Capitolo 63
Mercoledì 1 marzo
May
I miei passi rimbombavano fra le pareti del corridoio, per poi disperdersi nel silenzio. Nessun altro suono sembrava in grado di spezzare quell'atmosfera pesante e opprimente da almeno una settimana. Questo era il tempo passato dalla battaglia, dal giorno in cui le nostre vite erano cambiate drasticamente per l'ennesima volta. Nulla, ormai, sarebbe stato più come prima.
Ancora oggi non ricordo tutto ciò che era accaduto quel giorno o come esso fosse volto al termine. Ricordo, però, determinati avvenimenti. Ricordo la prima volta in cui vidi Kenneth perdere la testa e avventarsi con rabbia sul corpo di Miles. Avevo stentato a riconoscerlo, in quel momento, il volto contratto dall'ira e bagnato di lacrime. Ricordo anche di aver preso il corpo minuto di Amber fra le braccia e di aver visto i suoi occhi color miele più limpidi che mai. Mi aveva sorriso. Stava soffrendo, ma mi aveva sorriso. La sua solarità le era rimasta addosso anche nella morte. Ricordo di averle scostato una ciocca dorata dagli occhi e ricordo le sue dita, strette debolmente intorno al mio polso per attirare la mia attenzione. «Non piangete per me» mi aveva detto. «Il posto in cui sto andando non può certo essere peggiore di questo, giusto?»
Le avevo risposto affermativamente. Qualunque cosa ci fosse stata dopo la morte, per lei, sarebbe sempre stata migliore del mondo in cui era stata costretta a vivere per sedici anni, contro la sua volontà. Eppure, non ero riuscita a trattenere le lacrime quando i suoi occhi, sempre splendenti, erano diventati due specchi opachi.
Ricordo, poi, di aver voltato il capo. Ad un certo punto devo averlo fatto, perlomeno. Forse a causa delle urla di Juliette, o forse perché il mio istinto mi aveva detto di farlo, questo non lo so. Tuttavia, so di essermi voltata e di aver visto Ewan venire trafitto nello stomaco da una lunga spada affilata. L'avevano colpito davanti ai miei occhi, mentre ancora tenevo fra le mani il volto pallido di Amber. E ricordo di essermi ritrovata d'un tratto con il suo, di viso, fra le mani. Devo aver corso fra la folla per raggiungerlo e qualcuno forse aveva cercato di uccidermi, perché mentre camminavo in quel corridoio avevo ancora un braccio fasciato. Di fatto, mi ero ritrovata in quella situazione senza sapere come. Avevo passato i pollici sui suoi zigomi, appena sotto agli occhi, sentendoli bagnati sotto alla mia pelle. Sarei stata stupita di vederlo piangere per la prima volta dopo anni, se la situazione fosse stata diversa. Se lui non avesse avuto una profonda e sanguinante ferita nel ventre. Se le sue mani non fossero state completamente rosse del suo stesso sangue. Se non si fosse voltato verso di me, tremando per l'emorragia, con gli occhi verdi chiarissimi e le labbra incurvate in un sorriso.
Lui, a differenza di Amber, non mi aveva detto nulla. Non a parole. Avevo capito, tuttavia, che con la carezza sulla guancia che mi aveva donato, un secondo prima di chiudere gli occhi, aveva voluto dirmi addio. E davvero, non so come io abbia potuto sopravvivere a tutto questo.
Ricordo di aver singhiozzato tanto da perdere la voce, mentre baciavo le labbra esangui del ragazzo che amavo e che in quel momento mi stava abbandonando. Ricordo anche, però, il momento in cui la battaglia era finita. Era successo nell'istante successivo, ma quell'istante mi era sembrato durare secoli. Ricordo Rhyme ergersi in piedi sul tavolo del Consiglio, i capelli candidi sporchi di sangue e un taglio lungo una coscia. Ricordo di averlo paragonato alla statua di un eroe antico, di quelle che si vedono nei musei o nelle piazze. E ricordo, infine, le parole con cui aveva fermato lo scontro. «Edmund Jones è morto» aveva affermato con voce decisa, zittendo chiunque nella sala. «Il suo erede, Miles Jones, è fuggito dal Palazzo. Come Podestà in carica, mi assumo le responsabilità e il ruolo di Consigliere in modo temporaneo finché non verrà eletto un nuovo capo del Consiglio. E ora, con i poteri di cui sono momentaneamente investito, dichiaro conclusa questa guerra fino a che io sarò al governo! Deponete le armi all'istante o vi faccio rinchiudere nelle segrete, famiglia illustre o no.»
Nessuno aveva osato contravvenire al suo ordine, sebbene molte facce rivelassero di desiderare il contrario. Io mi ero limitata a incrociare lo sguardo di Rhyme, ancora in piedi sul tavolo. Doveva aver letto nella mia mente cosa fosse successo, perché di colpo era sceso dal suo piedistallo ed era corso verso di me. Verso Ewan.
Da allora era stato tutto un vortice di colori, suoni e gesti meccanici, in cui mi ero immersa inerme, lasciandomi trasportare dalla corrente e dalle voci di chi era rimasto. Non capivo più nulla, sapevo solo di non avere le forze per fare niente. Ci erano voluti giorni perché mi riprendessi dal mio stato di shock. Fino ad allora ero rimasta immobile nel mio letto, a casa Blackwood, continuamente circondata da persone che, nonostante amassi, non avevo la minima voglia di vedere. L'unica che stavo aspettando non si presentò mai, ma solo in seguito fui in grado di comprenderne il motivo.
Avevo visto anche Claire in quei giorni. Si era ripresa dall'influenza di Kyle ed era terribilmente dispiaciuta per ciò che aveva fatto senza volerlo. E terrorizzata, sapevo fosse terrorizzata. Non mi aveva incolpata per averle nascosto la verità, nè per il suo coinvolgimento. Ovviamente, non l'avrebbe mai fatto in un momento simile. Io, d'altro canto, non sarei comunque riuscita ad assimilare le sue accuse, nello stato catatonico in cui mi ero ridotta. L'avevo abbracciata, però, una volta tornata in me. E mi ero scusata, sebbene lei non avesse sollevato l'argomento. Le avevo spiegato tutto per filo e per segno e il magone per ciò che era successo a Ewan era tornato.
Era verso la sua camera che stavo camminando in quel momento. Io stavo bene ora, ma lui si era da poco ripreso da un'operazione e non poteva ancora uscire dal letto. Non l'avevo ancora incontrato da quando mi aveva silenziosamente detto addio. Anche se mi avevano avvisata già da tre giorni del successo dell'intervento, fino ad allora non così certo - motivo per cui mi avevano tenuta all'oscuro di qualsiasi cosa lo riguardasse - mi avevano tuttavia impedito di correre subito da lui. Aveva subito una ferita quasi mortale: la spada aveva evitato il cuore per pochi centimetri e il sanguinamento copioso aveva fatto il resto. Inoltre, la consapevolezza che il responsabile della sua possibile morte fosse il suo stesso genitore, beh, non l'aveva aiutato a riprendersi più in fretta.
Ora, però, non potevo più aspettare. Allora perché non apri quella porta? mi rimproverai, mentre fissavo dubbiosa l'anta di legno. Deglutii e mi portai una ciocca di capelli lontana dal volto. Passai poi lo sguardo sulle fotografie ai lati della porta, indugiando sulla distesa verde dove sapevo trovarsi la vecchia casa di Ewan. Lì aveva vissuto la sua infanzia con l'uomo che l'aveva quasi ucciso e a cui lui stesso credeva di aver tolto la vita. Forse era per questo che non riuscivo ad entrare: sapevo che lui amava ancora suo padre, nonostante tutto, mentre io avrei solo voluto fosse davvero morto tempo prima. Ci avrebbe risparmiato tanta inutile sofferenza. Non potevo, però, farglielo capire. Non ancora, almeno.
Presi un respiro profondo e radunai il coraggio necessario per abbassare la maniglia ed entrare nella stanza.
Il silenzio regnava anche lì, come in tutta la casa. C'era una leggera penombra, interrotta soltanto dai deboli raggi del sole mattutino che filtravano attraverso le tende socchiuse. Entrai piano, cercando di non fare rumore, e richiusi la porta alle mie spalle prima di voltarmi verso il letto. Sulla scrivania era posato un mazzo di rose nere, un regalo di cattivo gusto da parte di Phil, a mio parere. Aveva ritirato la dichiarazione di guerra per il bene dei suoi nipoti, oltre che per il proprio, ma in tal modo aveva anche tradito la loro fiducia. Juliette rifiutava di parlargli da quando eravamo tornati a Owldale e immaginavo che Ewan non si sarebbe comportato in modo diverso. Io, d'altra parte, non avevo mai avuto un buon rapporto con lui, né tantomeno vedevo alcuna ragione per cominciare ad averlo adesso.
Mi sedetti sul bordo del materasso senza dire una parola. Ewan era sdraiato sulla schiena, per non pesare sulla ferita e sui punti che le avevano applicato, ma teneva la testa inclinata verso una spalla. I capelli gli ricadevano in volto, così glieli spostai delicatamente dagli occhi. Lui corrugò la fronte, per poi sbattere le palpebre un paio di volte. Si guardò intorno per qualche secondo prima di mettere a fuoco la mia figura e solo allora accennò un sorriso, portando una mano sopra alla mia, ancora posata sulle bende che gli fasciavano il petto. «Ehi» mormorò, la voce resa roca dal sonno.
«Ciao, idiota» sorrisi anch'io.
Ewan fece una smorfia. «Questo insulto a cosa lo devo, stavolta?»
«Mi hai fatta spaventare. Sei un incosciente.»
«Non ho propriamente deciso di farmi uccidere, sai?» brontolò, cercando di mettersi seduto.
Gli raddrizzai il cuscino dietro alla schiena, andando contro i suoi lamenti sul potercela fare da solo. «Mi hanno raccontato cosa è successo. Gettare le armi e aspettare il colpo di grazia non corrisponde effettivamente a "non decidere di farsi uccidere".»
Abbassò lo sguardo, tormentandosi le mani fra loro. «Non potevo ferirli. Non potevo e basta.»
«Ma loro hanno ferito te. Dentro e fuori, per giunta.»
«Me lo merito per ciò che ho fatto loro. Forse non li ho uccisi, ma per colpa mia Alistair li ha resi suoi schiavi, manipolando la loro mente!» replicò quindi, tornando a guardarmi negli occhi. Erano lucidi. Dal giorno dello scontro le lacrime che aveva trattenuto per anni sembravano voler uscire tutte in pochi giorni, mi avevano riferito. Lui se le asciugò con rabbia, passandoci sopra il dorso di una mano. Io mi limitai a sorridere. Poteva anche finire il mondo, ma Ewan non sarebbe mai cambiato: mostrare le proprie emozioni non faceva per lui.
Gli spostai la mano solo quando ebbe finito di pulirsi le guance e la tenni fra le mie. «Tu non hai alcuna colpa se non quella di amare troppo, Ewan. È l'unico motivo per cui soffri così tanto quando perdi qualcuno.»
Lui fece un mezzo sorriso, spostando gli occhi sul mazzo di fiori sulla scrivania. «E dire che pensavo di non farlo affatto fino a poco tempo fa» commentò. Poi tornò a guardarmi, incurvando del tutto le labbra verso l'alto. «Ma ho incontrato una ragazzina irritante e invadente che mi ha fatto ricredere.»
Sbuffai, sebbene in realtà stessi sorridendo anch'io. «Romantico come sempre.»
«Non sono Kenny, scusami.» Fece una pausa dopo quella frase, ritornando serio. Capii all'istante cosa voleva chiedermi. «Non vedo nessuno da giorni. Tranne i medici, ovviamente. Tu sei la prima che viene a trovarmi. Una settimana fa sarebbe stato Kenneth a correre qui, rimproverandomi di essere uno stupido sciocco.» Sospirò. «Come sta?»
Strinsi le labbra, mentre tiravo i fili della coperta per distrarre le mani. «Male. Non parla con nessuno. È stranissimo vederlo così cupo quando gira per casa, lui che da quando lo conosco è sempre stato così pieno di vita.»
«Lo erano entrambi» sussurrò, passandosi una mano sul volto. «Dannazione, è tutta colpa mia. Non avrei dovuto rifiutare quella proposta di pace.»
«No» ribattei. Ewan sollevò lo sguardo, affranto, verso di me. Sembrava sul punto di spezzarsi. «Hai fatto ciò che era giusto. Sapevamo che qualcuno sarebbe morto. Chiunque di noi rischiava tanto quanto gli altri. Amber... Amber sta meglio ora di quanto stesse da viva. Lei non era fatta per questo mondo. E tu sai che non ci sono modi per uscirne se non morendo, ora come ora. Tu, però, puoi cambiare le cose.»
Rise. «Io? Non so nemmeno come aiutare me stesso.»
«La gente crede in te. Tu hai carisma e forza sufficiente per portare avanti questa battaglia. Non ti sei arreso una settimana fa e so che non lo farai in futuro. Sei un ottimo oratore e sai guadagnarti la fiducia di chiunque. La ribellione non potrebbe avere un esempio migliore.»
Mi guardò serio, per la prima volta da quando avevamo iniziato quel discorso. «Da come mi descrivi tu sembro quasi un buon leader.»
Annuii. «Lo saresti.»
Ewan scosse la testa. «Un buon leader non deve avere punti deboli. Io ne ho fin troppi. Sarebbe così semplice corrompermi che a volte ho paura di me stesso. Non voglio farvi del male» mi rivelò a bassa voce, lasciando andare la mia mano. Si strinse le braccia al petto in un gesto di difesa che mi spezzò il cuore.
Non gli risposi, ma non lo lasciai andare prima di avergli rubato un rapido bacio che lo fece quantomeno sorridere. «Ti lascio riposare, stai cominciando a fare discorsi strani. Delirare non dimostra la tua salute mentale, sai?»
«Il mio cervello sta bene, ho o non ho delle capacità più sviluppate della maggior parte degli esseri umani?» borbottò, facendo finta di essere offeso. «E comunque» aggiunse, «passami quei biglietti di buona guarigione. Prima li leggo, prima ringrazio gente di cui non mi interessa nulla e prima me ne libero.»
Seguii la direzione indicata dal suo dito fino a una pila di lettere, posta vicino alle rose, che inizialmente non avevo notato. Le presi e lui me le tolse di mano prima che potessi leggere i nomi dei mittenti. Misi il broncio, ma divenni seria appena osservai il suo sguardo scurirsi nel leggere qualcosa sopra una delle buste. «Di chi è?»
Ewan si riscosse. «Nessuno di importante» disse, accartocciando subito dopo la lettera. Notai però che non la buttò via, ma la lasciò a terra, accanto al letto. Mi accigliai, ma preferii non fare commenti al riguardo. Sapevo che quando Ewan voleva mantenere un segreto era davvero bravo a farlo.
Sospirai e scossi la testa. «Vado a parlare con Juliette. Ho dovuto litigare con lei per venirti a trovare per prima. Vedi di apprezzare il gesto, perché probabilmente mi metterà del veleno nel cibo alla prima occasione.»
Ewan rise. «Lo apprezzo, davvero. E dille che se oserà ucciderti se la vedrà con me e il mio famoso kung fu.»
«Glielo riferirò» mentii, roteando gli occhi con fare tragico. «Ora dormi.»
«Sogni d'oro, Biancaneve» mi prese in giro, mentre mi affrettavo a chiudere la porta per impedirgli di vedermi sorridere a quel nomignolo. Tornando sui miei passi, tuttavia, non potei evitare di pensare a quando era Kenneth a chiamarmi in quel modo e il sorriso mi scivolò subito dal volto. Era dura essere positivi in quel periodo, specialmente in casa Blackwood.
Mi stavo dirigendo verso la camera di Juliette quando degli altri passi, diversi dai miei, ruppero il denso silenzio del corridoio. Mi voltai di scatto, ritrovandomi a pochi metri dagli occhi azzurrissimi di Rhyme. Mi rivolse un sorriso timido, così contrastante rispetto al tono autoritario che aveva usato nella sala del Consiglio da farlo sembrare un'altra persona. «Ciao, May» mi salutò gentilmente.
Gli sorrisi. «Ciao. Ci sono novità?»
«All'incirca. Volevo parlare con te, ma non si tratta di questioni ufficiali.»
Inarcai un sopracciglio, invitandolo a continuare il suo discorso.
«Vedi, le indagini sulla scomparsa di Miles continuano, ovviamente, e Alistair è tenuto sotto controllo da agenti sotto copertura. Ho anche mandato Seth a proteggere Evelyn. Tua zia» aggiunse, come ricordandosi in un secondo momento della mia parentela con lei. Si grattò la punta del naso, su cui spiccavano alcune lentiggini, in un tic che gli avevo visto ripetere già altre volte. «Tuttavia, non è per questo che sono qui. Non so se te l'abbiano già detto, ma io, beh, ho dei poteri particolari. Così come Ewan può uccidere con il pensiero, o tu puoi vedere il futuro, o come Amber poteva percepire in modo amplificato i cattivi pensieri.»
Scossi la testa, con i ricci che mi rimbalzavano sulle spalle. «Non lo sapevo. Cosa sai fare?»
L'uomo arrossì, sembrando ancora più giovane. «Posso parlare con le anime di coloro che sono morti. Cioè, posso sentire i loro pensieri, così come faccio con chi è in vita, e loro sentono le mie parole così come sentono quelle di chiunque. Bisogna solo trovarle, sai, quello è un po' complicato. Di solito restano vicine al corpo. Succede, però, che alcune di queste vengano da me per riferire dei messaggi ai propri cari.»
Dovevo avere un'espressione buffa, perché ora Rhyme stava sorridendo. Di certo avevo la bocca spalancata. «Quindi... Hai un messaggio per me?»
Rhyme annuì. «Conoscevo i tuoi genitori un tempo. Quando ancora non sapevo di essere un Guardiano e usavo il mio strano potere per guadagnare quei pochi soldi che mi servivano per curare mia sorella e, umh, questa è una lunga storia. Fatto sta che conobbi tua madre quando ero un ragazzino e lei mi aiutò davvero tanto. Senza i tuoi non penso sarei giunto fin qui, forse non sarei nemmeno vivo. Per questo motivo, ho sempre mantenuto i rapporti con loro, anche dopo la loro morte. L'ultima volta che li ho visti è stata qualche giorno fa. E mi hanno lasciato un messaggio per te.» Sorrise, facendo spallucce come se ciò che mi aveva detto non fosse affatto strano.
Io sbattei le palpebre, confusa davanti a quel sorriso gentile. Devo aver annuito però, perché Rhyme riprese a parlare. «Questo lo ricordo bene» fece e indicò il mio ciondolo, infilato per metà sotto lo scollo del maglione verde che indossavo. «Apparteneva a tua nonna e poi a tua madre. Lei mi ha espressamente chiesto di ordinarti di tenerlo sempre. Era una donna decisa, Sheila. Mi faceva quasi paura» ridacchiò. «Ha detto che ti proteggerà e ti guiderà attraverso i tuoi incubi. A quanto pare l'essere Veggenti non è inconsueto fra i Fowles.»
Mi guardai il petto, su cui il ciondolo d'onice scintillava tranquillo. «Lo farò» mormorai. «Tu puoi dirle che... Io... le voglio bene. Non l'ho mai conosciuta, ma le sono grata per quello che ha fatto per me. Se non mi avesse nascosta al Consiglio tutto quello che abbiamo fatto non sarebbe stato possibile.»
Rhyme sorrise ancora. «Lei lo sa già, non preoccuparti. E anche lei ti vuole bene. Così come tuo padre. Dylan ti amava da morire, eri la sua principessa intoccabile. Una volta ha cercato di rompermi un braccio perché volevo accarezzarti. Spaventoso.»
Risi pensando ad una simile scena, ma allo stesso tempo avrei voluto piangere. Perché io non avrei mai avuto dei ricordi con loro protagonisti, se non testimonianze di altri. Ma, in fondo, ero felice di aver trovato qualcuno, oltre a mia zia, che li avesse conosciuti. Fu per questo che gettai le braccia al collo del ragazzo per abbracciarlo e gli sussurrai un debole 'grazie' fra i capelli bianchi.
«Non devi ringraziare me. Sono solo un messaggero» replicò lui dopo un po', lasciandomi andare.
«Non mi riferisco solo a questo. Ti ringraziò per essere stato vicino ai miei genitori per tutto questo tempo. Ti ringrazio per aver salvato Ewan. Ti ringrazio per aver messo una fine a questa guerra. Senza di te saremmo morti. Quindi, grazie Rhyme.»
Lo vidi sorridere fra sé, le mani affondate nelle tasche del giaccone di jeans. Poi si fece serio, mentre si mordeva un labbro. Aveva un'espressione dispiaciuta, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. «Vorrei fosse finita, May, ma non è così. È vero, le ricerche sono ancora in corso, ma se non dovessimo trovare Miles? È un ragazzo intelligente, troppo. E le tue visioni non si sono del tutto avverate, non è vero?»
Arricciai il naso. «Io... non lo so. Non riesco a capirle. E, umh, è da un po' che non ne ho più. Non dovrebbe essere positivo?»
«Dovrebbe. Ma, se dovessero tornare, avvisami subito. Non saremo al sicuro finché non potremo controllare Miles. Soprattuto tu.»
«Ha ancora questa fissa per i miei poteri? Pensavo avessimo chiarito che non possono avermi dalla loro parte.»
Rhyme sospirò. Si spostò verso una delle finestre, scrutando l'esterno con sguardo pensieroso. «Non è solo questo. Lui è stato cresciuto per diventare Consigliere, l'hanno educato per questo e non si lascerà mettere da parte. Per lui è una sfida ormai, capisci? È una sfida contro di te e contro i Blackwood. Forse anche contro di me. E lui, May, non è abituato a perdere.»
Lo osservai di profilo. Ora li vedevo, i segni della preoccupazione sul suo volto, come se fosse rassegnato agli scherzi del destino. Ma io no. Non avevo intenzione di arrendermi proprio ora. «Arriveranno tempi duri» mormorai. Il mio sguardo, però, era fermo come non era mai stato. Osservai la pioggia cominciare a scendere dalle nuvole scure e colpire i vetri della finestra, scorrendo in rivoli sottili. Sorrisi. «Sì, sarà difficile. Tutti noi abbiamo perso qualcuno di importante o un pezzo di noi in questo scontro. Siamo stati feriti, mutilati. Ma siamo ancora vivi. Possiamo ancora combattere. E finché questa storia non sarà finita, io continuerò a farlo. Per me, per i miei genitori, per Ewan, per i miei amici, per Amber e anche per te.» Lo guardai negli occhi, ora di nuovo scintillanti di speranza. «Il Consiglio dice che il sangue è tutto ciò che conta. Bene, gli dimostreremo di che pasta è fatta la nostra famiglia. Perché siamo una famiglia ormai, non è così?»
Rhyme sorrise, gli occhi lucidi di gioia. «Sì» affermò. «È così.»
Angolo autrice:
Non voglio rovinare il momento, ma questo è l'ultimo capitolo prima dell'epilogo e io sto per piangere. Spero di avervi regalato una buona lettura fin qui e aspettatevi un colpo di scena finale. Love you all.
Mi🌙
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