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- 75 giorni alla fine del mondo - 1° parte


Alla fine del terzo giorno, Error riuscì infine ad andare in mensa. Sapeva di non poter stare troppo tempo senza mangiare: non avrebbe avuto energie neppure per lo studio.

Purtroppo, calcolò male i tempi. Quando arrivò, la mensa era chiusa. Poteva intravedere un po' di gente affaccendarsi dietro le pareti traslucide, probabilmente gli inservienti di pulizia, ma, quando bussò per ottenere la loro attenzione e la loro pietà, non gli diedero né l'una né l'altra. Li sentì chiacchierare fra loro e parlare dell'incolore affamato oltre la porta in toni che Error trovò alquanto umilianti. Mentre si allontanava, portando per i corridoi il peso del proprio stomaco vuoto e brontolante, pensò che, se avesse avuto la divisa rossa, a quest'ora avrebbe già avuto un bel po' di cibo d'avanzo in corpo.

Avrebbe voluto prendere a calci sé stesso, ma, poiché la fisica non lo permetteva, ne diede uno contro il muro. Si diede dello stupido, per essere arrivato in ritardo, e si disse che ben gli stava, se ora incominciava a sentirsi debole. Ma non era solo la debolezza del corpo, a preoccuparlo: anche la concentrazione ne avrebbe risentito.

Tornò nella propria stanza, imprecando a ogni passo.

Fece per sdraiarsi sul letto per riprendere a studiare, perché di star seduto alla scrivania col mal di schiena non ne aveva proprio voglia, quando si rese conto appena in tempo che, se l'avesse fatto, si sarebbe sdraiato su un vassoio pieno di cibo.

Rimase così impietrito dalla sorpresa, nel vedere quel vassoio brillare alla luce dell'astro notturno di Yhesomai, che per un momento sentì salirgli una crisi di pianto, mentre lo stomaco urlava di gioia, alla vista di quel ben di dio.

Appoggiò lo schermo sul cuscino, e prese il vassoio tra le mani quasi fosse stato il Sacro Graal. Sul bicchiere, era attaccato un foglietto: "Stupido corvo, se non vai a mensa domani, scordati che io ti faccia da cameriera, e muori di fame!".

Error per poco non riuscì a mangiare, da quanto quel gesto l'aveva commosso. Non riusciva a credere che la sua coinquilina avesse messo da parte il proprio odio fino a tal punto.

Mormorò: «Grazie».

Per tutta risposta, sentì che, al di là del mobile divisorio, Yara si girava dall'altra parte sbuffando e borbottando: «Così, il tuo stomaco mi lascerà dormire, almeno stanotte».

Se sperava che con quel gesto gentile lei avesse voluto abbattere una barriera, si sbagliava di grosso.

Quando, finita la cena, Error si diresse appagato verso la scrivania e accese il computer, con l'intenzione di spendere le rinnovate risorse in qualche fruttuosa ora di studio, Yara prese a sbuffare e a rigirarsi rumorosamente nel letto, proprio come la notte precedente.

Error, questa volta, tenne a freno la rabbia: non aveva dimenticato che il proprio stomaco era pieno grazie a un insperato atto di generosità. Quindi, mise in moto il cervello: ci doveva essere una qualche motivazione, se Yara non voleva che lui studiasse. E, se c'era una motivazione, c'era anche una soluzione.

Poiché era molto meno stanco e molto più lucido della sera precedente, arrivò ben presto alla conclusione che le potesse dar fastidio la luce dello schermo, la quale, in effetti, era piuttosto forte e il rumore della tastiera. Error lo spense e si mise in attesa di altri sbuffi. Ma non vennero: la sua ipotesi era stata verificata. A Yara dava fastidio la luce e non riusciva a dormire se lui studiava in camera. Error si alzò e, portandosi dietro tutto l'occorrente, andò a studiare nel bagno.


***


Per un'intera settimana, si mise a studiare come un forsennato e fece in modo di diventare invisibile a tutti.

Seguì ognuna delle regole di Yara alla lettera: non osava dirle una parola. Non le rispondeva neppure, quando lei trovava un motivo o un altro per insultarlo.

Yara gli si rivolgeva sempre in modo scorbutico e cattivo, approfittando del suo silenzio, e lui non reagiva mai.

Come promesso, Error non toccava mai le sue cose. Neppure quando vedeva che, imbranata com'era, aveva dimenticato la cartella in classe o la caffettiera sul fuoco, o aveva buttato a terra il pigiama senza volere. Yara era un vero disastro, ed Error doveva mettere a tacere ogni impulso di rimediare ai suoi casini.

Ma, sebbene non si scambiassero mai parole, eccettuati gli insulti unilaterali che lei coglieva ogni occasione di lanciargli, fra i due coinquilini si era creata una forma di linguaggio dei gesti e dei versi che, per il momento, sembrava funzionare bene per entrambi, anche se la ragazza era l'unica a beneficiarne. Infatti, più che una forma di dialogo, era un monologo fatto di taciti imperativi, che Yara impartiva e che Error eseguiva.

Quest'ultimo aveva imparato a decifrarli alla perfezione: un grugnito significava che doveva smettere immediatamente qualsiasi cosa stesse facendo: sia che stesse pulendo la stanza, sia che stesse aprendo la finestra, o si stesse dirigendo al bagno, o qualsiasi altra cosa. Se Yara grugniva, ciò voleva dire che una tal cosa la infastidiva e doveva essere interrotta all'istante. Se sbuffava, invece, era perché desiderava che lui facesse qualcosa.

Ma ben presto, i gesti e i suoni si fecero più onomatopeici e specifici, fino al punto che, a un grugnito, Error sapeva di dover chiudere la porta e, a un altro grugnito, indovinava che Yara aveva sete e richiedeva dell'acqua fresca sul proprio comodino. In questo caso, neppure la regola di non toccare le sue cose vigeva più: era momentaneamente sospesa a suo usufrutto.

Per quanto la cosa suonasse strana persino a lui, Error non si sentiva per nulla umiliato di dover accorrere a ogni grugnito come fosse uno schiavo al servizio della padrona. Si sentiva utile. Era contento di compiacere quei piccoli desideri e soddisfare i bisogni della sua coinquilina, quasi glielo dovesse, per compensare il fastidio che sapeva di provocarle con la propria presenza. Quasi fosse un modo per espiare la propria colpa nei suoi confronti.

E poi, a poco a poco, gli parve di averne bisogno lui stesso. Portarle da bere per calmare la sete, spegnere la luce per invogliarle il sonno, alzare il termosifone per riscaldarla, chiudere la porta per non disturbare i suoi sogni... Non avrebbe saputo cosa fare, se quei piccoli gesti di interazione, per quanto freddi e unilaterali, fossero cessati: d'altronde, era l'unica forma di comunicazione fra loro. Ed era sempre meglio che ignorarsi a vicenda. Anche perché, a momenti, Error aveva l'impressione che Yara avesse stemperato il proprio odio nei suoi confronti e usasse quel modo balordo per instaurare un rapporto con lui, nonostante l'insensatezza di un simile comportamento.

Naturalmente, valeva solo in camera: nel momento in cui la verde metteva piede fuori dalla stanza, diventava la peggiore e più ostinata delle sue detrattrici. Voleva che fosse evidente a tutti il proprio odio per l'incolore e ci teneva a confermarlo in ogni occasione, per evitare possibili allusioni a una loro inaccettabile amicizia.

La cosa non sfuggiva a Error, che, al di fuori della loro stanza, le stava ben alla larga. D'altronde, stava alla larga da qualunque essere pensante incontrasse sul proprio percorso.

A mensa, arrivava sempre in anticipo e se ne andava prima che arrivassero gli altri. Faceva in modo che ogni pasto gli rubasse solo pochi minuti, prima di mettersi di nuovo a studiare.

Quando la lezione finiva, aspettava in classe che tutti se ne fossero andati e che i corridoi fossero stati evacuati, prima di uscire.

Passava il resto della giornata ovunque non trovasse anima viva, a studiare. Appena arrivato in camera, riprendeva gli studi fino a notte inoltrata.

Nessuno sembrava fare il minimo caso a lui, e lui non faceva il minimo caso a nessuno.

Eccetto una mezza dozzina di ragazzi, suoi compagni di corso, che lo fissavano sempre con astio, facendo gesti di minaccia quando lo incontravano per strada.

Erano amici del compagno di stanza di Leon, Xander Vaast.

Error li evitava, nel tentativo di non dar loro modo di alimentare il proprio odio nei suoi confronti.

Tuttavia, c'era una persona che gli rivolgeva la parola in modo cortese e amichevole: Leon.

Anche se si incontravano molto poco, quel ragazzo era sempre gentile nei suoi confronti. 

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