Diario di una foglia di fico
Simon Bezer - Leech
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La lezione, iniziata ormai da più di venti minuti, continuava imperterrita; scandita dagli enunciati del prof, dalle cazzate degli alunni più coglioni ma soprattutto dalla mia più totale non partecipazione alla lezione. Come al solito infatti, dopo appena dieci minuti il mio grado di attenzione era pari a zero. Non che fosse una novità per me, difatti da tre anni ormai non capivo assolutamente un beato dick di matematica e solo Dio sa come ho fatto a non essere rimandato, per tre anni di fila, perlomeno in questa materia. I numeri non sono mai stato il mio forte, ma intendiamoci il problema non era il professore, che anzi era uno dei pochi che apprezzassi, il problema ero io. Non vedevo l'utilità della matematica, tutti quei numeri non mi avrebbero mai aiutato nella vita reale, così pensavo, e non ero l'unico a crederlo. Devo essere sincero, non so per certo che argomento stesse spiegando il prof in quel periodo, ma credo fossero i radicali o comunque roba del genere. Roba che appunto, a meno che non avessi seguito il corso di fisica aereo spaziale all'Università delle Cayman, non mi sarebbero mai servite. La mia, era una classe davvero anormale. Era composta da diciotto ragazzi (eravamo partiti in ventuno nel primo, poi negl'anni c'era stata la classica selezione), costituivamo un gruppo molto eterogeneo, si può dire che fossero rappresentate tutte le categorie di persone che compongono la nostra società. Vi era:
• Il figo, io ovviamente.
• La lettrice imperscrutabile, senza ombra di dubbio la mia interlocutrice preferita per quanto concernente il campo della cultura, ricordo che apprezzasse in maniera illegale Baricco, un grande amore per la letteratura ci accomunava.
• Lo scemo del villaggio, i miei cinque anni di Liceo furono scanditi da veri e propri tormentoni, sue creature: le sue battute prive di ogni senso logico né tantomeno di grammatica, senza dimenticare ovviamente alcune frasi a dir poco epiche nella loro idiozia, fecero la storia di quel periodo, citando la più nota: "Ti lecco con i baffi". Le nostre incomprensioni furono molte, ma nonostante ciò credo che in fondo, un po', mi manchi.
• La Anna. Non dimenticherò mai i suoi occhi, radiosi ed espressivi come solo uno quadro impressionista può essere, né tantomeno la sua faccia pulita, a dir poco stupenda. Non la dimenticherò mai anche perché, fu una delle prime persone con cui strinsi una vera amicizia al Liceo ma soprattutto la prima che mi suggerì alla lavagna.
• Il genio, uno dei ragazzi con cui legai di più e sicuramente uno dei pochi con cui avevo la possibilità di iniziare un discorso di un livello leggermente elevato, senza che ciò causasse una fuoriuscita di fumo dalle sue orecchie, paragonabile a quella delle ciminiere ILVA; per via dell'utilizzo eccessivo e convulso della propria attività cerebrale.
• L'uomo freddura (uno degli amici più fedeli che abbia mai avuto) un vero e proprio killer dell'autostima.
• La ragazza ribelle, ricordo costei come molto sensuale ed affascinante, con una forte personalità. Si capisce, che tutti pendessero dalle sue labbra. Era anche detta la leoparda. Infatti il suo guardaroba, nonché l'insieme dei suoi oggetti, si caratterizzavano per una predominanza schiacciante del leopardato. Possedeva cover, ombrello, leggings, top, portafoglio, probabilmente anche slip, leopardati, incredibile.
• La ragazza con cui in cinque anni di onorata carriera liceale non scambiai mai una singola parola.
• La ragazza che ride in continuazione e senza nessun motivo. Per un periodo ho persino creduto che avesse una paralisi facciale, poi ho capito che era semplicemente un'ebete (era conosciuta anche come la scema del villaggio).
• Il ragazzo cattolico (questo fino al quarto, durante l'ultimo anno ebbe un' improvvisa conversione all'inverso, diventò cioè con lo stupore di tutti... un eretico) amavo i suoi capelli ricci.
• La ragazza bohemien, grandissima fan di De Andrè.
• Il ragazzo bohemien, estremamente eclettico, i suoi interessi svariavano dall'arte alla letteratura, dalla moda alla musica, tante furono le ore che occupammo con l'ascolto di ottime canzoni, splendide canzoni; inoltre se oggi riesco ad apprezzare anche il pop lo devo solo a lui, per quel ragazzo sarei potuto diventare bisessuale, amavo troppo la sua barba.
• Il ragazzo ottimista. Il suo motto, nonché filosofia di vita, era: "Non posso mai perdere", una vera leggenda vivente, nonché ottimo amico. Ciò che forse però più lo caratterizzava, oltre alla passione per l'informatica ed uno spudorato odio verso gli iPhone (io ne possedevo uno), era che nonostante avesse trascorso forse in tutta la sua vita, solo tre mesi scarsi in Veneto, tra l'altro a malincuore, era riuscito ad acquisirne l'accento, facendolo suo, non capii mai come cazzo avesse fatto, ma è tutta verità.
• Il selfomane (Selfomania: patologia di recente scoperta, che comporta un ossessivo e continuo bisogno di immortalare ogni fottuto momento con inutili selfie), era un po' paraculo, ma tutti gli volevamo molto bene.
• Il migliore amico. Nel mio caso questa figura prendeva forma in un ragazzo di 175 cm., capelli castani, occhi scuri, codino e spiccata razionalità tedesca (era vissuto in Germania fino a tre anni prima), si può dire che fossimo entrambi succubi l'uno dell'altro. Lui era il matematico, io l'umanista, se fosse stato creato un ibrido dalla fusioni dei nostri cervelli credo non avreste mai sentito parlare di un certo Albert Einstein, mai più grande cazzata fu scritta in un libro.
Diventammo amici quasi subito, ci accomunavano molte cose, tra cui il vizio del fumo, e le sigarette fumate: Marlboro rosse (anche se dopo un po' cambiai, costavano troppo). Durante le sette ore di matematica settimanali però, neanche il mio caro amico poteva confortarmi, così utilizzavo questi periodi morti per pensare, mi estraniavo completamente dalla classe e mi immergevo nel mio mondo di diciannovenne. In questi periodi morti, elaboravo concetti metafisici degni del miglior Immanuel Kant, immaginavo i miei futuri giorni da giornalista, ma il più delle volte i miei pensieri erano occupati da donne, o meglio delle liceali quasi donne che turbavano la mia, altrimenti tranquilla, esistenza. Tutto questo raziocinare sulle donne mi avevo portato ad elaborare un identikit. L'identikit della mia ragazza ideale. Diciamo che come in molti altri campi anche la concezione della ragazza perfetta sarebbe potuta risultare, come minimo astrusa alla gran parte delle persone che conoscevo. Io, in una ragazza, cercavo cose che le altre persone (normali) non cercano o perlomeno non considerano come caratteristiche fondamentali. L'identikit era molto ricco, svariava da un campo all'altro. Comprendeva l'aspetto fisico, i gusti musicali, il carattere, il modo di pensare e di vestire. Ero cosciente del fatto che la concretizzazione di questo identikit sarebbe potuta risultare, a dir poco, utopistica, ma di una cosa ero certo: avrei potuto scopare, limonare, andare in estasi con molte ragazze su questo mondo, probabilmente anche godendo, ma sapevo che avrei amato, davvero, solo una ragazza del genere. Non perché fossi ossessivo o altro, ma perché mi conoscevo. La mia ragazza doveva essere innanzitutto anticonformista, odiavo quelle bimbe montate (come una scrivania IKEA) dall'omologazione anni 2000. Doveva essere spregiudicata. Tutto questo pre includeva una caratteristica non comune, davvero rara da trovare al giorno d'oggi: l'intelligenza. Volevo una ragazza che possedesse un intelletto puro, che fosse capace di farmi eccitare col solo utilizzo della parola, e farmi raggiungere un alternativo tipo di orgasmo. Avrei discusso con lei, stimolato un'intrigante diatriba, il reciproco desiderio di possedere la carne dell'altro sarebbe diventato piacevolmente insopportabile, a tal punto da sfociare poi, inevitabilmente nel sesso. Ottenendo così un amplesso direi trascendentale, perché preceduto dal preliminare perfetto, denso della giusta dose di odio e attrazione, indispensabile per provare un'esperienza del genere, catartica. Il nostro approccio al sesso avrebbe potuto essere anche di tipo classico, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Detto questo, desideravo ovviamente una ragazza che fosse carina, dalla bellezza pura e immacolata, dal viso pulito e intrigante, che non dovesse aver bisogno del trucco per risultare ai miei esigenti occhi attraente, piacevolmente consapevole della propria bellezza e fottutamente sicura di se stessa. In egual modo volevo che fosse sensibile, avrebbe dovuto capire il mio io e rispettarlo, io avrei fatto lo stesso con lei. In definitiva desideravo una ragazza semplice nella sua complessità, dal carattere forte, dall'abbigliamento sfrontato, e dallo spiccato intelletto. Su quest'ultimo punto mi permetto di aprire una parentesi:
• Doveva essere sì, intelligente, dunque dotata di ragione ma al tempo stesso irrazionale, pazza, in alcuni momenti incosciente. Non vi nego che con la mia ragazza avevo l'intenzione di strafarmi, ubriacarmi e condividere i piaceri dello sballo. Inoltre, essendo un fumatore incallito volevo poter fumare con lei.
Altra caratteristica fondamentale era l'amore per la musica, la mia ragazza doveva ascoltare il Rock, solo e soltanto Rock o perlomeno il Punk, d'altronde non ricordo d'esser mai stato attratto sinceramente da una ragazza che aveva preferenze musicali diverse da queste. Se possibile doveva saper suonare uno strumento o cantare (sapevo che mi avrebbe fatto maledettamente eccitare mentre lo faceva, ne ero certo). Arriviamo così alla caratteristica fondamentale. Una ragazza per essere amata da me in modo sincero, doveva essere in grado di farmi ridere, doveva essere per me un'amica prima di qualsiasi altra cosa. Non avrei mai sopportato una ragazza monotona, apatica; a meno che questa non mi avesse concesso la sua preziosa urna, ma anche in questo caso, sarebbe rimasta sempre e solo una con cui avevo fatto sesso, nient'altro. La simpatia era la chiave per conquistarmi, quando una ragazza riusciva a far cambiare la mia espressione facciale da statica a sorridente, provocando così una risata impulsiva, naturale e totalmente sincera, era quello il momento. Ero suo. In termini più materialistici (secondari) questa ragazza doveva essere alta tra il metro e 65 e il metro e 70, non avrei sopportata una ragazza più alta di me, con i tacchi. Infine, per ricalcare in tutto e per tutto il mio deviato ideale di bellezza doveva avere una terza abbondante di seno e ovviamente un bel culo. Non giudicatemi ne condannatemi. La ragazza perfetta sarebbe stata colei che avesse reso reale tutto questo.
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La mia giornata iniziava relativamente presto: sveglia forzata alle sei e mezza, dieci minuti di dormiveglia (causa di urla paterne del tutto indesiderate), inevitabile uscita dal letto. Trascinare il mio corpo in maniera penosa fino al lavandino del bagno era ciò che seguiva. Tentare di uscire invano dallo stato vegetativo che caratterizzava le mie mattinate, sciacquandomi ripetutamente la faccia, era la quint'ultima delle fasi. Seguivano: colazione, vestiti, scarpe, pullman ed un'altra giornata di merda era iniziata. Una volta sceso dall'autobus sigaretta di rito prima di entrare, cappuccino alla macchinetta; mai bevuto uno più schifoso in vita mia, ma per noi studenti era vero e proprio oro colato. Così, dopo aver gustato il mio deplorevole e caro cappuccino in tutta la sua irresistibile scioglievolezza, lo studio poteva finalmente iniziare. Le uniche materie che apprezzassi davvero erano quelle umanistiche; amavo italiano, filosofia, storia, arte, ma odiavo quelle scientifiche. Non ho ancora capito perché mi fossi iscritto al liceo scientifico, ma poi riflettendoci sono arrivato ad una conclusione: il livello di coglionaggine che si raggiunge in terza media è difficilmente ripetibile in altre fasi di vita, dunque scegliere che scuola frequentare per i cinque anni che seguono, senza tener conto che questa scelta indirizzerà anche i tuoi eventuali futuri studi universitari, in quel momento della vita, è una gran cagata. Ormai il dado era stato tratto, ero uno studente del liceo scientifico. Una volta suonata la campanella della sesta ora sigaretta, pullman e meritato riposo. Così, dopo aver pranzato iniziava la parte della giornata da me preferita: il pomeriggio. Lo amavo. Lo amavo perché era l'unico momento in cui potevo coltivare le mie passioni: i Guns, il cinema, la letteratura erotica ottocentesca, e la chitarra. La passione per la chitarra nacque simultaneamente a quella per i GUNS. Durante l'agognata fase della terza media i miei ascolti musicali svariavano dal pop al rock, dal jazz al grunge e cosi via, non vi era una vera e propria selezione dei pezzi, bastava solo che fosse orecchiabile. Fino a che un giorno avvenne il miracolo, guardai uno spot televisivo avente come base musicale Sweet child o' mine dei mitici Guns & FUCKING Roses, in quel momento la mia vita cambiò. Decisi di comprare la chitarra spinto dalla voglia di riuscire ad eseguire il mitico riff iniziale. La comprai. La chitarra che acquistai era in assoluto la più economica sul mercato, capii il motivo solo dopo averla vista e soprattutto solo dopo averla suonata, era durissima, scomoda e cosa che più odiavo in assoluto, lo spazio tra la tastiera e le corde, era ENORME... se questo fosse stato paragonato a quello che vi è in una Fender ma neanche, anche con quello che c'è in una chitarra normale, avrebbe avuto lo stesso termine di paragone che vi è tra paolini, il disturbatore / masturbatore televisivo (non me la sono sentita di scrivere il suo nome con la lettera iniziale maiuscola, non merita questo riguardo...no? Qualcuno avrebbe potuto vomitare...) e Leonardo Da Vinci...lo schifo e la perfezione. In termini più tecnici, il rapporto dello spessore, (giusto per rendere l'idea) era pari a quello che vi è tra un lombrico (Fender) e il pene di Rocco Siffredi (la mia). Nonostante ciò quella chitarra avrà per sempre uno spazio speciale nel mio cuore, perché fu proprio con quello scarto che iniziai a strimpellare le mie prime canzoni. Dopo due mesi raggiunsi il mio obbiettivo, fu davvero un momento stupendo.
