22. L'HAI VOLUTO TU - 2
«Tim, non ti ho chiesto di metterci una buona parola, ti ho chiesto di non peggiorare le cose» disse Edmund, tra i denti.
L'aveva chiamato con il suo antico soprannome, e Tommaso lo sentì.
Perdendo un po' di quella freddezza che aveva avuto per tutto il tempo, disse:
«Comunque, stai facendo tutto da solo, sai? Non credo proprio che dirle che ha dei capelli orribili sia il modo migliore per farle capire che ti piace! Diana non ti ricambierà mai, finché la considererai come un essere inferiore a te!».
Edmund si pentiva di quello che aveva detto i primi giorni. E il senso di colpa lo fece reagire nel modo sbagliato:
«Non ho intenzione di parlare di questo con te».
«Meglio, perché in questa storia io sono il migliore amico di Diana, non più il tuo... migliore amico».
Dopo qualche secondo, ferito e deluso, Edmund annuì: «L'hai voluto tu».
E uscì.
Un'amicizia durata diciannove anni era stata in tal modo appena buttata nel cestino.
Edmund, uscendo dalla biblioteca senza guardarsi indietro, aveva la mente occupata dal ricordo dello sguardo freddo che il suo amico d'infanzia non si era fatto scrupolo di lanciargli, le orecchie ancora piene dell'eco delle sue parole "non sono più il tuo migliore amico" e il cuore stretto in una morsa che gli faceva salire lacrime amare agli occhi.
Non avrebbe saputo dire se fosse più forte il risentimento, la vergogna, o il dispiacere per ciò che avevano appena fatto.
Edmund e Tommaso avevano trascorso tutti i giorni e persino le notti insieme, a ridere e scherzare, confidandosi ogni cosa. Si chiamavano fratelli, e non avevano neppure bisogno di parlare per capire ciò che volevano dirsi. Se litigavano, non erano capaci di rimanere offesi per più di un giorno. Avevano due caratteri completamenti diversi, ma non avevano mai sofferto di questo, anche perché i difetti dell'uno erano complementari a quelli dell'altro. I loro genitori credevano ormai di aver avuto due gemelli, invece di un figlio solo. Tutti si erano abituati a vederli insieme ed era stato inspiegabile quando, di punto in bianco, all'inizio del liceo, non si videro più insieme quei due ragazzi che venivano chiamati "inseparabili", ma solo l'uno a miglia di distanza dall'altro.
Edmund era entrato in quella biblioteca con il fermo proposito di rappacificarsi con Tommaso.
Aveva preparato un breve discorso, che - credeva -, sarebbe stato abbastanza per farsi capire dall'amico d'infanzia: «Tommy, mi dispiace di come sono andate le cose. Ti ho perdonato per Jade ormai da tanti anni, ma vorrei che tu mi perdonassi adesso perché, per causa mia, non abbiamo potuto tornare amici come prima».
Era entrato nella biblioteca convinto che si sarebbero spiegati su ogni cosa, e che ne sarebbero usciti amici come e più di prima, e la felicità, alla sola idea, gli aveva quasi fatto salire lacrime di commozione agli occhi.
E ora ne usciva convinto che non si sarebbero mai più rivolti una parola amica per l'intera esistenza e quelle lacrime di felicità si erano trasformate in lacrime di mortificazione.
Non avrebbe saputo dire neppure lui come fossero andate le cose: all'inizio, era rimasto offeso perché Tommaso aveva dato per scontato il fatto che non potevano essere più amici come prima. Si era vergognato di averlo anche solo pensato, e non aveva voluto confessargli la sua speranza. Aveva finito per convincersi che Tommaso ormai lo disprezzava e non voleva più avere a che fare con lui. E la vergogna si era trasformata in umiliazione. L'orgoglio era scattato e non aveva più saputo metterlo a tacere.
Quando, il giorno prima, Tommaso l'aveva aspettato all'uscita da scuola, Edmund aveva creduto che avesse parlato solo per rabbia e l'idea che tutto sarebbe finito lì non gli era neppure passata per la testa. Ma, dopo la discussione che avevano appena avuto, non poteva più avere dubbi. Tommaso gli aveva dichiarato guerra. E Edmund non aveva indugiato a raccogliere il guanto di sfida, rovinando così tutto per sempre.
«Ehi, Ed, volevo chiederti una cosa».
Quella voce irritante lo strappò dai suoi pensieri.
Edmund si guardò intorno alla ricerca di ... Davide.
«Mmm, cosa?» gli disse, dopo averlo intercettato, e dopo aver maledetto la sorte che si divertiva a mettergli davanti, in un momento così opportuno, proprio la persona che più di tutte riusciva a fargli perdere la pazienza.
Davide, un ragazzo sempre vestito bene, con una camicia azzurra, blu, o nera, pantaloni beige, neri o blu, che Edmund non aveva mai visto con un paio di scarpe da ginnastica, gli stava rivolgendo uno sguardo altezzoso e snob, tipico di coloro il cui padre, per il solo fatto di avere uno stipendio di non poco superiore alla media, aveva creduto opportuno educare il figlio a credersi superiore alla massa dei propri simili.
Davide, che non aveva un solo voto sul proprio libretto che fosse inferiore all'otto, ma che, tuttavia, né per aspetto, né per comportamento, avrebbe mai tollerato di venire definito un secchione.
Davide, che aveva il coraggio di scegliere i propri amici passando prima in rassegna i libretti dei voti.
Davide, che passava sempre per il bravo ragazzo, e poi era l'esatto opposto.
«Volevo chiederti se mi presenti quella ragazza che un secondo fa ha dichiarato che ti avrebbe fatto un occhio nero e che ha detto ad Alessia che era strabica. La trovo molto carina, e mi piace quello che dice».
Di una cosa Edmund era estremamente sicuro: non avrebbe mai presentato Diana a quello spocchioso tracotante.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro