Capitolo quarantanove
Lauren richiuse la porta della roulotte, tirando un sospiro di sollievo...
Camila le si avvolse immediatamente le braccia al collo, catturando le sue labbra con un'esuberante slancio che prosciugò il respiro dell'altra.
«Camz, siamo vive per miracolo. Ti prego, dammi cinque minuti.» La schernì la corvina, ottenendo uno schiaffo sul braccio, che invece di farle male, la fece ridere.
«Non guido così male.» Coonestò la cubana, guadagnando uno sguardo eloquentemente scettico da parte di Lauren che la indusse a reciprocare con un'espressione determinata e vagamente offesa.
«Stavi per investire un anziano.» Le fece notare Lauren, portando le braccia sui fianchi con fare supponente, ma in maniera spiritosa.
«Beh?! Lui stava in mezzo di strada.» Cantilenò la cubana, aprendo le braccia in maniera plateale per scagionarsi dalle accuse.
«Perché stava attraversando!» Rammentò Lauren, sgranando gli occhi e alzando le sopracciglia.
Camila aprì bocca per replicare, ma intuì di aver fatto un buco nell'acqua e lasciò definitivamente perdere la diatriba, diramandola con una scrollata di spalle e un mezzo sorriso embricato alla guancia divenuta scarlatta per il freddo pungente che flagellava le strade.
Lauren si approssimò a lei, le appuntò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e reclinò appena la testa per intascare l'espressione assorta e beata che si dispiegò sul volto mite di Camila.
«Devo tornare a lavoro, prima che mio padre mi faccia l'ennesima ramanzina.» Roteò gli occhi al cielo la cubana, sbuffando appena.
Lauren mugolò interrogativa, assottigliando gli occhi per far risaltare la primitiva domanda che stava scalpitando dentro di lei «Scommetto che adesso non è così contento di avermi spedito quella lettera.» Si colse l'ironia nel suo tono leggiadro, ma una punta di verità riverberava nel suo sguardo pazientemente in attesa.
«Beh..» Incassò le spalle la cubana, divagando lo sguardo verso un punto indefinito della stanza e stampandosi in faccia quell'espressione salace che tanto la caratterizzava «Io si.» Concluse Camila, avvinghiando le braccia attorno al collo della corvina che provvidenzialmente ghermì i suoi fianchi, attirandola a se.
La cubana prese iniziativa e si tuffò sulle sue labbra, piazzando un bacio casto che Lauren tentò di approfondire, ma venne tempestivamente scongiurata dal distacco che Camila arrogò.
«Lo sai, la prima volta che ti ho vista, avrei voluto voluto strozzarti.» Confessò Camila, traendo uno sguardo basito e divertito da parte di Lauren che si anfanò per non scoppiare a ridere.
«Per me è ancora così.» Testimoniò la corvina, recitando il ruolo di completa indifferenza.
«Oh, si! Anche per me.» Sgrullò le spalle la cubana, scompaginando la sua espressione in vagamente presuntuosa.
Il cellulare di Camila prese a vibrare incessantemente, irrompendo sempre nel momento sbagliato. Alejandro aveva convocato una riunione dello staff, credendo che ci fossero delle cedevoli lacune nel settore che intaccavano la compagnia. In realtà non vi era alcun reparto improduttivo o oberato di magagne, ma secondo la visione di Alejandro qualcosa non fruttava come doveva. E il capo era lui.
«Devo scappare.» Sospirò la cubana, recuperando le poche cose che aveva con se.
Lauren la seguì con lo sguardo mentre transitiva per la roulotte. Inopinatamente le piaceva avere Camila fra i piedi, non la infastidiva che la sua presenza si fosse fatta più concreta e reale, che fosse privata dei suoi spazi talvolta per ampliare il tempo per Camila. Era una novità e, come tutte le novità, doveva assuefarsi, ma attualmente non pareva un'impresa ardua.
«Ci vediamo stasera?» Domandò la cubana con disinvoltura, rivolgendo lo sguardo a Lauren che si accigliò, confusa.
Camila lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e cantilenò «La cena, Lauren.»
La corvina si illuminò, rimembrando estemporaneamente l'appuntamento indetto qualche giorno fa fra le due. Avevano deciso di comune accordo di dedicarsi con appassionante e spensierata lentezza alla loro incipiente relazione, quello era il primo passo, piccolo quanto bastava per non spaventarsi, ma grande abbastanza per essere in docile apprensione.
*****
Camila raggiunse la compagnia con un dovuto anticipo. E tutta integra, malgrado la guida spericolata e incerta che ancora legava i suoi polsi novellini. Si era cimentata nello sperimentare la propria indipendenza per il semplice fatto che aveva arduamente guadagnato la patente, anni addietro, e non l'aveva sfruttata. Giaceva nel suo portafogli assieme alle tessere del supermall e gli sconti da Prada. Insomma, non le aveva reso abbastanza giustizia.
