Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo due


«Quando è successo?» Chiese Normani, fischiando fra i denti per non farsi udire dai clienti che stava servendo deferente.

«Non voglio parlarne.» Fu la risposta secca di Lauren, che tarpò le ali al discorso prima che potesse spiccare il volo.

Alzò un ginocchio per appoggiarsi momentaneamente lo scatolone che conteneva i prodotti da giardinaggio fra cui bustine di semi floreali, palette di plastica per scavare il terreno, e fertilizzanti. Afferrò le forbici che aveva precedentemente posizionato sopra la scatola marrone, sfruttò la lama per recidere lo scotch che sigillava la scatola e iniziò a impilare gli oggetti, suddividendoli per ogni categoria in modo da poterli riordinare più facilmente sulle scaffalature.

«Ma quindi.. È successo davvero?» Postulò pertinace Normani, che non era intenzionata a demordere.

Ciò che aveva appreso su Lauren l'aveva a dir poco sconvolta. Conosceva l'atteggiamento burbero che contraddistingueva la ragazza, sapeva dei suoi modi discutibili con cui trattava le persone, il modo riprovevole che usava per approfittarsi della gente senza scrupoli o riserve, ma non credeva che potesse arrivare a tanto. Picchiare una donna, fino allo svenimento, lasciarla insanguinata sul ciglio della strada con il bambino di tre anni a squarciare il silenzio notturno con il suo pianto lacerante... Cristo, quella era roba surreale! Almeno aveva avuto un buon motivo, oppure era stato solo un attimo di incoscienza scaturita da una serie di insuccessi che gravavano sulle sue spalle?

«Vado a rimettere le cose nel retrobottega.» Disse Lauren, evadendo dalla conversazione che era appena iniziata e già l'asfissiava.

Normani diede il resto al signore tarchiato che stava servendo, il solito che visitava ogni mattina il negozio per acquistare semi che germogliassero nel giardino dietro casa. Inizialmente Normani aveva pensato che fosse un fanatico dal pollice verde, ma poi, almeno così sostenevano le voci in circolazione, era venuta a conoscenza del suo disturbo compulsivo ossessivo sorto dopo il decesso della moglie.

Appena ebbe battuto il conto in cassa, chiamò Tris, una collega, e le chiese di sostituirla mentre lei si prendeva la libertà di seguire Lauren, anche se le intenzioni della corvina davano a intendere che voleva restare da sola.

Aprì la porta scardinata che dava sul magazzino dove erano stoccati i pezzi supplementari che tenevano di scorta per una necessità qualsiasi. Lauren si stava occupando di smistare le bustine degli ortaggi da quelle dei fiori, imprecando sommessamente perché le scritte indicative erano talmente piccole da danneggiare la vista.

«L'hai fatto oppure no?» Chiese con sussiego Normani, ottenendo solo un'occhiata furtiva da parte di Lauren che non si scomodò a guardarla negli occhi dopo averla riconosciuta, ma bensì continuò il suo lavoro metodicamente.

«Mani, non è giornata. Togliti dal cazzo, davvero.» Sbatacchiò la bustina delle carote nello scaffale apposito e marciò verso l'altra parte del negozio per depositare la confezione di gerani.

«Questo atteggiamento supponente può intimidire o eccitare, a seconda dei casi, solo le povere sciocche che ancora ti cascano ai piedi...» Si spostò al fianco della corvina, la rimirò con sguardo algido, incorniciato sotto un cipiglio ragguardevole «Ma non me.»

Lauren rimase immota per qualche istante a guardarla, esaminò i dettagli del suo volto contratto in un'espressione altezzosa e per un istante fu tentata di confessare, ma poi scosse la testa, la spostò sgarbatamente con una spallata debole e la oltrepassò, tornando ad immergersi nelle sue mansioni.

Normani schiuse le labbra sconcertata, ma neanche fin troppo. Se c'era una cosa che aveva imparato di Lauren era che delle questioni personali non ne parlava mai se messa sotto torchio, ma era lei stessa che decideva il momento opportuno per disquisire dei misteriosi segreti cuciti sotto quella freddezza circospetta.

«Fai come ti pare.» Si rassegnò Normani, alzando le braccia in segno di resa.

Uscì a grandi falcate dal magazzino, rimbrottando qualcosa sottovoce che Lauren non carpì perché il crepitio delle bustine sopraffece le recriminazioni dell'amica.

Rimasta da sola, inspirò profondamente e invece di proseguire il lavoro si sedette sul pavimento sporcato di un fine strato di terriccio. Reclinò una sola gamba e poggiò il gomito contro il ginocchio, infine affondò la testa nel palmo madido di sudore e passò le dita listate di terra ripetutamente nella chioma corvina.

Si, era vero, due anni fa aveva aggredito una donna...

Era ubriaca, tanto ubriaca. Era infelice, tanto infelice. Aveva perso tutto, da un anno o poco più la sua vita si era capovolta, le sorti del destino sovvertite. Aveva lambito un sogno e al momento di afferrarle le era stato portato via da una russa con i capelli biondi, il naso aquilino e gli occhi minuti. Quella sera, dopo aver passato la notte da Sean, stava rincasando. Erano appena le sei del mattino quando lei ciondolava per le strade, soffuse da una luce fatua che emanava l'incipiente sole. Un bambino, un innocente bambino, le era andato addosso e l'aveva fatta cadere a terra, rovinandole i jeans nuovi.

Lauren si era infuriata, e dopo essersi rialzata a fatica, aveva inveito contro di lui con voce roboante, l'aveva accusato di non conoscere la decenza e di essere un gran maleducato. Quando la madre, in lontananza, si avvide che la situazione stava precipitando rapidamente, accelerò il passo e invece di scostare il ragazzo con fare protettivo gli tirò uno schiaffo talmente forte che il bambino cadde riverso a terra, e scoppiò a piangere.

Si scusò con Lauren, le disse che era stato un incidente e non si riferiva alla macchia sui pantaloni, ma alla nascita del suo stesso figlio. Il bambino tentò di alzarsi, di attaccarsi disperatamente alla gonna della madre, ma lei lo respinse malamente e lo fece ricadere a terra, incurante. Lauren tentò di trattenersi, ci provò con tutte le forze di cui disponeva...Ma non fu abbastanza. Non fu abbastanza per placare la rabbia incandescente della corvina che le squassò il petto, le tremò nel pugno già alzato verso l'alto.

Lauren strizzò gli occhi, sperò di scacciare i fotogrammi che le si proiettavano davanti agli occhi, ma ci riuscì a stento. Non c'era giorno che non si sentisse in colpa, che non si chiedesse come stesse la donna, che cosa le era successo dopo che l'aveva abbandonata sul ciglio della strada in fin di vita.

Non aveva mai avuto la forza di affrontare il suo passato, ma adesso non c'era via di scampo, perché era stato direttamente esso a stanarla e ad assediarla.

Aveva una gran voglia di piangere, ma nella sua mente risuonarono nitide le parole di Tommy "Piangi solo quando vinci, non quando perdi." Tirò su col naso e soppresse quell'istinto umano che le aveva velato gli occhi. Con i pollici sozzi si asciugò una lacrima che le era sfuggita. Percepì il tatto rasposo contro la pelle morbida, mentre elideva le tracce del pianto vacillante sulle lunghe ciglia.

Tornò a lavorare, e non pensò per tutto il giorno a quel terribile avvenimento, ma ogni attimo ne avvertì la solida presenza insinuarsi nel costato.

Alla sera, attorno alle nove, la saracinesca venne serrata e tutti i dipendenti si dileguarono abbastanza frettolosamente, sollevati di non dover perdere più tempo dietro clienti insopportabili e consigli ambigui sul giardinaggio.

Normani inserì l'allarme, Lauren l'aspettò ed ingannò il tempo con una sigaretta. Dato che i suoi clipper non facevano altro che sparire, aveva abolito l'idea di comprarne uno nuovo e si era assunta il diritto di recuperarne uno dal cassetto di Maxuel, un collega.

«Niente bar stasera?» Chiese Normani sardonica, adoperando un sorriso per mascherare l'ostilità che nutriva nei confronti dello stile di vita infimo di Lauren.

«No.» Dissentì la corvina, spirando una nuvoletta di fumo che si diradò subitamente a causa della folata di vento che ululò per la strada desolata «Tu hai delle domande, io delle risposte. Andiamo.» Le fece un cenno con la testa per spronarla a seguirla, e Normani non se lo fece certo ripetere.

Si sedettero sul letto della corvina, all'interno della roulotte, perché era una serata troppo gelida per restare a conversare nel parco, dove erano solite andare quando dovevano confidarsi. Si riscaldarono le mani con la vecchia stufa che Lauren utilizzava per accaldare l'ambiente nelle stagioni più sfavorevoli.

Le raccontò tutto, senza tralasciare un dettaglio. Normani rimase impassibile per tutto il tempo, interiorizzando le emozioni altalenanti che altrimenti si sarebbero dipinte sul suo volto e avrebbero sicuramente dissuaso Lauren dal progredire nel suo racconto.

La corvina era penitente, anche se non lo ammise prettamente. Normani glielo lesse nello sguardo avvilito e vacuo, nella gesticolazione febbrile e disorganica. Quando ebbe finito di parlare, avrebbe tanto voluto abbracciarla, ma sapeva che Lauren non era una fan del contatto fisico, che la mettevano a disagio e la irrigidiva ancora di più; così si limitò a sospirare e annuire.

«Che hai intenzione di fare?» Domandò dopo qualche attimo di silenzio in cui rimase impigliata nel viluppo dei suoi stessi pensieri.

«Andare in galera, a quanto pare.» Risolse sbrigativamente la questione Lauren, stampandosi un'espressione eloquente in volto che ferì molto Normani. Aveva sbagliato, questo era irreprensibile, ma non voleva che Lauren finisse in carcere.

«Possiamo cercare un avvocato, uno bravo e magari...» Propose Normani, ma la risatina sarcastica di Lauren la interruppe prima che potesse esprimere interamente il suo pensiero.

«Con quali soldi?» Alzò un sopracciglio, facendole notare che aveva trascurato un particolare insigne «Pensi che gli avvocati lavorino senza compenso? Ma dai, Normani, non farmi ridere.» Si alzò dal materasso, sotto le proteste metalliche delle molle che gracidarono.

Si versò una tazza di caffè, riscaldato dall'apposito termos e lo ingollò tutto d'un sorso. Era stanca, sentiva la fiacchezza indebolirle le gambe, ma prevedeva che la conversazione non sarebbe stata tanto breve da permetterle di dormire di li a poco, così si rafforzò con della caffeina.

«Allora... Scappa.» Semplificò Normani, allungandosi in dettagli prolissi che riguardavano William e la sua attività illegale di falsificazione di passaporti.

«Scappare attesterebbe un atto di colpevolezza. E poi, vero è che adesso non valgo un cazzo, ma la mia faccia è abbastanza nota in giro per il Mondo.» Scosse la testa scoraggiata «Un modo per rintracciarmi lo troverebbero comunque.»

Normani si torturò il labbro inferiore, mentre con aria meditabonda ponderava una soluzione che risolvesse il problema, ma per quante ipotesi potesse formulare nemmeno una risultava essere efficace o quantomeno attuabile.

«Che cosa facciamo adesso?» Chiese alfine Normani, scorata dai tentativi indarni di decifrare un enigma irrisolvibile.

«Facciamo? Tu niente. Io vado in prigione. Semplice.»

*****

Dopo una settimana tutti gli Stati Uniti vennero a conoscenza della situazione critica che si stava dipanando. Georgie, il marito di Marianne, rilasciò un'intervista ad una testata giornalistica importante e presto la notizia si diffuse per tutto il continente.

Lauren ricevette minacce di morte scritte, insulti irripetibili che esternavano tutta la loro indignazione, e l'augurio di trascorrere tutta la sua misera vita in carcere. Ne arrivarono a bizzeffe, tanto che Normani dovette premurarsi di strapparle prima che le vedesse suo zio, il quale già scontento della situazione aspettava la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso per licenziare Lauren, ancora arruolata nel suo esercito di ligi dipendenti solo per la benevolenza di Normani che l'aveva supplicato di non rescinderle il contratto.

Anche i compaesani la deridevano, la indicavano, ma furtivamente perché intimiditi dall'immagine che disegnavano i giornalisti o decantavano i radiocronisti. Camminava per le strade come un fantasma, uno spettro però dal quale difendersi e circolare almeno a tre metri di distanza. Ricordava che la mattina precedente, un'anziana gibbosa le aveva puntato il bastone contro per intimorirla di starle alla larga, non avendo più la prontezza di una volta per cambiare marciapiede come facevano tutti gli altri.

Un'appestata. Peggio. Una criminale.

Adesso non si faceva vedere più nemmeno nel bar di Sean, perché sapeva che la sua presenza avrebbe creato rogne all'attempato proprietario. Lucy le portava una bottiglia di vodka, rum, whiskey o scotch alla roulotte, e lei la scolava tutta nel giro di due ore. A volte permetteva alla ragazza di restare per una "sveltina" e poi la rispediva a casa, anche alle quattro di mattina, perché di dormire con lei non ne aveva alcuna intenzione.

Quella sera, proprio mentre stava tracannando l'ultimo goccio di alcol, godendo del bruciore che le pizzicava lo stomaco, e pregustava l'attimo seguente che avrebbe consumato l'ultimo briciolo di lucidità con Lucy già con le vesti discinte, qualcuno bussò alla porta.

«Maledizione.» Imprecò, sbattendo il pugno sul tavolo già precario di suo.

Barcollò fino alla porta, fece scattare la serratura e appena dall'altra parte il visitatore percepì il lasciapassare, aprì con foga la porta, sbandando Lauren contro il frigorifero alle sue spalle.

«Ma porca puttana!» Inveì la corvina, massaggiandosi il punto della schiena dove era andata a sbattere.

«Lauren!» Esultò Normani, con un sorriso giulivo in faccia che confuse altamente la corvina e indispettì Lucy, per niente contenta che qualcuno avesse interrotto il loro raro idillio «Cazzo, Lauren! Non ci credo, cazzo!» L'afferrò per il colletto della camicia e la scosse leggermente, in preda ad un'euforia indecifrabile.

«Leggi, leggi!» La istigò fermamente, piazzando un foglio davanti ai suoi occhi.

Lauren lo afferrò con noncuranza, gli diede una rapida scorsa e poi... Sbarrò gli occhi.

«È una cazzata. Rispediscila.» Dichiarò la corvina, osservando il pezzo di carta con una diffidenza ineffabile, ma anche uno sprazzo di speranza intriso nelle iridi verdi.

«Non è una cazzata.» Normani la respinse contro il frigorifero con agilità, approfittando del momento ebbro di Lauren che la svestiva di qualsiasi difesa tecnica «Questa è la tua salvezza.» Puntualizzò risoluta, sperando che la sua convinzione iniettasse un po' di fiducia nella riluttanza radicata dell'altra.

«Quindi tu pensi che questo... Alejandro, ma che razza di nome è? Fa niente... Pensi che questo Alejandro mi faccia da avvocato senza aspettarsi un contributo in cambio?» Reclinò la testa scettica, innalzando un angolo della bocca per accentuare la chimerica speranza di Normani.

«Questo sarà uno scherzo di pessimo gusto, sicuramente. Te lo dico io.» Asserì Lauren, spostando Normani stanca di essere ingabbiata contro il frigorifero.

«Può essere, ma se non ci andrai non lo scoprirai mai.» Addusse l'amica, parlando alla schiena di Lauren che si era diretta verso il letto dove era distesa Lucy e attendeva spazientita che Normani se ne andasse.

«Non voglio farmi prendere per il culo da questa gente del cazzo.» Disse sprezzante Lauren, volgendosi verso l'amica dalla speranza incorruttibile.

«Lauren, ti prego.» La implorò sfacciatamente Normani «Io e te non abbiamo niente, se non l'una l'appoggio dell'altra. Non posso pensare di perderti.» Deglutì, reprimendo le acide lacrime che le punzecchiavano gli occhi «Va solo a vedere, se ti accorgerai che è stato uno scherzo di pessima fattura allora non cercherò di fare più niente, ma devi giurarmi che domani mattina ti presenterai all'appuntamento. Ti prego.»

Lauren sospirò. Le parole di Normani la trafissero. Era vero, loro erano cresciute assieme senza una parvenza di famiglia (fatta eccezione per Vincent che si era preso cura di entrambe come aveva potuto). Normani era come una sorella per lei, l'unica persona che valesse la pena di ascoltare, l'unica persona per la quale avrebbe rinunciato al suo orgoglio.

«Se proprio ci tieni.» Sbuffò infine, accettando la proposta proditoria di Normani.

Non sapeva che la sua vita stava per cambiare, di nuovo.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro