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Capitolo 6

Mercoledì 1 febbraio

«Sono felice che ti sia finalmente decisa a fare qualcosa per ragazze della tua età. Stavo cominciando a perdere le speranze.»

«Mmm» replicai distratta. Mi massaggiai la fronte, nel tentativo di allentare il cerchio che mi faceva pulsare la testa. Senza risultati, ovviamente.

Lanciai un'occhiata obliqua alla mia interlocutrice, seduta composta sul suo lato del divano. Io e mia zia eravamo in salotto a guardare la televisione da almeno un'ora. O meglio, lei continuava a parlare della festa a cui sarei dovuta partecipare quella sera mentre io cercavo di non pensare a niente. «Lyn, ti prego, lasciami stare. Non sono in vena.»

«Tu non sei mai in vena, fiorellino. Non capisco. Come fai a non essere eccitata? E' la tua prima festa!»

«E quindi? Se è la prima a cui vado un motivo c'è: odio le feste. Semplice.»

Zia Lyn sbuffò. Per lei era inconcepibile una vita senza divertimento e il mio bisogno di tranquillità le sembrava insensato, anche se probabilmente avrebbe cambiato idea se avesse saputo il vero motivo della mia paura... "Ma non dovrà mai venirne a conoscenza. Non può capire, non ci riesco nemmeno io..."

«Allora, hai deciso cosa indossare?» mi riscosse lei in quel momento, cambiando argomento e portandolo su uno addirittura peggiore, almeno per me.

«Ehm...» Abbassai lo sguardo, imbarazzata. «Jeans e maglione?»

Mi guardò inorridita. «Cosa?! Stai scherzando vero? Si tratta di una festa liceale, non di un pigiama party fra babysitter annoiate!»

«Infatti. Se fosse stato un pigiama party avrei messo un pigiama.»

Mia zia si prese la base del naso fra pollice e indice, troppo sconvolta per parlare. Sospettavo che stesse pensando di abbandonarmi in mezzo alla strada e adottare una ragazza che avesse una minima idea del concetto di 'moda'. Lyn adorava i vestiti, aveva un centinaio di scarpe, trucchi di ogni colore esistente sulla faccia della Terra - e forse anche di Marte - e non so quanti accessori. Su questo lei e Claire andavano molto d'accordo. Io invece riuscivo a trovarmi a mio agio solo con pantaloni, felpe enormi e scarpe da ginnastica. Non potevamo essere più diverse.

«Senti tesoro, ora ci penso io al tuo look, ok? E non fare obiezioni» disse alla fine della sua meditazione.

«Ma...»

«Sì, ecco, è proprio questo che intendevo con 'obiezioni', brava.»

Alzai gli occhi al cielo. Dovevo andare a quella festa solo per indagare, non per partecipare ad un concorso di bellezza! «Lyn, ti prego, risparmiami...»

«Vedrai che ti piacerà, ne sono sicura. Scommetto che tornerai a casa fidanzata.»

Mi coprii il volto con le mani per non urlare. Ci mancava solo lei! Dovevo sembrare proprio una zitella disperata a giudicare da tutto questo impegno a trovarmi un ragazzo. Ero davvero irritata, ma sapevo che sarebbe stato inutile discutere. Era impossibile far cambiare idea a mia zia. «Vedi solo di non esagerare...»

«Naturalmente, fiorellino!» squittì lei, e con una giravolta scomparve nella sua camera, uno sguardo soddisfatto in volto.

Inutile dire che mezz'ora dopo ero più agghindata di un albero di Natale il 25 dicembre, regali inclusi.

Mi guardai allo specchio dubbiosa. Il vestito in sé era davvero carino, un abito da cocktail nero che verso l'orlo sfumava in un rosso scuro, ma su di me mi sembrava fin troppo corto, sebbene non fossi molto alta. Tirai il tessuto della gonna verso il basso, cercando di coprirmi le gambe il più possibile, mentre pensavo a come porre rimedio alla scollatura.

«Lyn, non avresti qualche collana da prestarmi? Sai, giusto per dare un tocco in più» mentii, sorridendo dolcemente.

Mia zia mi guardò per un attimo, pensierosa. «La festa è a casa dei Blackwood, giusto?» mormorò.

Inarcai un sopracciglio."Cosa c'entra adesso?" «...Sì. Perchè?»

«Niente, niente.» Scosse la testa. «E' solo che il cognome mi ricordava qualcosa... ma probabilmente mi sbaglio, mi conosci. La mia memoria non è mai stata granchè.» Mi sorrise e prima che potessi dire qualsiasi altra cosa si fiondò su un piccolo portagioie posato sul suo comodino. Ne estrasse una collana abbastanza lunga, con un ciondolo grande come una noce fatto di una pietra nera e lucida. Sembrava onice o ossidiana, ma data la dimensione doveva trattarsi sicuramente di bigiotteria. «Tieni, questo apparteneva a tua madre. Lo regalò a mio fratello quando si fidanzarono. Ora è giunto il momento di affidarlo a te, come avrebbero voluto» mi disse, mentre mi faceva passare la catena da sopra la testa.

Ripensando ai miei genitori, che non avevo mai conosciuto, le lacrime cominciarono a premere contro le palpebre, ma riuscii a ricacciarle indietro. «Grazie» mormorai, e come per un tic tirai giù l'orlo del vestito.

Lyn mi diede uno schiaffetto sulla mano. «Smettila, così lo rovini.»

«Ma è minuscolo!»

«No che non lo è. Ti sta benissimo.»

«Bugiarda. E' così corto che farei prima ad uscire senza vestiti.» Ok, stavo esagerando, ma quel tipo di abito non faceva assolutamente per me. Anzi, nessun tipo di abito.

Lei roteò gli occhi, fingendo di non avermi sentita. In quel momento suonò il campanello e Lyn si controllò l'orologio da polso. Assunse una falsa espressione stupita. «Oh, guarda, è ora di andare. Non c'è tempo di cambiarsi, purtroppo. Credo che dovrai uscire così...»

«La tua crudeltà non ha limiti» borbottai, guardandola di sbieco. Lei rise e mi condusse fino alla porta, dove mi aspettava Claire, ancora più agitata di me. «Ehi!» la salutai recitando la parte della ragazza entusiasta di andare a divertirsi.

Lei mi rivolse un sorriso tirato, senza pronunciare una sillaba.

Afferrai il mio cappotto nero dall'appendiabiti e la abbracciai, cercando di farla rilassare. «Pronta per la festa?» le sussurrai. "Perchè io non lo sono per niente..."

~•~

Ero davvero in ansia. Mentre io e Claire aspettavamo, infreddolite, che Juliette venisse a prenderci davanti alla scuola, cominciai a dubitare del mio piano, che, ammettiamolo, in realtà non esisteva nemmeno! Tutto ciò che pensavo di fare era infiltrarmi nelle loro camere e cercare qualcosa che mi riguardasse.

Sì, qualcosa... ma cosa? Non avevo la più pallida idea di cosa avrei potuto trovare, né sapevo con quale scusa mettermi a frugare fra le loro cose. Certo, in casa ci sarebbe stata una gran confusione, musica alta e gente ovunque, e quindi avrei potuto approfittarne per indagare. Ma come sarei riuscita a trovare le stanze giuste? Sempre ammesso che Ewan non decidesse di seguirmi tutta la sera per impedirmi di distruggergli la casa... o di mettermi nei guai.

Il suono di un clacson mi fece tornare alla realtà. Ancora intontita alzai lo sguardo e vidi una macchina decappottabile nuova di zecca ferma davanti a me, il motore ancora acceso. Ma cosa... era Juliette quella al volante? Rimasi a fissarla a bocca aperta.

Lei sorrise allegra a me e Claire, probabilmente orgogliosa di aver suscitato in noi una tale reazione. «Salve ragazze! Forza, non state lì impalate, salite, ho rub... ehm, preso in prestito l'auto di Ewan ed è meglio che gliela riporti il prima possibile. Ovvero prima che se ne accorga.»

