghere.
Si lamentò ancora una volta, ma in un bisbiglio assonnato che giunse comunque alle orecchie di Lauren, facendole roteare gli occhi al cielo.
Entrò nella roulotte, sperando che Lucy avesse obbedito alle sue direttive. Non c'era nessuno, solo un biglietto attaccato al frigorifero "Portami la macchina." Lo accartocciò ghignando; non aveva bisogno che la mammina le ricordasse i suoi impegni.
Disarcionò Camila dalla sua spalla, facendola cadere malamente sul letto. La cubana accusò il colpo, producendo un mugolio lagnante e strascicato, prima di ripiombare nel sonno. Lauren la destò, convenendo che doveva fare una doccia a Camila.
«Spogliati.» Ingiunse seccata appena la cubana si eresse in piedi.
Camila spalancò la bocca offesa, fraintendendo le intenzioni della corvina e irriflessivamente fece collidere la mano con la sua guancia, tirandole uno schiaffo che echeggiò nello spazio ristretto «Ma come ti permetti?»
Lauren portò incredula le dita sulla porzione di pelle colpita, riassestò la mascella e contò fino a dieci prima di guardare Camila negli occhi. Nessuno, oltre suo padre, aveva mai trasceso quel limite. Erano tutti troppo impauriti dalle sue note abilità, e dopo la denuncia esitavano anche a sfiorarla incidentalmente.
Quando i loro sguardi si incrociarono, Camila aveva unito le labbra in una smorfia a metà fra la soddisfazione e l'indignazione, mentre Lauren aveva irrigidito i muscoli facciali in un'espressione marmorea scossa solamente dal fremito che le pervadeva le labbra.
«Io non sono...» Esordì ieratica Camila, ma venne anticipata dalla corvina che ne aveva abbastanza dei suoi capricci.
L'afferrò per i fianchi e la spinse sotto il getto della doccia, completamente vestita. La cubana schiamazzò in protesta, lamentandosi prima per l'acqua fredda e poi minacciando Lauren di insurrezione. Tentò di sottrarsi, sporgendosi fuori dal cunicolo, ma la corvina la respinse sotto, non propriamente con delicatezza, limitando il suo dimenarsi scoordinato.
Quando ebbe finito le imprestò una vecchia maglietta che usava per andare a correre, assieme a dei pantaloncini di flanella. Le disse che se non voleva arrischiarsi di prendere un brutto raffreddore, le conveniva cambiarsi.
Camila non protestò stavolta, e seguì alla lettera i consigli burberi della corvina. Dopo la doccia, la sbornia iniziava ad affievolirsi, le capacità mentali si stavano lentamente depurando dall'alcol, eliminando le tossine.
Mentre la cubana si vestiva, Lauren uscì all'aria aperta a fumare una sigaretta. William si era affacciato, svegliato dalle grida stridule di Camila. Lauren fece un cenno lesto con la mano ed espirò il fumo, congedando l'apprensione di William che preferì rintanarsi nella sua roulotte e non fare domande. Aveva imparato che con Lauren era meglio tacere, che stuzzicare la sua esigua pazienza non era conveniente.
Quando tornò all'interno, Camila era seduta sulla sponda del letto, teneva la testa bassa e giocava nervosamente con i pollici, evidentemente compunta delle azioni sconsiderate che aveva disseminato per tutta la sera.
Tentò di scusarsi, ma non volendo chiedere perdono prettamente a Lauren nutrendo per essa un'avversione tangibile, disse «È stato preterintenzionale.»
La corvina reclinò la testa e perplessa, ma anche lievemente divertita dalla scelta di parole di Camila, domandò «Vuol dire che hai ucciso qualcuno?» Intanto le versò un bicchiere d'acqua e glielo porse, stagliandosi in piedi di fronte a lei, appoggiata contro lo stipite della ormai inesistente porta.
«La mia sobrietà.. e forse anche la dignità.» Testimoniò la cubana, ingollando l'acqua fresca.
Inaspettatamente Lauren ridacchiò, scuotendo la testa; e quando Camila alzò lo sguardo per scorgervi il solito risolino sarcastico, si sorprese di scoprire che in realtà era ilarità autentica e contagiosa, tanto che anche lei si lasciò andare ad una risata liberatoria che risuonò nell'angusta roulotte.
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