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Capitolo 13

Venerdì 3 febbraio

Ovviamente, dato l'inizio 'positivo' della giornata, il viaggio di ritorno fu un completo disastro. Proprio mentre rientravamo in paese scoppiò un temporale, e la già precaria fiducia che avevo cominciato a provare nei confronti dell'aggeggio infernale su cui ero seduta e del suo pilota scemò del tutto.

«Stai attento alla curva, la strada è scivolosa!» strillai, vedendo che la moto stava per partire per la tangente, portandoci dritti contro uno degli alberi sul limitare del bosco.

«Ti ho già detto di non preoccuparti» mi ribadì Ewan, sterzando improvvisamente per tornare in carreggiata. «Vedi, nessun problema. Smettila di gridarmi nelle orecchie.»

Io sbuffai, mentre cercavo di scostarmi dal viso una ciocca bagnata di capelli senza usare le mani, che tenevo spasmodicamente ancorate alla giacca di pelle di Ewan. Niente da fare. I capelli mi rimanevano incollati alla pelle come una ragnatela umida e appiccicosa, così come i vestiti. Ormai ero completamente fradicia, e da bravo cavaliere Ewan non aveva minimamente accennato a fermarsi per prestarmi il suo giubbotto...

Lo sentii ridere. «Mi dispiace, ma ho fretta. Mi farò perdonare.»

«Non credo proprio che ci riuscirai. E comunque se mi verrà la polmonite sarà colpa tua, ricorda.»

«E il tuo spirito infesterà la mia casa per l'eternità, ho capito. Senti, se volevi una scusa per restare per sempre con me bastava dirlo. Non c'era bisogno di...»

«Ti consiglio di smetterla. La pioggia mi rende nervosa e non vorrei finire in prigione per omicidio, grazie.»

Rise ancora, ma non commentò. Si limitò a scuotere la testa, schizzandomi di goccioline di pioggia.

Mi sfuggì un gridolino imbarazzante. «Ok, ci ho ripensato. Meglio la prigione.»

«Effettivamente, lì saresti più al sicuro.»

Aprii la bocca per replicare, ma mi resi conto che questa volta sembrava serio. Era tornato al tono cupo di poco prima, quando eravamo usciti dal pub. Aggrottai la fronte. «Puoi dirmi perchè hai così tanta urgenza di tornare a casa?»

«Mmm» rispose.

«Ewan...»

«May, non ho tempo di spiegartelo. In poche parole, i miei zii sono tornati e Juliette ha vuotato il sacco.»

«Ovvero?»

«Tutto quello che sto facendo contro il loro volere. In realtà, l'ha fatto per prendersi le sue responsabilità, dicendo di essere stata lei a cominciare, organizzando la festa a casa nostra e via dicendo, ma non è riuscita a nascondere il mio coinvolgimento nella questione. Comunque, ne sarei andato di mezzo in ogni caso. Phil pensa che io non riesca a tenermi fuori dai guai per più di un'ora, quindi...» Alzò le spalle.

Rimasi esterefatta. «Mi...mi dispiace» mi limitai a dire. Sapevo che la colpa era principalmente mia, anche se non potevo proibire ad Ewan di fare di testa sua. Nessuno poteva, era testardo come un mulo.

Una risata amara gli scosse la schiena. «Non dispiacerti, se non avessi aiutato te avrei sicuramente fatto qualcos'altro che l'avrebbe fatto arrabbiare. È normale, fa parte del nostro rapporto. Si diverte a punirmi. Anche se...» Abbassò la voce, come se stesse parlando unicamente con sé stesso. «In fondo mi merito anche più di questo. Nessuna punizione al mondo basterebbe...» Si interruppe, rendendosi conto di non essere solo, o di essere andato troppo oltre. «Però, se proprio vuoi riscattarti per il danno che mi hai causato, potresti stare zitta e smetterla di lamentati per il mio stile di guida» concluse il discorso, ridacchiando.

In un'altra situazione avrei risposto alla sua provocazione, ma non stavolta. Nessuna punizione basterebbe... Basterebbe per cosa? Cosa aveva fatto di così grave? Ricordai le voci che mi aveva riferito Claire, sul suo improvviso trasferimento a causa di qualcosa di illegale che aveva fatto. Non ci avevo creduto, all'inizio. Si sa, i pettegolezzi raramente hanno un fondamento. Ma... possibile che fossero veri stavolta? Durante la rissa nel bar aveva dato prova di essere abituato a situazioni del genere...

«May, non farlo» mi ordinò lui, perentorio.

Finsi di non capire. «Non fare cosa?»

«Non indagare sul mio passato. E non è solo un consiglio, chiaro? È un ordine. Non cercare di capirmi, non potresti, e non voglio nemmeno che tu ci riesca.»

Feci una smorfia infastidita. "Non capisce che dicendo così mi invoglia soltanto a sapere di più?"

«Oh, certo. Perchè il tuo istinto di sopravvivenza è inesistente, dimenticavo.» Frenò di colpo, facendomi sbattere la testa contro la sua schiena. Mi guardai intorno. Un sentiero di sassolini bianchi, resi lucidi dall'acqua, si distendeva sotto di noi, circondato da alte siepi. Eravamo nel vialetto di casa sua. Pensavo mi avrebbe riportata a casa prima di affrontare i suoi zii, ma evidentemente me la sarei dovuta fare a piedi...

«No, tu vieni dentro con me. Vogliono conoscerti» disse freddo.

Rabbrividii. Qualcosa nella sua voce non mi convinceva. «E tu non vuoi che accada, giusto?»

«Giusto. Ma me lo hanno imposto e finchè vivo sotto il loro tetto devo obbedire» disse, ridendo come se avesse appena raccontato una barzelletta. Dal suo tono sembrava che il termine obbedire fosse una parolaccia.

Mi morsi le labbra preoccupata. Avevo paura, sì. Avevo paura di venire analizzata come un animale da laboratorio, una specie rara ma la cui vita non era indispensabile. Una semplice curiosità, nulla di più. Un esperimento: poteva andar bene o male, nessuno di loro avrebbe pianto la mia morte. Sarebbero solo stati un po' dispiaciuti di aver perso un nuovo giocattolo... ma niente di grave.
«Tu non puoi rifiutarti, ma io potrei fuggire» riflettei ad alta voce.

Ewan annuì, lentamente. «Puoi farlo. E vorrei...» si portò di scatto una mano alla fronte, aggrottando le sopracciglia, ma riprese a parlare prima che potessi chiedergliene il motivo. «Vorrei che tu lo facessi.» Mi prese per le spalle e mi guardò negli occhi. I suoi erano l'unica nota di colore nel grigio della pioggia. I capelli gli incorniciavano il viso ed erano talmente neri da sembrare le ali di un corvo. Gli davano un'aria minacciosa e fragile al tempo stesso, mentre le gocce gli rigavano le guance come lacrime...

«Scappa May. Te lo consiglio. Appena metterai piede in casa loro capteranno i tuoi pensieri e verranno a sapere dei tuoi incubi.»

«Ma io... non li sto più avendo ultimamente. Dopo che tu mi hai aiutato.»

Socchiuse gli occhi. «È questo il problema. È questo che potrebbe rovinarti la vita.»

Tremavo. Avevo una paura folle, ma sapevo che era immotivata. Era colpa di Ewan che cercava di spaventarmi, sicuramente. Non credevo che il semplice venire a conscenza del mio problema potesse costringere i suoi zii ad uccidermi...

«Ci sono cose peggiori della morte, May. E io lo so, lo so bene.»

«Mi stai spaventando...»

«Ed è giusto così. Se te ne andrai ora, potrai continuare con la tua vecchia vita. Ti aiuterò come mi sarà possibile, e rimarrai lontana dal mio mondo. Entra in casa, e non potrai più tirarti indietro. A te la scelta.» Rimase immobile, senza espressione, di fronte a me. Sembrava quasi una statua di marmo.

Cosa dovevo fare? Da un lato, le avventure non facevano per me. Non volevo essere esaminata e non volevo trasformare la mia vita, mi piaceva così com'era, tranquilla, normale. Adoravo la semplicità di mia zia, l'amicizia di Claire. I cambiamenti mi mettevano sempre una certa ansia.

Ma dall'altro lato... sapevo di appartenere a quello strano mondo più di quanto pensassi. Sapevo di avere qualcosa di sbagliato in me. E sentivo che quel qualcosa mi invitava a proseguire. L'istinto forse... Presi un respiro e afferrai una mano del ragazzo fermo davanti a me. «Ewan... mi dispiace. Sono sicura che hai tutte le ragioni del mondo per avvertirmi, ma... devo scoprire chi sono, e questo è l'unico modo.»

Mi aspettavo che si arrabbiasse, che cominciasse ad urlare. L'avrei capito, se l'avesse fatto. Ma lui non si scompose. La sua espressione divenne solo un poco più dura e la sua mano scivolò dalla mia presa. «Non condivido la tua decisione, ma non posso esprimermi ulteriormente.» Strinse i denti. «Mio zio vuole vederti ora. Andiamo» disse, e si girò verso l'ingresso, senza controllare se lo seguissi o meno. Probabilmente sperava che non lo facessi.

Rimasi al mio posto per qualche secondo, guardandolo salire le scale a passi pesanti. Era rigido, le spalle contratte, come se stesse provando dolore. Non capivo cosa l'avesse fatto cambiare in modo così repentino.

Alzai il viso al cielo, inspirando l'aria frizzante della sera. La pioggia mi bagnava il volto, ma non sentivo freddo. No, i brividi non dipendevano dalla temperatura... ciò che provavo era più simile al gelido tocco del vuoto. Un grande buco vuoto nel petto, che chiedeva di essere colmato. "Lo farò, quando capirò cosa c'è di sbagliato in me mi sentirò di nuovo completa" mi dissi per farmi coraggio. Ed entrai.

La casa era rimasta la stessa. Stesse pareti bianche, stesso stile moderno ma semplice. La scala a chiocciola si arricciava mollemente alla mia sinistra, come se anche essa, come me, fosse zuppa di pioggia. Solo una cosa era cambiata: i due divani erano occupati da cinque persone, due adulti e due ragazzi, oltre a Juliette.

La donna doveva essere sulla trentina, aveva lunghi capelli lisci e biondi e grandi occhi azzurri, freddi come il ghiaccio di cui sembravano essere fatti. L'uomo - lo zio di Ewan, evidentemente - era moro, e i suoi occhi erano dello stesso colore di una foresta di montagna. Assomigliava molto al nipote, ma aveva dei lineamenti più duri che gli davano un'espressione troppo seria, mai vista sul viso di Ewan. Entrambi rimasero seduti al nostro ingresso, lo sguardo severo rivolto al mio accompagnatore.

Mi si strinse il cuore per il dispiacere. Se la situazione famigliare era così tesa era soltanto colpa mia...

Una voce profonda mi risvegliò dai miei pensieri. Alzando gli occhi incrociai quelli scuri dell'uomo. «No, May. La colpa non è tua. Tu sei davvero una cara ragazza, non sarebbe successo niente di tutto ciò se mio nipote non fosse stato così incosciente...»

«Smettila... di farmi... la predica» balbettò Ewan. Lo guardai in preda alla confusione. Aveva i muscoli tesi come se stesse sopportando uno sforzo immane e quando aveva parlato la sua voce era uscita strozzata, affaticata...

Vidi Juliette agitarsi e tormentarsi le mani. «Phil» intervenne titubante il ragazzo seduto alla sua destra. Doveva avere un anno più di me, aveva i capelli di un rosso scuro, quasi mogano, molto inusuale. Nella sua espressione e nella sua voce era possibile riconoscere un misto di preoccupazione, paura e frustrazione che mi colpì. Era palesemente molto legato ad Ewan, era impossibile dire il contrario. «Non credi che abbia sopportato abbastanza? Ormai ha fatto quello che volevi. Lascialo andare.»

Phil lo fisso per un lungo istante. Era visibilmente infastidito da quell'intervento, ma alla fine si rilassò, appoggiandosi allo schienale del divano. Nello stesso momento, Ewan cadde in ginocchio, tenendosi la testa fra le mani. Il ragazzo coi capelli rossi corse ad aiutarlo, ma quando anche io feci per inginocchiarmi accanto a lui, Ewan mi fece segno di stare indietro, mostrandomi il palmo della mano aperta. Tremava, ma sospettavo che si trattasse di rabbia più che di dolore.

In un lampo, tutto mi fu chiaro. Phil stava tenendo Ewan sotto controllo! Ecco perchè si era comportato in modo così strano prima di entrare, come se fosse un robot. Al bar l'influsso doveva essere stato più debole, consentendogli di liberarsene, mentre ora ne era completamente avvolto, come una marionetta umana. Non potevo credere che quell'uomo potesse far soffrire in tal modo il suo stesso sangue!

Phil mi osservò pensieroso. «La giustizia va inferta sempre, senza distinzioni, mia cara. Se uno sbaglia deve essere punito. Mi congratulo comunque con te per aver capito la situazione così velocemente.»

«Ewan è un ottimo insegnante» replicai, forse un po' troppo acida. Ma ormai era fatta. Non avevo intenzione di fare amicizia con quell'individuo, ed era meglio che lo capisse fin da subito.

Lui rise. «Ragazza, tu non capisci. Qui non significa niente la simpatia. Le alleanze non nascono per amicizia reciproca ma per trarre vantaggi l'uno dall'altro. E tu mi servi a questo scopo. Naturalmente» aggiunse, vedendomi indietreggiare disgustata, «non ti obbligherò a fare qualcosa che tu non voglia. Puoi scegliere. Ma come ho chiesto al mio adorato nipote di comunicarti, ormai fai parte di questo mondo. A meno che tu non decida di collaborare.»

Inarcai un sopracciglio. «Cosa intende dire?»

«Vedi, May... non so quanto Ewan ti abbia detto, ma io non sono dalla parte del Consiglio. No, proprio per niente. Non sono cattivo, credimi. Cerco solo di lottare per ciò che credo sia giusto. Perciò non farò parola di te con gli Anziani, se deciderai di passare dalla mia parte. Non voglio che loro conoscano i miei assi nella manica. Mentre se rifiuterai, beh... loro sapranno di te. E ti assicuro che i loro metodi non sono così pacifici come i miei...»

Respirai una, due, tre volte. Cercai di calmare i battiti impazziti del mio cuore. Ma perchè non avevo ascoltato Ewan? Perchè il mio istinto continuava a mettermi nei guai? "Perchè è così che deve andare" mi rispose la mia coscienza. Che si trattasse del Destino o di qualche piano supremo, non sapevo dirlo, ma quella che avevo intrapreso era la via giusta, ne ero convinta. «Se accettassi di aiutare questa famiglia... sapresti dirmi cosa sono?» contrattai.

Phil sorrise e scambiò uno sguardo con la donna bionda, senza ombra di dubbio la moglie. «Spiegaglielo tu, Lily. Te ne intendi più di me riguardo a queste cose.»

Lei puntò i suoi occhi gelidi bei miei. «Tu hai dei poteri molto particolari. Sì, sono poteri» disse, rispondendo al mio sguardo scioccato. «Molto rari, per di più. Da anni non ne vedo di simili. Tu, ragazzina, sei...»

«No!»

Mi voltai spaventata. Ewan si era rimesso in piedi appoggiandosi alla parete alle sue spalle e aggrappandosi alla camicia dell'amico. Guardava furioso gli zii di fronte a sé, con gli occhi che lanciavano lampi. «Non riuscite a vedere? Siete così ciechi?! Guardatela. È già sotto shock per il modo in cui vi siete comportati, ci manca che ora cominciate a riempirla di nozioni sulla sua identità. Le verrà una crisi isterica fra pochi minuti, se andrete avanti così.»

«Ha ragione. Sento che i suoi pensieri stanno correndo troppo» concordò il ragazzo dai capelli rossi. Mi sorrise timido, quando si accorse che lo osservavo. «Comunque io mi chiamo Kenneth, Kenneth Willer. E lei è mia sorella Amber» disse, indicando la ragazza seduta sul divano. Non aveva aperto bocca, ma con i suoi boccoli color miele e gli occhi ambrati sembrava sprizzare vitalità da tutti i pori. Era vestita molto bene, tutti i colori abbinati fra loro in perfetta armonia. Se avessi dovuto cercare un mio opposto, questa ragazza sarebbe stata in prima posizione.

«Mmm, ciao. Io sono May.» Mi rivolsi ad Ewan. «Comunque, io non sono stanca, davvero. Voglio sapere...»

«Saprai al momento debito. Non te ne rendi conto, ma nella tua mente c'è una tale confusione da far venire il mal di testa perfino a me.»

Mi ricordai improvvisamente delle sue condizioni. Sembrava davvero spossato. «E tu? Tu stai bene?»

Fece un sorriso storto. «Ti dispiacerebbe parlarne in un altro momento?» disse, squadrando i due adulti con una rabbia trattenuta. «Al momento non mi sento in vena.»

«Oh, avrete molto tempo per parlare» ci interruppe Phil. «Ma ora, May, sali pure a darti una ripulita. Sei fradicia. Amber ti porterà qualche vestito, non è vero, cara?»

«Certo zio» rispose la ragazza, facendomi l'occhiolino. Non capivo come facesse ad essere allegra in un momento simile. Io ero a pezzi, mentalmente e fisicamente. In fin dei conti, Ewan aveva indovinato. Non riuscivo più a reggermi in piedi. Ero curiosa, sì, ma avevo atteso a lungo, qualche ora in più non avrebbe fatto nessuna differenza.

«Ok, vado a farmi una doccia» annunciai. Feci per avviarmi verso la scala che portava al piano di sopra, e nel mentre ne approfittai per sussurrare ad Ewan: «Riposati anche tu, chiaro?»

«So badare a me stesso, non preoccuparti.»

Lo guardai scettica. Era stremato, gli occhi cerchiati di rosso, ma la presenza di Kenneth mi rassicurava. Lui l'avrebbe aiutato, ne ero certa.

Salii velocemente i gradini e mi fiondai nel bagno in cui mi ero rinchiusa due giorni prima. Volevo scendere il prima possibile, sia per chiedere chiarimenti a Ewan che per ascoltare la spiegazione di sua zia. Con gesti meccanici chiusi a chiave la porta, mi spogliai e infine mi buttai sotto il getto d'acqua bollente della doccia che avevo precedentemente aperto. Al suo primo contatto con la mia pelle fredda dovetti trattenere un gridolino, ma presto riuscii ad abituarmi alla nuova temperatura.

Sospirai. Gli ultimi giorni erano stati un turbine continuo di eventi, in assoluto i più assurdi della mia vita. E ora, nell'unico momento di pausa della giornata, non riuscivo a fare altro che pensare al futuro. Avrei aiutato i Blackwood, non avevo scelta: non potevo permettere che questo Consiglio di cui parlavano tanto venisse a conoscenza di me. Dei miei poteri.

Sorrisi fra me, pensando a quanto fosse strana una simile definizione per quel poco che sapevo fare. Da piccola desideravo diventare una maga: rimanevo ore nella mia camera, fissando intensamente degli oggetti e cercando di sollevarli con l'aiuto della telecinesi, che ero convinta di avere. Un po' di allenamento e ci sarei riuscita, mi dicevo per farmi forza. Sicuramente, non avevo mai pensato ad un potere del genere. Ma poi, di cosa si trattava in specifico? Potevo tenere i Guardiani lontani dai miei sogni, e allora? In realtà ci rimettevo soltanto, dato che non potevano aiutarmi con gli incubi. E comunque, da due giorni ormai non sognavo più nulla. Non capivo come ciò potesse essere chiamato potere.

''Eppure Phil sembrava interessato alle mie capacità. Mi ha definito un suo asso nella manica. Quindi deve esserci qualcosa sotto tutta questa faccenda dei sogni..."

Uscii dalla cabina di vetro sospirando e afferrai un grande asciugamano bianco. Non riuscivo ad avere nemmeno un attimo di relax. Tanto valeva scendere ad affrontare la realtà.

Passai davanti al grande specchio circolare sospeso sul lavandino e mi fermai un attimo a guardare il mio riflesso. La tensione mi si leggeva in volto, ma le occhiaie stavano sparendo, dandomi un'aria più... viva.

Cercai di assumere un'espressione decisa, che trasudasse sicurezza, ma non ottenni altro che una smorfia pietosa. Sbuffai e mi raccolsi i capelli bagnati in una coda alta: non avevo voglia di asciugarli, avevo altri pensieri di cui occuparmi.

Aprii la porta e saltellai, imbozzolata nel mio asciugamano, per andare alla ricerca di Amber, ma quasi subito inciampai in qualcosa di morbido. Guardai a terra e vidi un fagotto di tessuto, con un biglietto rosa confetto appuntato sulla cima. Lo presi e lessi il messaggio. Era di Amber.

Ciao May,
Sono davvero felice di avere un'altra ragazza in casa, sai? Certo, c'è Juliette, ma non andiamo molto d'accordo. Mio fratello è ok, ma siamo così diversi... Ed Ewan è... Ewan. Credo che tu abbia già compreso il suo carattere. Ci sopportiamo a fatica negli ultimi tempi. Pertanto, sono super felice che tu sia arrivata!
Comuuunque, ti scrivo per dirti che, se vuoi, questi vestiti puoi tenerli. Ho un armadio strapieno, non preoccuparti. Spero ti vadano bene. Un grande abbraccio, Amber.

Rimasi a fissare il foglietto interdetta, poi mi venne da ridere. Se Amber credeva di aver trovato una ragazza simile a lei si sbagliava di grosso, ma in quella casa sembrava la persona più normale. In fondo, anche Claire era fissata con i vestiti e i tutorial di trucco online, ed eravamo inseparabili da quando avevamo tre anni. Potevo provare a farmela amica, avrei avuto bisogno di supporto nei giorni successivi e lei sembrava piuttosto simpatica.

Mi cambiai velocemente. Il fagotto consisteva in un paio di jeans chiari e un maglione beige, che mi andava piacevolmente largo. Amber doveva aver controllato i miei gusti leggendomi la mente. "La prima volta in cui questo potere si rivela utile direi..."

Uscii dal bagno cercando di controllare il mio respiro. Ero agitata, curiosa e spaventata. Il mio cuore batteva freneticamente. Non sapevo cosa avrebbero potuto dirmi, cosa i miei poteri potessero effettivamente fare. Era un tuffo nell'ignoto, per me, e la cosa non mi piaceva affatto.

Improvvisamente, ancora prima che potessi gridare, qualcuno mi prese per un braccio e mi tirò in un angolo buio. Non avevo bisogno di guardarlo in faccia per capire chi mi avesse appena sequestrata. «Ewan, accidenti, ti riesce così difficile chiamarmi per nome invece di strattonarmi come un cane?»

«Devo risponderti?» mi chiese sollevando un sopracciglio. Roteai gli occhi esasperata. Notai che si era cambiato anche lui: indossava una canottiera bianca e dei pantaloni neri di cotone. Sembrava quasi una divisa da allenamento.

«E lo è. Dovevo sfogarmi un po' prima di parlare con mio zio, o non so cosa avrei fatto.»

«Ti capisco. Non deve essere stato facile...»

«No, per niente. Ma Phil non è particolarmente forte, si è stancato molto per tenermi sotto controllo. Credo abbia esaurito le energie.»

«Ecco, questa è una cosa che non capisco. Se ti stava manovrando... Come hai fatto a dirmi di fuggire, prima?»

Sorrise cupo. «Intendi, come ho fatto a darti quell'avvertimento che tu non hai minimamente preso in considerazione? Beh, è stata dura, ma come ti ho detto, ogni generazione è più forte della precedente. Phil ha semplicemente più esperienza, ma col tempo gli sarà sempre più difficile comandarmi in questo modo così vile...» mormorò con un'espressione disgustata. «Odio quando lo fa. Mi fa sentire un debole.»

«Non lo sei» cercai di consolarlo, ma ottenni l'effetto contrario.

Lui mi guardò truce, come se l'avessi offeso. «Tu non puoi saperlo. Ma questo ora non c'entra. Sono salito per avvertirti che ogni cosa ti diranno non è certa. Sono solo loro supposizioni, non hanno prove.»

«E' per questo che hai interrotto tua zia?»

«Sì. Lily è una brava persona, e anche Phil, di solito. Ma quando si tratta di politica escono di senno. Devi stare attenta.»

«Ci proverò...»

«No, non devi provarci. Devi farlo, o finirai nei guai. Al momento, fidati solo di Kenneth e Amber. Soprattutto di lui: non troverai mai una persona più affidabile. Juliette non è cattiva, ma non ti sopporta, quindi non rivolgerti a lei se ti serve aiuto.»

«E di te» aggiunsi, dopo una pausa in cui il silenzio regnò sovrano.

Si accigliò. «Di me cosa?»

«Devo fidarmi anche di te, giusto? Altrimenti questa conversazione non potrebbe esistere.»

Mi guardò per qualche secondo senza parlare. Stava pensando a cosa rispondermi, e ciò teoricamente non sarebbe dovuto avvenire. Mi stava aiutando, giusto? E se non potevo fare affidamento su di lui non avrei nemmeno dovuto dar peso ai suoi avvertimenti. Non aveva senso. Soprattutto perchè lui stesso mi aveva chiesto di dargli fiducia, alla festa.

«Sì, l'ho detto, ma ho anche specificato che momentaneamente sono il pericolo minore. Non è detto che lo sia sempre. Comunque, puoi fidarti delle mie parole, questo sì» disse, e si girò, tornando al piano inferiore.

"Col passare del tempo diventa sempre più incomprensibile" pensai. Cosa significava che potevo fidarmi delle sue parole ma non di lui? Non avevo capito nulla, ma chiedere un'ulteriore spiegazione era l'ultima cosa che avrei voluto fare. Così mi rassegnai, e scesi le scale.

Angolo autrice:

Già, chi capisce Ewan è davvero bravo 😅.

Comunque, in questo capitolo vi ho presentato quattro nuovi personaggi. Cosa pensate di loro?

Nel corso della storia li vedremo in tutti i loro aspetti, chi più, chi meno, ma tutti saranno coinvolti nei prossimi sviluppi. E, secondo voi, qual è il potere di May? Soni aperte le discussioni in merito!

💖,
Mi🌙

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