Ovvio. Come avevo potuto pensare che fosse la macchina di Juliette? Solo uno spaccone come suo fratello avrebbe potuto andare in giro con un auto così appariscente. Feci una smorfia, osservando le fiamme bianche e rosso fuoco dipinte sulla vernice nera.

Una volta salite, Juliette partì sgommando e facendo volare la ghiaia di metà vialetto per aria. Con una velocità degna di un pilota professionista in una gara di formula uno sfrecciò lungo il limitare del bosco e affrontò un paio di curve. In tal modo in soli dieci minuti arrivammo a casa sua. La frenata fu così brusca che per poco non mi ritrovai spiaccicata sul parabrezza come un moscerino.

«Ahi» borbottai, massaggiandomi la spalla che avevo sbattuto contro il sedile del guidatore. Claire, che si teneva ancora attaccata con le mani a quello di fronte a lei, mi guardò con il terrore negli occhi. «Te l'avevo detto che sono strani» mi sussurrò, la voce spezzata dalla paura.

Feci una smorfia. "Come se io abbia bisogno che tu me lo dica..."

Con un sospiro aprii la portiera e mi lasciai scivolare fuori dall'auto. Le gambe sembravano fatte di budino. Cercai di recuperare l'equilibrio dondolandomi avanti e indietro in modo imbarazzante, finchè riuscii a restare in piedi senza che mi venisse la nausea. Allora osai dare un'occhiata al luogo in cui mi trovavo. E rimasi senza parole.

Juliette aveva parcheggiato nel bel mezzo del viale di ingresso, formato da migliaia di piccoli sassolini bianchi che rilucevano nel buio della notte, creando una strada luminosa che si distendeva fino alla scalinata di marmo che introduceva alla casa. E che casa! Era enorme, alta almeno tre piani e larga come l'intero complesso scolastico. Possibile che non l'avessi mai notata prima? Era leggermente fuori dal paese, sì, circondata dai boschi della zona settentrionale, ma era strano che nessuno me ne avesse mai parlato...

In lontananza sentii improvvisamente una melodia sconosciuta ma piacevole. Sembrava provenire dall'interno della casa. "Musica classica ad una festa di adolescenti? In fin dei conti, forse i miei timpani questa volta sopravvivranno."

Juliette mi si avvicinò, sorridendo per la mia espressione stupita. «Ti piace questo brano?»

«Non l'ho mai sentito, ma non è male» risposi titubante. Il suo sorriso mi metteva a disagio. Sembrava che con quella domanda intendesse riferirsi a qualcosa di diverso dai miei gusti musicali, ma non ne capivo il motivo. Probabilmente era soltanto colpa della mia ormai abituale paranoia.

Juliette continuò a guardarmi in modo strano per un lungo istante, finchè disse: «Avanti, venite dentro. Qui fuori si gela e la sala è già piena.» E con queste parole ci fece strada verso l'ingresso. Io e Claire ci scambiammo uno sguardo sospettoso, ma poi la seguimmo. Non aveva senso rimanere all'esterno con quel freddo, soprattutto considerato che quel maledetto vestito mi lasciava scoperta più pelle di quanto volessi.

L'interno della casa era grandioso come l'esterno: pareti bianche, mobili in metallo e vernice candida, pavimenti in legno scuro. Il lato opposto all'entrata era formato da un'unica grande vetrata, che si affacciava su un prato ampio e perfettamente curato, mentre alla mia sinistra una scala a chiocciola conduceva al piano superiore. Noi ci trovavamo in una specie di salotto, in cui, fra la massa di persone invitate al party, troneggiavano due divani, uno bianco e uno nero, che contornavano un basso tavolino da tè in vetro, cosparso di libri e CD.

"Wow. Non mi sarei mai aspettata niente del genere..." Guardandomi intorno mi accorsi che dovevo avere un'espressione davvero buffa perchè Juliette continuava a sorridermi. Ma cosa ci trovava di tanto divertente?

Cercai di assumere l'atteggiamento più composto che riuscii, ma quella smorfia non durò a lungo, perchè proprio in quel momento compresi da dove proveniva la musica che avevo sentito prima di entrare. E non si trattava né di un lettore CD né di una radio.

In un angolo della sala, vicino alla vetrata, c'era Ewan. Era in piedi contro la parete trasparente, circondato da un drappello di ragazzi e ragazze dall'espressione rapita, e quindi non si era accorto del nostro arrivo, così come all'inizio non avevo notato la sua presenza.

Eppure era proprio lui la fonte di quel suono meraviglioso: stava suonando un violino, muovendo l'archetto con gesti lenti e misurati. La delicatezza che metteva in ogni suo movimento era incredibile, e io non riuscivo a staccare gli occhi da lui, incantata dalla sua bravura. Era così diverso dal ragazzo prepotente che avevo conosciuto due giorni prima... sembrava distaccato dal mondo, come se non esistesse nessun altro..."May, controllati. Devi essere lucida questa sera."

Ewan si bloccò improvvisamente e fissò lo sguardo su di noi. Per un attimo mi parve arrabbiato, ma poi il suo viso si distese nel suo solito sorriso sarcastico, cancellando ogni traccia della dolcezza dimostrata poco prima verso lo strumento. «Gente, finalmente la nostra ospite si è degnata di farsi viva. Sono sicuro che mia sorella saprà intrattenervi meglio di me. Se mi cercate sarò nei dintorni» disse, allungando le braccia verso l'alto per sciogliere i muscoli intorpiditi e facendo l'occhiolino ad un gruppetto di ragazze che lo guardava con sguardi sognanti e maliziosi.

Arricciai il naso senza volerlo. Ero sempre stata disgustata dalla facilità con cui certe mie coetanee si innamoravano dei primi venuti, sempre che quello potesse essere definito amore...

«Certo che farò meglio di te, fratellino! Vederti suonare è una noia mortale» stava intanto dicendo Juliette. Diede una gomitata ad Ewan, che tuttavia non si spostò di un millimetro.

Sorrise alla sorella, sollevando un angolo della bocca, e le scompigliò i capelli lisci. «Illusa. Già soltanto vedermi è una gioia per chiunque.»

Lei lo spinse via. «Certo. Per questo quando sono entrata stavo per cadere in depressione. Non hai brani più allegri nel tuo repertorio?»

«Sì, ma non ho intenzione di farti un favore dopo che hai fatto di testa tua organizzando questa festa. E comunque...» Abbassò il tono, rendendolo più profondo. «Questa melodia è perfetta per incantare qualche vittima.» Sorrise di nuovo e mi lanciò un rapido sguardo che mi fece rabbrividire. Il contatto visivo durò al massimo un secondo, ma a me sembrò estendersi all'infinito. Era così facile perdersi nei suoi occhi... erano dello stesso colore di un labirinto. Un labirinto da cui riuscii ad uscire solo quando lui stesso distolse lo sguardo. Solo allora potei abbassare gli occhi e riprendere fiato. Perché ero così stupida?

Andai a sedermi sul divano nero, fingendo un giramento di testa. "May, accidenti, devi concentrarti! Pensa al piano, non lasciarti spaventare" continuai a ripetermi. Non potevo farmi depistare ancora prima di cominciare ad indagare.

Quando tornai in me mi accorsi che nel frattempo Juliette era andata ad accendere lo stereo e la musica a palla mi faceva rimbombare i timpani in modo fastidioso, mentre l'odore degli alcolici cominciava già a diffondersi nell'aria. Mi venne da vomitare. Notai poi che Claire stava ballando in un angolo con un ragazzo dai capelli scuri che non conoscevo e che non mi ispirava molta fiducia. Per un attimo mi sembrò che mi stesse guardando...

No, sebbene non riuscissi a vederne in modo chiaro i lineamenti ero sicura di non averlo mai visto prima. Per fortuna dovevano essere invitati solo gli studenti della nostra classe...

Ero preoccupata. Dovevo forse andare a controllare? Provai ad alzarmi, ma avevo ancora le gambe molli e ricaddi nuovamente sul divano. Ok, forse era meglio tenerla d'occhio da lontano. Inoltre, vicino a quel tizio c'erano altri tre ragazzi che mi fissavano troppo intensamente per i miei gusti. Sì, era decisamente un'idea migliore restare al mio posto e godermi il mio meritato riposo lontana da quei balordi.

Ma mi rallegrai troppo presto per la loro lontananza. Uno dei ragazzi, quello con le spalle larghe di un giocatore di football in uniforme, cominciò a farsi largo attraverso la pista a spintoni, venendo nella mia direzione.

Abbassai lo sguardo, rivolgendo un'occhiata furiosa alle mie gambe di gelatina. Perché avevano deciso di cedere proprio adesso? "Su, gambe, svegliatevi. Vi prego!" le supplicai. Niente da fare. Forse avrei dovuto provare a strisciare dietro al divano e...

«Ciao, bellezza.»

Ecco, come non detto. Troppo tardi. Alzai gli occhi verso quelli azzurro pallido del ragazzo. Erano piccoli e maliziosi. Mi ricordava un topo.
«Mmm, mi sono rotta un piede, non posso ballare» mi inventai, sfoggiando un sorriso tanto dispiaciuto quanto falso.

Lui sogghignò, facendomi rabbrividire. Si avvicinò tanto che mi ridussi a sprofondare nel divano pur di allontanarmi dal suo fiato odoroso di fumo. «E chi dice che dobbiamo necessariamente ballare?»

"La musica?" Ok, no, era meglio non provocarlo. Cercai di inventarmi una scusa al volo, qualcosa che non risultasse troppo sciocco, mentre cercavo allo stesso tempo di tenere lui e il suo alito lontani dal mio viso, ma non dovetti sforzarmi troppo. Un respiro caldo mi sfiorò il collo, distogliendomi dalle mie congetture.

«May» sentii dire da una voce al mio orecchio. Sussultai e mi voltai di scatto. Ewan. Ancora. Mi avrebbe lasciata in pace per almeno un minuto quella sera o il suo piano era di tenermi d'occhio tutto il tempo?

Mi sorrise ironico, gustandosi la mia espressione furiosa. «Mi avevi promesso il primo ballo, ricordi?» mi disse con voce dolce.

Aggrottai la fronte. "Ma di che diamine sta blaterando?"

Lui roteò gli occhi esasperato, facendo un cenno col capo verso il tizio. Oh, adesso capivo. Voleva aiutarmi a liberarmi del mio spasimante. Decisi di reggergli il gioco. «È vero, che sbadata. Andiamo» esclamai, allungando una mano verso di lui. Mi afferrò il polso, per poi squadrare il gigante dalla testa ai piedi, un sopracciglio alzato.

Il ragazzo dagli occhi azzurri mi fulminò con lo sguardo. «Non avevi un piede rotto?»

«Uhm, beh, forse era solo una storta. Mi è appena passato il dolore» balbettai imbarazzata.

Fortunatamente il tizio se ne andò senza protestare, forse intimorito dalla presenza del padrone di casa. Quando fu scomparso fra la folla scoccai uno sguardo seccato al mio 'salvatore'. «Grazie per avermi fatto fare una figuraccia.»

Fece un verso strozzato, simile ad una risata di scherno. «Non è colpa mia se sei un'attrice pessima.»

«Beh, è colpa tua invece. Sei stato tu a mettermi in questa situazione.»

«No, tu stai facendo tutto da sola.» Sospirò, ma il suo sguardo era divertito. «Sono giunto ad una conclusione riguardo alla tua testardaggine sai? Anzi, più di una. O sei stupida e vuoi solo darmi fastidio, o vuoi morire e non pensi ai pericoli che corri, o vuoi... me.» Sulle ultime parole il suo sorriso si allargò, adornato da un luccicante sguardo malizioso.

Arrossii senza volerlo. No, non gliela avrei data vinta arrabbiandomi, era fuori discussione. «Un misto fra le prime due, credo. In senso che voglio infastidirti, e che non conosco i pericoli.»

Rise. «Io invece propendo per la terza ipotesi...»

Strinsi i denti. «Non illuderti. Solo perchè tutte le ragazze di questa sala vorrebbero stare con te non significa che la cosa valga anche per me.»

Si guardò le mani con un sorriso amaro. Teneva ancora stretto l'archetto del violino, come fosse uno scudo. «Tu non puoi sapere quello che pensano.»

Mi irrigidii senza un motivo preciso. Era più un sensazione, ma dal tono con cui aveva parlato sembrava come intendere che lui, a differenza mia, potesse... no, era impossibile. Dovevo aver sentito male.

Scossi la testa e cambiai argomento. «Mi terrai sotto controllo per tutta la sera, vero?»

Fece un sorrisetto diabolico e si alzò, controllando l'orologio. «Ora devo andare. Sono già in ritardo di due appuntamenti a causa tua. Ti consiglio vivamente di non spostarti da qui, comunque.»

«Colpa mia?!» esclamai, ma lui se ne era già andato. Che ragazzo irritante... non avevo idea di come i suoi parenti facessero a viverci insieme. Non mi sarei stupita se l'avessero mandato a New York da solo per avere un attimo di tregua...

«E' insopportabile, vero?»

Mi girai e Juliette mi sorrise. Dopo soli due giorni che li conoscevo avevo già trovato un motto per i due gemelli: Blackwood. Entrate in scena improvvise e caratteri impossibili. «L'ho notato in effetti.»

Si passò una mano fra le ciocche corvine, abbassando lo sguardo. «Sì, so che può sembrare un idiota, ma credimi, non lo fa di proposito. Più o meno. Cioè, non è sempre stato così. Ma comunque ciò non toglie che si comporti da stupido, quindi puoi anche insultarlo se ti va. Hai la mia approvazione.»

"Sta cercando di essere gentile?" Se si trattava di questo, non era molto brava. Mi stava solo innervosendo. «Ehm... grazie.»

Juliette si sistemò il suo abitino blu elettrico e annuì. «Di niente. Comunque... ti do un consiglio. Lui non fa per te. So che tutte le nostre coetanee perdono la testa per tipi del genere... e sono sicura che tu sia abbastanza matura per capirlo da sola» aggiunse, vedendomi accigliarmi. «Ma devo avvertirti. Stagli alla larga.»

«Non c'era bisogno che me lo dicessi. Non è il mio tipo, in ogni caso» replicai, più freddamente di quanto volessi. Ma ormai era fatta. Odiavo quando qualcuno si impicciava nelle mie scelte, soprattutto un'estranea come lei, e non riuscivo a trattenere le emozioni.

Juliette si adombrò per un istante, ma subito tornò la ragazza allegra di un attimo prima. «Ne sono lieta. Non ho niente contro mio fratello, ma non voglio che si metta a giocare anche con te. Lo conosco abbastanza da prevenirlo.»

«Ok.» Ancora una risposta glaciale. "May, accidenti, impara a mentire per una buona volta!" «Ehm, io ora devo andare... in bagno.» "Oh, sì, questa era proprio da Oscar..."

Feci per allontanarmi, ma Juliette mi bloccò per un braccio. Sentii una scarica di adrenalina risalirmi lungo la schiena e una sensazione di disagio invadermi il petto.

«Ricorda» mi sussurrò la ragazza ad un orecchio. «Non scherzare col fuoco.»

Angolo autrice:

Mmm, Juliette sembra strana quasi quanto il fratello. Cosa intendeva con le sue parole? A chi deve stare attenta May, e perché? Chi è lo strano ragazzo che la fissava dal fondo della sala? Perché Ewan continua a comparire all'improvviso?

Sicuramente la situazione non è normale.

May, tieni duro, presto scoprirai la verità. E anche voi, lettori, resistete. Le risposte arriveranno.

Baci,
Mi🌙

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