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4. SONO FORTE A CRITICARE LA GENTE

DIANA

Ma nessuno saluta nessuno,
gli sguardi s'incrociano per un secondo e poi si sfuggono,
cercano altri sguardi, non si fermano.

Italo Calvino


Contro ogni aspettativa, rivedere i miei compagni di classe quest'anno mi ha fatto molto più piacere degli anni scorsi. Mi sembra siano diventati più simpatici, ma credo che sia soprattutto perché è cambiato il mio modo di vederli.

Tuttavia, i più taciturni hanno preso a spiccicare qualche parola: non c'è da meravigliarsi che ci siano voluti cinque anni, perché la scuola non è il posto migliore per sbloccare la timidezza.
Anche la bionda popolare della nostra classe, Claudia, ha messo da parte quell'aria di superiorità che si portava dietro gli anni scorsi. Chiara, sin dal primo giorno, ha messo in chiaro la sua missione di quest'anno: trovare un fidanzato per sé ed uno per me.

Ho cercato di farle capire che quello pensavo di trovarmelo da sola, ma che si può fare? Dato che farle cambiare idea era un'impresa al di là delle mie forze, sono stata al gioco.
Così, mi ha chiesto:

«Di che colore deve avere i capelli? E gli occhi? E quanto lo vuoi alto? Lo vuoi molto magro, oppure meglio un po' in carne? Qualche preferenza sullo stile? E sul look dei capelli? Con l'orecchino o senza?».

É stato difficile ricordarsi l'ordine di tutte queste domande: «Rigorosamente capelli neri e occhi neri (che, attenzione, non significa castano scuro). Alto (il più possibile). Non uno stecco (il che significa che il diametro delle sue gambe non deve essere minore del mio, cosa non più scontata al giorno d'oggi in cui gli uomini non indossano più armature). Un sacco di preferenze sullo stile (perché non è affatto vero che l'abito non è importante). Sicuramente non rasato! (I capelli mi piacciono mossi e non troppo corti). Assolutamente senza orecchino! (E su questo dettaglio non ho altro da aggiungere)».

Per il resto dell'ora di Storia, un po' per ingannare il tempo, un po' per impedirmi di sentire anche solo per caso una soltanto delle parole di quel tronfio del prof Zamponi (e un po' anche perché la cosa in fondo mi divertiva), ho risposto alle domande di Chiara sul mio futuro fidanzato e ho ascoltato ciò che aveva da dire sul suo.
Poi, ho lasciato il resto a lei, e non mi sono più preoccupata della questione. Non è che mi fidassi molto, del suo lavoro...

E, mentre lei passava in rassegna ogni ragazzo su Facebook, nel tentativo di individuarne uno che rispondesse alle mie esigenze, io mi sono messa a giocare a carte con Tommy sotto al banco. Scopa a 15, un gioco che ho scoperto di odiare.
«Come volevasi dimostrare: mi hai stracciata in pieno!».
«Lasciatelo dire, Dy. Non sei forte in matematica».
«Sono forte a criticare la gente, però».
Tommy scoppia a ridere, attirando su entrambi un'occhiataccia del prof di Storia. «Già! Tu saresti perfetta come caporedattrice, se avessimo un giornalino scolastico».
«Caspita, è proprio vero. É il mio sogno di liceale repressa».
Solo uno come Tommy poteva fare amicizia così in fretta con una come me: parla con i sassi e fa amicizia con le pietre, è sempre contento e ha sbalzi d'umore molto rari. Insomma, è il mio esatto opposto.
É un ragazzo piuttosto carino, forse con un paio di chili di troppo, che si veste con le prime cose che trova nell'armadio, adora dipingere i soldatini, giocare a giochi di ruolo con gli amici e guardare serie tv fantasy.

Tuttavia, non si chiude affatto in casa come faccio io. É uno a cui piace stare con gli altri: un "animale sociale", come lo definirebbe mio padre.
Il primo giorno del primo anno di liceo, ha fatto il giro dei banchi e ha stretto la mano a tutti, presentandosi con una frase personalizzata per ciascuno, con infinite variazioni sul tema: «Ciao, io sono Tommy, un tuo nuovo compagno di classe, e tu chi sei?».

A me aveva detto: «Ciao, io sono Tommaso. Tommy per gli amici, ovvero per te, appena mi avrai detto come ti chiami».
La nostra amicizia fu stretta così, quando io, chiusa in me stessa, abituata ai miei compagni delle medie che non facevano che prendermi in giro, ammirando la sua disinvoltura, sono arrossita fino a che il sangue non mi è salito al cervello e non mi ha svuotato la mente dalle cognizioni di base.
Sono stata zitta a fissarlo per qualche secondo, con uno sguardo probabilmente imbecille.
E lui, sorridendo con un angolo della bocca come si fa quando si prende in giro qualcuno con discrezione, ha aggiunto: «Ecco, sai, sono un tuo nuovo compagno di classe. Tu sei una mia nuova compagna di classe. E passeremo - se ci va bene - cinque anni della nostra vita come compagni di classe. Allora, ora mi dici come ti chiami?».
Allora mi sono sbloccata. Ancora rossa come un pomodoro, ho sorriso imbarazzata e ho cercato di risultare simpatica più di quanto non mi sentissi:
«Scusa: azzeramento database».
Mi ha guardato perplesso per qualche secondo, poi è scoppiato a ridere: «Allora c'è un po' di umorismo, là dentro!».
Un po' rattristata per la figuraccia con cui avevo inaugurato la nuova amicizia, ho risposto: «Sì, scusa: era temporaneamente fuori uso».
«Allora, ce l'hai un nome? O, almeno, un disco di back up?».
«Diana Cavalieri. Mi chiamo Diana Cavalieri».
«Perfetto, Dy, puoi chiamarmi Tommy».
É stato il primo a usare il diminutivo Dy, da cui poi sono derivati - sempre grazie alla sua mente prolifica in fatto di soprannomi - anche Dyn, Dian, e tutti gli altri.
«Tommy, puoi chiamarmi Dy» ho concluso io, sorridendo.

                                                  
Finalmente il suono della campanella, che, come una molla sotto al sedere, fa scattare in piedi tutti i miei compagni di classe.

La precipitosa corsa della classe verso la porta non è più una novità nemmeno per le molte circolari inutili che affollano già dal primo giorno la bacheca della classe – oggi, dopo poco più di due mesi di scuola, siamo già alla 397esima! -.

La prof ignora il caos: non è più affar suo e non ne è responsabile: raccoglie i libri e si guarda attorno all'affannata ricerca di...
...me.
«Cara, mi aiuti a portare i libri nella 3°E?».
«Certo, prof». Ho forse scelta?

Tommy, da dietro, le fa il verso: "Cara, mi aiuti...".
Per poco non inciampo addosso alla prof nel tentativo di trattenermi dalle risate: quando Tommy fa il verso alle prof, non c'è anima viva che possa rimanere impassibile. Potremmo mettere su un business: io faccio le caricature – che mi vengono piuttosto bene – e lui il teatrino, per sfruttare a scopi di lucro la rabbia intrinseca di ogni studente del liceo.

Raccolgo i libri della prof, meravigliandomi che siano così leggeri, e la seguo verso la 3°E al piano di sopra. Il corridoio e le scale sono talmente pieni di gente, che mi sembra di essere stata inghiottita da un labirinto fatto di carne umana, dal quale non trovo l'uscita.

A volte mi chiedo se i miei compagni di scuola siano coscienti dello spazio fisico che occupano in questo mondo, perché a nessuno viene in mente di farsi da parte per farmi passare e, così, devo procedere a gomitate.

Arrivata alla meta, appoggio i libri sulla cattedra e (salutando, s'intende) faccio per andarmene, ma la prof m'impedisce di andare in libertà:
«Mia cara, sai per caso dove sia la 5°A? Ho un'ora di supplenza al quinto modulo, e non so proprio dove andare...».
Sono tentata di rispondere che non ne ho idea, ma m'impietosisce la sua espressione intimamente preoccupata. Per certi professori, insicuri ed ansiosi, trovarsi tutte le mattine nel bel mezzo dell'universo giovanile, così chiassoso ed incomprensibile, è una vera impresa.
Allora faccio mente locale...
Ma certo! Ci sono passata proprio adesso davanti, mentre accompagnavo la prof:
«Sì, prof, è la classe accanto a questa, a sinistra. Se vuole, esco un secondo a controllare».
«Grazie, mia cara, mi faresti proprio un favore».
Non posso impedirmi di fare questo piccolo, grande sforzo.

Per risparmiare tempo e avere ancora qualche minuto di ricreazione a mia completa disposizione, mi lancio fuori dalla classe, aprendo la porta con un colpo secco del piede.
La porta urta qualcosa. Un tonfo, un'imprecazione di rabbia e...

Di nuovo lui?!

Di fronte a me compare il ragazzo dell'autobus, che si guarda sconcertato la camicia rosa bagnata da una chiazza di caffè che si allarga a vista d'occhio: ha ancora il bicchierino vuoto nella mano. Cerco invano di trattenere la risata che mi sale spontanea alla bocca, sia per l'imbarazzo, sia per la scena grottesca.

«Maledizione!» dice. Lo vedo alzare gli occhi con un'espressione seccata e, riconoscendomi, esclama: «Ti diverte tanto?».

«Scusa, mi dispiace per la tua camicia...!» dico, portandomi una mano alla bocca per nascondere l'ilarità fuori luogo.

«La prossima volta sta' attenta a dove vai, stupida imbranata!». L'esclamazione del suo amico mi toglie ogni voglia di chiedere scusa.

Cambiando tono, con una punta di cattiveria, concludo: «... è che le camicie rosa mi fanno talmente schifo che non ho potuto trattenermi! Dopotutto, ti ho fatto un favore: il rosa non ti dona». Alzo le spalle e mi allontano.

Sento la voce del ragazzo in rosa dire: «No, Davi, lascia stare».
Con un'ultima occhiataccia, vedo che si sta dirigendo verso la prof: «Il prof di Inglese ha detto che c'è lei, professoressa, a farci supplenza oggi, e vorrebbe chiederle se ci può far vedere la fine del film...».
«Ma che hai fatto, mio caro, ti sei rovesciato il caffè addosso? Che sbadato!».
Oddio. Beh, almeno, se è di 5°A, glielo dirà lui alla prof, dov'è la sua classe, perché io non ho alcuna voglia di incrociarlo di nuovo tornando indietro.

Maledizione, sono proprio una stupida sbadata incapace di vivere anche un solo giorno senza attirarmi addosso qualche figuraccia. Se ne accumulo così tante una dopo l'altra, va a finire che riempiono tutta la mia testa e mi tocca andarmene via a me.

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