Certo, non essere più scorrazzata da Richard -anche se lui restava ampiamente disponibile, come aveva già ribadito più volte- era una scomoda novità. Le piaceva reclamare la sua intraprendenza in ambito di autonomia, ma le mancava udire i rimbrotti borbottati da Richard contro un'autista che magari gli aveva sfacciatamente tagliato la strada. E le mancava la compagnia di qualcuno, anche se la maggior parte del tempo restava in silenzio, era comunque confortante saper di condividere l'abitacolo con una persona fidata. L'unica cosa che davvero non le sarebbe mai mancata, era il pericolo che correvano ogni volta che Lauren decideva di infiltrarsi furtivamente fra le sue gambe, e improvvisamente Richard diveniva, agli occhi di Camila, un anziano signore già addentrato nella terza età che sarebbe svenuto come il signore al negozio, se avesse registrato una scena del genere.
La cubana raggiunse la sala conferenze dove già una trentina di persone gremiva le poltrone, allineate in un semicerchio a strapiombo che ricordava un'aula universitaria. Infatti Camila aveva i brividi ogni volta che metteva piede in quel posto, tanto rassomigliava ai suoi vividi ricordi di quando ancora studiava al collage.
Le lezioni con Miss. Smith... pensò, mentre passava in rassegna ogni poltrona nel tentativo di scovare Dinah. Non so se fosse più irritante la sua squillante voce, o il sedere prosperoso che mi faceva competizione.
«Mila!» La richiamò la polinesiana, sventolando un braccio in aria per segnalarle la posizione.
La cubana le indicò la poltrona accanto a lei, ancora vuote, per avvisarla di tenerla libera mentre lei si addentrava fra le anguste file, serpeggiando fra gli astanti con indicibile difficoltà. Qualcuno le riservò addirittura uno sguardo di sguincio, come se avesse appena urtato uno spettatore e rovesciato a terra i suoi pop-corn.
Stai calma, stai solo per assistere all'ennesimo ramanzina di mio padre. Lo rassicurò mentalmente Camila, surclassandolo con un abbozzo di sorriso che fece trasparire chiaramente la sua irritazione.
Con qualche ultimo sforzo riuscì a sopraggiungere accanto a Dinah, che per agevolarla le aveva già sistemato la sedia, tenendo ferma per lei la parte reclinabile finché non si sedette.
Camila si lasciò cadere sulla poltrona, emise un sonoro sospiro e si stravaccò per qualche istante contro la spalla dell'amica, chiudendo gli occhi per la stanchezza che appesantiva le sue palpebre.
«Lauren ti ha fatto fare le ore piccole, eh?» La stuzzicò maliziosa Dinah, molleggiando la spalla, dove vi era adagiata la cubana, per tenerla sveglia.
«Già, due settimane che mi tiene sveglia. Se non ho litigato con nessuno per strada, è un miracolo.» Si afflosciò nuovamente sull'avambraccio della polinesiana, assumendo una postura innaturale e attorta.
«Quindi ora siete una coppia a tutti gli effetti?» Chiese pacatamente Dinah, sporgendo una semplice domanda.
Camila venne risvegliata dal suono di quelle parole come fossero campane risuonate a due centimetri da lei. Si drizzò di scatto, irrigidì le spalle e serrò la mascella, fissando un punto imprecisato davanti a lei. Dinah si crucciò, confusa.
«No.. no, cioè no. Noi... cioè io e Lauren, non siamo... Non credo che noi... cioè sempre io e Lauren... siamo quello, no.» Farfugliò la cubana, storpiando le parole con enfatizzata ansia.
«Non ti ho mica chiesto se hai intenzione di rapinare una banca, calmati.» La rasserenò Dinah, carezzandole la spalla e aggettando appena la testa in avanti per osservarla negli occhi.
La cubana era ancora evidentemente esagitata, il suo sguardo era proiettato verso lo schermo nero che attendeva di essere azionato, e nonostante il volto fosse impassibile, si coglieva subitamente l'impercettibile tensione che incupiva i suoi spigolosi lineamenti.
«Pensiamo alla riunione, dopo ne parliamo davanti ad un caffè.» Sentenziò infine Camila, volgendo lo sguardo sull'amica solo per una frazione di secondo.
«Va bene.» Assentì Dinah, allentando la presa... per ora.
Alejandro intrattenne una tediosa e interminabile disquisizione che ammoniva la scarsa rapidità e il negligente impegno che alcuni riponevano nel lavoro. "Per far funzionare bene il nostro corpo, c'è bisogno che tutti gli organi siano attivi e armonici. Di questo ha bisogno la nostra azienda." Tipico discorso finale che propinava ogni stramaledettissima volta, increspando le labbra in un sorriso per stemperare l'aria severa che aveva campeggiato sul suo viso per l'intera conferenza.
«Scusa se mi permetto, ma tuo padre diventa sempre più logorroico con gli avanzare degli anni.» Si lamentò Dinah, mentre scorrevano lentamente arrendendo che la calca all'uscita si sfoltisse.
«Pensa a chi vive con due logorroici.» Replicò scherzosamente Camila, lanciando un'occhiata eloquente in direzione dell'amica per sottintendere che era proprio lei che sta criticando.
