Capitolo 47
Domenica 12 febbraio
Ewan
"Cosa aspetti Ewan? Non lo senti? Non senti il potere muoversi nelle tue vene? Desideri versare il suo sangue, vedere il suo corpo immobile al suolo. So che è così, Ewan. Ewan..."
«Lasciami in pace» ringhiai a mezza voce. Stavo muovendo freneticamente le mani nel tentativo di liberarle dalle corde, mentre gettavo occhiate minacciose al ragazzo di fronte a me. Kyle. Quell'idiota doveva essere uscito di testa. Il suo slancio, poco prima, aveva fatto cadere la sedia su cui ero legato da un lato e la parte più larga dello schienale si era spezzata. Con un po' di fatica, mentre mi dimenavo per sfuggire ai pugni di Kyle, ero riuscito a sfilare le braccia da quel pezzo di legno e a farle passare davanti a me. Era stato doloroso, sentivo ancora i tendini delle spalle lamentarsi per lo strappo che mi ero causato nella foga. Tuttavia, quel gesto mi aveva permesso di liberarmi anche dalla presa di Kyle. Una volta portate le mani di fronte a me le avevo spinte con forza contro lo stomaco del ragazzo, che aveva urlato, forse più per la sorpresa che per il dolore. In ogni caso, ero riuscito a rotolare via, armandomi di un pezzo di legno scheggiato sfuggito dalla sedia rotta.
E ora ci stavamo fissando come due animali feroci chiusi nella stessa gabbia, come se fossimo l'uno la preda dell'altro. Come se, fra i miliardi di persone esistenti al mondo, esistessimo solo noi due, noi e le nostre armi. Sentivo già la tensione del combattimento farsi strada nei miei muscoli. Come un velo di nebbia, una maschera di fredda indifferenza mi si era modellata sul viso, nascondendo l'ansia, la paura, la rabbia. Ero carico di adrenalina fino alla punta dei capelli, pronto a scattare al primo movimento del mio avversario.
Ma c'era anche quella voce.
Avevo sperato si sarebbe limitata ai ricordi, che sarebbe svanita con la morte del loro custode, ma evidentemente mi ero sbagliato. Non apparteneva all'Archiviatore. Non avevo idea di chi potesse essere, ma di una cosa ero certo: non dovevo fidarmi di quella voce. Mi aveva indotto ad usare i miei poteri, gli stessi che avevo nascosto per tanto tempo e con tanta fatica, per uccidere un uomo. Un uomo che pensavo fosse solo un fantasma del passato, ma che si era rivelato una persona vera, in carne ed ossa. Ora, quell'involucro vuoto si trovava disteso a pochi passi da noi, inerme, pallido, gli occhi opachi come la lama affilata della Morte. L'avevo disprezzato, e lo facevo tutt'ora, ma non avrei mai voluto ucciderlo, non in quel modo, almeno. Non avrei mai voluto dover ricorrere a ciò che avevo sepolto in fondo alla mia anima.
"Sei così sciocco. Ho soltanto liberato il vero te. La parte migliore di te."
«Oh, no. Non hai fatto solo questo. Hai riportato alla luce un assassino, che avevo imprigionato nel passato, e l'hai aiutato a cospargere di sangue anche il presente!» replicai con veemenza, a voce più alta. Caddi a terra. Mi premetti le mani sulle tempie, cercando di contenere la confusione che infestava la mia testa, come lo sferragliare di catene in una casa stregata.
«Hai detto qualcosa, per caso?» mi urlò contro Kyle. Sentii delle vibrazioni espandersi nel terreno battuto del pavimento e, ancora prima di sollevare lo sguardo, compresi che il ragazzo si era rimesso in piedi. Sentii la violenza dei suoi passi, i tonfi dei suoi anfibi mentre si avvicinava a me. Rotolai di lato, scansando di pochi centimetri un lungo pugnale cerimoniale dalla lama ondulata. Lo osservai conficcarsi al suolo, davanti ai miei occhi. Era un'arma molto bella, una lama d'argento lucido e ben affilata. L'elsa era composta da due volute intarsiate di bronzo, il manico terminava in un pomello di rame. I tre metalli restituivano la debole luce nella stanza con riflessi dai colori mutevoli.
Mi rialzai. Kyle stava estraendo il pugnale da terra ed io ne approfittai per spostarmi a debita distanza. In altre condizioni l'avrei probabilmente attaccato alle spalle, ma non ora. Per quanto la trovassi soddisfacente, la lotta corpo a corpo non era il mio forte. E, senza i miei coltelli da lancio o qualsiasi altra arma, dotato solo di un inutile pezzo di legno marcio, sarebbe stato un suicidio scontrarmi con il pugnale di Kyle. Potevo provare a disarmarlo, forse, ma allora cosa sarebbe successo? Avrei dovuto affrontarlo a mani nude. E, dopo ciò che avevo fatto, non ero sicuro di riuscire a controllare ancora i miei poteri. Tanto più con la voce nella mia testa che mi esortava ad usarli.
«Sono davvero curioso. Perché diamine mi staresti attaccando?» feci alla fine in tono sarcastico, cercando di prendere tempo. Dovevo pensare ad una soluzione.
Kyle si era intanto rialzato, spolverandosi i vestiti neri dalla sporcizia che ricopriva il pavimento. «Perché, mi chiedi? Abbiamo sentito tutti cosa è successo, di sopra. Hai ucciso un Archiviatore!» esclamò, indicando la figura immobile accasciata poco lontano. «Hai ucciso un influente membro del Consiglio, uno appartenente alla cerchia interna. Era un nostro lontano parente, sai? Un Jones purosangue. E tu... tu, lurido Blackwood...»
«Sei stato abbastanza chiaro. Non c'è bisogno che tu ripeta le stesse cose come un vecchio grammofono inceppato.»
Kyle si fece rosso in viso e, furibondo, si mosse nella mia direzione a grandi passi. Io cominciai a spostarmi di lato, in modo da allungargli il percorso poco alla volta. «Senti, non c'è motivo per cui tu debba avercela con me. Quel che è fatto è fatto. Scommetto che non lo conoscevi nemmeno, quell'uomo.»
«Era un Jones. Non importa altro.»
«Oh, sì, il sangue. Il sangue è tutto ciò che conta, non è vero? Esegui gli ordini di tuo padre come se fossero il volere di un Dio, perché condivide le tue stesse origini. Ma ti sei mai fermato a pensare alla realtà dei fatti? Tu, cosa ci guadagni tu in tutto questo?»
«Tengo alto il buon nome della famiglia, estirpando dal Consiglio le erbacce come te.» Le parole di Kyle erano solenni, ma il suo tono si era fatto meno deciso. Anche la sua camminata era più lenta, ora. Sembrava stesse davvero riflettendo sulle mie parole, cosa che mi sembrava quasi irreale. Non credevo nemmeno fosse capace di pensare con la sua testa.
«Questo è ancora ciò che ti chiede di fare tuo padre. Non ciò che vuoi tu» replicai. Conoscevo la storia di Kyle. Sapevo che era stato adottato, che veniva sfruttato da Alistair come una specie di sgherro al suo servizio. Gli affidava il lavoro sporco, lo comandava a bacchetta, gli imponeva i suoi ideali da tutta una vita. Dovevo fare leva sulla sua rabbia, il suo rancore nei confronti del capo dei Jones. «Cosa vorresti tu, Kyle?»
Gli occhi del ragazzo si velarono. Quando parlò, non sembrò rivolgersi a me, nè a nessun altro, se non a se stesso. «Cosa vorrei... Vorrei capire perché continuo a sbagliare, qualsiasi cosa faccia. Perché non sono mai abbastanza. Perché la libertà, con le sue false promesse, sembra sempre così irraggiungibile, quando hai le manette intorno ai polsi.» Lo vidi chiudere gli occhi per un istante. Il braccio armato gli ciondolava lungo un fianco, il pugnale mollemente sorretto fra le sue dita. Sembrava infinitamente più giovane, ora. Come se si fosse liberato da un peso.
Tuttavia, la calma durò poco, come sempre. I suoi occhi neri si riaccesero, animati dalla loro consueta scintilla di odio. Mi ritrovai il pugnale alla gola ancora prima che potessi decidere di muovere un passo, sempre ammesso che volessi farlo. Ero stanco di scappare. Ormai, ne ero certo, non avevo speranze. Non avevo modo di sfuggire a quella situazione.
«Sei davvero un idiota» gli sibilai, mentre la punta della lama mi sfiorava la pelle del collo in un arco di fuoco.
Kyle ridacchiò. «E tu presto sarai solo un mucchietto di polvere, Blackwood. Le tue ultime parole, angioletto?»
Ci mancava che si mettesse a recitare la parte del giustiziere. Non ero affatto in vena di scherzi, il che è tutto dire, quando si parla di me. In quel momento, sentivo soltanto un senso di vuoto all'altezza del petto e mi sembrava che il sangue si fosse fatto di ghiaccio. Sentivo freddo persino nelle ossa, un freddo interno e irreparabile. No, la paura non mi apparteneva, non allora. Incredibilmente, ero calmo. La calma piatta prima di una tempesta.
"Ewan."
La voce. Sembrava essere intenzionata a non darmi pace, nemmeno nell'ora della mia morte. Avrei preferito una compagna migliore per il mio viaggio nell'oltretomba.
"Ewan. Smettila di ignorarmi e di comportarti da eroe. Non lo sei. Suvvia, la bontà è così banale. Se lo chiedessi a qualcuno, tutti sceglierebbero il bene. Ma non tu, Ewan. Il bene non fa per te. Tu sei ben altro, sei l'ombra che si muove nella notte, il luccichio della lama mentre fende l'aria, in attesa del sangue. Sangue colpevole, sangue innocente. C'è differenza? È sempre sangue, Ewan. Rosso, denso e caldo. L'hai già versato. Puoi farlo ancora."
«No...» mormorai, stringendo gli occhi.
«Cosa, scusa?»
Cercai di ignorare il tono ironico di Kyle e di concentrarmi sulla voce. Non dovevo farle prendere il sopravvento. La sentivo, più forte di prima, premere ai margini della mia mente. Dovevo bloccarla.
"Ewan, Ewan, Ewan. Come puoi fermare ciò che è dentro la tua testa?"
«Tu non sei me.»
«Ewan, che diavolo stai blaterando?» Mi resi a malapena conto che Kyle aveva allentato la presa sul pugnale, probabilmente per lo stupore, o forse perché non era mai stato convinto delle sue azioni. Di sicuro, non dovevo essere un bello spettacolo, mentre parlavo da solo, con le mani affondate nei capelli. Dalla gola mi salì una risatina isterica che non riuscii a frenare e che andò a completare il quadro della mia imminente pazzia.
Il ragazzo mi afferrò per il colletto della maglia e mi scosse un paio di volte. Riportò l'arma in posizione. «Tu hai qualche problema, amico» borbottò, confuso, palesemente nervoso. Gli imprevisti non gli piacevano, non sapeva mai come reagire. Lui seguiva degli ordini, in modo schematico, lineare. Delle falle nel piano potevano far affondare l'intera missione.
«Molti, molti problemi» sussurrai. Stavo sorridendo, lo sentivo attraverso i muscoli delle guance, ma non ne ero del tutto conscio. Mi sembrava di essere stato espulso dal mio stesso corpo.
"Dovrai abituarti a convivere con me, Ewan. Hai bisogno di me."
Strinsi i denti, mantenendo tuttavia l'espressione folle che mi si era dipinta in volto. Qualcuno mi stava manipolando, ne ero certo. Come quando mio zio mi obbligava a seguire i suoi ordini, ma in modo più intenso, più tenace. Il proprietario della voce. «Lasciami in pace.»
"Ne abbiamo già parlato, Ewan. La mia scomparsa non cambierà le cose. Io sono qui solo per farti aprire gli occhi."
«Vattene!» gridai di colpo. Kyle incespicò all'indietro, portando entrambe le mani davanti a sé con fare difensivo. Aveva gli occhi scuri spalancati e un'espressione sconvolta. «Si può sapere cosa ti prende, Blackwood? Ti sei fumato il cervello?»
"Esatto, perché ti agiti, Ewan?"
«State zitti» ringhiai, in direzione di entrambe le voci. Forse stavo davvero diventando pazzo. Aiutandomi con il pezzo di legno che avevo ancora in mano tentai di allentare le corde che mi legavano i polsi. Tirai fino a scorticarmi la pelle a sangue. Fulminai Kyle con lo sguardo. «Liberami.»
Il ragazzo rise, anche se mantenendosi a distanza di sicurezza. Sì, dovevo avere un aspetto inquietante. «Perchè dovrei?» disse. «Sei completamente fuori di testa, un pericolo pubblico.»
«Allora fa' quello che ti dico, prima che ti uccida sul posto» contrattai, stupendomi subito per la mia stessa proposta. Spalancai gli occhi, allarmato. Stavo perdendo il controllo.
"Rilassati. Lascia fluire il potere."
Non l'avrei fatto. Non dovevo farlo. Dovevo provarci, almeno.
"Non hai modo di combattermi. Non mi conosci, ma sono molto più forte di te, ragazzino. Segui il mio consiglio: rilassati."
Sentivo già l'energia scorrere nelle vene, attraverso i nervi, una sinapsi dopo l'altra, fino al mio cervello. La mia mente era in attesa, senza che lo volessi davvero. Dovevo... resistere...
"Rompi le catene che ti tengono schiavo. Tu sei più potente di lui. Più dei tuoi nemici."
Qualcosa in me scattò. Il mio corpo si muoveva, un passo prima della mia ragione. Mi buttai sul pugnale di Kyle, slanciando i polsi in avanti. Lui indietreggiò, nonostante fosse in vantaggio su di me, essendo armato, ma tenne la mani di fronte a sé. Riuscii a tagliare velocemente le corde con un solo strattone, per poi spingere Kyle lontano da me. Non avevo la percezione del mio corpo e non mi preoccupai di misurare la mia forza.
Il ragazzo venne sbalzato dall'altra parte della stanza, contro la porta cedevole. Inciampò sui suoi stessi piedi, cadde a terra, si appoggiò al muro. Si stava allontanando, notai, e mi fissava come se avesse davvero paura di me. Cosa vedeva, davanti ai suoi occhi? Ero ancora io, o mi ero trasformato nella persona che mi stava manovrando? Mi sentivo così distante. Distante anni luce, da tutto e da tutti.
In quel momento udii un rumore improvviso e nella stanza penetrò della luce, debole, instabile. Sembrava che la porta si fosse staccata dai propri cardini per lasciare il posto alla soglia stessa dell'Inferno, lasciando così entrare lo sfarfallio rossastro delle fiamme e le lunghe ombre delle anime perdute.
Fissai quelle due figure, gli occhi troppo abituati alla penombra per scorgerne per bene i dettagli. Sentivo il peso di due sguardi sulla pelle, bruciavano come marchi di fuoco, mi facevano girare la testa con la loro intensità. Sul mio viso, però, il sorriso non se n'era mai andato. Anzi, stavo ridendo. Sentivo la mia risata rimbombare contro le pareti, laconica, amara. Lo strazio di quel suono era in armonia col dolore scaturito nel mio petto.
«Ewan...»
Sì. Conoscevo bene la persona che aveva pronunciato quella parola, così semplice eppure così piena. La conoscevo, e il fatto che si trovasse lì, con me in quelle condizioni, non mi faceva affatto piacere. "May, va' via" pensai. "Salvati."
La voce tuttavia mi zittì all'istante, prima ancora che potessi comunicarle una sillaba. "Non pensare a lei. Lei non è nulla, per te."
"Tu non puoi capire..."
Kyle interruppe il mio dialogo muto, segnalando la sua presenza. Notai che mi stava indicando, con un mezzo sorriso sulle labbra sottili e gli occhi sgranati. «Oh, che bello, è arrivato anche il resto della comitiva» stava dicendo, mentre rideva in modo isterico. «Sapete, credo che abbiate appena firmato la vostra condanna a morte.»
May mi fissava, così come il suo accompagnatore. Miles. Era lì, dietro di lei, impeccabile nei suoi vestiti puliti ed eleganti. Doveva essere stato lui a salvarla, quasi sicuramente avevano imprigionato anche lei, dopo averci sequestrati. Avrei voluto rassicurarli, scappare con loro, ma, ad essere sinceri, non c'era nulla di positivo che potessi dire. Non ero in me. Qualcun altro, non io, stava sorridendo verso di loro con tutta l'aria di volergli strappare il cuore dal petto. Non ero io nemmeno quando scattai in piedi, e poi in avanti. Non ero io, quello che cercava di ucciderli.
Fui grato a Miles quando si posizionò fra me e May, vedendomi avanzare. Forse fidarmi di lui non era stata una cattiva idea, al contrario di come mi ero più volte ripetuto negli ultimi giorni. Le stava facendo da scudo, la stava proteggendo, esattamente come avrei dovuto fare io.
Ecco. Non lui, ma io. Ero io quello di cui non doversi fidare.
Sentii le mie gambe muoversi, i muscoli tendersi. Sentii l'euforia dello scontro. Mi lanciai contro Miles ancora prima di rendermene conto, gli saltai al collo e cercai di soffocarlo a mani nude.
Miles non era molto più alto di me, ma sicuramente più robusto e con più
esperienza. Inoltre, io stavo agendo sotto controllo di una mente esterna, il che conferiva ai miei gesti un'evidente imprecisione. Non fu difficile per lui bloccarmi i polsi e costringermi a mollare la presa. Cercai di collaborare, per quanto mi riuscisse, e alla fine, fra calci e pugni, lui riuscì a farmi distendere a terra.
Tutto ciò che udivo era attutito, come se venisse da lontano, ma potei percepire la voce di Miles chiamare May e chiederle di aiutarlo a trattenermi. Mi salì il panico. «N-Non avv-vicinarti. Non è... non è sicuro» farfugliai a fatica. Parlare mi era tanto più difficile quanto più cercavo di ribellarmi al volere della voce. E lei voleva solo sangue, sangue e ancora più sangue.
Girai la testa di lato, quel che bastava per scorgere la chioma riccia di May e i suoi occhi scuri pieni di preoccupazione. Non avrei mai capito come facesse quella ragazza a continuare a temere per la mia vita, ma, in fondo, nonostante sapessi che era sbagliato, mi faceva piacere. Scossi la testa, gemendo per il dolore.
«Riprenditi, Ewan. Noi siamo qui per te. Lasciati aiutare» mi sussurrò Miles.
«Scappate. È meglio per tutti.» Le parole mi uscivano più facilmente, ora. L'influenza della voce si stava allentando.
«Ewan.» Percepii un fruscio, poi la mano di May si posò sulla mia guancia, trasmettendomi una gradevole sensazione di refrigerio. «Ti porteremo via con noi. Qualsiasi cosa accada.»
«Sei sempre così testarda...»
«Mai quanto te.» Uno scintillio nella penombra, il lampo di un sorriso. Mi stava sorridendo. Perché, perché non mi odiava?
«Non dovresti preoccuparti per me.»
«Vorrei evitarlo, credimi. Lo vorrei» mormorò. Forse pensava di non essere udita, o forse non era del tutto conscia delle proprie parole.
In quel momento, tuttavia, le forze mi abbandonarono del tutto. Fu come cadere nell'acqua sapendo che, per quanto sia pericoloso chiudere gli occhi, nonostante ci sia il pericolo di affogare, alla fine potrai tornare a respirare. Allo stesso modo l'oscurità mi avvolse, ma in ogni angolo di buio, ora, potevo scorgere la promessa della luce.
Angolo autrice:
Grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui. Le cose si stanno movimentando e presto si arriverà ad una svolta. Spero continuerete a seguire May e gli altri fino alla fine e che il capitolo vi sia piaciuto.
Mi🌙
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro