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Capitolo 54

Lunedì 20 febbraio

«Così fragile, eppure così difficile da spezzare. Mi stai complicando di parecchio il lavoro, sai?»

Quella voce. Non l'avevo dimenticata, anche se non la sentivo da quel giorno nel bosco, mentre ero intenta a cercare Ewan. Tuttavia, non mi era mai capitato di sognarla. Non avevo mai sognato nulla che non si rivelasse poi una visione. Eppure, quella voce non era corporea. Non era visibile, né mi era chiaro da dove provenisse. Intorno a me si aggiravano soltanto le tenebre, da cui non si poteva distinguere alcuna forma.

«È inutile preoccuparsi per qualcosa che non puoi spiegare. Piuttosto, ascolta le mie parole.»

«Non vedo come potrebbe essermi utile questo» replicai, rivolta al nulla. Stavo parlando da sola. Forse ero impazzita.

«No, non sei pazza. Sono reale.»

«E dovrei fidarmi di ciò che dice una voce?» Non riuscire a riconoscerne il timbro era snervante, soprattutto considerando che non mi era nemmeno possibile capire se fosse femminile o maschile. Era vaga e inafferrabile come una spira di fumo.

«Al momento non hai molte altre possibilità, non trovi?»

Non risposi. Se l'avessi fatto, avrei dovuto darle ragione, e io non ne avevo la più pallida intenzione.

La voce continuò tuttavia il suo discorso, ignorando il mio silenzio. «Ti darò un avvertimento, e confido nella tua intelligenza affinché tu mi prenda in parola. Stiamo venendo a prendervi. Non sarete al sicuro in nessun luogo. Vi troveremo ovunque vi nasconderete, ancora prima che possiate rendervene conto.»

Deglutii, stringendo i denti per non tremare. Non ero sicura che potesse vedermi, o che avesse degli occhi, ma non volevo mostrarmi spaventata a quell'estraneo. Anche se lo ero, e molto. «Questo sembra più una minaccia che un avvertimento.»

«Avvertimento, minaccia, vedila come preferisci. Le mie parole sono vere, è questo l'importante. Dunque, perché non vi arrendete? Sarebbe più semplice per entrambi.»

«Non smetteremo mai di lottare per ciò in cui crediamo. E voi, chiunque siate, sarete quelli che si dovranno arrendere, alla fine.»

Ci fu un attimo di silenzio, in cui temetti per la mia vita. In qualche modo, sentivo di essere fisicamente in pericolo. Infine, però, la voce tornò a rimbombare fra le pareti di nero nulla. Pronunciò poche parole, in tono basso e lugubre, ma bastarono a far sprofondare il mio cuore in un abisso di vetri infranti: «Ti farò pentire della tua scelta.»

Mi risvegliai di colpo, con un insistente dolore alla schiena e una sensazione di freddo contro la guancia. Mugugnai, mentre mi mettevo a sedere sulla dura superficie del pavimento. Dovevo essere caduta durante il sonno. Non ero abituata a dormire in un letto singolo da quando, a cinque anni, mi ero svegliata a testa in giù, con le gambe ancora imbozzolate nelle coperte. Non era stato divertente.

«Nemmeno questo è stato divertente...» borbottai, alzandomi faticosamente e spazzando via la polvere dai pantaloni. Ero ancora vestita come il giorno prima, con i capelli umidi di pioggia incollati al collo. Mi passai le mani sul viso stanco e, seppur controvoglia, andai alla ricerca del mio zaino per indossare qualcosa di asciutto. Lo trovai incastrato sotto la bassa struttura del letto e nel tentativo di tirarlo fuori per poco non feci cadere la lampada vintage dal comodino.

Sbuffai, rimettendomi a sedere a terra, lo zaino stretto al petto. Quel viaggio mi stava stancando più del previsto e di certo non avevo considerato la possibilità di avere due visioni lo stesso giorno. Sempre che l'ultimo sogno potesse definirsi tale.

Fortunatamente Amber, a dispetto di ciò che mi ero immaginata, aveva infilato nel mio bagaglio dei vestiti abbastanza comodi. Indossai velocemente un maglione verde bottiglia al posto della mia felpa bagnata e legai i capelli con l'elastico che portavo sempre al polso.

Solo allora mi presi un minuto per osservare l'ambiente in cui mi trovavo. Una stanza angusta, quadrata, con pochi mobili. Il letto sul quale avevo dormito era completamente sfatto, le lenzuola ricadevano per metà a terra, in mezzo alla polvere. E ce n'era molta, di polvere. Potevo quasi contarne i granelli, sospesi nel debole bagliore che penetrava dalle persiane abbassate, l'unica fonte di luce nella stanza. Mi resi conto solo in quel momento di non avere idea di che ore fossero. Ewan aveva insistito nel farci lasciare a casa i cellulari, per non correre il rischio di essere rintracciati. Mi era rimasto soltanto il mio vecchio mp3, che al momento non mi era particolarmente utile.

Cercai di sbirciare fra le stecche in plastica, ma tutto ciò che mi era concesso vedere era un piccolo giardino incolto, una staccionata scrostata e i rami spogli di un albero.

Decisi di scendere al piano inferiore, nella speranza di trovare un orologio.
Ovviamente, le scale erano semibuie, come il resto della casa, così dovetti percorrerle aggrappata al corrimano, e a passo di lumaca, per non rompermi una caviglia. Scendendo, osservai i quadri appesi alle pareti. Erano stampe in bianco e nero, raffiguranti una citta portuale, vicina al mare. Forse era la stessa in cui ci trovavamo in quel momento. Il giorno precedente non l'avevo chiesto a nessuno, troppo esausta per pormi simili domande, ma ora non potevo fare a meno di interrogarmi sul nostro viaggio. Eravamo a buon punto? Sicuramente, non avevamo ancora superato il confine. Per quello avremmo dovuto prendere un treno, con cui avremmo raggiunto la Francia e, poi, l'Italia. Miles aveva chiesto ad un suo amico di venirci a prendere direttamente alla stazione.

Inciampai sull'ultimo gradino, ma riuscii a recuperare l'equilibrio senza fare troppo rumore. Mi morsi un labbro. Se Ewan mi avesse sentita, probabilmente avrebbe dato di matto. Come al solito, insomma, ma non avevo voglia di mettermi a litigare con lui ancora una volta.

Muovendomi a tentoni, con le mani contro le fredde pareti della casa, trovai la cucina. Nessun orologio, nemmeno un minuscolo timer. Mi sembrava quasi di trovarmi in una casa abbandonata da anni, più che in un albergo.

Continuai la mia ricerca finché capii di aver raggiunto il salotto. Ovvero, quando mi scontrai con il retro di un divano. Appena percepii il tessuto ruvido sotto alle dita sollevai lo sguardo. Lì c'era più luce, entrava da una portafinestra, in fondo alla stanza, le cui persiane erano sollevate. Fuori da essa potevo scorgere il verde dell'erba selvaggia e il bianco sporco del cielo mattutino. Era mattina dunque, e ciò mi fu confermato da un bizzarro orologio a cucù che in quell'esatto momento emise il suo tipico cinguettio. Le cinque. Fantastico.

«Hai avuto un incubo, Veggente?»

Mi voltai di scatto. Due occhi verdi mi fissavano dalla soglia del giardino con tutta l'aria di volermi costringere al sonno eterno. Abbozzai un sorriso tirato, ma sospettavo assomigliasse più ad una smorfia. Certo, trovarmi da sola con Juliette non era esattamente nei miei piani, quando ero uscita dalla mia camera. Non potevo aspettarmi di meglio. «Credo possa definirsi in questo modo, sì.»

La vidi sbuffare. «C'è qualcosa che dovremmo sapere anche noi?»

«Solite cose. Vi troveremo ovunque andrete, non potete scappare... Cose così.»

«E a te sembra normale, ovviamente.» Roteò gli occhi e si passò una mano sul viso, palesemente irritata. «Senti, non so cosa passi per quella tua testolina difettata, ma noi non siamo in gita, okay? Siamo in missione. Abbiamo trasgredito a molte leggi per i nostri ideali e non permetterò che tu distrugga tutti i progressi che abbiamo fatto. Quindi cerca di comportarti più con serietà e meno come una bambina viziata.»

Strinsi i pugni lungo i fianchi, tentata di saltarle al collo. «Credi che io non sia seria? Credi che mi stia divertendo? Ho dovuto lasciare mia zia, Claire, la scuola, la mia intera vecchia vita, per voi! Non mi è rimasto nulla. Sto cercando di aiutarvi come posso, ma non sono come voi. Non so combattere, non conosco come funziona il vostro mondo e no, non riesco ancora a controllare le mie visioni. Quindi scusami se non ho voglia di parlarne con una ragazza che mi disprezza senza motivo. Scusami, se non mi fido di te, che mi attacchi non appena apro bocca. Sei felice, ora?»

«No che non lo sono, maledizione! Anch'io ho un cuore, sai? Anch'io ho dovuto rinunciare a molte cose, nella vita. Ed ora eccomi qui.» Rise, spalancando le braccia ad indicare l'ambiente circostante. «Odio questo posto, odio dovermi nascondere come una criminale e odio vedere mio fratello in pericolo. Lui è tutto quello che mi è rimasto. È l'unica persona che mi vuole davvero bene. Forse non sembra, a volte, ma è così. Non potrei vivere senza di lui. Siamo fatti della stessa sostanza, dello stesso sangue. Lui...» Si interruppe, rendendosi conto del suono rotto della propria voce. Non avrebbe pianto davanti a me. Era questo il significato del suo improvviso silenzio.

Mi scostai dagli occhi i capelli sfuggiti dall'elastico. Ero nervosa, arrabbiata e, allo stesso tempo, triste. Avrei voluto consolarla, come avrei fatto con chiunque altro, ma Juliette non faceva altro che escludermi dalla propria vita, come se fossi stata una minaccia. Ma io non lo ero. Non per lei.

Presi fiato. Dovevo farle capire che non doveva avere paura di me. E sapevo come fare, anche se era un'idea folle e, per portarla a termine, avrei dovuto raccogliere tutto il mio coraggio. «Anch'io...» Deglutii. L'inizio era sempre la parte più difficile. «Anch'io temo per la vita di Ewan. Non so perché me ne importi tanto, in realtà.» Avevo già la bocca secca come un deserto. Cercai di ridere, ma tutto ciò che mi uscì fu un verso acuto. «Non so perché continuo a preoccuparmi per lui. Forse perché gli devo la vita, in un certo senso. La mia nuova vita. Forse, sono solo una ragazzina sciocca, molto sciocca. Il problema è proprio questo: non so perché provo questi sentimenti, ma non posso permettere che gli accada nulla di male. Lo difenderei a costo di rimetterci la vita... Dio, l'ho detto davvero?» Non l'avevo mai ammesso con nessuno, nemmeno con me stessa. Non era una cosa di cui andavo fiera, affatto. Dipendere così tanto da qualcun altro... Ero sempre stata convinta che non mi sarebbe mai successo, che l'amore non fosse così forte da costringerti a sacrificare la tua stessa vita. Avevo riso di quelle scene strappalacrime, nei film. Ed ora mi trovavo nella stessa situazione. Solo che mi sentivo anche peggio, perché sapevo che era sbagliato. Sbagliato e non corrisposto, peraltro.

Avevo la gola chiusa per le lacrime, ma così come lei non aveva pianto di fronte a me, io non l'avrei fatto con lei. Rimasi ferma, con gli occhi fissi nei suoi. Non era semplice decifrare la sua espressione. Non sembrava arrabbiata, ma nemmeno felice. Era... confusa? Disgustata? Stupita?

Mi schiarii la voce. «Hai capito cosa...»

«Ho capito, May.» Juliette sospirò, abbandonando per un momento la sua posizione altezzosa. Si spostò dalla portafinestra per raggiungere il divano, dove si sedette scomposta, come se avesse perso tutte le sue energie. «Sai» fece, con la testa reclinata all'indietro e lo sguardo puntato al soffitto. «Non riesco ad odiarti. Ogni volta in cui trovo un motivo per volerti staccare la testa dal collo, ecco che fai qualcosa per cui dovrei invece ringraziarti. È seccante.»

«In questo momento in quale fase ti trovi?»

«Una via di mezzo, credo. Forse non te ne rendi conto, perché non lo conosci quanto me. Ewan sta facendo di tutto, per te. Di tutto. Le ultime punizioni che ha ricevuto... Tutte per colpa tua. Nessuna esclusa. Te l'ho detto, odio vederlo soffrire. E da quando ti conosce, non sta facendo altro. I suoi poteri si sono come risvegliati. Non sono semplici da tenere a bada, per lui. Gli provocano fitte dolorose al petto ogni qualvolta cerca di sopprimerli. Per questo motivo ho sempre cercato di tenerti lontana da lui. Ma, quando avete litigato, nel bosco...» Scosse la testa, cominciando improvvisamente a guardarmi negli occhi. «L'ho visto a pezzi, quasi più di quanto non lo fossi tu. Allontanarti da sé lo uccide. No, nemmeno lui se ne rende conto» aggiunse con amarezza, vedendomi spalancare gli occhi. Ero sorpresa. Sorpresa di poter avere una speranza. «Ora capisci perché non ti sopporto?»

Feci un mezzo sorriso, indecisa su come rispondere a quella frase. «Nemmeno io mi sopporto, in questo momento.»

Juliette sorrise. Debolmente, ma lo fece. «Ewan avrebbe davvero bisogno di essere amato. Ma non crede di meritare nessun tipo di affetto. Se dovesse capire quello che provi, sempre che non lo sappia già... Beh, non ti lascerà avvicinare a meno che non sia anche lui a volerlo. Crede di essere troppo pericoloso, soprattutto da quando i suoi poteri si sono risvegliati. Non sarà semplice, per te.»

«Non potrei comunque cambiare le cose. Ho già superato il punto di non ritorno.»

«Allora posso solo augurarti buona fortuna. Perché ne avrai bisogno.»

Restammo a guardarci per qualche istante, imbarazzate. Stavo già cominciando a pentirmi di essermi confessata proprio con la sorella del ragazzo che mi piaceva, quando lei si alzò dal divano e camminò verso di me. Non mi abbracciò. Semplicemente, tese una mano di fronte a sé, in un gesto forse di rispetto, secondo i suoi canoni.

Ricambiai la stretta con un sorriso. Mi faceva piacere aver chiarito. E che ora si fidasse di me.

All'improvviso ci fu un rumore di passi lungo le scale, simile al rombo di un temporale.

«Che succede?» brontolò Juliette corrucciando la fronte. Mi fece segno di seguirla verso le scale, dove per poco non ci scontrammo con Amber Dietro di lei, Kenneth e Ewan trasportavano i nostri zaini e ansimavano come se avessero corso una maratona. Senza lasciarci il tempo di aprire bocca, la ragazza ci afferrò per i polsi, trascinandoci con lei fuori dall'edificio.

«Stiamo scappando?» domandai, in preda alla confusione. Il ricordo della voce era ancora vivido nella mia testa, più di quanto volessi.

Ewan mi guardò di sbieco, mentre apriva il cancellino del cortile con un calcio. «Amber ha percepito la presenza di Guardiani nelle vicinanze. E ciò non è normale, qui. Dobbiamo andarcene il prima possibile.»

«A quanto pare la tua visione non era poi così errata, Veggente» commentò Juliette, prendendo posto in macchina accanto a me.

Le gettai un'occhiataccia, mentre venivamo sommerse dai nostri stessi zaini. Non avevamo tempo per aprire il bagagliaio difettato, in quel momento. La ragazza corvina si morse un labbro, accorgendosi di essersi lasciata sfuggire una frase di troppo.

Una frase che Ewan non si lasciò scappare. Dopo un attimo di stupore aprì di colpo la portiera posteriore, chinandosi fino ad arrivare all'altezza del mio viso. Controluce i suoi occhi brillavano come diamanti, luccicanti di disappunto. «Cosa hai visto, di preciso?»

«Oh, ehm, io... Ho sentito una voce. Mi ha detto... che loro ci avrebbero trovati. Ovunque ci saremmo nascosti.»

«E cosa accidenti stavi aspettando prima di venirmelo a dire?»

«Sei stato tu a ordinarci di non infastidirti, ricordi?»

«Sì, ma non intendevo... Oh, dannazione!» Si passò una mano fra i capelli, per poi guardarsi alle spalle. Mi lanciò un ultimo sguardo pensieroso prima di correre a prendere il suo solito posto. Inserì le chiavi nel cruscotto ancora prima che Kenneth si fosse seduto, tirando con la mano libera il maglione dell'amico verso l'interno della macchina. «Muoviamoci, si stanno avvicinando.»

Mi affacciai fra i sedili anteriori, mantenendo la presa sull'imbottitura nonostante l'improvvisa partenza della vettura. «Dove dobbiamo andare ora?»

«Alla stazione.»

«Siamo già al confine?»

«Siamo poco lontani da Folkestone, nel Kent. Dobbiamo attraversare il Tunnel della Manica, hai presente?»