Dinah sorriso sotto i baffi, colpendo la cubana sulla spalla con un blando pugno. Camila si mise a ridere, e dopo qualche classico spintone riuscirono a sgusciare fra il nuvolo di persone, aprendosi un varco fino al bar.
La polinesiana ordinò un caffè d'orzo, perché ultimamente stava seguendo una "dieta" ideata personalmente che consisteva nell'abbuffarsi di schifezze e poi scacciare i sensi di colpa inserendo qualcosa di nutriente. Ad esempio: una coca light accanto ad un pezzo di torta al cioccolato, un piatto d'insalata con hamburger e patatine fritte, un caffè d'orzo con ciambella glassata inclusa. Sosteneva che le facesse credere di aver ingerito meno calorie di quanto realmente avesse assorbito.
Camila, invece, ordinò un tè alla pesca e nient'altro. Dinah si sporse sul tavolo, congiunse le mani davanti a se e fissò il suo sguardo sulla cubana, in tacita e rispettosa attesa.
Quando si accorse che Camila non aveva intenzione di prendere le redini del discorso, si accollò la responsabilità di incoraggiarla con una battuta affettuosamente ironica «Allora avevo ragione quando sostenevo che fosse sexy.»
La cubana ridacchiò, evidentemente rilassata. A volte non abbiamo paura di affrontare un discorso, di addentrarsi fra i tortuosi e scoscesi tragitti che si ramificano nell'oscurità dell'inconscio. Paventiamo solo di fare il primo passo e speriamo che qualcuno ci sproni, che qualcuno di cui ci fidiamo ci sospinga quanto basta per disertare il conosciuto e affrontare ciò che di vero c'è in noi.
«Si, molto sexy.» Camila catturò il labbro inferiore fra i denti, a seguito di un sospiro greve e trasognato.
«Niente dettagli!» Precisò Dinah, mettendo le mani avanti già in partenza, vista l'espressione assorta che assediava lo sguardo perso della cubana.
Perso. Perso era l'aggettivo perfetto.
«Sicura?» Ammiccò accattivante Camila, schernendo amichevolmente la smorfia che arricciava le labbra della polinesiana.
«Ok, ok.» Ridacchiò la cubana, affrancando l'espressione sghemba dell'altra «Niente dettagli.» Promise Camila, inoltrandosi nella reale conversazione.
«Lauren ed io stiamo relativamente bene, ma insomma... Non credo che dovremmo stare assieme.» Testimoniò infine, trastullando la tazza che il cameriere aveva posto di fronte a lei.
Dinah si accasciò contro la sedia, portando una mano sulla fronte «Dio dammi la pazienza, perché se mi dai la forza...» Lasciò deliberatamente la frase in sospeso, permettendo alle sue sorde dichiarazioni di galleggiare nell'aria.
Dopo qualche secondo, Dinah tornò in posizione eretta e con un sospiro sconsolato rivolse l'attenzione sulla cubana che, fino ad ora, non aveva distolto gli occhi dalla tazza fumante che esalava una gradevole fragranza di pesche.
«Non sto dicendo che non voglia proseguire questa cosa che abbiamo intrapreso, solo non credo che potremmo mai essere una coppia.» Incassò le spalle, senza l'ardire di rimirare Dinah negli occhi.
«Lei è così sarcastica e pure io lo sono. Lei è orgogliosa e Dio solo sa quanto lo sia anche io. Entrambe caratteristiche che ci metteranno in continuo conflitto l'un con l'altra, per non parlare di quelle fondamentali particolarità che ci dividono come il forte senso della giustizia che possiedo io, messo a contrasto con il perenne trasgredire di Lauren.» Scosse fievolmente la testa, sorseggiando la calda bevanda che le arrossava i polpastrelli.
«Secondo me siete perfette l'un per l'altra. E poi, nessuno ti ha mai guardata come ti guarda Lauren.» Asserì risoluta Dinah, girando con eleganza il cucchiaino per poi assaporare il gustoso caffè.
Camila non rispose, solo un breve sorriso le sfiorò le labbra. Troppo breve.
Dinah non voleva e, soprattutto, non poteva sindacare su come Camila avrebbe dovuto comportarsi a seguito di quella presa coscienza, ma si sentì di darle un consiglio spassionato.
«Mila, però, ecco.. Lauren ha scavalcato un limite enorme per te, non tirarla per le lunghe se credi di non voler stare con lei. Sii sincera prima che la cosa ti si ritorca contro.» Sospirò avvilita, racchiudendo la mano della cubana nel suo palmo e dedicandole quell'occhiata complice che tanto la rassicurava «Non so come potrebbe prenderla Lauren...»
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Spazio autrice:
Ciao a tutti!
Posso quasi sentirvi imprecare e chiedere "Oddio, ma perché sembra che tu stia facendo un passo indietro?" Ok, lo capisco... Mi spiegherò meglio nel prossimo capitolo, perché le informazioni in merito sono lunghe e tediose, quindi vi ammorbo domani assieme ad un altro discorso.😂🙌🏻
Intanto fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo. Grazie mille.
A presto.
Sara.
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