Capitolo 50
Domenica 12 febbraio
Fu come un raggio di sole. Un raggio intenso, che si fa strada nella roccia, faticosamente, all'improvviso. Si era infiltrato nell'ombra, fino a raggiungere un paio di occhi addormentati, un corpo rinchiuso in quella caverna da troppo tempo, ormai. E quegli occhi si erano aperti di scatto. Erano stati risvegliati dalla strana presenza, intimoriti, dopo anni di buio.
Se esiste un modo per descrivere come le parole di Phil agirono su di me in quel momento, sarebbe proprio questo: un raggio di luce che spezza il buio. La forza della consapevolezza che irrompe nel torpore del dubbio. L'impatto con la crudeltà della notizia mi lasciò per un attimo senza fiato. Saremmo stati in guerra. Dal giorno seguente.
Un fulmine, poco lontano, illuminò di colpo la stanza, seguito dal rombo di un tuono. Quel suono cupo, simile allo sgretolarsi di una montagna, rispecchiava appieno il battito impazzito del mio cuore.
Percepii una presenza accanto a me. Presa per un attimo dal panico mi ritrovai a trattenere il respiro, immobile, finché la persona che mi si era avvicinata non cominciò a parlare.
«Le cattive notizie giungono sempre col cattivo tempo, in questa città» fece Ewan, ironico. Mi stava trattenendo per un braccio, ma con un tocco più lieve del solito. Non avrebbe dovuto alzarsi nelle sue condizioni, ma forse aveva percepito il mio irrigidimento e aveva pensato che potessi fuggire. Era possibile. L'unica cosa che non mi spiegavo era il sorrisetto sarcastico che gli si era stampato in volto.
Sicuramente, Juliette non sembrava altrettanto divertita. La sua espressione era più simile ad una specie di sbalordimento seccato. «Ti sembra il momento adatto per fare battute?»
«È sempre il momento giusto per una battuta, specialmente se mia» replicò lui, guadagnandosi occhiate di fuoco da metà dei presenti. «Tuttavia» aggiunse in tono più serio «hai ragione. Siamo in guerra. Ma non vedo come stare qui a preoccuparci delle conseguenze possa aiutarci a vincerla.»
«Siamo in pochi, abbiamo armi di scarsa qualità e molta meno esperienza. Mi sembra il minimo avere qualche timore!»
«Ragazzi, non è il caso...» intervenne Kenneth, posando le mani sulle spalle dei due amici. «Dobbiamo restare uniti. La situazione è già abbastanza complicata senza che voi vi mettiate a litigare.»
«Oh, Kenny, lo sai che so contenermi quando serve. Non ho bisogno che tu mi faccia la predica» si lamentò l'altro ragazzo.
Kenneth si accigliò. «Devo ricordarti tutte le volte in cui ho dovuto tirarti fuori dai casini?»
Ewan aprì la bocca per ribattere, ma si interruppe di colpo, scuro in volto. «So cosa state cercando di dirmi» sibilò.
Kenneth sbiancò, forse accorgendosi di aver detto una parola di troppo. «Non intendevo...»
«No. So che lo pensate tutti, e lo penso anch'io. Mi rendo conto che la colpa della situazione, almeno in gran parte, è mia. Sono stato impulsivo, sciocco, irresponsabile, e me ne pento amaramente. Ma piangermi addosso non è nel mio stile, ok? Non starò qui a tremare come un bambino, mentre potrei invece allenarmi o fare qualsiasi altra cosa che possa cambiare le carte in tavola!»
«Lo so, Ewan. Non avrei mai pensato altrimenti. Volevo solo farti capire che non devi fare nulla da solo. Te l'ho già detto. Non fingere di essere l'unico coinvolto nella questione. Tutti noi siamo in guerra, e lotteremo tutti insieme per la nostra vittoria. Perché uniti siamo più forti che da soli, qualsiasi cosa ciò possa significare. Forse non saremo imbattibili, forse perderemo alla prima battaglia, ma se resteremo insieme riusciremo a superare anche questa guerra. Mi stai ascoltando?»
«Non sono scemo, Kenny. Capisco perfettamente quello che dici.»
«E sei d'accordo con me?»
Ewan alzò lo sguardo verso quello del suo migliore amico. Erano fermi uno di fronte all'altro, in mezzo alla sala, mentre all'esterno imperversava un temporale in piena regola. L'immobilità della scena, in contrasto con la pioggia sferzante fuori dalle vetrate, mi creava una strana sensazione in fondo allo stomaco, come se stessi partecipando ad un particolare fenomeno atmosferico. Gli stessi ragazzi sembravano due forze naturali intrappolate in prigioni di carne ed ossa.
«Preferirei non esserlo. Preferirei dover essere l'unico a rischiare.» Ewan fece un mezzo sorriso, socchiudendo le palpebre sugli occhi stanchi. «Ma vi conosco troppo bene per credere di potervi trattenere dal seguirmi.»
Juliette gli saltò al collo singhiozzando, ancora prima che potessi rendermene conto. Non avrei mai immaginato che una ragazza come lei, così altera, distaccata e sprezzante del pericolo, potesse sembrare tanto fragile. Mi ricordava un salice piangente, tanto forte quanto flessibile. Al momento la ragazza era quasi sul punto di spezzarsi.
Dopo pochi secondi Kenneth e Amber si unirono all'abbraccio, il primo mordicchiandosi le labbra per l'ansia, la seconda con la lacrime agli occhi, brillanti come schegge di cristallo. Non li avevo mai visti per quello che erano davvero, prima di allora: un gruppo compatto di personalità complementari. Ognuno di loro era un tassello importante, un mattone che impediva alle loro mura difensive di sfaldarsi, lasciando riversare all'esterno tutto il dolore che dovevano provare. Costretti a combattere dalla nascita, sottoposti a punizioni crudeli, sempre con la paura di perdere i propri cari. Se non fossi stata quella che ero, se i miei genitori mi avessero detto la verità, sempre che ne fossero stati a conoscenza, forse in quel momento sarei stata come loro. Distrutta dentro, al di sotto di una facciata ben costruita. Non avevo mai capito il loro legame, ma ora non potevo credere di essere stata tanto cieca.
Ewan mi lanciò uno sguardo, al di sopra della testa di sua sorella. I suoi occhi, quel che custodivano al loro interno, ruppero gli argini che trattenevano le mie lacrime. Le sentii scorrere lentamente lungo le mie guance, calde e umide. Dovevo sembrargli infinitamente ridicola. Sollevai le mani per asciugarmi velocemente gli occhi, ma lui mi afferrò un polso prima che potessi raggiungermi il viso e mi attirò a sé. Il calore del gruppo mi invase il petto come un fuoco incandescente, prosciugando le lacrime residue. Nonostante tutto, sentivo di far parte di quel calore, di quel gruppo. Mai come allora mi ero sentita così tanto parte di qualcosa di più grande. Forse dipendeva solo dal senso di pericolo, forse era la paura ad unirci, ma ciò non cancellava ciò che provavo. Mi sentivo... a casa. Non avrei mai pensato di poter trovare il mio posto in quel mondo di guerra, sangue e bugie. Eppure, forse non era così impossibile.
«Fai parte della famiglia, ormai» mormorò Amber. Non dovette specificare a chi si stesse rivolgendo. Accolsi le sue parole con un sorriso, debole ma sincero. Ewan mi strinse le spalle con un braccio, cercando di rassicurarmi. «Sono sempre dell'idea che non saresti mai dovuta entrare qua dentro» disse, a voce bassa. Aveva un tono rassegnato, che sapevo nascondere più di quanto lasciasse intendere. Tutto in lui era così: c'era sempre un doppio fondo, un significato nascosto. Lo guardai in volto, sebbene cercasse di evitare il mio sguardo. Lo osservai contrarre la mascella e chiudere gli occhi, aspettando che concludesse il suo discorso, ma non lo fece. La frase che aveva pronunciato rimase lì, sospesa fra di noi come un velo soffocante.
«È piacevole vedere che andate tutti d'accordo, ma non abbiamo ancora risolto il nostro problema, mi sembra.»
Ci voltammo tutti verso Phil, che se ne stava ancora in piedi accanto al divano e alla presenza quasi impalpabile della moglie. Aveva uno sguardo duro, come se quell'improvvisa dimostrazione d'affetto fra i suoi protetti non fosse altro che una perdita di tempo, ai suoi occhi. Probabilmente era davvero così.
Ewan si aprì in una risata artificiale. «È forse un problema risolvibile con la logica?»
Lo zio inarcò un sopracciglio. «Possiamo predisporre la nostra strategia. Cercare degli alleati. Valutare... i nostri assi nella manica.»
L'espressione del ragazzo tornò dura come pietra. Come quando, poco prima, gli avevo per sbaglio fatto la stessa proposta. «Non vorrai...»
«È l'unica possibilità che abbiamo. Devi fare uno sforzo.»
«Sforzo? Ma ti rendi conto di quello che dici?»
«Dovrai sempre uccidere, Ewan. Che tu lo faccia con i tuoi coltelli o con i tuoi poteri, questo non cambia la sostanza dell'azione.»
Ewan si fece pallido di colpo, come se gli fosse tornato alla mente un ricordo spiacevole. «La voce...» sussurrò. Indietreggiò di qualche passo, scontrandosi con il tavolino del salotto. Lo guardai preoccupata e furiosa con Phil. Che Ewan odiasse usare i suoi poteri era un dato di fatto, me l'aveva confessato solo pochi minuti prima. Ero stata stupida a parlargliene, l'avevo visto trasformato, fuori di sè. Sapevo che aveva paura di tornare quello che era stato. Aveva paura di non riuscire a contenersi. Possibile che suo zio, che avrebbe dovuto conoscerlo molto meglio di me, non capisse la differenza? Ewan non temeva di dover uccidere. Se fosse stato necessario per salvare la sua famiglia avrebbe ucciso persino se stesso. Temeva di sbagliare, di ferire le persone che amava.
Kenneth si pose subito fra i due Blackwood, irato. «Possiamo farcela anche senza ricorrere a tanto. Dobbiamo. Maledizione, non possiamo darla vinta ai Jones, nè costringere Ewan a fare ciò che non vuole!»
«Oh, e come credi di fare? Ti metterai sul tetto della casa con il tuo arco? E quando avrai finito le frecce? Andiamo, Kenneth, non essere sciocco. Sappiamo tutti la verità.»
Juliette puntò un dito sul petto dello zio con forza, spingendolo indietro. Aveva le guance rosse, tanto da nascondere le macchioline scure delle sue lentiggini. «Non dire idiozie. Da secoli cercano di distruggerci, e noi gli abbiamo sempre impedito di farlo. Noi Blackwood ci rialziamo sempre dalle nostre ceneri, le usiamo come fertilizzante per far crescere le nostre spine. Non vinceranno nemmeno questa volta.»
Lily si schiarì la voce. «Vostro zio non vi ha detto tutta la verità.»
Juliette spalancò le braccia, ricambiando lo sguardo ostile di Phil. «Ma bene. E quando avreste intenzione di farlo?»
«Quando ritroverai le tue buone maniere, ragazzina! Porta rispetto, siamo pur sempre i capofamiglia, qui dentro. E qualsiasi insubordinazione verrà punita» tuonò Phil, spingendo brutalmente la ragazza via da sé.
A quel gesto Juliette sbuffò irritata, mentre Ewan sembrò rianimarsi.
«Non meriti il tuo titolo, nè l'autorità che esigi. Ma okay, continua a fingere di essere il capo e di avere tutto sotto controllo. Noi combatteremo al massimo delle nostre forze. Ma non prendere in considerazione i miei poteri. Non li userò più, anche se fossero la mia ultima possibilità di sopravvivenza. Non lo ripeterò un'altra volta.»
Phil fece un verso stizzito. «Questo lo vedremo.»
«Lo vedrai.»
«Quanto sei sciocco. Potresti sterminare i nostri avversari in poco tempo. Ma no, in realtà tu pensi solo a te stesso, come faceva tuo padre. Hai ereditato il suo stesso egoismo, non c'è dubbio...»
Al sentire nominare il genitore il corpo di Ewan si tese come una corda di violino e il ragazzo si portò di scatto una mano al torace ferito. L'agitazione a cui lo stavano sottoponendo avrebbe soltanto rallentato la sua guarigione.
Non riuscii più a restare zitta. «Ma si rende conto di quello che sta facendo?» sbottai.
Phil mi squadrò dall'alto al basso. «Tu sei l'ultima persona qui ad avere diritto di parola, ragazzina.»
«Basta.»
Mi voltai verso Ewan, ancora immobile accanto a me. Avevo immaginato che alle provocazioni di Phil gli sarebbe saltato al collo, ma in realtà non si era mosso di un centimetro. Che fosse per il dolore al torace o per qualche altro motivo a me estraneo, non mi era dato saperlo.
«Ma, Ewan, l'hai sentito...»
«Ho sentito. Phil è soltanto furioso per le mie decisioni. Ha dichiarato guerra ai Jones convinto che io avrei usato in tutta tranquillità le mie capacità, ed ora si ritrova disarmato e in svantaggio. Non è forse così, zio?»
«Sei solo uno stupido bambino. Non sei mai cresciuto.»
«E tu sei sempre l'uomo senza scrupoli che conosco dalla nascita. Ma questo non cambia nulla. Le parole di Kenneth e Juliette non cambiano. Noi possiamo farcela. In qualche modo, possiamo farcela. Dobbiamo soltanto trovare una soluzione.» Guardò tutti i presenti per qualche secondo. Aveva occhi simili a pietre fredde, diamanti verdi dai bordi taglienti, che incidevano sulla nostra pelle parole di accusa. L'avevano distrutto tanto tempo prima, avevano spezzato la sua anima, cercando poi di ricostruirla con i pezzi rimanenti. Erano rimasti dei vuoti, come crepe nel vetro. Ma non tutti se ne rendevano conto. Recitava bene la sua parte. Ma ora non era più sul palco. Non era in pubblico. Non aveva bisogno di fingere.
Si voltò. Lo sentii camminare verso la cucina e, senza stare troppo a pensarci, lo seguii a ruota. Quando si trattava di lui, come al solito, le mie azioni non avevano una spiegazione. Sentivo solo di non doverlo lasciare solo. Riuscii a scambiare uno sguardo con Amber prima di uscire, e la vidi sorridere. Solo lei poteva trovare il lato luminoso nel buio più assoluto. Quella ragazza sarebbe stata capace di sorridere anche sulla soglia dell'Inferno.
In qualche modo la sua positività mi diede la forza di proseguire, di raggiungere Ewan in cucina, dove era andato a ripararsi. Cercai di non pensare troppo ai coltelli che albergavano i cassetti sotto alla credenza per non cedere alla tentazione di tornare indietro.
Tuttavia, la cucina sembrava deserta. Il lampadario era spento e l'unica fonte di chiarore nella stanza era la luce dei fulmini, che continuavano ad abbattersi all'esterno con la loro forza distruttiva. «Ewan...»
«Qua sotto.»
Abbassai lo sguardo e mi accucciai sotto alla penisola che troneggiava in mezzo all'ambiente. Il ragazzo era lì, appoggiato con la schiena alla base del bancone, la testa leggermente reclinata all'indietro. Sembrava che mi stesse aspettando.
«Ti ho obbligata a venire, sì. Non farne un dramma» borbottò lui, rispondendo alle mie domande implicite.
Aggrottai la fronte. «Non mi piace essere manipolata. Sono anch'io una Guardiana, fino a prova contraria.»
«Oh, lo so» fece lui, con una risata amara. «Ho cercato di tenerti lontana dalla tua vera natura, ma a quanto pare non si può cambiare ciò che il destino ha già deciso. Ma non voglio tornare su questo argomento, ormai mi sono arreso all'inevitabile.»
«Arreso? Mi lascerai diventare come voi?»
Fece una smorfia. «Solo un pazzo vorrebbe essere come noi. Amber è costretta a vivere una vita che disprezza. Kenneth sente la mancanza dei suoi genitori e della sua terra, anche se finge il contrario. Juliette si è sempre presa tutte le responsabilità delle mie azioni, ha rimediato ai miei sbagli quando non ero abbastanza in me per farlo, mi ha trattenuto nel mondo dei vivi, ed ora ha paura di pensare a se stessa. E poi ci sono io.» Rise ancora. «Un fallimento su tutta la linea.»
«Non lo sei. Sono state le circostanze a cambiarti, a renderti ciò che non sei. Ma tu sei riuscito a redimerti. Se fossi stato un mostro non avresti mai rifiutato la proposta di Phil...»
«Non capisci, vero?»
Rimasi con la bocca socchiusa, bloccata a metà frase. Quella domanda mi aveva colta alla sprovvista. «Cosa?»
«Io...» Sospirò. «Io non posso rifiutare. Posso dire a mio zio che non sono d'accordo, ed io non sono d'accordo, ovviamente, ma non posso essere sicuro che riuscirò a trattenermi. Mi hai visto. Quando ho ceduto, durante la punizione, ero immerso in una battaglia. Certo, non pensavo che il mio comportamento si sarebbe ripercosso all'esterno della visione, ma cosa mi assicura che non succederà anche nella realtà?»
«Non succederà.»
Ewan si portò le mani al viso con un lamento. «Dannazione, May, non mi conosci affatto! Come puoi esserne così sicura?»
"Già, come?" Mi morsi le labbra, pensando ad una risposta che non risultasse troppo sciocca. Alla fine, però, mi limitai a dire la verità. «Non ti conosco come ti conosce Kenneth, né come ti conosce Juliette. Non ho idea di quello che devi aver passato, se non attraverso la mia immaginazione. Però ho visto i tuoi ricordi. Ho sentito il tuo dolore come se fosse il mio. Ho provato le tue stesse emozioni. So che non puoi essere cambiato radicalmente, da quei tempi. Tutto quello che hai fatto, anche quando mi hai... ferita» la mia voce si fece più acuta su quella parola «l'hai fatto per proteggere me e gli altri. Anche se forse sono stata troppo stupida per darti ascolto...»
«Lo sei stata» mormorò Ewan, senza guardarmi. La sua voce, così pacata e profonda, mi bloccò per un attimo il respiro.
Mi rimproverai mentalmente per essere così facilmente influenzabile. «Non me ne pento.»
I suoi occhi saettarono verso il mio viso, sbalorditi. Spiccavano come lampadine colorate sul pallore del suo viso e sul nero dei capelli, ancora più disordinati del solito. Era stata una giornata lunga, troppo. Eravamo stati rapiti, torturati, quasi uccisi. Ed ora ce ne stavamo nascosti sotto ad un tavolo, sconvolti dalle nostre stesse parole. E dai nostri bizzarri sentimenti, almeno per quanto mi riguardava.
Distolsi lo sguardo, portandolo sulle mie mani incrociate. Mi imbarazzava soltanto pensarci. Se prima ero rimasta delusa per il modo in cui il nostro discorso era finito, ora non avevo la benchè minima voglia di riprenderlo. Non ero solita ad esprimere le mie emozioni, né ad accettarle. Non ero estroversa, aperta o chiacchierona. Non lo ero nemmeno con me stessa.
Una terza mano si introdusse nel mio campo visivo, districandomi le dita nervose. «Mi dispiace.»
Tornai a guardarlo, confusa. Ewan aveva gli occhi socchiusi e le ciglia gli adombravano le occhiaie già scure. «Ti dispiace?»
«Sì.» Sollevò la mia mano destra e si portò il dorso alle labbra, con delicatezza. Per poco non lanciai un gridolino stupito, mentre un brivido mi scuoteva il corpo. Arrossii ulteriormente, sempre più imbarazzata. La sua vicinanza non mi faceva affatto bene.
«Mi dispiace di non essere riuscito nel mio intento. Di non essere riuscito ad allontanarti in tempo da questa situazione. Di essere quello che sono. Di farti questo effetto.»
«Non mi fai nessun effetto! Prima ho parlato a sproposito» esclamai, a voce fin troppo alta. Accidenti.
Ewan sorrise debolmente, lasciando la presa sulla mia mano. «I tuoi pensieri, May. Corrono come cavalli imbizzarriti.»
«Ignorali.»
«È quello che vuoi?»
«E se anche fosse? So come la pensi sull'argomento, me l'hai detto più volte. Sarò stata anche sotto l'effetto di chissà quale sostanza ma ricordo tutto, Ewan. Ricordo la tua espressione, quando...» Mi nascosi il viso fra le mani, sconvolta dalle mie stesse parole. Cosa stavo dicendo? Dov'era finita la mia dignità? Mi stavo lagnando di non essere ricambiata da un ragazzo che aveva fin troppi problemi per la testa e che, sicuramente, mi vedeva solo come una protetta. Ero patetica.
«May...»
«No. Lasciami perdere, ok? Non è nulla di importante. Ora voglio solo aiutarvi. Voglio imparare a difendermi in battaglia. Non devo pensare ad altro» dissi con decisione, forse più apparente che reale. Faceva male fingere di avere una mente isolata dal resto del corpo, isolata dal cuore. Mi sembrava quasi di essere tornata prigioniera, sola e al buio.
Ewan rimase a fissarmi per qualche istante, con uno sguardo indecifrabile. «Ti ho condotta qui per questo. Volevo avvisarti che domani comincerai ad allenarti, per quanto sarà possibile in così poco tempo. Non possiamo permettere che ti catturino ancora.»
Annuii. Era giusto così. Maestro e allieva, saremmo stati solo quello d'ora in poi. Solo quello. Mi conficcai le unghie nei palmi delle mani. «Allora vado.»
«Solo se è quello che vuoi.»
«Ewan, accidenti, perché devi comportarti in questo modo?» sbottai. «Credi... credi che sia facile per me?»
Lui sospirò, passandosi le mani fra i capelli. «No, e vorrei solo che... Dio, non lo so nemmeno io. Non mi piace essere la causa della tua sofferenza. Mi fa sentire uno schifo. Sto cercando di capire come potrei aiutarti senza peggiorare le cose.»
«Non puoi, Ewan! Non senza che tutto questo peggiori.» Ormai non stavo più nemmeno provando a mantenere un tono di voce neutrale. «E ora è meglio se...» Le mie ultime parole furono soffocate dalle bende sul suo petto. Mi stava abbracciando.
La situazione mi ricordava in modo terribile il giorno del bosco e ciò che esso stava a significare. Ma aveva davvero importanza? Forse bastava restare in silenzio e non pensare.
«Resta qui, solo per questa notte. Il ritmo dei tuoi pensieri mi rilassa» mormorò Ewan fra i miei capelli.
Chiusi gli occhi. Forse era tutto sbagliato. Forse stavamo incasinando tutto. «Sei il benvenuto nella mia testa.»
Forse, sbagliare non era poi così sbagliato.
Angolo autrice:
Non sono teneri? :3
Come? Sono io ad essere malvagia perché li divido sempre?
Nah, non credo.
Spero che abbiate affilato le vostre armi, perché state per entrare in guerra ;).
Mi🌙
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