«Non c'è bisogno di essere scortesi» mugugnai, rimettendomi a sedere con le braccia incrociate. Cercai di fulminarlo attraverso lo specchietto retrovisore, ma lui mi rispose con un mezzo sorriso, il che fece defluire velocemente la mia rabbia. Accidenti. Non lo sopportavo quando faceva così. E non sopportavo nemmeno quell'adorabile fossetta che gli si formava sulla guancia sinistra ogni volta che rideva.

Sospirai. Ero patetica. Pateticamente patetica.

«Dacci un taglio» mi mormorò Juliette, seccata. «Sto schermando i tuoi pensieri, ma non vorrei vomitare per la loro stucchevolezza, quindi...»

«Okay, okay. La smetto» asserii, rossa in volto. Accidenti a me.

«Sono vicini» disse d'un tratto Amber, interrompendo il silenzio che pervadeva la macchina.

«Lo è anche la stazione» le rispose Kenneth, senza staccare gli occhi dalla strada. «Manca poco.»

«I biglietti?»

«Ci ha pensato Miles. Eccoli» disse Ewan, tirandoli fuori dalla giacca. Ce li scambiammo rapidamente, nell'esatto momento in cui l'auto si fermò. Guardai fuori dal finestrino, ma tutto ciò che riuscivo a vedere era una folla indistinta di persone in attesa di salire sul proprio treno. Feci una smorfia al solo pensiero di dovermi infilare in quel caos. Non che avessi altra scelta, ovviamente.

Amber era sempre più agitata. Da quel che avevo capito, lei sentiva in modo più amplificato le emozioni negative, così come io potevo vedere il futuro. Era un suo talento, che ora la stava lacerando internamente. I Guardiani erano vicini e noi eravamo in trappola, almeno finché il treno non sarebbe arrivato.

Afferrai Ewan per una manica, costringendolo ad allontanarsi dagli altri. «Non possiamo restare qui ad aspettare» gli sussurrai poi, guardandolo negli occhi.

Lui aveva la mascella contratta, segno tangibile del suo nervosismo. Alle mie parole sbuffò, senza smettere di scandagliare la folla con lo sguardo. «Non fa piacere nemmeno a me, se ti interessa.»

«Quindi?»

«Quindi niente. Non possiamo farci niente. Non avevo previsto che ci scoprissero così presto...»

Abbassai lo sguardo. «È colpa mia. Avrei dovuto dirtelo prima.»

«Sarebbe stato meglio, sicuramente» iniziò, prima di bloccarsi bruscamente. Lo sentii schiarirsi la gola. «Ehi... Non te ne faccio una colpa. So che è difficile avere a che fare con me.» Rise, amareggiato. «Combino solo casini. Mi dispiace.»

«Diciamo che è colpa di entrambi»

Ewan inclinò la testa di lato, permettendo ad alcune ciocche scure di coprirgli gli occhi. Poi, senza un apparente motivo, mi sfiorò una guancia. Fu questione di un secondo, ma il suo tocco mi era sembrato di fuoco vivo, sulla pelle. Quando si allontanò distolsi subito lo sguardo, troppo tesa per affrontarlo. E, per fortuna, lui non commentò. Ero già abbastanza imbarazzata di mio.

«È arrivato, veloci!» strillò Juliette ad un tratto, ridestando la nostra attenzione. Ci mettemmo tutti a correre verso il treno, prendendo i nostri posti con la grazia di un branco di elefanti. Ma, perlomeno, eravamo ancora vivi.

«Guardate» fece Amber, seduta accanto al finestrino. Indicava all'esterno, dove un gruppo di persone stava accorrendo verso le porte ormai chiuse del mezzo. Non potevamo sentirle ma stavano palesemente gridando, alcune imprecavano, come se fossero seccate da qualcosa. «Guardiani.»

«Sei sicura?» le chiesi.

Lei annuì con convinzione. «L'abbiamo scampata per un soffio, questa volta. Spero solo che non si ripeta ancora.»

"Già" pensai fra me. Di certo, la nostra partenza non era stata delle più tranquille. E dopo questo episodio, non osavo immaginare come sarebbe stato l'arrivo.

Angolo autrice:
Ci sto provando ad essere romantica, lo giuro! Vi prometto che a breve ci sarà una scena che, forse, molti di voi stanno aspettando. Non vi dico altro. Anzi, . Buona Pasqua ragazzi!❤
Mi🌙

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