Capitolo quaranta
Camila ingollò un sorso di caffè che, seppur rancido, quella mattina fu un vero toccasana.
Aveva dormito poco e punto, girandosi e rigirandosi senza posa nel letto. Il risultato erano due occhiaie incavate e un ghigno più pronunciato del solito. Temeva che neanche il caffè fosse in grado di scalfire il pessimo umore con cui era cominciata la giornata, ma al primo sorso già si sentì riavere.
«Buongiorno.» Una voce familiare la colse impreparata.
Il cipiglio che si dibatteva sulla sua fronte non prometteva nulla di buono...
«Posso spiegarti.» Premise la cubana, notando lo sguardo grifagno dell'altra accentuarsi nell'attesa.
«Sono tutta orecchie.» Proclamò Ally, acrimoniosa.
Camila si schiarì la voce, balbettò qualcosa d'incomprensibile prima di riuscire ad articolare un discorso di senso compiuto «Non era il mio tipo.» Incassò le spalle, ostentando naturalezza, ma, pur non sapendolo, era svantaggiata già in partenza.
«Ah si? E come mai Matthew racconta un'altra versione dei fatti? Tipo che tu gli abbia detto che c'è qualcun altro!» Sbottò Ally, sbuffando dal naso.
Camila aprì bocca per ribattere, ma venne anticipata da Dinah che sbucò improvvisamente alle spalle della bionda, affiancandola «Camila ha fatto cosa?» Chiese con disinvoltura, come se la vita privata della cubana fosse argomento di quotidiano pettegolezzo.
«Ha liquidato il mio amico dicendogli che c'è qualcun altro nella sua vita.» La ragguagliò Ally, incurante della presenza di Camila che rivolse uno sguardo eloquente ad entrambe, attonita dalla spregiudicata facilità con cui disquisivano della sua situazione sentimentale.
«Hai detto così?» Schiuse le labbra Dinah, spostando lo sguardo sulla cubana che si trovò in estrema difficoltà, impossibilitata a delucidare in merito.
«No, io non ho detto che c'è qualcun altro.» Rettificò Camila, alzando il dito indice con solennità.
Aprì la bocca per proseguire il discorso e chiarire la sua posizione, ma venne nuovamente interrotta.
«Qualcun altro dove?» Camila virò di scatto lo sguardo, incappando negli smeraldi inconfondibili di Lauren che si era unita al consorzio indisturbata.
La cubana sbarrò gli occhi, prese a farfugliare nel vano tentativo di troncare il discorso, ma le sue amiche non parevano conciliare.
«Camila l'ha detto.» Affermò Dinah, facendo un cenno con la testa nella direzione della cubana.
«Chi è questa?» Domandò corrucciata Ally, additando la corvina.
«Camila ha detto cosa?» Incalzò incuriosita Lauren che, probabilmente, ingenuamente pensava che la cubana avesse rivelato il loro segreto.
«Che c'è qualcun altro.» Replicò Ally con nonchalance, e tutti gli occhi si immobilizzarono sulla cubana, in attesa di una risposta.
«Allora.. Io, io non ho detto niente. Non ho detto niente!» Sbottò Camila, facendo spola fra le tre, tentando di dissuadere le loro occhiate cupe e investigatrici con la sua frettolosa convinzione.
«Matthew dice di sì.» Scrollò le spalle Ally, ricevendo un assenso da parte di Dinah.
«Ah, Matthew.» Pronunciò Lauren con tono provocatorio, velato di un'aggressività sussurrata.
«Basta!» Inveì Camila, assediata da mille contorti pensieri che la ottenebravano «Adesso tornate tutte a lavoro sennò... sennò vi licenzio!» Proclamò arbitraria la cubana, minacciando le tre con l'indice, come se stesse ammonendo dei bambini.
«Tu no!» Alzò leggermente il volume, artigliando Ally per la manica del giubbotto e trascinandola con se nel suo ufficio.
«Anche io voglio sapere!» Urlò Dinah dal fondo del corridoio, lagnandosi infantilmente.
Per tutta risposta Camila chiuse con un tonfo sordo la porta, e la polinesiana sbuffò risentita.
Lauren schiacciò un pulsante sulla macchinetta, che erogò il bicchierino e lo riempì con la miscela aromatica. Quando trillò il beep, si appropriò della sua rigenerante bevanda e voltandosi verso Dinah, le chiese «Ma chi è quella bionda?» Inarcando un sopracciglio.
Dinah sospirò «Fanne due.»
*****
Camila incontrò un cliente accusato di evasione fiscale. Lui giurava di non saperne niente, che avevano orchestrato tutto i suoi capi, mistificando astutamente le prove a suo carico.
Camila non sapeva se credergli o meno. A volte i gesti nervosi tradivano le parole, ma lo sguardo non aveva mai esistito. Dall'esperienza di Camila, non sembrava che il suo stolto interlocutore stesse mentendo, ma non voleva dare giudizi precipitosi così sondava il terreno con domande a trabocchetto, per studiare le reazioni istantanee dell'uomo.
Dopo una seduta di tre estenuanti ore, Camila convenne con la sua primitiva intuizione. Lo valutò non colpevole e gli assicurò che si sarebbe incaricata della pratica. L'uomo la ringraziò doviziosamente, sottolinenando la sua riconoscenza con una stretta esuberante della mano e un sorriso caricato.
Camila prorogò la permanenza in ufficio oltre l'orario figurato, perché il colloquio con il cliente le aveva rubato più tempo del previsto e ora una pila di scartoffie burocratiche zavorrava la scrivania. Ne compilò la metà, mentre le restanti le avrebbe rimandate al giorno successivo.
Imbracciò la borsetta e si incamminò verso l'uscita, spegnendo la luce. Nonostante la lampada si fosse assopita, un chiarore persisteva nella stanza, proiettando la sagoma di Camila allungata contro la parete.
Aveva dimenticato di spegnere la lampada da lavoro, quella che presidiava la scrivania. Tornò indietro sbuffando, schiacciò l'interruttore e l'ufficio sprofondò nell'abbacinante buio. Doveva essere davvero tardi, dato che nemmeno le luci in corridoio erano accese.
Quando si voltò, trasalì e sobbalzò all'indietro, presa alla sprovvista da una figura stagliata alle spalle dell'incombente buio. Tirò un sospiro di sollievo quando distinse la massa voluminosa di boccoli che incorniciava dei lineamenti morbidi appena visibili.
«Sei completamente pazza.» Sussurrò trafelata per lo spavento subito.
Lauren sghignazzò, avanzando nella stanza, tagliando l'oscurità con il rumore ovattato dei passi. Camila tentò di effigiare i contorni sbiaditi delle sue spalle, ma il buio era impenetrabile e intralciava la vista.
Due mani le si posarono sui fianchi, facendola prima sussultare e dopo, quando le dita vellicarono le sue armoniose curve, rabbrividire.
«È un bel nome.. Matthew.» Sibilò sardonica, solleticando l'orecchio della cubana con il respiro caldo.
«Ch-che c'entra?» Deglutì faticosamente Camila, schiacciandosi contro la scrivania per sfuggire alla morsa di Lauren, ma ottenendo l'inverso.
La corvina la ingabbiò contro di essa, poggiando con un sordo schioppo i palmi sulla scrivania, il seno contro il suo e le labbra brancolanti sul suo collo.
Una parte di Camila insorgeva bellicamente, impedendole perentoria di abbandonarsi al corpo maliardo dell'altra, ma sottrarsi volontariamente all'emanazione suadente e indomita che Lauren proliferava in lei, era a dir poco impossibile. Sensazioni palpabili e travolta pure ingiustificate, ma reali, vive e nuove. Irrinunciabili.
«Non mi piace.» Scrollò le spalle la corvina, sfiorando interamente il collo di Camila con le labbra. Su e giù, su e giù...
«No-non deve.. non deve piacere a te.» Inspirò profondamente, stringendo con più mole i bordi della scrivania quantomeno per tentare di arginare i brividi che deragliavano lungo la schiena, le braccia, le ossa...
«A quanto pare, però, non mi piace nemmeno a te.» Constatò baldanzosa Lauren, con la consueta aria boriosa che normalmente avrebbe inviperito Camila, ma in quel contesto.. beh, la eccitava soltanto.
«No-non lo sai, ok? Non lo sai!» Venne sopraffatta da una paura ingovernabile, che le strinse il petto in una morsa asfissiante.
Ebbe l'istinto di allontanare Lauren, spintonandola dalle spalle. La corvina barcollò all'indietro, colta impreparata. Nell'oscurità non fu possibile discernere nitidamente i movimenti, ma Camila fu sicura di veder mulinare le braccia per recuperare equilibrio e poi, quello sguardo ondivago fra il famelico e l'intimidatorio iroso. Non lo poteva guardare, ma lo percepiva addosso, in tutta la sua paralizzante consistenza.
Lauren tornò ad avventarsi su di lei, indefessa. Non le piaceva essere respinta, ma sopratutto detestava l'insubordinazione di Camila. La cubana sindacava tutto il giorno in ufficio e lei, per attenersi alle ferree regole, non dava mai sfogo all'innata impudenza che in ogni situazione tracimava incontrollata, no. E allora, per pareggiare i conti, per lenire le ferite del suo smisurato ego, le piaceva udire la voce tremula di Camila pronunciare il suo nome, il nominare disperato mentre la stuzzicava senza accontentarla fino in fondo ed, infine, il sussurro liberatorio che danzava sulle sue labbra mentre il corpo si contorceva dai brividi.
Ecco perché la spinse nuovamente contro la scrivania, ma stavolta si premurò di tastare la superficie ed arrivare alla peretta che accendeva la lampada da lavoro.
Una fioca luce si diffuse nell'ambiente, talmente inaspettatamente che fu come alzare lo sguardo al cielo ed essere inondati dal sole. Camila impiegò qualche secondo per assuefarsi alla rinnovata condizione, ma appena i contorni degli oggetti tornarono a compattarsi, Lauren le afferrò il mento e la voltò verso di se.
«Perché fai sempre la scortese? Non ti hanno insegnato le buone maniere?» Digrignò i denti, ma la presa attorno alla sua mascella non si rafforzò, rimase stabile ma inoffensiva.
«Da che pulpito vien la predica!» Sorrise beffarda Camila, scuotendo lievemente la testa, quasi incredula davanti alle accuse ipocrite della corvina.
Lauren attutì il colpo con una smorfia, stringendo poi la mandibola. Non si capacitava di come la donna davanti a se la sfidasse ogni fottuta volta, forse senza nemmeno accorgersene, ma questo era molto peggio di una ripicca volontaria! Se la sua ribellione era irriflessiva e spontanea, significava che non la temeva, non la rispettava, non si faceva soggiogare dai suoi modi rudi, anzi! Si sarebbe potuto dire che le piacevano o, almeno, la sobillavano a protrarre la sua protesta.
Ma tu guarda questa. Pensò esterrefatta Lauren, escogitando subito dopo un altro piano per ribaltare la situazione.
Un ghigno si affacciò all'angolo della sua bocca. Ormai aveva capito come tenerla in pugno, e se a Camila non erano sufficienti le maniere docili, allora bisognava passare all'artiglieria pesante.
Con l'altra mano, quella libera, sfiorò i suoi fianchi fino all'orlo della gonna. Sosteneva la sua mascella di modo che gli sguardi non si smarrissero nemmeno un secondo. La leggeva, adesso, la muta supplica e no, non per pregarla di smettere, ma per implorarla di continuare... E di non fermarsi.
Lauren sganciò agilmente l'unico bottone della sottana di Camila e fece scivolare la mano al di sotto, strappandole subito uno stridulo gemito, che la cubana aveva tentato di contenere strenuamente, ma senza riuscirci.
Con le dita lambì il morbido tessuto, avvertendo i fianchi di Camila scattare subito verso di lei, anche se ancora non aveva fatto niente, assolutamente niente se non carezzarle il monte di venere.
«Ti sei comportata male, Camila.» Esordì con tono rammaricato Lauren, mordendole il lobo dell'orecchio «Ti torturerò un po' e stavolta, forse, ti concederò ciò per cui agogni tanto.» Sogghignò enfatica.
I muscoli della cubana di irrigidirono, chiaro segno di un ulteriore e ammirevole resistenza. Malgrado il suo corpo fosse in balia del tocco trasgressivo di Lauren, la sua mente aveva ancora le forze per opporsi. La corvina, doveva ammetterlo, ne era sorpresa.
«Non ti conviene giocare con me, Jauregui.» Minacciò incoscientemente Camila, fomentando la sicumera di Lauren che ora era più che decisa a...
«E perché?» Si stupì lei stessa di chiedere, ascoltando l'insicurezza della sua voce come se appartenesse a qualcun altro.
Camila raggiunse abilmente la lampada, schiacciò la peretta e l'ufficio ricadde nel buio.
Accostò le labbra all'orecchio di Lauren e con un sussurro rauco, provocante, comunicò «Perché so farlo anche io.»
L'afferrò provvidenzialmente per le spalle, spingendola all'indietro. Lauren non comprese i suoi propositi, finché non inciampò nella sponda del divanetto che la cubana aveva corredato al suo ufficio minimalista. Cadde sul sofà, trovandosi la cubana subito a cavalcioni su di lei.
Camila incastonò le guance dell'altra fra le sue mani, avvicinando le labbra alle sue «Ti lascerò comandare, perché so quanto tu ne abbia bisogno.» Fu una rassicurazione, ma travestita anche da premessa.
Depositò un bacio sulle sue labbra, percependo il collo di Lauren allungarsi quando lei si discostò «Ma prima... Lascia che ti spieghi alcune cose.» Terminò austera.
E stavolta fu Lauren, anche se circa a causa del pesto buio, a percepire il sorriso sardonico della cubana.
Continua...
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