10. UN VALORE CHE NEPPURE IL TEMPO PUÓ CANCELLARE
EDMUND
Alcune strade portano più ad un destino,
che ad una destinazione.
Italo Calvino
Con un'unica occhiata, Alessia, la compagna di banco di Edmund, aveva fatto rientrare Diana nella categoria delle persone con le quali avere il minimo rapporto era da considerarsi un insulto al delicato sistema sociale del liceo.
Edmund non aveva messo in dubbio questa distinzione di categorie. Non ignorava che un'eventuale sua amicizia con quella ragazza potesse costituire un pericolo per la sua immagine sociale.
E di certo, non aveva contemplato l'ipotesi di innamorarsi di lei.
Ma, quando si fu reso conto che il ricordo di quegli occhi verdi che gli lanciavano un'occhiata sdegnosa non voleva mollare la presa sul filo conduttore dei suoi pensieri, incominciò a temere di essere in pericolo.
Non era quella, la ragazza di cui doveva innamorarsi, non era la ragazza giusta per lui!
Ogni suo amico l'avrebbe considerato un abbassamento di grado, se si fosse messo con Diana Cavalieri. La gente l'avrebbe preso in giro dicendo: «É caduto proprio in basso», oppure: «Guarda quella coppia, allora è vero che l'amore è cieco».
Appartenevano a due mondi diversi.
Edmund avrebbe dovuto lottare contro quel sentimento e preservare la propria reputazione da una caduta di stile che l'avrebbe rovinata. E, invece, sentiva il bisogno di alimentarlo...
In più, voleva riparare al danno di cinque anni e tornare ad essere amico di Tommy come prima del liceo: non voleva buttare al vento quell'occasione, perché la loro amicizia aveva un valore che neppure il tempo poteva cancellare. Il modo migliore per realizzare questo desiderio era trasferirsi nella D al più presto possibile.
Ma Tommaso, al corrente del fatto che Edmund era costretto a cambiare classe, aveva fatto finta di non saperlo: non era andato a parlargli, né gli aveva telefonato per informarsi di che scelta avesse fatto, né, tanto meno, per persuaderlo a scegliere la D. Si era comportato proprio come se non si conoscessero per nulla.
Ma Edmund non voleva fuggire e rischiare che il rimorso di aver perduto un'occasione simile gli rodesse per il resto della vita.
Per di più, la questione si faceva urgente.
Suo padre attendeva una risposta.
La connivenza forzata fra Edmund e suo padre, in classe, stava facendosi sempre più difficile. Padre e figlio si prosciugavano le energie a vicenda in un duello senza fine, e i loro continui conflitti si facevano ogni volta più vivaci, col rischio che si arrivasse ad una rottura definitiva. E l'ultima cosa che entrambi volevano era che fra di loro si alzasse un muro di silenzio che li avrebbe allontanati sempre più fino a renderli due estranei.
Abituato com'era ad indagare ogni minimo palesamento della personalità attraverso l'aspetto esteriore, Edmund leggeva nell'animo di suo padre come in un cristallo e ci vedeva un continuo conflitto fra il suo affetto di padre e il suo disprezzo per ciò che il figlio era diventato. Questo conflitto si traduceva in un sopracciglio aggrottato, un sorriso storto, un gesto stizzito della mano, un tono di voce sarcastico, un momento di attonito silenzio.
Ormai era arrivato il momento di porre fine a quella situazione.
E così, alle due del pomeriggio, il giorno stesso in cui aveva preso la sua decisione, mentre stavano tornando a casa in auto, Edmund tirò fuori l'argomento:
«Ho deciso in quale sezione voglio trasferirmi».
Guidava lui, con la scusa che aveva appena preso la patente e doveva fare esercizio per acquistare sicurezza, ma con l'intento di fingersi troppo concentrato sulla strada per poter notare le espressioni di contentezza che il padre avrebbe cercato di nascondergli. «Davvero?!».
Il suo tono di voce e il movimento brusco del suo capo avevano un chiaro significato per Edmund: sollievo per non averlo più di fronte tutte le mattine, vergogna per quest'ultimo sentimento non molto paterno, imbarazzo per timore che il figlio si accorgesse del suo stato d'animo.
«Sì, certo» disse Edmund, fingendosi concentrato sulla strada.
«Bene» disse il padre, tanto per dir qualcosa che non fosse: "Finalmente!".
Un attimo di silenzio.
«Mi dispiace che sia tu a dover cambiare classe, ma sai, per me era... Voglio dire, non sarebbe stato facile spostare un professore, perché significava spostarne un altro. É una cosa impensabile... Ma so che ti dispiace, che hai tutti i tuoi amici nella A e...».
Straordinario come quell'uomo, d'aspetto così serio e dignitoso, così degno di rispetto e stima, si bloccasse ogni volta che doveva parlare al figlio.
Edmund non poteva fare a meno di notare il suo imbarazzo o il fatto che non sapesse mai cosa dire, quale tono di voce usare e come impiegare le mani per nascondere il disagio.
«Sì, pa', ma non sono poi così amici come credi...» buttò lì, con noncuranza, come se non sapesse affatto quanto quella frase significasse per suo padre...
«Strano» disse Andrew, dopo un po': «Credevo che quella Alessia...».
Per un momento l'imbarazzo divenne tangibile e galleggiò di fronte a Edmund come una rossastra sostanza gelatinosa che si sovrappose all'immagine della strada fuori dal vetro.
Fino a quel preciso istante, non si era mai reso conto che suo padre temeva la sua amicizia con Alessia perché credeva che fosse qualcosa di più di un'amicizia...
Edmund non era stupido: sapeva che quest'ultima aveva un'evidente cotta per lui sin dalla prima superiore.
Cercò di fingere - come sempre - di non essersi accorto dello stato d'animo del padre e di non avere la più pallida idea di ciò a cui questi stava alludendo:
«Ma sì, Alessia è un mia amica, e anche Davide, Carlo e Fil, ma nella D ho molti amici come loro, e ce ne sono anche altri a cui tengo molto di più».
«Davvero?! La D?!».
«Sì, certo, la D» rispose Edmund, con un'alzata di spalle: «Nella D ho molti amici, lo sai. E poi c'è Tommy. Così finalmente saremo in classe insieme, nonostante tutti questi anni...».
«Ah davvero?! E quindi...», Andrew fece una pausa, poi riprese: «Quindi, Tommy è ancora tuo amico... Pensavo che aveste...».
«Sì, ma siamo sempre rimasti in contatto».
«Mi fa davvero piacere! Allora glielo dico? A Teresa, intendo. Le dico che hai deciso di andare nella D?».
«Sì, diglielo pure».
La cosa sarebbe diventata ufficiale, e Edmund non avrebbe più potuto tornare indietro.
«Quindi è sicuro, non... non è che poi cambi idea?».
«Ma no! Ho deciso».
Dopo qualche minuto, suo padre, che pareva non averne abbastanza, riprese:
«Ah, e quindi tu e Tommy siete tornati amici...».
«Lo siamo sempre stati».
«Ma a scuola non vi ho mai visto insieme».
«Non frequentiamo la stessa compagnia».
«E come mai? Non ti piacciono gli amici di Tommy?».
«No... anzi».
Anzi, ce n'era una in particolare, che gli piaceva parecchio...
«Sono contento di saperlo».
Finalmente, sembrava convinto. Così, soddisfatta la curiosità di suo padre, Edmund cercò di soddisfare anche la sua:
«Pa', quando credi che dovrò andare nell'altra sezione?».
Suo padre quasi balbettò:
«Ma... Non so, è tutto da vedere... Ci... ci penserà la preside... ma penso che la prossima settimana... se non è troppo presto per te, ovviamente!».
La settimana era quasi alla fine, ciò significava che doveva cambiare classe in tre – massimo quattro - giorni.
Edmund chiuse gli occhi per un istante, approfittando di un tratto dritto della strada.
La prossima settimana...
«No, la prossima settimana andrà benissimo» disse.
E così, quella sera, senza perdere tempo, suo padre telefonò alla preside e si mise d'accordo per il lunedì della settimana seguente.
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