Oltre al cinema, ai Guns, alla musica e alla letteratura erotica avevo un'altra passione, se così può essere definita: gli amici, con alcuni di questi misi su una band, composta da Tony, un batterista fenomenale che si distingueva per un look molto originale (eufemismo allo stato puro); Vins, il chitarrista solista, dotato di un orecchio davvero sopraffino; io alla chitarra ritmica e alla voce Yvette, una sedicenne riccia con due tette da paura. Oltre a questo particolare (decisamente non trascurabile) bisogna aggiungere che Yvette era davvero molto carina. Il suo viso pulito, immacolato, privo di qualsiasi impurità mi colpì fin dall'inizio; d'inverno diventava pallido, di un pallore quasi cadaverico, ma estremamente attraente; gli occhi, specchio dell'animo umano, erano lo scenario di una lotta cromatica tra l'azzurro della parte più esterna, e il profondo marrone dell'iride. Le palpebre, unica parte del suo viso ad essere toccate dal trucco, un trucco molto fine... un sottile quanto sensuale tratto di matita nera. Le labbra, culla del suo malizioso sorriso e unico oggetto del mio desiderio per mesi, erano di un rosso piuttosto chiaro, un delicato rosa carne; in armonia con quel viso innocente, di cui col tempo mi innamorai. Vestiva in modo molto originale, distinguendosi decisamente dalla massa. Spesso l'unica tinta dei suoi vestiti era il nero, solo Dio sa quanto fosse accattivante con quel suo stile gotico e quanto mi piacesse; ma devo ammettere che ogni volta che indossava qualcosa di colorato, il suo viso angelico veniva valorizzato ancor di più. Poteva essere paragonata ad un raggio di luce che illuminava il buio della mediocrità che mi circondava e in cui purtroppo ero costretto a vivere. Il suo corpo rendeva reale tutto ciò che un ragazzo della mia età potesse sognare. Sensuale e provocante, col suo metro e sessantotto sarebbe riuscita ad ottenere tutto da me, in particolare ero ossessionato da una parte del suo corpo, i piedi, cosi piccoli e teneri. Per via di questi strani apprezzamenti mi credetti addirittura pazzo, ma poi scoprii di essere semplicemente un feticista, il ché non era necessariamente un male. Ciò mi rendeva nella mia perversione un pezzo raro. Un altro fattore a suo favore era il carattere, schietto e sincero, ero attratto dal modo in cui più e più volte aveva freddato elementi del nostro gruppo di amici evidentemente inferiori perché stupidi o ignoranti. Le sue risposte a volte tremendamente acide erano per me motivo di piacere, in poche parole ero attratto da lei. Un'attrazione che neanch'io riuscivo bene a comprendere, ma che però esisteva. Ci conoscemmo molti anni prima grazie (o a causa) di una recita o roba del genere organizzata dalla chiesa durante il periodo di Pasqua. Ad essere sincero, io non volevo neanche andarci, non andavo a messa dalla cresima e fatta eccezione per Natale era forse un anno che non entravo in una chiesa, ma afflitto dalla monotonia del giovedì pomeriggio decisi di andarmi a fare un giro, senza nessuna aspettativa particolare. Per il ruolo principale era già stato scelto un altro ragazzo; uno spilungone di un metro e ottanta biondino, un buon cazzone. Per sua sfortuna però, appena mi presentai alle prove, povero Cristo, (visto che siamo in tema) lo scaricarono e la regista decise che il ruolo di Gesù spettava a me, le prima parole che Yvette mi rivolse furono "Almeno quest'anno Gesù lo fa uno bono". Capii immediatamente che quella non era una ragazza come le altre, quella era una ragazza speciale, unica nella sua lucida follia. Come inizio non fu male, di li a poco diventammo amici, dopo un po' però, non so neanch'io bene il perché ci perdemmo di vista. Di li a poco avrebbe conosciuto un ragazzo con cui avrebbe iniziato una relazione durata un anno o poco più. Durante quest'arco di tempo praticamente non scambiammo una parola. Poi si lasciarono.
Arrivò l'estate, poi agosto e con esso la festa del paese. La chiesa, a causa della mancanza di liquidi, organizzò uno spettacolo avente come protagonisti noi giovani della parrocchia, fu li che ci rincontrammo. In quel periodo la band era ancora senza cantante ma nonostante ciò fummo scelti (non so se per merito, o perché eravamo l'unica band presente in paese), per suonare a questo spettacolo. Il problema del cantante dunque si ripropose prepotentemente, non sapevamo davvero dove sbattere la testa. Ad un tratto ebbi l'illuminazione. Mi ricordai di aver sentito cantare Yvette ad uno di quei "talent" di paese di cui sono piene le afose serate di agosto, non ricordo se prima o dopo il nostro primo incontro, ma ricordo che la bellezza della sua voce mi folgorò. Il giorno successivo le chiesi di venir a provare, andò benissimo. La band aveva la sua cantante. Durante le prove il nostro rapporto migliorava sempre più, sentivo che stava nascendo una simpatia reciproca e forse non solo questo. La sua semplicità e allegria mi travolgevano, percepivo dentro di me una passione crescente per quella mora riccioluta dalla voce celestiale.
Le giornate estive ovviamente erano molto diverse da quelle del periodo scolastico, sostanzialmente io non facevo una beata minchien dalla mattina alla sera, i miei dì erano arricchiti solo dalla chitarra e dalla band. Iniziammo ad avere un vero e proprio repertorio, niente di eccezionale, cinque o sei canzoni, ma fatte molto bene. Ero molto orgoglioso della band e dei miei progressi con la chitarra ma nonostante ciò mi sentivo incompleto, vuoto. Prepotente dentro di me vi era una mancanza, non ci volle molto per capire. Era Yvette. Decisi che dovevo baciarla, in un modo o nell'altro. Le prove per lo spettacolo mi vennero in aiuto. Questo sarebbe stato introdotto da una baciata (il ballo), di conseguenza si rese necessaria la selezione delle coppie per la baciata stessa, lei mi scelse subito. Premessa: ero e sono tutt'ora, l'antitesi del ballerino provetto, dunque se aveva scelto me, non era per le mie doti di ballerino ma perché semplicemente voleva ballare con me. Questo mi diede un motivo in più per continuare a coltivare il mio desiderio di averla ed in un certo senso la conferma che cercavo da lei. Le chiesi se fosse disponibile il giorno dopo a scendere mezz'ora prima dell'inizio delle prove, per provare i passi in privato, lontano da occhi indiscreti e giudicanti. Accettò, in realtà la motivazione era un'altra. Avevo deciso, l'avrei baciata appena arrivata. Il giorno dopo mi feci trovare nel posto stabilito, all'ora stabilita, ma lei non venne. Quando un'ora dopo si presentò ero così incazzato che non le chiesi neanche il motivo del suo bidone. Una volta finite le prove, le proposi di salire con me, mi spiegò che era stata in ospedale, problemi di stomaco, così mortificato per non averle parlato per l'intero pomeriggio. La baciai, fu il nostro primo bacio. Non durò molto, ma ricordo che fu davvero intenso e che riuscì a scatenare in me un'esplosione di sincera felicità ...il motivo? Avevo ottenuto la sua fiducia.
4
La lezione era terminata. Devo dire che era stata, se possibile, ancor più pallosa del solito. Come per molte cose, anche l'ora di matematica per me aveva un valore (diciamo) diverso, da quello che tutti gli altri miei compagni le davano. Io vedevo l'ora di matematica come una sorta di sedativo, di stupefacente. Dopo un'ora passata a sniffare i vari tipi di droghe presenti, passando da quelli leggere: funzioni, seno e coseno, fino a quelle pesanti: i radicali; non capivo più un cazzo, ma quella volta ero andato proprio in overdose, completamente sballato...mi sentivo davvero stanco e giù di morale. Quando ad un certo punto bum bum (il mio compagno di banco) mi disse... - - Collè tutto bene? Odiavo quel collè, forse per questo lo usava così spesso, ma comunque risposi... - Tutto bene, sono solo un po' stanco, che mi offriresti un caffè per riprendermi? - Certo fratello. Specificò espresso, ci rendemmo conto che il cappuccino faceva davvero cagare. Stavamo, come spesso ci capitava, discutendo su chi dovesse passarci il prossimo compito di fisica o scienze non ricordo, quando d'improvviso sentii delle morbide mani toccarmi il petto, era Yvette, appena capii che era lei mi girai, la abbracciai, lei mi baciò. Mi disse che aveva bisogno di un caffè (non so come facesse, ma amava il cappuccino della macchinetta, tanto da tesserne addirittura le lodi, da questo punto di vista avevamo pareri decisamente opposti, io lo descrivo solo ed esclusivamente con epiteti tremendamente negativi, lei lo amava. Ci tengo a dire che dal mio punto di vista questa mio odio era decisamente ben motivato), glielo offrii io. Poi scambiammo altre due parole, ed entrambi tornammo nelle rispettive classi. Bum bum, già rientrato in classe, mi stava aspettando. Voleva sapere se io avessi o meno una relazione con quella ragazza. Non mi sorprese, anzi, ancor prima di rientrare in aula sapevo già che Bum sarebbe stato lì, ad attendere il mio ritorno. Quell'iter viveva di luce propria. Appena uno di noi due veniva a sapere che l'altro si stava conoscendo con una ragazza, iniziava un serrato quanto divertente e fitto interrogatorio. Non so perché lo facessimo, so solo che ognuno di noi ha nel suo profondo una dark side pettegola, e in quelle particolari condizioni quella di entrambi prendeva il sopravvento, in modo dirompente. Gli dissi che era solo un'amica ed in effetti, in parte, era vero, non c'era altro. Dopo esserci rincontrati, nell'estate appena trascorsa, il nostro rapporto per due settimane fu ottimo poi litigammo, il motivo della diatriba fu che io ci provai con lei in modo serio (ancora oggi, stento a credere di aver fatto una cosa del genere. La cosa acquista ancor maggior gravità in virtù del fatto che commisi lo stesso errore per ben due volte, questa fu la prima.) non fu d'accordo, poi comunque chiarimmo e rimanemmo perlomeno amici.
Un problema grande quanto il culo di un ippopotama mi sovrastava. Yvette era fidanzata, con un altro ragazzo questa volta. Non che lo temessi come rivale, ma era pur sempre un ostacolo reale a ciò che avevo pianificato. Mettermi con lei. Il ragazzo in questione era un biondino bassino, gli avevo affibbiato il soprannome di nano malefico. Era infatti un metro e settanta, decisamente basso per un ragazza di uno e sessantotto. Ci parlai solo un volta. Era ricreazione, e come al solito ero sceso a fumare la mia sigaretta di rito di mezza giornata (avevo troppe sigarette di rito, cazzo! Fumavo come un turco), il rito si svolgeva in palestra, al piano terra. Dunque, una volta aspirato anche l'ultimo tiro tornavo su. Qui cominciava la mia opera di disturbo al nano, gli passavo davanti cinque o sei volte nell'arco di tre minuti, così che Yvette si accorgesse che lo facevo apposta. Questo andirivieni ricreazionario iniziò un giorno per caso. Fu l'unica volta in cui lo feci non perché volevo, ma per pura necessità. In quel momento quell'inutile nano era l'ultimo dei miei pensieri. Avevo un disperato bisogno di una calcolatrice scientifica, non avendone ovviamente una mia. Seppur in preda al panico, mi venne facile notare come ad ogni mio singolo passaggio Yvette mi cercasse con lo sguardo (spesso trovandomi), mi toccasse o comunque in un modo o nell'altro facesse si che il mio essere lì non passasse inosservato. Godevo come un porco. Dicevo... ci parlai solo una volta. Casualmente le passai davanti, lei mi prese per il braccio e iniziò a parlarmi, credo della band, ma non importa. Ciò che mi colpì fu che estraniò completamente dal dialogo il ragazzo, non me lo presentò nemmeno. Quando lei ebbe finito, in senso di superiorità e spudoratezza, strinsi la mano di lui. Fu una stretta sicura e decisa. A quel punto dissi... - E' un piacere conoscerti. Non gli diedi neanche il tempo di rispondermi che me ne ero già andato. Ero davvero soddisfatto per il modo in cui avevo gestito la situazione. Approfittai dell'ora di fisica per rianalizzarla e individuare eventuali spunti interessanti. In effetti mi sorprese il fatto che non fosse stata lei a presentarci e avesse aspettato che io lo facessi, sapeva che io lo avrei fatto. Fu lei stessa poi, tre ore più tardi sull'autobus, a iniziare il discorso. Mi disse che non era stata lei a fare gli onori di "corridoio" (le presentazioni) perché il suo, era un ragazzo molto introverso, cazzate del genere. Per me la sua non fu una semplice dimenticanza (l'ipotesi del suo essere introverso non l'avevo neanche presa in considerazione), secondo me fu qualcosa di voluto, ma il carattere del nano non c'entrava nulla.
Il nostro rapporto nonostante il suo parallelo fidanzamento era idilliaco. Il modo in cui ci capivamo solo incrociando lo sguardo qualcosa di magnifico. Era unica, lo capii per via di un motivo: rideva alle mie battute sconce (caso raro), inoltre ci stimavamo a vicenda e ci rispettavamo. Cominciammo ad affibbiarci reciprocamente dei nomignoli, per me lei era Clò.
• Clotilde, è una ragazza dalla superba bellezza, dalla personalità magnetica, e dotata inoltre di una stupefacente intelligenza, protagonista del romanzo francese Bel Ami, che lei stesso mi comprò.
Diceva di non piacerle come paragone, ma sapevo che mentiva. In realtà rivedeva se stessa nella figura di Clò, e anzi era piacevolmente esaltata dal fatto che io la paragonassi ad una figura di quella levatura. Ed in effetti, escludendo il fatto che nel libro Clò viene tradita dall'amante, la sua figura è pressoché perfetta, priva di motivi per cui vergognarsi. Comunque non dissi mai a Yvette di questo piccolo quanto osceno particolare (anche considerando il numero di donne con cui la tradisce). Per lei io ero Bel-Ami, guarda caso il protagonista della storia incriminata, devo ammettere che essere chiamato in quel modo era davvero rinfrancante. Lei non aveva mai letto il libro ma io la tenevo costantemente informata, man mano che andavo avanti con la lettura, degli sviluppi.
• Bel-Ami è un cinico giornalista che usa la sua bellezza e il suo fascino per scalare le gerarchie sociali parigine. Nel fare questo viene aiutato in modo considerevole da varie donne. Nel tempo libero Bel-Ami è ossessionato in modo morboso da queste e dal sesso, ovviamente Yvette sapeva tutto questo.
Il giorno più bello per uno studente? Il venerdì ovviamente. Si ha la coscienza del fatto che per due giorni e mezzo sei completamente libero, ed hai la possibilità di fare tutto ciò che ti ronza per la testa.
Spesso questi diventavano tre, grazie al neo instituito venerdì fascista; non fraintendetemi, non nutrivo nessun tipo di apprezzamento per il fascismo, tutt'altro, ma dovevamo comunque dare un nome a questa nuova festa. Durante i venerdì festivi una combriccola fissa di ragazzi di diversi paesi ed età si riuniva per godere degli effetti stordenti della Maria. Non che fossi un drogato ma la mia bella cannetta settimanale riuscivo sempre a recuperarla. Non volevo spingermi oltre, amavo la mia vita. Non volevo rovinarmela con droghe o robe del genere. Essendo un grande appassionato di musica, rock in particolare, sapevo quali effetti, anche mortali l'eroina, la coca e robe del genere potessero avere, dunque non avevo nessuna voglia di entrare nel giro, mi limitavo all'erba.
La piccolezza della mia comunità mi impediva di aspirare a chissà quali svaghi, ma non costituiva di certo un freno alle nostre aspirazioni di divertimento. Avevamo due luoghi di ritrovo. Il primo all'aperto, niente di ché, una semplice piazza, dove però potevamo parlare liberamente e organizzarci per la serata. Ecco, la maggior parte delle serate le passavamo nel secondo dei luoghi di ritrovo. La casetta di un mio compagno.
• Costui fu la preda preferita dei miei scherzi malefici / patetici, di cui ora mi vergogno ma di cui invece a quattordici anni andavo molto fiero, ero un vero idiota. Questi iniziarono per caso una sera. L'amico in questione aveva il vizio di abbuffarsi davanti a me e gli altri componenti del gruppo, senza condividere queste deliziose prelibatezze con noi. Non che fossi un morto di fame, ma a me quel comportamento infantile dava tremendamente fastidio. Così la sera stessa prima di andarmene decisi di vendicarmi, dopo essere uscito e assicuratomi che fosse tornato nella sua stanza, rientrai. Aprii la dispensa e vidi che vi era un pacco di sfogliatine ancora vergine, incorniciato da un'aureola celestiale. Lo presi e con il mio compagno di rapina ce ne andammo. Furti o scherzi del genere si susseguirono, sempre più articolati e complessi, molte altre volte, poi capii che era stupido. Ad oggi trovo comunque una giustificazione: tutto questo accadde quando frequentavo la terza media. La mia coscienza di conseguenza è pulita.
In questo luogo potevamo fare davvero tutto quello che volevamo, eravamo lontano da occhi indiscreti e a meno ché di catastrofi varie (che badate bene accaddero) i genitori del mio amico / compagno di sbronze non sarebbero mai venuti a disturbarci. Ovviamente approfittavamo dei vantaggi di avere una casa del genere: fumavamo, bevevamo, ma soprattutto ci divertivamo. Finito il weekend ricominciava la solita vita del cazzo, fatto di studio, stress, sigarette e cappuccini imbevibili. In tutto questo schifo c'era un'unica cosa che mi attraeva della scuola... Yvette; infatti durante il pomeriggio, fatta eccezione per quei rari in cui provavamo con la formazione al completo (d'inverno furono davvero pochi), la madre non le permetteva di uscire quasi mai. Quindi avevo l'occasione di stare con lei.
5
Le urla di mio padre mi svegliarono... classico lunedì mattina, tragico. Stesso copione degli altri giorni, arricchito però da una corsetta alle 07.15 A.M. per evitare di perdere quel qualcosa di non bene identificato che alcuni coraggiosi avevano l'ardore di chiamare autobus. Anche quella mattina la corsetta ebbe successo, ma presi la navicella ad una fermata diversa dall'abituale, così che trovai il mio posto occupato. Appena una fila più in là riconobbi, nonostante il sonno e il fatto che gli occhi mi lacrimassero, la tristezza per aver trovato occupato il mio storico posto mi sconvolse; un'intrigante chioma riccioluta. L'avrei riconosciuta fra mille, era Yvette. Mi sedetti accanto a lei, immediatamente, pur nello stato vegetativo in cui vivevo la mattina, fui attratto da qualcosa che scoprii poi essere profumo, il suo profumo. L'alchimista che aveva creato quell'essenza aveva fatto davvero un ottimo lavoro. Quella splendida fragranza però fu anche il colpo di grazia, fui assuefatto da quell'odore delizioso, cedetti alla stanchezza e crollai. Non che fosse chissà quale perdita, infatti la mattina potevo essere scambiato per un vegetale, per la quantità di parole prossima allo zero che pronunciavo. La cosa positiva era che neanche Yvette aveva gran voglia di parlare la mattina, anzi odiava quelli che lo facevano. Come darle torto. Entrambi al parlare, preferivamo lo sprofondare nello sconfinato universo rock di cui eravamo schiavi. Solo grazie alla musica riuscivo davvero a svegliarmi.
Sigaretta. Caffè. Campanella. Classe. Chiusura porta. Inizio.
Alla prima ora avevo matematica o forse fisica, non ricordo, per me non faceva alcuna differenza. Erano entrambe aramaico antico. Ne approfittai per riflettere sul rapporto che vi era tra me ed Yvette. Lei era ancora fidanzata, ma dentro di me il desiderio di possederla era troppo grande, stavo scoppiando. Non sapevo davvero cosa fare, se avessi tirato troppo la corda rischiavo di perderla, per me era soprattutto un'amica, un'ottima amica prima che una mia fantasia e di certo non volevo lasciarmela scappare. Non volevo farmi odiare, non volevo essere preso per scemo, non volevo che i presunti segnali che lei mi lanciava in continuazione fossero solo frutto della mia mente (ero uno dei più affermati registi di film mentali della mia generazione, questi capolavori però avevano sempre avuto come soggetto altri ragazzi. Non mi era mai capitato francamente di girarne uno su di me). Lo ammetto in quell'ora impazzii, elaborai centinaia di tesi l'una antitetica all'altra. Provvidenziale fu la campanella, che pose fine a tutti i miei contorti ragionamenti. Vi confesso che il risveglio fu traumatico. Dopo un'ora di supposizioni su qualcosa agli antipodi con ciò che in teoria avrei dovuto studiare a scuola, fui ribattuto (con tutta la violenza che può avere una campanella, vero e proprio cimelio di guerra, di un istituto superiore sperduto e privo di ogni innovazione) sulla terra. Fu traumatico; quando poi Bum Bum mi chiese - Hai capito il problema? Scoppiai a ridere. Fu strano, fu una di quelle risate che gli americani avrebbero indicato con ROFL, per cui inizi a ridere in modo convulso, (potrai notare facilmente come) l'allegria della tua risata in poco tempo contagerà tutti quelli che ti stanno affianco e prima che tu possa dire vagina o coito tutti staranno ridendo. La cosa sarà resa ancor più sconvolgente dal fatto che nessuno tra quelli che si stanno sbudellando dalle risate saprà rispondere a questa semplice quanto innocente e lecita domanda: Perché stai ridendo? Ad un certo punto smisi di botto e andammo a fumare.
Mi confidai con Bum, mi misi a nudo (ovviamente solo ed esclusivamente in modo metaforico), gli raccontai tutto. Capì i miei dubbi, ma disse che l'unico su questo mondo che poteva sapere cosa fare, era la stessa persona con cui stava parlando in quel momento, cioè io. Quella frase non avrebbe vinto nessun premio per l'originalità quell'anno, ma riassumeva in maniera maledettamente perfetta la situazione. Come biasimarlo d'altronde, non potevo pretendere una risposta da lui. Non potevo davvero. Il dialogo con Bum fu comunque edificante (come sempre d'altronde, ero davvero fortunato ad avere un amico del genere), mi fece capire che il tempo della procrastinazione era finito. Dovevo agire, anche a costo di provare lo scotto di ricevere un due di picche. Altrimenti non avrei ottenuto mai niente da lei.
6
I primi due mesi di scuola finirono, in quel momento i problemi iniziarono. Sotto tutti i punti di vista. Analizziamoli caso per caso.
- Scuola
I miei genitori davvero non potevano pretendere da me un rendimento più basso di quello che avevo. Ovviamente la frase è amaramente ironica. Della mia prima pagella del quinto non c'era davvero nulla di cui andare fiero. I miei voti oscillavano da un due in scienze a un quattro in matematica, ad un cinque in fisica e via discorrendo (c'era però, anche un meritato sette in filosofia). Non che il problema mi toccasse più di tanto, infatti erano ormai quasi quattro anni che nessuno dei miei genitori si recava a scuola per ritirare la pagella di fine quadrimestre, o il pagellino di metà quadrimestre. Questo non era dovuto ad una sciatteria dei miei genitori, quanto ad una sorta di comunione d'intenti silenziosa e mai dichiarata tra me e loro. Questo tacito accordo venne "stipulato" quando io frequentavo il secondo. In quell'occasione la mia pagella era davvero penosa, quindi per evitarmi le cantilene e i silenzi di mio padre (che potevano essere anche più dolorosi rispetto alle classiche ramanzine in macchina da post scrutini degli altri genitori) decisi di non dirgli niente. Non gli dissi che bisognava andare a scuola per ritirare la pagella, assolutamente nada de nada. La cosa passò inosservata e da quel giorno per me la parola scrutinio non ebbe più alcun significato. Cazzo che soddisfazione! Tutti i miei compagni di classe temevano gli scrutini, e pur non sapendo il giorno preciso in cui si sarebbero svolti (la questione non mi toccava, dunque non mi interessavo) riuscivo a capirlo attraverso il presentarsi, in modo regolare e con precisione svizzera, di alcuni fenomeni davvero molto strani. Una settimana prima che questi si tenessero, tutti diventavano studenti modello, nessuno diceva più una parola e cosa che più odiavo: tutti iniziavano a leccare in modo ridicolo il culo ai prof. La mia settimana da Dio era iniziata. Con il passare degl'anni altri presero spunto dalla mia tecnica e facendo questo anche loro iniziarono a vivere. Molti iniziano a vivere quando prendono la patente, altri quando si laureano o si sposano (per questa cosa specifica, però, vale solo la prima volta, dopo capisci che è solo una gran rottura di coglioni, ma necessaria), altri quando limonano o scopano per la prima volta. Beh... io ho iniziato a vivere quando ho cancellato la parola scrutinio dal mio vocabolario, o meglio quando pur essendo presente non ne conoscevo più il significato.
Risolto il problema scolastico non mi rimaneva che un problema. - Yvette Né la notte né il passare dei giorni avevano infatti portato consiglio. Tutt'altro, la cosa col tempo si stava complicando, oltre ai segnale che in continuazione io vedevo (sottolineo l'io, in virtù del fatto che questi potevano essere anche solo frutto della mia immaginazione, o meglio ero io che potevo averli interpretato in modo sbagliato), si erano aggiunti ora veri segnali, tangibili. I complimenti si sprecavano, le interminabili chat quotidiane che condividevamo diventavano sempre più interessanti, cominciò a dirmi che mi trovava carino, anzi bono, intelligente. Apprezzamenti del genere non li fai al primo sconosciuto che ti trovi davanti, ma a qualcuno a cui tieni davvero, e per cui provi qualcosa. Del resto è risaputo che non si può amare una persona che non si stima, dunque questa era la prima cosa da conquistare, il resto sarebbe venuto da se. Pur nascondendo i pessimi voti che la mia pagella conteneva, mi resi conto che non riuscivo a dormire tranquillo. L'ansia di essere bocciato mi assaliva, ero divorato da quella paura. Non la tolleravo, anche perché avevo altri cazzi per la testa, e sicuramente non riguardavano la scuola. Mi resi comunque ugualmente conto di poter convivere con quella situazione precaria, così presi una decisione coraggiosa... avrei iniziato a studiare. Ero determinato non sarei più tornato indietro. Avevo ormai preso questa impavida decisione e niente e nessuno avrebbe potuto farmi retrocedere. Mi sentivo un po' come Russel Crowe aka Massimo Decimo Meridio nella famosa scena del film "Il Gladiatore", ripetendomi: "Al mio segnale scatena l'inferno". Cosi iniziò la mia settimana di studio matto e disperatissimo. Inizio col dire che non fumai mai così poco in tutta la mia vita, che come in quella folle settimana. Praticamente non uscii neanche una sera, dunque le uniche sigarette che fumai furono quelle scolastiche. Chi tra voi miei lettori, è fumatore potrà capirmi. Ero in perenne astinenza da nicotina, scaricavo questa mia tensione e perdurante voglia di fumare (ovviamente non soddisfatta, quando ero a casa. Infatti, se mio padre avesse scoperto che fumavo mi avrebbe squartato con la stessa grazia e attenzione con cui un orso polare apre, e non in senso metaforico ma letterale, con il solo utilizzo dei suoi artigli le proprie prede. Per la cronaca, va ghiotto di foche degli anelli.) sul cibo. In quell'unica settimana presi tre chili. I miei pasti improvvisati svariavano da toast aventi al proprio interno l'intero frigorifero, a più classici panini con la Nutella. Una volta però, ricordo di aver saziato la mia fame cibandomi soltanto di orsetti alla vodka, accompagnati da una bottiglia di Gin. Ad essere sincero, non ricordo molto di quel pomeriggio, ma di una cosa sono sicuro, fu davvero mitico. Questo perché per un pomeriggio, almeno per quel fottutissimo pomeriggio tutti i miei pensieri: i bassi voti a scuola, l'incertezza su cosa fare con Yvette, i barrè che non riuscivo a fare con la chitarra, quell'accennata pancetta che cominciava a fare capolino a causa della totale assenza di attività fisica, tutto questo per cinque ore non mi tormentò. Anche se, come potete ben capire non riuscii più a studiare un cazzo. Ma pur non studiando, appresi comunque qualcosa di eguale importanza al capitolo di storia che mi ero prefisso di imparare in quel pomeriggio. Cioè, che avvolte bisogna staccare completamente la spina e prendersi un po' di tempo per riscoprire se stessi e capire cosa ci turba. Altra cosa importante che capii in quel pomeriggio è che, nel fare questo, ubriacarsi fa bene, aiuta davvero tanto. Non fraintendetemi il mio non vuole essere un incitamento al bere, lungi da me, non voglio la nascita di una generazione di alcolizzati (mento, in realtà è uno dei miei tre sogni / utopie di cui sono consapevole che mai diventeranno realtà), è semplicemente un incitamento al mandare a fare in culo tutto avvolte, anche se questo è sbagliato, perché aiuta. Una volta passata la sbronza vi sentirete molto meglio e su di morale. Credetemi. Almeno per me fu così. Rinfrancato dai miei cari orsacchiotti gommosi, ubriaconi e strafatti, capii che era arrivato il momento: dovevo sapere. Volevo una risposta da Yvette. In quello stesso istante giurai a me stesso che se fosse stato un no, avrei voltato pagina. Non ci avrei mai più pensato. Aprendo nuovamente la caccia ad una pupa. La mattina seguente, mi svegliai di buon mattino. La cosa mi sconvolse, del resto non mi era mai capitato nei precedenti diciannove anni, di svegliarmi alle sette A.M. in un giorno festivo. Posso dire che quello che stavo ammirando era un mondo del tutto nuovo per me, totalmente sconosciuto. Lo stupore dunque fu considerevole. Tant'è che iniziai una profonda riflessione, per cercare di capire le ragioni scatenanti di quell' evento metafisico. Passarono circa due secondi, in seguito a questi mi resi conto che il cesso aveva la priorità. Dopo aver urinato e lavatomi accuratamente le mani (l'igiene prima di tutto), mi sciacquai il viso. Guardando l'immagine riflessa nello specchio capii il motivo della mia levataccia, ero palesemente nervoso. Compresi il messaggio che il mio corpo mi stava mandando. Presi il cellulare e le inviai un SMS. Le dissi che avevo bisogno urgente di parlarle, fissai poi il posto e l'orario. Ci saremmo incontrati due ore più tardi sotto casa sua. Poi spensi il cellulare e iniziai a prepararmi. Innanzitutto dovevo rilassarmi, ero davvero troppo teso. Così, come sempre in questi casi, riempii la vasca d'acqua e dopo aver aggiunto una quantità abnorme di bagnoschiuma ed aver fatto ben miscelare i due liquidi... mi ci immersi. Restai in ammollo per più di mezz'ora, edonismo allo stato puro. Una volta uscito, ed aver asciugato il corpo e i capelli, mi sbarbai e infine mi vestii. Ero pronto. Accesi il cellulare, nella casella messaggi vi era un SMS. La sua risposta era un no, non poteva. Del resto non era una novità, spesso la madre le aveva impedito di uscire. Mi resi conto di non essere più in grado di aspettare, e pur cosciente del fatto che la via telematica non è di certo il miglior modo per comunicare cose di questo genere, decisi di farlo ugualmente. Dovevo chiederglielo. Così, feci un lungo respiro e iniziai a scrivere ciò che in gergo viene chiamato un "testamento"...e in effetti era davvero molto lungo, ricordo che mentre lo scrivevo, le mani mi tremavano e i polpastrelli iniziarono a sudarmi. All'interno della mia testa iniziarono a sovrapporsi decine e decine di parole, frasi e concetti da cui alla fine trassi il succo, il risultato finale fu più o meno questo...
"Avrei preferito che tu fossi uscita questa mattina. Tu ti chiederai il perché di questa mia spasmodica voglia di vederti. Potrà sembrarti banale ma il motivo è molto semplice, perché io amo stare con te, amo vederti sorridere, amo ascoltare anche per ore i tuoi discorsi senza senso. Amo osservarti in tutta la tua semplicità, amo la naturalezza del tuo viso, puro e immacolato. Amo di te, tutto ciò che fai perché fatto con una grazia unica, amo la tua voce vellutata, amo le irrazionali follie che mi spingi a fare per renderti felice, amo le tue battute sconce, amo il tuo corpo, amo quando mi prendi in giro. Amo te."
La lunghezza del messaggio originale era maggiore, davvero molto maggiore, ma una volta riletto decisi di optare per un messaggio, che era sì più corto, ma più intenso e in grado di esprimere in maniera più forte e forse anche sincera ciò che provavo per lei. Lo rilessi un'ultima volta e poi lo inviai. In quel momento, sentii un brivido che trapassò per intero il mio, in quel momento vulnerabile, metro e settantacinque, dalla testa ai piedi. Non so se questo strana reazione fosse stata causata dalla paura, dal freddo o magari dalla felicità inconscia che provai in quell'istante, per aver finalmente estraniato tutto ciò che provavo. Mi sentivo libero ma allo stesso tempo fremevo, desideravo una sua risposta. Non so come avrei reagito ad un no...ma nell'attesa analizzai le possibili varianti. Potevo capire una sua risposta negativa, dopo tutto lei era già, seppur con un nano (che però ascoltava buona musica) fidanzata. Quindi non potevo pretendere che lei lasciasse il suo ragazzo così di punto in bianco per iniziare una relazione con me. In un certo senso questo era del tutto impossibile se analizzato attraverso un'ottica logica o razionale, ma in amore nulla è razionale, dunque. Poi non sarei riuscito più a convivere con quel peso...non riuscivo più neanche a dormire. Di conseguenza pensai che in entrambi i casi avrei comunque migliorato la mia situazione. Una vibrazione mise drasticamente fine al mio stato di attesa, era lei.
7
La mattina dopo mi svegliai piuttosto presto, verso l'una del pomeriggio. Me la prendevo molto comoda la domenica mattina. Di solito dormivo, infatti, fino alle due e mezza. In modo così, di aver il tempo di pranzare prima di concentrarmi sulla mia sesta passione: (l'unica ad essere diciamo part time, nel senso che era valida solo di domenica, fortunatamente non ero uno di quei fanatici coglioni) il Napoli. Il pranzo domenicale era stato come sempre ottimo e come sempre mi ero ingozzato di cibo, in modo così eccessivo da vergognarmi. Una volta terminato, mi stesi sul divano, la partita era iniziata. Ma quella domenica il match del San Paolo non mi prese come solitamente accadeva. Qualcosa era diverso in me. Qualcosa, era cambiato, credo per sempre. La risposta di Yvette era stato un no, un no che io credevo di poter capire ed accettare ma che in realtà non comprendevo. Non capivo perché Yvette mi avesse degnato di così tante attenzioni, regali, complimenti, per poi dirmi no. Davvero non riuscivo a comprenderlo. Rilessi il messaggio più e più volte. Il succo era che in me vedeva solo un amico, nient'altro. Poche erano state le volte fino ad allora, in cui non avevo capito il perché di qualcosa. Molte erano state le volte che avevo fatto finto di non capire, ma poi in realtà mi era chiaro tutto. Quella volta invece, niente. Non riuscivo davvero a comprendere. Mi chiusi in me stesso e decisi di non parlarle mai più. Non perché la odiassi, per via del rifiuto, ma esattamente per il motivo opposto. Ero troppo attratto da lei, e non potevo continuare ad essere amico di una persona che mi attraeva in quel modo non essendo ricambiato. L'imbarazzo sarebbe stato tale da potersi tagliare con il coltello. Non ci sarebbe più stato il rapporto che avevamo avuto fino a quel momento. Così, decisi di troncare i rapporti con lei in modo drastico. I primi giorni fu difficile, lo ammetto mi mancava davvero tanto, ma poi iniziai ad abituarmi. Avendo chiuso questo capitolo della mia vita, decisi che era il momento di riaprirne un altro, da troppo tempo messo in secondo piano, quello riguardante la scuola. Non rendendomene neanche conto stavo andando completamente alla deriva. Mancavano due giorni alla chiusura del quadrimestre e dovevo essere ancora interrogato in filosofia, inglese, storia dell'arte, italiano e nell'agognata scienze. In buona sostanza avrei dovuto fare il 75% delle interrogazioni in appena due giorni, quando invece gli altri miei compagni se le erano tolte dalle palle spalmandole lungo l'arco dei due mesi precedenti. Ero stato davvero un incosciente. Non ero riuscito a gestire i vari impegni abbandonando completamente la scuola. Comunque non mi persi d'animo. Iniziai a studiare già a scuola. Studiai ininterrottamente per 48 ore di fila, se consideriamo il fatto che mentre dormiamo il nostro cervello rielabora ciò che ha immagazzinato durante la giornata. Studiavo dovunque, nel cesso, in quel cesso a quattro ruote definito autobus, a scuola, nel cesso della scuola. Praticamente studiai in qualsiasi posto in cui il mio culo sostò per più di venti secondi. Molti di questi erano cessi, Ahimè. Le prime ventiquattro ore di studio furono incentrate su storia dell'arte e italiano. Amavo entrambe queste due materie, studiarle per me era un piacere, la bellezza dei quadri di Picasso, le crude descrizioni di Verga, la genialità folle di Van Gogh. Il massimo insomma. Il primo dei due Interrogation Day era iniziato. Solita mattinata di merda, niente di nuovo. Ma qualcosa mi turbava. Questo, non mi permetteva di concentrarmi al 100% sullo studio e mi impediva di ripassare le ultime cose. Durante il pomeriggio precedente avevo notato come, quanto più cercavo di concentrarmi sullo studio, offuscando in questo modo il ricordo del no. Tanto più questo veniva a galla...tormentandomi. Il mondo era insensibile a questo mio stato d'animo, di autentica crisi (in alcuni frangenti quasi di disperazione), e questo non faceva altro che allontanarmi ancor di più dalla vita reale e dai miei amici. Ero totalmente assente in classe, non solo durante le ore di matematica e fisica, ma sempre. Questa condizione faceva sì che io perdessi totalmente la concezione del tempo, e senza che io me ne rendessi minimamente conto, in poco più di un quarto d'ora (utilizzando sistema metrico decimale dei depressi) tre ore erano andate a farsi benedire. Di conseguenza la quarta ora era arrivata. Dunque, il primo banco di prova (Arte) incombeva. La tensione in me aumentava sempre più. Di solito riuscivo a dominare questo tipo di ansia da "prestazione", ma quel giorno no. Il motivo era molto semplice, non prendevo parte ad una interrogazione da quasi due mesi e paradossalmente posso dire che non ero più abituato ad essere interrogato. Era una situazione davvero fuori dal normale. La campanella suonò e il professore varcò la soglia della classe. Vi assicuro che questo prof, era davvero un mito. Di gran lunga il più amato dell'intero liceo. La sua era una figura imponente, un metro e ottanta di cultura, intelligenza, follia e soprattutto comunismo allo stato puro. Si differenziava dagli altri professori in tutto e per tutto. Il modo di vestire, di parlare, di rapportarsi con gli alunni. Vedeva ogni cosa in modo diverso, diventando così, un amico prima che un professore. Ma in particolare, c'era una cosa che lo rendeva diverso dagli altri. Le rare volte in cui io e i miei compagni commettevamo il grave sbaglio di disturbare la lezione, lui non ci puniva con i classici e superati rapporti disciplinari. Il suo metodo per ottenere il silenzio prevedeva l'utilizzo di leggerissime carezze.
• Posso tranquillamente dire che tenendo conto della potenza oggettiva di queste, l'evenienza di una frattura scomposta alla spina dorsale non era decisamente da escludere, ma anche che considerando il modo magistrale (aveva un passato da boxeur ed inoltre era un sessantottino, dunque di pugni ne aveva dati abbastanza) in cui questi venivano assestati nessuno sentiva mai dolore per più di due secondi scarsi.
Il colpo di genio del Prof era proprio questo. La paura che quei due secondi potessero trasformarsi in minuti ti impedivano di parlare. Si capisce che con lui, tutti stavamo sempre zitti. Ma non solo per paura dei pugni, anche e soprattutto perché lo rispettavamo e ammiravamo. L'istante in cui il Prof fece il suo ingresso nella classe coincise con il picco massimo della tensione registrata. In quel momento raggiunse l'apice. La fronte iniziò a sudarmi, la frequenza dei battiti cardiaci aumentò in maniera esponenziale, stavo davvero per sentirmi male. Per fortuna riuscii a calmarmi e a riprendere possesso di me stesso. L'interrogazione iniziò. Come argomento principale decisi di portare "L'urlo" di Edward Munch, non fu una scelta casuale. "L'urlo" è ambientato in un paesaggio allucinato e ondeggiante, metafora della confusione profonda che regna nel nostro disastrato mondo. La figura principale è priva di qualsiasi caratterizzazione, incarnando così l'artista stesso, e simbolicamente la condizione umana. Il suo viso è simile a quello di un essere agonizzante, di un cadavere o di un teschio e proietta la propria mortale angoscia su tutto il reale. Munch riuscì nell'impresa di presentarci in modo perfetto una drammatica condizione individuale. L'efficacia e la forza attraverso cui l'artista ha saputo convertire questo stato d'animo, tipico dell'essere umano, in arte ha fatto sì che quest'opera sia diventata il simbolo universale della disperazione umana. Avrete già capito, che la mia scelta non era stata dettata solo da apprezzamenti di tipo artistico (che comunque avevano influito, amavo lo stile folle di quel quadro) ma soprattutto dalla condizione di disperazione in cui vivevo da settimane e che invano tentavo di reprimere e nascondere. La mia, era un'inconscia richiesta d'aiuto. Le analogie tra il quadro e me stesso cominciavano ad essere davvero molte. L'urlo disperato della tela rimane inascoltato, i suoi amici non si accorgono del suo malessere. Munch viene abbandonato a se stesso, nella più totale indifferenza. L'interrogazione andò benissimo, presi otto. Mentre questa aveva luogo fui piacevolmente sconvolto da qualcosa di straordinario. Avevo appena iniziato a parlare del quadro, quando mi resi conto del fatto che tutto lo studio della tela era stato inutile, fatta eccezione per la tecnica pittorica e i contrasti cromatici, sapevo già tutto. Non dissi ciò che avevo studiato, ma tutt'altra cosa. Fu quasi come una seduta dallo psicologo, difatti quell'interrogazione funse per me da sfogo. Tutto quel maledetto pus di sofferenze usci fuori dalla mia testa. L'immedesimazione con Edward fu completa, questo mi permise di guardare il quadro da un prospettiva diversa da quella che i libri di testo mi offrivano. La mia. Quell'interrogazione ebbe su di me un effetto catartico, in quei trentacinque minuti rinacqui, tutte le mie frustrazione sparirono. Mi sentivo di nuovo libero e in grado di possedere il mondo. Mi mancava quella splendida sensazione di potenza, posso dire che fu persino migliore rispetto ad una canna. In quell'istante capii... IO AMAVO L'ARTE.
FINE PARTE PRIMA
8
La quarta ora terminò, le restanti due passarono in scioltezza. Del resto cosa c'è di meglio di un'ora latino (considerando il fatto che il prof avesse elaborato un metodo di studio alternativo, che prevedeva una sola regola: non fare un cazzo!) ed educazione fisica, che per me significava una sola cosa: poter fumare senza pensieri, libero dalla paura che il preside; alias "il pastore"; potesse arrivare e sanzionarmi... Il paradiso no? Amavo le ore di ginnastica. Non solo per il fumo, ma anche perché una volta finita la sigaretta iniziava il programma di allenamento. Non che mi interessasse più di tanto, infatti mi allenavo già a casa; il mio programma di allenamento consisteva in due serie da cinquanta, di flessioni ed addominali, dunque, non molto ricco; mentre quello della prof era costituito da molti più esercizi che, ovviamente lo rendevano decisamente più completo ed efficace. Di uno di questi in particolare ho un bel ricordo. Si partiva da un'iniziale ed innocente posizione supina, l'esercizio consisteva nel sollevare il bacino, ad intervalli regolare; se ben ricordo le serie erano da trenta. Si capisce, che questo movimento generava sempre un certo imbarazzo tra noi ragazzi. La prof faceva finta di niente, tentando anzi di farci concentrare sull' esercizio in se, ma mi accorsi, che anche lei alla fin fine era costretta a nascondere un accenno di sorriso (consapevole), che più e più volte durante quei trenta secondi le si disegnava in viso. Del resto anche un verginello l'avrebbe capito, quell'esercizio ricordava in modo esplicito una posizione del Kamasutra (tra l'altro una delle più apprezzate, da entrambi i sessi. Ottima per gli eiaculatori precoci), almeno per quanto riguarda la figura del maschio. La posizione dell' Amazzone o dell' Andromaca. Questa vede appunto, l'uomo sdraiato di schiena e la donna seduta su di lui. Potrei dilungarmi ancora per molto, ma non lo faccio, per semplice pudore. Sono sincero, era da un po' che non scopavo, ma nonostante questo, fui piacevolmente sorpreso dalla fluidità e dalla plasticità con cui eseguii l'esercizio. Vi anticipo che mi sarei allenato molto nei mesi successivi e nei posti più disparati. Quella giornata era stata un trionfo, ero rinato sotto tutti i punti di vista. La mia autostima, era fortunatamente ritornata ai livelli classici, era cioè molto alta. Non che fossi un narcisista, ma è pur vero che credere in sé stessi è uno degli elementi (se non il più importate) fondamentali, per vivere una vita appagante. All'appello però, mancavano ancora i voti orali di scienze, italiano ed inglese. Rimaneva ancora solo un giorno utile, prima della chiusura del quadrimestre, l'impresa che mi accingevo ad accettare poteva dunque, sembrare impossibile. Prendere tre 6 in un solo giorno, e con un unico pomeriggio di studio alle spalle, non era decisamente una passeggiata. Nelle condizioni in cui ero fino al giorno prima, credo che non ci avrei neanche provato. Mi sarei concentrato su una materia, e abbandonato le restanti due; ma lo stato di grazia che vivevo, sia fisico che mentale mi permettevano di sperare nella buon'uscita della missione. Tornato a casa iniziai subito a studiare, la materia in cui avevo le maggiori lacune era senza ombra di dubbio scienze, avevo infatti quasi un mese di arretrati da recuperare. Non ce l'avrei mai fatta, anche considerando italiano ed inglese. Dunque, selezionai gli argomenti più gettonati: il processo di formazione del petrolio e la struttura del benzene. Dopo poco più di un' ora avevo finito. Mi rimanevano italiano ed inglese. Non ebbi nessun tipo di problema. Entrambe erano materie che amavo, di conseguenza il processo di assimilazione fu molto fluido. Finii di ripassare verso le sette di sera. Mi sembrava impossibile aver studiato tre materie (seppur da sei o massimo sette) in un unico pomeriggio, incredulo ma comunque soddisfatto andai a farmi una doccia. Presi una buona oretta per me, durante quest'arco di tempo mi abbandonai completamente, al dolce scorrere dell'acqua sul mio corpo. Inevitabilmente, quello stato d'estasi e di piacere risvegliò in me il lieto ricordo di Yvette. Una volta terminato l'iter post doccia, buttai un'occhiata all'orologio. Mi resi conto che in realtà era passata solo mezz'ora, di conseguenza avevo ancora un'oretta prima di dover cenare. Decisi di uscire, così mi infilai dei pantaloni, allacciai le scarpe ed infine, aprii il cassetto delle maglie. Una settimana prima del misfatto Yvette mi regalò un maglione, era aderente e di un blu acceso, forte come piacevano a me.
Aperto il cassetto me lo ritrovai davanti. Non l'avevo ancora mai indossato né lavato; ne percepii il profumo, incantevole e così come accadde la prima volta, entrai in uno stato d'estasi. Lo presi ed in un certo senso lo "abbracciai", il profumo e il fatto che fosse suo, mi davano l'illusione di avere lei fra le mie braccia, di nuovo.
• Misi in cinta il maglione.
Feci una lunga riflessione, durante la quale ricordai gli eventi, le sofferenze, le gioie che avevamo condiviso. Centinaia di immagini riaffiorarono nella mia mente, molte erano felici altre tristi, ma in ogni caso avevano sempre lei come soggetto. Non c'era stato nessuno in grado di prendermi come lei aveva fatto. Solo in quel momento capii quanto mi mancasse, quanto mi mancasse averla accanto. Giunsi alla conclusione che non poteva finire così, e che era stupido evitarla. Facendo questo avrei evitato anche una parte di me stesso, quella più profonda. Non sapevo a quale scopo, ma decisi che dal giorno successivo avrei iniziato a parlarle nuovamente... ero sicuro che fosse la scelta giusta. Dopo mezz'ora di sesso con il maglione, decisi che era ora di uscire. Si erano fatte le otto, avrei dovuto avere altri trenta minuti abbondanti prima di cenare; ma mio padre, tornò prima quella sera, così, ebbi il tempo soltanto per una sigaretta. Me la gustai, ed aspirato l'ultimo tiro ebbi l'illuminazione, la mia rinascita era completa. Volevo bene a Yvette, anzi ero sicuro di essermene innamorato, ma compresi che lei aveva già un ragazzo e che forse fidanzarmi con lei non era ciò che volevo. Io, volevo stare con lei ma non volevo essere vincolato ad un fidanzamento, volevo essere libero di fare ciò che volevo, quando volevo. Rientrai in casa, cenai... ed esausto andai a letto.
9
Mi svegliai fresco e riposato come non mi capitava da molto ormai, era una sensazione che mi mancava. Evitai così anche la seconda sveglia, gentilmente offerta da mio padre. Andai in bagno, mi rinfrescai il viso. Ero brillante, sereno, tranquillo, le interrogazioni che mi apprestavo a fare non mi turbavano minimamente. Essendomi svegliato con qualche minuto di anticipo ebbi il tempo di fare una colazione completa, non il solito e odiato mordi e fuggi. Assaporai in tutta la sua perfezione il gusto del cornetto immerso nel latte, del pancarré con la Nutella, la croccantezza delle piccole quanto deliziose mele di mio nonno, che goduria. Infine un bel caffettino, mio padre era ed è un maestro in questo. Arricchiva infatti, il suo espresso con un vaporoso e dolce strato di schiuma, rendendolo in questo modo sublime. Insomma una colazione coi fiocchi. Andai a vestirmi, indossi il maglione che Yvette mi aveva regalato, sarebbe stato l'aggancio per parlarle; anche se perlomeno per la prima parte della mattinata i miei pensieri sarebbero stati monopolizzati dalla scuola. Ripassai anche nel pullman, isolandomi completamente dal resto dei miei compagni. Questa volta però, perché volevo. Ero tranquillo e sicuro di me stesso. Entrai a scuola senza nessun tipo di paura. Pur avendone gustato uno a casa, il rito è rito. Così con Bum Bum andai alla macchinetta per prendere un secondo caffè. Appena uscito fuori dalla classe, mi fu impossibile non notare che Yvette era lì, in tutta la sua stupenda semplicità. Indossava un paio di Jeans scuri ed un' adorabile maglione azzurrino. Appena la vidi, tutti gli altri sparirono, avevo solo lei davanti a me. Immediatamente però pensai: e ora cosa le dico le dico? Dopo un mese e mezzo di buio totale non sapevo davvero come attaccare bottone; i tre secondi che impiegai dalla classe alla macchinetta furono interamente occupati dalla scelta di cosa dirle. Arrivai, lei era di spalle. Non si era accorta di me. Le toccai i capelli, in modo dolce. Di scatto si girò, incrociammo lo sguardo. Era splendida, così delicata, l'assenza del trucco la rendeva ai miei occhi ancor più carina, perché fragile, vulnerabile, dolce. In quell'attimo ci distaccammo dal resto della scuola, eravamo solo io e lei. Non dicemmo nulla, non ce n'era bisogno, erano i nostri occhi a parlare. Nessuno di noi due osò interrompere quel magico momento. Tutto questo durò al massimo due o tre secondi, ma ai nostri occhi sembrò perpetuarsi per un'eternità. Posai la mia mano dietro il suo collo, lo accarezzai. Morivo dalla voglia di profanare le sue labbra, ma sapevo anche di non poterlo fare a scuola o meglio, di non poterlo fare davanti alla macchinetta, dove tutti potevano vederci. Non potevo farlo davvero, Yvette era ancora fidanzata. Nonostante questo ci avvicinammo, le nostre labbra si sfiorarono, i nostri corpi iniziarono a toccarsi e lambendole lievemente il viso le dissi - Ciao. Lei non mi rispose subito, continuò a guardarmi. Poi accennò un sorriso, raggiante e mi disse - Buongiorno Bel Ami. La campanella suonò. Le mie imminenti interrogazioni mi impedivano di trattenermi, ma non volevo lasciarla così. La baciai, sulla guancia. Straordinariamente però, pur non avendo sfiorato minimamente le sue labbra, questo aveva avuto la stessa intensità del migliore dei baci. Le sorrisi, lei ricambiò e senza aggiungere altro ci lasciammo. La mattinata non avrebbe potuto avere miglior'inizio. La prima interrogazione che mi attendeva era quella di scienze. La prof, senza ombra di dubbio una delle più rincoglionite della scuola, usava interrogare cinque o sei ragazzi contemporaneamente. Il caos assoluto, ma nel mio caso questo non poteva essere altro che un aiuto, infatti le domande a testa erano al massimo due. Fui fortunato, quelle che mi fece avevano come soggetto gli unici due argomenti che avevo studiato. Tutto sommato andò bene, dall'iniziale due e mezzo passai ad un cinque pieno. Il ché in una materia che odiavo non mi dispiaceva affatto. Ero soddisfatto di me stesso e del modo in cui avevo espresso quei concetti a me totalmente estranei, fino al giorno prima. Archiviato il capitolo scienze mi concentrai su inglese. Amavo questa lingua, d'altro canto il 90% delle canzoni che ascoltavo e che tutt'ora ascolto erano state scritte in questo idioma. Mi veniva molto facile imparare intere canzoni a memoria, un po' meno gli argomenti di letteratura inglese, ma comunque non mi potevo lamentare. Il mio rendimento (perlomeno orale) era sempre stato del sette e anche quel giorno confermai la mia media. Dunque mi rimaneva un'unica materia prima di completare la mia impresa: italiano. Gli argomenti che avevo dovuto imparare erano stati sostanzialmente tre. Il primo era suddiviso in due parti: il verismo, avente nel siciliano Giovanni Verga il maggiore esponente ed il parallelo movimento francese del naturalismo; seguiva il decadentismo e infine la Scapigliatura. Il modo di scrivere degli scapigliati mi piacque fin dall'inizio, d'altronde ero sempre stato affascinato dai ribelli e dagl' anticonformisti ed inoltre amavo le tematiche dark e folli che caratterizzavano i loro scritti. Avrei dovuto studiare anche il VI canto della Divina Commedia, ma mi ero davvero rotto le palle e così, esausto, issai bandiera bianca. Nonostante questa mancanza ero comunque molto fiducioso. La campanella suonò, la prof fece il suo ingresso puntuale nella classe e prese posto. Questa volta eravamo in tre ad essere interrogati ed ognuno di noi, sfortunatamente aveva qualche lacuna, per questo ci facemmo forza a vicenda; l'interrogazione ebbe inizio. La professoressa in questione era come lei amava definirsi una romantica, una sognatrice. Nata però in un momento sbagliato della storia, come biasimarla. Era una delle più preparate ed apprezzate della scuola. Possedeva infatti una preparazione completa, che spaziava dall'italiano al francese, dalla storia al latino. Tutto questo era arricchito inoltre da una forte personalità e dal fatto che fosse indubbiamente una bella donna, ero molto affascinato da lei. Incuteva in molti alunni timore, non vera e propria paura ma qualcosa di simile. Difatti, la tensione pre interrogazione era sempre molto alta e nei casi più estremi portava addirittura, al presentarsi di tic passeggeri che sparivano come d'incanto al termine della verifica. Niente di tutto questo mi toccò minimamente, il mio stato d'animo infatti, era di assoluta tranquillità. Fui, dei tre, l'ultimo a prendere parola. La domanda che la prof mi pose trattava della differenza tra Verismo e Naturalismo. La conoscevo in modo perfetto, parlai in modo fluido e con un italiano sicuro, riuscendo anche in qualche caso a strappare un sorriso alla prof, con qualche battuta ben posta. Tutto sommato risposi in modo soddisfacente, la sicurezza in me stesso e nei miei mezzi in quel giorno fortunato, aumentava sempre di più. Mi sentivo davvero forte. L'interrogazione continuò, tra alti e bassi, fino a quando toccò di nuovo a me. Questa volta la domanda riguardava il Decadentismo. Iniziai a parlare, ma immediatamente percepii che c'era qualcosa di strano, quello che stavo vivendo non mi era per niente familiare; non mi sembrava infatti, di essere ad un' interrogazione ma in un parco, di domenica pomeriggio. Incredibilmente, in quell'abbondante quarto d'ora "flirtai" con la prof. La gran parte di quei quindici minuti furono infatti occupati, si dalle mie parole, ma soprattutto dalle sue risate in risposta alle mie battute. L'interrogazione finì lì, incredibilmente. Ero riuscito in un'impresa, di solito poneva tre domande di letteratura ed una sulla Divina. Quel giorno invece si fermò alle prime due di letteratura ed inoltre cosa davvero rara disse anche i voti, presi sei. La mia media era del sette ma in quella particolare situazione quel sei ebbe lo stesso valore di un otto, ero soddisfatto. La campanella della ricreazione suonò, così io insieme al mio compagno di interrogazione (il veneto) uscimmo a fare un giro; appena fummo fuori dalla classe iniziò a complimentarsi con me. Sorridendo gli chiesi il perché di questo, in realtà lo sapevo, ma volevo capire se la mia era stata soltanto un'impressione soggettiva o se magari era qualcosa di più. Trovai nelle sue parole una conferma, mi disse che incredibilmente ero riuscito a monopolizzare l'interesse della prof distogliendola così, perlomeno in parte, dall'interrogazione. Salvando in questo modo il culo a tutti. Scoppiai a ridere ma è innegabile che in quel momento la mia autostima raggiunse un livello mai registrato fino ad'allora. Grazie alla mia simpatia ero riuscito ad evitare un probabile cinque ed aiutare anche un mio compagno...di conseguenza non ero soltanto un "figo" ma anche un filantropo.
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Non posso certamente negare che le ultime trecentoquarantasette parole appena lette, se interpretate in modo "sbagliato", possano tranquillamente farmi passare per un' emerito pallone gonfiato, che elemosinava sei al liceo attraverso discutibili mezzi. Niente potrebbe in realtà descrivermi in modo più sbagliato. La mia stravagante vita è stata segnata, dagli otto anni in poi, e per ogni singolo giorno a partire da quello, da particolari; piccoli, impercettibili particolari / segnali, capaci di ribaltare il mio stato d'animo in un tempo minore rispetto a quello necessario a Sgarbi, per far sì che qualsiasi persona con cui stia dialogando pronunci queste magiche parole: "Va a farti fottere". In media 10 secondi. Dietro l'apparente e proverbiale sicurezza che mi caratterizzava, si nascondeva invece una personalità estremamente insicura, profondamente sensibile agli eventi e soprattutto maledettamente timida. Tentavo di impedire in tutti i modi che questo mio lato, ai più sconosciuto, venisse a galla; all'esterno era difficilmente percepibile, ma nonostante ciò nell'angolo più recondito del mio essere, esisteva. Dovevo quindi coltivare, tra l'altro in maniera non stop, la mia autostima attraverso la conquista di vittorie, soddisfazioni, avvolte tremendamente velleitarie, effimere, che però mi permettevano di vivere in pace con me stesso. Nei giorni in cui le vittorie giornaliere si susseguivano, commettevo il grave sbaglio di montarmi, in modo decisamente esagerato, la testa. Ovviamente, anche in quel lodato giorno, questo frequente fenomeno si ripropose; sbagliando. Ma mettetevi nei miei panni, tutto mi filava liscio.
Al di là di tutto, ero davvero felice, contento; la mia era una felicità sincera, avevo recuperato tutte le materie scolastiche, la fiducia in me stesso e forse anche il rapporto con Yvette. Arrivarono le due, la campanella suonò e tutti uscimmo. Di solito, mi facevo accompagnare alla fermata dell'autobus con l'auto da Bum Bum, era uno dei tanti riti che nel corso degl'anni avevamo instituito. Sfruttavamo quel breve tratto di strada che separava il liceo, dalla mia fermata dell'autobus, per commentare la giornata appena trascorsa ma soprattutto prenderci per il culo a vicenda. Impiegavo molto più tempo con la macchina ma non avrei mai rinunciato a quel momento, che non diventò mai di routine, perché speciale. Quel giorno però, ero anch'esso speciale. Desideravo in modo spasmodico poter parlare con Yvette, volevo passare quanto più tempo possibile con lei. Cosi mi avviai a piedi, da solo. Non riuscivo a vederla, pensai di aver perso troppo tempo, doveva essere già arrivata. Quando, ad un tratto mi sentii chiamare, ma non con il mio nome di battesimo, bensì con un nome che sole lei conosceva: Bel Ami. Mi girai di scatto, lei era dietro di me; la guardai, un dolce ed insolito sole di fine Novembre la baciava, illuminandole il viso. Il maglione azzurrino aveva lasciato spazio ad una maglia più fine che lasciava intravedere le sue forme, alquanto interessanti. Amavo il suo seno, era perfetto, tonico e delle giuste dimensioni; di sicuro la parte del suo corpo ("esposta") che preferivo. Percorse i cinquanta metri che ci separavano con un passo sicuro e con quel portamento deciso che mi facevano decisamente impazzire. Amavo la sicurezza di quella ragazza, la facilità con cui riusciva a farmi ridere ed anche il suo essere un "maschiaccio" a volte. Per tutti questi motivi con lei potevo parlare di tutto, nessun'argomento era censurato, potevo essere me stesso, non avrei mai ricevuto critiche per ciò che ero. Yvette, si avvicinava sempre più e quando fu ad un metro da me le andai incontro, ci baciammo. Fu un' esplosione di un'intensità e al tempo stesso di una dolcezza davvero rara. In quel bacio, le nostre labbra diventarono un corpo unico, si legarono formando un legame indissolubile. Qualcosa di stupendo. All'improvviso, con la coda dell'occhio vidi l'autobus arrivare. Totalmente indifferenti a ciò che stavamo vivendo, le insensibili leggi di questo mondo crudele obbligarono le nostre lingue a staccarsi bruscamente e alle nostre gambe di iniziare a correre. Raggiungemmo l'autobus appena in tempo, anche se confesso che in tutta sincerità non mi sarebbe dispiaciuto rimanere un intero pomeriggio solo con lei, in barba ai rigidi divieti di sua madre. Una volta preso posto ed aver recuperato il fiato perduto, le esternai il mio vitale bisogno di mangiare. La dura giornata mi aveva sfiancato. In quel momento la amai ancor di più.
• Si trattò sicuramente del famoso amore dell'affamato, il quale ti porta a vedere nella persona che condivide il suo prezioso cibo con te un angelo azzurro (Per ora è solo una mia teoria, ma sono sicuro che presto verrà riconosciuta dall'intera comunità scientifica).
Mi guardò ridendo e con una faccia soddisfatta aprì lo zaino, conteneva un sacco di quelle schifezze di cui i distributori scolastici sono pieni. In quel momento però, proprio quelle dannate schifezze maledettamente caloriche rappresentavano l'unica ancora di salvezza alla nostra fame improvvisa. Divorammo tutto ciò che c'era ed in poco più di cinque minuti quel buffet improvvisato terminò. Una volta soddisfatta la mia fame iniziai a parlarle della mia mattinata... - Cristo santo, non avrei mai immaginato che una giornata potesse essere cosi devastante come quella di oggi! - Ti ricordo che fai il quinto, sei al capolinea, non lamentarti se l'anno prossima avrai esami e appuntamenti galanti che ti aspettano ogni giorno! Disse Yvette. - Ah, addirittura appuntamenti galanti? Per chi mi hai preso? Azzardai ridendo.
- Tu sei Bel Ami, e cos'è Bel Ami senza un paio di appuntamenti galanti, giusto per rendere la vita universitaria degna di nota? Rise in maniera spasmodica, poi sospirò e iniziò a guardare il finestrino.
A volte aveva un'aria davvero triste, soprattutto quando non si rendeva conta di essere osservata. Anzi, forse sapeva di esserlo, per questo assumeva quell'atteggiamento. Si immergeva nei suoi pensieri, alzando un muro spesso invalicabile col resto del mondo. Con la stessa repentinità con cui vi era annegata ne riemergeva.
Mi guardò e disse: - Oggi sono entrata in classe, e mi sono resa conto di essere ossessionata dalle tette delle mie compagne.
Scoppiai a ridere: - Ossessionata? Così di punto in bianco? - Te lo giuro, sono arrivata in classe e la prima cosa che mi è capitata davanti sono state le tette della tipa al banco opposto al mio. Tanto che ho guardato le sue tette, poi ho guardato le mie, le ho prese amorevolmente tra le mani e ho guardato di nuovo le sue, e ho capito che le mie tette non mi interessavano, nel senso, le vedo tutti i giorni, capisci? Allora ho guardato nuovamente le sue tette, poi sono arrivate le altre mie compagne e ho continuato a guardare le loro facendo ping pong con lo sguardo, e la cosa bella è che stavo attenta anche alla lezione. Quindi sono arrivata ad una conclusione. Disse infine, incrociando le braccia, mentre un ciuffo ribelle e riccioluto le ricadeva sul viso. - E quale sarebbe sentiamo? Le chiesi, divertito. Non mi rispose subito, stava cercando di spostare quell' arruffato ciuffo dal viso, soffiando verso l'alto, così aspettai. La guardai attentamente, in attesa di una risposta, così lei mi guardò, assunse per un nanosecondo un'espressione interrogativa e poi sbotto: - AH, SI! La conclusione. Beh, la conclusione è che le tette sono la mia prima fonte di ispirazione e concentrazione. Io sento che sia per questo che sono tanto grandi, contengono un'infinità di cose a parte il latte materno. Sono piccoli cosmi a sé.
Un appassionato scambio di sguardi seguì l'esposizione della teoria sulle tette, entrambi convenimmo che per festeggiare in modo consono quella gloriosa giornata, era indispensabile terminare ciò che l'arrivo improvviso dell'autobus aveva bruscato interrotto. La quantità minima di pendolari presenti nel pullman il giovedì, rese il tutto più interessante. Ci dirigemmo agli ultimi posti, si sedette sulle mie ginocchia e iniziò a baciarmi, in modo aggressivo. Le mie mani, inizialmente poste sulla zona dorsale iniziarono a scendere, fino a toccarle i glutei. Lei, avvertendo immediatamente la presenza, iniziò subito a "punirmi". Cominciò mordendomi, prima il labbro (con una ferocia cannibale) e poi il collo. L'iniziale dolore si trasformò ben presto in piacere. Continuai a toccarla, ora a palparle i seni, erano sodi e i suoi capezzoli turgidi. Anche lei fece lo stesso, toccandomi il petto e addirittura togliendomi la maglia, un insolito tepore autunnale le permetteva di farlo. Mi spinsi oltre; la mia mano destra, ora nella parte addominale, discese per intero la sua zona ombelicale, raggiungendo l'ipogastrio. Di lì il passo fu breve, ficcai la mia mano nei suoi slip passando dalla zona del pube fino a raggiungere il clitoride, un minuscolo quanto incredibilmente sensibile organo, fulcro del piacere femminile. Lo accarezzai dolcemente; la sua reazione fu istintiva, iniziò a produrre sottili sibili di piacere ed a mordersi ripetutamente il labbro, era così eccitante. Il tutto veniva reso ancor più intrigante dal fatto che l'assordante rumore del motore e della musica nelle cuffie, impediva agl'altri, ignari di tutto, di sentirci. Presa dalla foga aprì la cerniera dei miei pantaloni, e iniziò a toccarmelo, era già duro. Le mie carezze, intanto, con suo grande piacere diventavano sempre più energiche e profonde. Eravamo entrambi maledettamente eccitati e la tentazione di scopare lì, in quel momento ci divorò; maledicemmo in tutte le lingue conosciute il fatto di non essere i soli in quel fottuto pullman di merda. In compenso, la rabbia la rese molto più focosa ed impulsiva, il suo corpo era mio ed il mio suo. Ad un certo punto mi bloccai e iniziai a guardarla (non c'era il tempo materiale per farle raggiungere l'orgasmo). Dolcemente, questa volta, le nostre labbra tornarono a toccarsi ed ad amalgamarsi in modo pieno, in unione perfetta. A questo punto Yvette mi fece notare che mancava una sola fermata prima di dover scendere, purtroppo. Chiuse la cerniera dei pantaloni, riordinò la folta chioma e dopo avermi baciato un'ultima volta si avviò verso la porta d'uscita.
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Evidentemente, la presenza di Yvette aveva avuto il merito di farmi dimenticare l'enorme languore che avevo. Difatti, appena non fu più con me, quell'insopportabile sensazione di fame riapparve, in un livello potenziato. Dovevo mangiare. Finalmente tornai a casa. Entrando, nell'atrio del palazzo di casa, fui investito da un delizioso odorino, una volta accertatomi che provenisse dalla mia porta...bussai, entusiasta. Mio padre mi aprì e quell'inebriante profumo mi colpì una seconda volta, in maniera più forte. Ad attendermi, illuminato da luce divina, vi era un piatto di linguine coi funghi porcini, qualcosa di assolutamente magnifico. Lo divorai in poco meno di un minuto e dopo essermi complimentato con mio padre mi rifugiai nella mia camera. Questa nel corso degl'anni era stata modellata a mia immagine e somiglianza, diventando un'estensione di me stesso. Le mura azzurrine erano state man mano tappezzate, per un buon 50%, con i poster dei miei idoli, passando da Kurt Cobain ad Axl Rose fino ad arrivare a Karl Marx. Nel complesso non era molto grande, ma ero riuscito ad organizzarla in modo tale da farci entrare tutte le mie cose. Una mini libreria, con una cinquantina di volumi (da me adorati), le mie due chitarre e una quantità abnorme di DVD e videogiochi. Mi stesi sul letto, ed ormai libero dai impegni scolastici vari, iniziai a riflettere sull'intensa mattinata appena trascorsa. Una smorfia esultante prese man mano corpo sul mio viso. Ero stato davvero forte, non solo ero riuscito a recuperare tutte le materie, conservando solo un'insufficienza in scienze (insufficienza che però ora non era più grave), ma ero riuscito anche a recuperare il rapporto con Yvette, anzi a rafforzarlo. Ciò che più però in assoluto mi rendeva felice era l'aver recuperato pienamente la fiducia in me stesso, nei miei mezzi. Aver recuperato la mia proverbiale voglia di fare, temporaneamente smarrita. Ero redento. In definitiva aver recuperato me stesso. La mia Rehab era completa. La mia profonda riflessione fu bruscamente interrotta dall'improvviso ingresso nella mia camera/bunker di mio fratello, David. Aveva tre anni in meno di me, lunghi capelli castani, in tono con gli occhi marrone scuro ed, era alto per essere pignoli 1.76, cosa che lo divertiva davvero molto, considerando il mio metro e 75. Era di conseguenza lui il più "alto" della famiglia. Un tipo simpatico e piacevole, a cui ovviamente avevo trasmesso la passione per il rock. Imparò, aiutato da me e dal batterista della mia band, a suonare in un tempo relativamente breve, sia chitarra che batteria. Nei pomeriggi piovosi e freddi di novembre, molto spesso era lui il mio compagno, suonavamo insieme, divertendoci davvero molto. Mi disse che Rush (il batterista) era a telefono, andai a rispondere. - Bon jour monsieur Tony. - Bon jour monsieur Simon. Rispose lui, allegro come sempre. - Come la và? - Todo bien, and you? I nostri erano dialoghi interlinguistici, svariavano da una lingua all'altra, spagnolo, francese, barese, russo, tedesco, milanese, inglese, sardo. Pur non conoscendo più di massimo cinque parole per lingua (fatta eccezione che per il barese), non avremmo mai rinunciato a questo modo di parlare, lo so era tremendamente stupido, ma comunque... - Dimmi tutto, bello. A volte scappava anche qualcosa in italiano. - Hai da fare per caso? - Assolutamente no. Dammi il tempo di cambiarmi e sono da te. Io chiamo Yvette, tu contatta Vins. Ci vediamo nel tuo garage? - Certo, come sempre. - Va bien, au revoir. Posai la cornetta e andai a cambiarmi, ci aspettava un intero pomeriggio di prove dopo ben un mese e mezzo di buio totale. La scuola aveva tolto a tutti la possibilità di suonare e quindi insieme avevamo deciso di concentrarci a tempo pieno sulle interrogazioni. Chiamai Yvette, le dissi di scendere. Avevamo entrambi bisogno della carica giusta per ripartire in quarta, dopo la lunga sosta. Il giorno prima avevo comprato 5 grammi di Maria, fumandomene 1 gr. Il giorno stesso, con i restanti quattro ci feci due purini belli pieni. Le andai incontro, e le mostrai la refurtiva. I suoi occhi diventarono grandi e lucenti come due diamanti. - OH MIO DIO! – disse, mordendosi il labbro. - Ora vieni con me. Le feci segno di seguirmi e così fece. Prese la sua canna tra le dita e la osservò... - Se Dio esiste, questa deve essere la sua creazione preferita. Prese l'accendino, accese e tirò. - Non posso che darti ragione! Accesi anche io e tirai. - Beh, in caso contrario, Dio deve essere stato licenziato dal suo superiore. - Superiore, e chi sarebbe? - Un nanetto che coltiva fagioli... stupefacenti! Iniziammo a ridere, nonostante quell'affermazione non avesse il minimo senso. La tirai a me e dopo aver limonato per due, tre minuti andammo nel garage di Rush. Eravamo tremendamente in ritardo, ma non ci preoccupammo molto di questo, ci bastava infatti ridere come dei coglioni. L'entrata in garage fu da standing ovation, anzi da Hall of Fame, condita da sorrisi smaglianti e frasi senza senso, tentammo comunque di mantenere un atteggiamento rigoroso o perlomeno non ridicolo. Vins e Tony erano lì, ci stavano aspettando già da un po', ma per quel poco che capii, guardandoli, non erano incazzati con noi. Avevano infatti, sfruttato il tempo del nostro ritardo, per provare quasi tutte le canzoni del nostro repertorio (dall'ultima citazione ad ora si era notevolmente ampliato). Presi la chitarra per accordarla, la Maria stava decisamente facendo effetto, era palese. La classica sigaretta con Vins pre inizio aveva inoltre peggiorato la, già decisamente precaria, situazione. Lo scoglio dell'accordatura diventò per me un ostacolo insormontabile, così con un enorme sorriso ebete stampato in faccia, chiesi a Vins se poteva farlo al posto mio. Mentre lo faceva, tutta la mia concentrazione venne catturata da Yvette, la quale da più di cinque minuti stava cercando invano di collegare il jack al microfono, sbellicandosi tra l'altro dalle risate. Non potei trattenermi dal ridere ma comunque, mi alzai e le andai vicino, in "aiuto"; anche se inizialmente tutto ciò che feci fu prenderla per il culo, pur essendo davvero l'ultimo a poterlo fare in quel momento. Quello che ne ricavai fu un duplice ed a dir poco velleitario tentativo di collegare quel dannato jack al quel fottutissimo microfono, eseguito da due strafatti come eravamo. La scena già abbastanza esilarante di suo, era resa ancor più ridicola e forse penosa, dal fatto che continuavamo senza alcun nessunissimo motivo a ridere; decisamente due ebeti in stato avanzato. Ah... quasi dimenticavo, tra l'altro rischiammo anche di rompere il jack. Quando tutto fu finalmente collegato ed accordato iniziammo a suonare. Sia io che Yvette impiegammo un po' a carburare, ma dopo circa dieci minuti di rodaggio tutta la band iniziò ad andare a mille. Tutti quelli che avevano ascoltato le nostre registrazioni, avevano dimostrato un sincero apprezzamento. Sarebbe stupido negare che andavamo molto fieri di questo, anche considerando il fatto, che le registrazioni da cellulare, diminuiscono di molto la qualità del suono. Dopo una mezz'oretta gli effetti della Maria erano completamente svaniti, così ci concentrammo al 100% sulla musica. Quel pomeriggio ci esaltammo, tutto ci venne da orgasmo. Provammo per intero la scaletta e così come accade in un vero concerto, terminammo con il pezzo più amato, Sweet child ò mine. Quella canzone era perfetta, un riff celestiale; un testo profondo, così toccante da potersi considerare, una poesia d'amore, solo temporaneamente prestata alla musica, ed infine un assolo da brividi la rendevano unica. Ancora oggi senza ombra di dubbio la mia canzone preferita. Terminammo, erano le otto. I rigidi obblighi materni di Yvette le impedirono di trattenersi ancora, così, rimase solo il tempo per darci un bacio d'addio. Tornai a casa, cenai e così come fatto dopo pranzo andai in camera. Presi un libro e iniziai a sfogliarlo, lo facevo sempre all'inizio di una nuova lettura. Assaporavo il libro, ne analizzavo la copertina, cercavo di capirne la trama dal titolo (mai riuscito, del resto è impossibile ma mi piaceva farlo ugualmente, pur essendo cosciente di questo. Amavo vedere fino a che punto la mia immaginazione potesse spingersi). Una cosa che davvero non riuscivo (e non riesco tutt'ora) a comprendere, era costituita da quelle persone, che preferivano la lettura digitale a quella classica. Tutto ciò lo consideravo assurdo, per il semplice motivo che l'odore immacolato delle pagine di un libro, è qualcosa di unico, inimitabile ed il piacere che si prova nello sfogliarne le candide pagine bianche, insostituibile. Il mio amore per la lettura nacque relativamente tardi, in secondo superiore, da quel momento non ho più smesso, per un semplice motivo ... leggere mi permette di volare con la fantasia. Londra, Los Angeles, Tokio, Bangkok sono tutte città in cui pur non avendo mai messo piede, io ho vissuto. Leggere ti permette di vivere mille vite, mille avventure, ti permette di indossare una quantità infinita di maschere, di poter essere più persone, di poterti impersonare con i vari personaggi protagonisti delle tue letture. Amavo soprattutto gialli e thriller, ma anche romanzi d'amore (ovviamente di un certo spessore, non polpettoni spazzatura), in genere però, prima ancora che la trama ciò che davvero mi attraeva in un libro era la natura del protagonista. Semplicemente perché sapevo che ad un personaggio intrigante è sempre legato una storia coinvolgente e quindi ai miei occhi interessante. Quelli che amavo erano personaggi stravaganti, folli, perversi, in cui potevo rispecchiarmi e da cui, in un certo senso, potevo prendere inspirazione. Del resto io a tutti gli effetti ritengo i vari Dorian Grey, Bel-Ami, Andrea Sperelli, Alex DeLarge, Tyler Durden, Giacomo Casanova, Christiane F., Mark Renton, Hank Chinaski, come fattori responsabili attivi di ciò che sono e di ciò che penso. I libri, ovviamente in parte, hanno avuto il merito di plasmarmi e di insegnarmi molto sulla vita, sull'amore, sulla droga, sulla violenza (su quanto sia sbagliata), su cosa significhi toccare il fondo, ma anche per quanto riguarda i piccoli particolari (però fondamentali), che fanno la differenza nella vita. I libri mi hanno insegnato come pormi e persino come flirtare con una ragazza. In definitiva, devo molto ai libri, davvero tanto. Il romanzo che mi apprestavo a leggere si intitolava "Il diario di un seduttore" di Soeren Kierkegaard. Lo trovai nella libreria di mio padre; quel titolo mi fulminò immediatamente, scatenando in me una curiosità tale da portarmi ad iniziarlo la sera stessa. Quel libro, trasposizione danese del mito del Don Giovanni, racconta di un ragazzo di nome, non a caso, Giovanni, il quale per riuscire a superare le resistenze della sua amata Cordelia adotta un'ambigua strategia erotica, costituita da un raffinato gioco estetico e cerebrale, davvero molto affascinante. L'ispirazione del romanzo fu certamente autobiografica e secondo il mio modesto parere il diario in sé costituì un vero e proprio atto di espiazione verso la donna, con cui legò un rapporto così controverso, intenso e vissuto eppure così profondamente pieno di ombre. Un vero e proprio testamento d'amore, scritto in modo vero e sincero. Dopo aver letto una trentina di pagine la mia vista iniziò ad annebbiarsi, andai a letto.
Venerdì, l'osannato giorno era arrivato. A livello scolastico sarebbe stato l'ultimo di quell' altalenante settimana, condita di alti e bassi, densa di eventi; di sicuro la più intensa a livello emotivo fino ad allora. Quei cinque giorni mi cambiarono, per sempre. Mi evolsi, diventando una persona più matura. Capace di rialzarsi dopo essere stato completamente solo ed alla deriva e di recuperare le cose che amava e in cui realmente credeva. Libero dal vincolo delle interrogazioni le sei ore scolastiche filarono via velocissime. Yvette non era venuta a scuola. Pur avendola vista il giorno prima, mi mancava già, terribilmente. Arrivato il pullman, presi posto. Afferrai le cuffie. Nella tasca dello zaino però, oltre ai miei amati auricolari (unico mezzo di salvezza alla stupidità diffusa) trovai anche un biglietto d'invito ad un diciott'anni. Cazzo! ...Pensai... è vero! Preso da tutte le mie cose me ne ero completamente dimenticato. Sabato Alex avrebbe festeggiato il suo diciottesimo compleanno. Esisteva modo migliore per concludere in bellezza quell'anormale settimana?
12
Sabato, 12.00 A.M.
Mia madre grida.
Io grido.
Io, mio fratello e mia madre gridiamo.
Non so se si trattasse di un caso isolato o se invece fosse la normalità, ma so che ogni singola volta che la mia cara boss, vedeva le lancette dello splendido orologio in salotto, coincidere sulle 12, pretendeva che sia io che mio fratello ci alzassimo, pur non avendo lei un cazzo da farci fare. Semplicemente perché erano le 12, era tardi. La tiritera sopra descritta andò avanti per circa quindici minuti, poi mi scocciai e decisi di alzarmi; anche perché era una battaglia persa. Mio fratello, sconsolato mi emulò. Fare colazione a mezzogiorno, cosciente del fatto che fra meno di un'ora e mezza pranzerai, è una delle cose più frustranti che si possano vivere. Assolutamente molto triste. Andai in bagno, mi misi di fronte allo specchio e iniziai ad analizzarmi, controllo brufoli. Negativo. Più che della purezza della mia pelle però il mio cervello fu interessato dai capelli. Dichiaro aperta la seduta; all'ordine del giorno la mozione n. 133456. L'onorevole Otelma ha liberta di parola, prego. La camera chiede di poter effettuare un taglio ai capelli, nonostante la volontà espressa in tempi non sospetti di farli crescere. La diatriba fu molto lunga (durò all'incirca 30 secondi) e vissuta in maniera forte. Maggioranza e opposizione si affrontarono in modo serrato, fu un duello crudo, senza sconti, cruento, niente fu omesso e si sfiorò addirittura la rissa. Una volta terminato, il Presidente declamò i risultati della votazione... 332 SI, 104 NO, la Camera approva. Chiamai Tony, il mio parrucchiere (nonché batterista) personale, ed una volta scelto il taglio da fare ci salutammo.
01.00 P.M.
- Tony?! Entrai nel garage. - Simon, eccomi. - Iniziamo? - Certo.
01.30 P.M.
Taglio Capelli terminato.
01.32 P.M.
Accendo la connessione internet, il telefono vibra, è Yvette. Mi resi conto che il compleanno sarebbe stato di sabato, dunque considerando che la settimana si concludeva di domenica, l'apoteosi settimanale non poteva coincidere con il compleanno. Yvette mi venne incontro. Mi disse che domenica la parrocchia avrebbe organizzato una Ritiro spirituale a Bari. Tutti in realtà, sapevano che dopo l'iniziale ora di messa ognuno sarebbe stato libero di fare che cazzo volesse. Il gioco dunque, valeva la candela. Avrei sopportato l'ora in chiesa, per poi godere di sei ore in Yvette.
03.00 P.M.
Iniziai a prepararmi. La vasca, scintillante, mi stava aspettando. Mi ci immersi. Quanto mi rilassava, un semplice bagno caldo sarebbe riuscito da solo a risollevare la peggiore delle mie giornate. Tre quarti d'ora dopo ne uscii, ero stato a mollo un po' troppo, tanto da avere le dita delle mani non avvizzite ma in totale decomposizione. Dopo il bagno come sempre passai alla barba. Rimasi con il rasoio in mano davanti allo specchio per circa dieci minuti. Mozione n. 133157. Tagliare o non tagliare questo è il problema cit., Yvette aveva espresso più volte il suo apprezzamento per quei deliziosi peli pubici che insieme formano la BARBA, dimostrando sempre il suo dissenso ogni volta che avevo commesso l'impudenza di tagliarla, secondo lei ero più maschio con, a me invece non era mai piaciuta. Fu una splendida foto di Johnny Depp sbarbato a farmi prendere finalmente una decisione. Riempii il viso di schiuma e per evitare ripensamenti last minute rasai in modo impulsivo i peli posti sotto la basetta, ora ero obbligato a tagliarla.
04.00 P.M.
Posai il rasoio per l'ultima volta in quel pomeriggio sulla mia pelle (ormai del tutta priva di peli e liscia come il culo del bimbo sulle confezioni dei pannoloni Huggies), per eliminare l'ultimo dei peli. (Scusate le numerose citazioni blasfeme in questo capitolo). Una volta terminato l'intero iter, mandai un messaggio ad Yvette. Uscii. Era fine novembre, ma utilizzando l'immaginazione e soprattutto ignorando il calendario, quel pomeriggio poteva essere tranquillamente scambiato per uno di quelli splendidi in maggio, dal cielo terso e piacevolmente intiepiditi da un caldo sole.
04.10 P.M.
Vedo Yvette, è splendida. Indossa una aderente maglia bianca ed un paio di shorts in Jeans. Mi eccito soltanto guardandola. Quei deliziosi pantaloncini, mettono a nudo le sue gambe lisce e toniche e l'aderente maglia bianca permette quasi di poter osservare i capezzoli. - Sei letteralmente da orgasmo! Esordii io. Era vero. - Perché hai tagliato la barba?! Quale assurdo e infame spiritello ti ha consigliato di compiere questo atto indecente?! Rispose lei. Lo disse con un tono molto cazzuto, ma anche con un sorriso che significava approvazione. - Non ti piaccio forse? - Decisamente no, sembri un dodicenne appena entrato nella porta della pubertà, senza sapere se spingere o tirare, perché ovviamente è ancora troppo piccolo per capire questo genere di cose sconce. Mi guardò, sorrise e poi esplose in una grossa risata... - Ma come sei simpatica! - Lo so! Dovrei ricevere un premio per questo. - Tanto non sei credibile, lo vedrebbe anche cieco che sei bagnata come un'anguilla appena uscita dal mare. Quest'ultima malefica insinuazione fece venire a galla il suo lato "violento". Iniziò a schiaffeggiarmi dolcemente il viso, guardandomi negl'occhi con uno sguardo terribilmente eccitante. Le afferrai le mani, intimandole a muso duro di smetterla." - Altrimenti? Disse lei, divincolandosi dalle mia, a quanto pare, molto velleitaria presa.
- Bhè, diciamo che... si strinse a me... Altrimenti ... Le toccai i capelli... Altrimenti, sarò costretto a... la guardai, non riuscivo in nessun modo a staccarle gli occhi di dosso. - Sarai costretto a baciarmi? Intervenne lei. - Si, risposi io. Totalmente ignaro della sua folle reazione. Si morse il labbro ed in modo fulmineo mi mollò uno decisa quanto forte sberla, che mi colpì in piena guancia. Eccitati come dei maiali iniziammo a baciarci. Mi saltò addosso, cingendomi il collo con entrambe le mani. Le mie, poste sotto il suo deretano iniziarono a tastarlo per bene; devo ammettere di averlo decisamente sottovalutato nei mesi precedenti. Mi diventò duro. Pur essendo vestiti, entrambi iniziammo a godere. Tutto questo continuò per 2/3 minuti, poi un sorriso grande quanto un baobab al massimo delle sua esistenza mi si stampò in faccia. Mi fermai, posandola giù. Lei con un'espressione a metà strada tra la delusione e la tristezza mi disse: Sei già venuto? - AHAHAHAH, no affatto. Soltanto che mi è venuta in mente una cosa. - Cioè? Chiese lei, incuriosita dal mio tono di voce. - Cioè... beh mettiamola in questo modo...oggi e solo per oggi il tour completo di casa Bezer è completamente gratuito... il che considerando il fatto che ho casa libera fino alle 10 di stasera, non è per niente male come progetto vacanza. Non credi? - Decisamente no, spero solo che tu sia una guida preparata, Messieur Bel-Ami. - Farò del mio meglio per soddisfarla, mia cara Clò.
In media un ragazzo di età compresa tra i 16 e i 20 anni copre la distanza di 0,5 Km in 5/6 minuti, noi la percorremmo in 2. Arrivammo davanti la porta di casa, presi la chiave dalla tasca e la inserii nella serratura. Un giro dopo di fronte a noi si aprirono le porte del paradiso. Erano esattamente le 16.48 quando entrammo; per almeno altre cinque ore nessuno avrebbe varcato quella soglia.
- Vuoi da bere? - Si, grazie. Assolutamente sì.
Amavo bere uno shottino di Vodka liscia prima di fare sesso, quando possibile. Questo perché mi faceva sentire forte ed inoltre mi rendeva maledettamente folle. Brindammo, e poi giù. In quel medesimo instante, un dubbio si insinuò nelle mia testa. Sarebbe stato sesso o amore? Immediatamente però, compresi anche di non avere una risposta a questa domanda e anche che sarebbe stato impossibile ottenerla prima di averlo fatto. Quella Vodka era davvero amara, tanto amara da pizzicarmi in gola in maniera davvero fastidiosa, quasi insopportabile; ma comunque non ci pentimmo.
04.50 P.M.
Ci dirigemmo in camera. Mentre io mi spogliavo, lei si stese sul letto. Per un minuto circa non la guardai; quando ebbi finito lei era nuda, anche se non completamente. L'intimo era l'unico superstite. Mi avvicinai a lei, le tolsi gli slip ed accarezzandole, con un movimento di dita estremamente lento la vagina, iniziai a morderle dolcemente il seno ed a baciarle i capezzoli. Mentre lo facevo, la sentivo godere in un potpourri di dolore e piacere, eravamo entrambi molto eccitati. La voglia di sesso era ormai insopportabile... smanioso andai a prendere i preservativi nella mia stanza; quando rientrai, la trovai in piedi di fronte a me. Il fatto che prima l'avessi vista soltanto distesa mi aveva impedito di ammirare il suo corpo in tutto la sua sensualità. Era davvero perfetto. La sua quarta abbondante non perdeva in niente senza il sostegno del reggiseno. Le sue tette posavano su di un addome snello e con un accenno di tartaruga, era davvero in forma. Pur tenendo le gambe chiuse e strette, quasi come a proteggerla, riuscii a notare che la sua aiuola non era del tutto rasata, conservava infatti, un discreto triangolino, accuratamente delineato. Avevamo l'uno di fronte all'altro, gli ormoni in subbuglio ed una voglia matta di scopare. La presi da sotto i glutei, lei si attaccò a me e continuando a toccarle il culo la penetrai. Sia per me che per lei non era la prima volta, ma fu come se lo fosse stata. Entrai... in quell'istante un brivido percorse per intero la mia, in quel momento tesa, spina dorsale. Yvette mi guardò, incrociammo lo sguardo; mi riuscì difficile non notare la smorfia di godimento che le si disegnò sul labbro, serrò i denti, fu un attimo. Poi ripartii, all'inizio piano e poi in modo graduale sempre più violentemente. Fu un crescendo entusiasmante, della stessa intensità di quelli adoperati da Rossini nelle sue opere liriche. Per evitare spiacevoli equivoci, che poi equivoci non erano; prima di iniziare, misi a palla l'album capolavoro dei Guns 'n' Roses, Appetite for Desctruction. Fare sesso avendo in sottofondo gli acuti di Axl Rose e gli assoli di Slash, è in assoluto la cosa migliore che ti possa capitare al mondo, ve lo posso assicurare. Il volume alto dello stereo ci permetteva di poter godere entrambi in modo pieno, senza tenerci niente dentro, in poche parole gridando come dei malati. Nessuno ci avrebbe sentiti o perlomeno nessuno avrebbe capito che stavamo facendo sesso, le nostre voci infatti si confondevamo con quella di Axl. Mentre lo facevamo i nostri sguardi rimasero perennemente incrociati, alternando baci e morsi alle proprie e alle labbra dell'altro. Dopo quindici minuti di penetrazione mi stancai di farlo in piedi, la sbattei sul letto... terminato l'atterraggio aprì le gambe e mi intimò di distruggerla. Mi ci fiondai sopra e con tutta la forza che avevo in corpo continuai a sbatterla contro il letto. Il CD arrivò alla traccia nove, Sweet child ò mine. Iniziai ad andare a ritmo di musica, scatenandomi sull'assolo. Vivemmo la parte finale, quella del "Where do we go, where do we go now?" in maniera terribilmente passionale, andavo come un treno. Yvette, conoscendo la mia infinita passione per quel pezzo iniziò a cantarla, in quel momento davvero non capii più nulla. "Where do we go???... Ahh...Where do we go now??", l'acuto finale di Axl coincise con il picco massimo di piacere. Un ultimo sibilo precedette l'orgasmo, eravamo venuti. Entrambi. Un amplesso magnifico.
05.20 P.M.
Ci stendemmo sul letto, l'uno affianco all'altro. Ansimanti. Le passai un elastico, si attaccò i capelli. Mentre lo faceva, la guardai. Ammaliato. Avevo la risposta, quello non era stato semplice sesso ma amore ed anche se nessuno dei due voleva ammetterlo, ci piacevamo davvero tanto, reciprocamente. Quand'ebbe finito la strinsi a me e la baciai.
Una volta "rivestiti" (slip e canotta), le dissi. - Ti va una sigaretta? - Perché fai domande retoriche? ...Rispose lei. - Quanto sei scema!? Dissi ridendo. - Verissimo, ma è per questo che ti piaccio. - Decisamente un'ottima osservazione... Giusto, anzi ti prego non smettere mai di esserla. - Mai! - e scoppio in una grossa risata. - Comunque spostiamoci, qui non possiamo fumare. - Oui, ça va, mon Bel-Ami. - A te invece va un caffè? Pronunciò quella frase con una dolcezza davvero inaudita. - Perché fai domande retoriche? - Ah ah ah, spiritoso. Muoviti... disse spingendomi e mi passò davanti sculettando. - Come lo prendi? - Tre di zucchero. - Arriva subito. - Grazie.
Appena finii di rullare la seconda sigaretta, sentii la moka sbuffare ed un delizioso odore di caffè diffondersi per il salotto, in assoluto uno dei profumi da me preferiti.
- Et voilà, due tazze di bevanda del diavolo pronte. - Mmh, dall'odorino sembra delizioso. - Lo è.
Mentre lo disse, mi guardò, strizzò gli occhi, ed accavallò le gambe. Assunse una posa maledettamente sexy, era evidente che entrambi volevamo farlo una seconda volta. Scappammo in camera, ne uscimmo solo un'ora dopo.
06.00 P.M.
Eravamo terribilmente sudati ed esausti. Avevamo mandato i preliminari a farsi benedire, cercando solo di scopare in quante più posizioni conoscessimo. Finii i preservativi, ma ne valse decisamente la pena.
- Andiamo a farci una doccia, dicemmo univocamente.
Ci immergemmo nella vasca piena d'acqua, era calda e traboccante di bolle. Iniziammo a massaggiarci a vicenda tutto il corpo; il calore dell'acqua riuscì finalmente ad ammorbidire i nostri corpi ed a allentare i nervi tesi. Ci abbandonammo a tutto questo, fumando finalmente una benedetta sigaretta. Nella vasca giocammo come dei bambini, buttandoci l'acqua addosso e addirittura ridendo di questo. Facemmo un enorme casino.
08.00 P.M.
Uscimmo dalla vasca. Fummo maledettamente tanto, ma davvero tanto, tentati di farlo per una terza volta ma non c'era più tempo, così per concludere in modo consono il nostro pomeriggio "alternativo" optammo per uno shottino di Martini bianco.
08.01 P.M.
Yvette mi baciò ed uscì.
Due ore più tardi Alex avrebbe festeggiato il compleanno dunque avevo due ore abbondanti per riordinare la casa, mangiare e vestirmi. Iniziai riordinando la mia cara "home"; delle tre infatti, quella era di sicuro la cosa che mi avrebbe rubato la quantità maggiore di minuti dunque, preferii togliermela di mezzo per prima. Iniziai dal bagno, continuai rifacendo il letto e terminai con la cucina. In meno di mezz'ora tutto era ritornato esattamente come alle 16.48. Approfittando del fatto che mi trovavo nell'angolo cottura, iniziai a preparare la cena, la quale si preannunciava come un completo disastro. Il cucinare era, infatti, una di quelle cose su cui senza ombra di dubbio, dovevo sicuramente migliorare; cosa che col tempo fortunatamente ho fatto; comunque, nonostante i miei numerosi limiti culinari riuscii a preparare un pesto commestibile ed un uovo fritto eccezionale. Scoccarono le nove, dunque, mi rimaneva solo un'ora prima di far decadere una duplice scadenza. Alle 10 infatti, i miei vecchi con mio fratello avrebbero fatto ritorno a casa, ed il compleanno di Alex sarebbe iniziato. Se mi fossi fatto trovare a casa, mia madre mi avrebbe sicuramente trattenuto per almeno una trentina di minuti, ampiamente superflui, per commentare il mio abbigliamento e per raccontarmi in tutti i minimi particolari la sua sicuramente esaltante giornata; facendomi in questo modo arrivare al compleanno con un ritardo allucinante. Quando invece, l'essere un amico di vecchia data nonché ex compagno di banco di Alex mi imponeva di presentarmi in perfetto orario alla festa. Riuscii nell'impresa ed alle 09.45 ero già fuori di casa, impeccabile come sempre. Indossavo un maglione blu navy, un pantalone grigio ed uno paio di anfibi Dr Martens nere laccate. Il mio compleanno poteva avere inizio. Quando arrivai, verso le 10, la situazione era ancora decisamente tranquilla, zero ubriachi, zero scene ridicole, zero persone impegnate a vomitare, insomma la vera festa non ancora iniziata. Entrai nel locale, come prima cosa feci gli auguri al festeggiato. Una volta essermi tranquillizzato per aver adempito ai miei doveri di amico, pensai che la cosa più giusta da fare in quel momento, fosse andarmi a prendermi una bella birra, tanto per dar inizio alla serata. La tranquillità, per mia sfortuna, durò ben poco ed appena il nostro gruppo vide tutti i suoi componenti presenti fu la fine del mio periodo astemio; il quale durava da ben due settimane. Fiumi di alcol, erba e fumo iniziarono a scorrere. Appena prima di perdere del tutto il controllo di me stesso vidi Yvette arrivare. Nonostante lo stato a dir poco precario che pativo non potei fare a meno di notare quanto bene gli stesse la splendida gonna che indossava quella sera e che inoltre l'aver fatto sesso con lei mi spingeva a guardarla in maniera totalmente diversa. Roba da non credere. Cercai nel modo più efficace possibile di riprendermi e, sia lodato Dio Zlatan, in parte la farsa mi riuscì. Mi credette soltanto brillo e non totalmente sbronzo, se avesse capito che invece era il contrario sarebbe iniziata quella che io definisco la fase della "pietà" verso l'ubriaco, ubriaco che in quel caso specifico ero io. Ovvio è che non volevo assolutamente questo. La accompagnai dentro a prendere un drink ma dopo un quarto d'ora era più sbronza di me. Paradossalmente però, pur essendo ubriachi fradici, quel compleanno migliorò la nostra unione; funse infatti da sfondo per un ulteriore cambiamento, nel nostro decisamente atipico rapporto.
12.00 P.M.
Ci allontanammo in modo discreto dalla festa, per bere qualcosa che non fosse vino o birra e fumare in santa pace una canna recuperata non so neanch'io da chi; ancora oggi non mi è nota la tua identità, ma chiunque tu sia stato quella notte, ti ringrazio. Essendo già belli che partiti, la canna ebbe su di noi effetti assolutamente micidiali. Iniziammo a sparare cazzate di un livello superiore del tipo... Test di cultura, dimmi la prima frase in latino che ti passa per le cervella... Coito ergo sum, continuando; in culo a te Dio scoiattolo confezionatore di Gorgonzola, ed ancora; Keep calm e porco Dio porco Dio porcospino. Hello Kitty... sei solo un'emerita meretrice, battona di marciapiede da due scellini; qual è il tuo animale preferito? Il CINGHIALE TRICHECO; fino a raggiungere in fine l'apoteosi assoluto del vaneggiamento; Berlusconi... sei stato il miglior Presidente del Consiglio della storia della Repubblica Italiana, tutti gli italiani ti saranno eternamente riconoscenti. Questo totale delirio si protrasse per più di un quarto d'ora, poi esausti ci facemmo forza a vicenda, appoggiandoci l'uno sulla spalla dell'altro. Non so cosa le sia passato, in quel momento, per la testa; ma so che mi guardò e disse... Ti amo, poi vomitammo. Romantico vero?
FINE SECONDA PARTE
13
I tempi di recupero furono abbastanza lunghi, impiegammo infatti almeno una trentina di minuti per riacquistare una condizione tale da poter tornare incolumi alla festa. La passeggiata inoltre aveva avuto anche il merito di svegliarci, e considerando il fatto che Yvette a momenti sarebbe stata obbligata a lasciare la festa, questo fu decisamente fondamentale.
Yvette se ne era andata, la festa distava da casa mia 1 km scarso, capirete che in quel momento avrei preferito essere stato al posto di Ulisse e sorbirmi l'intero iter dell'Odissea piuttosto che camminare per 1 km fatto ed ubriaco, ma purtroppo non potevo... pur sembrando infinita, dovevo farcela, anche perché il giorno dopo mi aspettava il Ritiro Spirituale a Bari. Mi impegnai con tutte le mie forze, riuscendo addirittura a percorrere la bellezza di 800 metri in un'ora, eh già, tutto vero OTTOCENTO METRI in un'ora, ma che ne sa Bolt! Arrivai dunque a casa verso le 01.30 A.M. Impresa fu, riuscire ad inserire la chiave nella serratura, nonché riuscire a capire quale fosse la chiave da inserire. Una volta a letto crollai, ma prima impostai la sveglia alle 5. Mi odiai, ma se non l'avessi fatto non mi sarei mai svegliato, non sarei ma andato a Bari, e in conclusione non sarei mai stato con Yvette.
- Cristo! Imprecai. La sveglia non voleva proprio smetterla di suonare, mi alzai per spegnerla. Tornai a letto. Mi svegliai solo una mezz'oretta dopo, dire che dovevo ancora smaltire le scorie della notte precedente è l'apoteosi dell'eufemismo, avevo la bocca impastata, gli occhi rossi come un allergico ai pollini che non ha mai fatto la conoscenza degl'antistaminici e il corpo letteralmente a pezzi.
Doccia. Vestiti. Colazione. Erano le 06.10 (in relativo orario, l'appuntamento era alle 6) quando uscii fuori di casa. Ad aspettarmi in macchina, vi erano il parroco ed Yvette. Aprii la portiera con un movimento estremamente molle, e la richiusi in un modo ancor peggiore.
- Buongiorno, disse il parroco, palesemente entusiasmato, con un sorriso smagliante stampato sulle labbra. Quello che uscì dalla mia bocca in risposta al suo cordiale saluto fu un suono non ben definito, forse avrò detto buongiorno in aramaico antico o in serpentese, chi può saperlo? Il fatto che avessi la bocca tremendamente impastata mi impediva di parlare, dopo aver emesso quel suono, mi resi conto di non aver detto affatto buon giorno, così sorrisi cercando di distogliere l'attenzione generale dalla mia dislessia temporanea. Yvette rideva, ma era evidente che neanche lei era del tutto pulita, il morbo della dislessia temporanea si era rapidamente diffuso, a macchia d'olio. Il dolce fluire dell'auto assecondava il mio bisogno di tranquillità; dopo una decina di minuti scendemmo per salire sull'autobus. Entrambi stremati, prendemmo posto, ed iniziammo a raccontarci cosa fatto dopo aver lasciato la festa, il dialogo fu a scatti e condotto con la stessa velocità con cui Montolivo conduce il centrocampo milanista, molto molto lento, anche se la fattanza ancora in corpo ci permise ugualmente di entusiasmarci sulle cazzate illogiche che noi stessi sparavamo. Ci fermammo in un Autogrill, barcollanti e sorridenti come non mai, entrammo nel bar. Avete presente i ragazzi vincitori del biglietto d'oro in "La fabbrica di cioccolato"? Ecco, io vedevo nel simpatico barista al bancone una sorta di Willy Wonka defighizzato ma che comunque poteva essere funzionale ai bisogni chimici miei e di Yvette. Avevo bisogno di un caffè, ma un classico espresso non avrebbe mai potuto soddisfarmi a pieno, troppo poco, quando ad un tratto capii, per svegliarmi il caffè era perfetto, ma andava corretto con qualcos'altro... Sambuca. Yvette mi guardò sorridendo.
- Due caffè... corretti alla sambuca, grazie.
Non dimenticherò mai la faccia del barista, un insieme di compassione e simpatica pietà per quei due "fattoni", di cui lui con quel caffè era complice semi consapevole. Quell'espresso ci diede la botta finale, proprio quello di cui avevamo bisogno per goderci la giornata spirituale in modo pieno.
14
Arrivammo a Bari, ci incamminammo verso la chiesa, scenario del più grande ammorbamento di testicoli della storia. Tre ore spirituali, divise in due fasi, incontro con giovani e successiva messa. Ricordo che l'incontro fu davvero terribilmente noioso ma almeno, avevo Yvette accanto a me. Indossava una deliziosa camicetta a scacchi rosso blu, una generosa scollatura faceva il resto, riuscì a farmi venire un'erezione persino in chiesa. L'incontro finì, iniziò la messa. L'organizzazione mi sorprese, non era infatti una messa "normale", la semplice celebrazione era arricchita da canti e melodie varie. Ovviamente non mi astenni dal cantare, adattando però la strumentale a canzoni da me decisamente più apprezzate. Inizialmente Yvette non mi assecondò... - Per tutti i peli pubici di Gesù Cristo! Vuoi piantarla? Disse a bassa voce, poi aggiunse... - Capisco la condizione, ma non voglio fare risse in una chiesa, sono tutte vecchiette, e mi sembrano anche avere un'aria da ninja. - Uh! che paura.
Poi la fattanza prese il sopravvento. Tutti ci guardarono increduli per l'intera durata della celebrazione, alzando costantemente, forse per imprecare, gli occhi al cielo, ma comunque; la messa terminò. Finalmente uscimmo, e potemmo sfogarci. Fu una giornata fantastica. Dal punto di vista sessuale non fu nulla di ché, ma dal punto di vista emotivo fu fondamentale, anche perché sarebbe stata destinata a segnare un punto di svolta. Mi piacque molto perché fu completa, alternammo momenti densi di arte, Bari pullula di bellezza e l'architettura della città vecchia, nonché l'atmosfera magica che si vive nel passeggiarci, costituisce la pace dei sensi; a momenti molto più intimi, non meno intensi; ma per quanto mi riguarda, quella giornata toccò l'apice all'imbrunire, o poco prima. In seguito ad un interminabile tran tran, riuscimmo finalmente a trovare una libreria degna di questo nome, luogo che costituiva per me ed Yvette un vero e proprio paradiso terrestre. I libri che amavo e che spasmodicamente ricercavo, erano spesso accomunati da un insolito e ricorrente iter, avevano cioè subìto iniziali, pesanti critiche, venendo in alcuni casi persino censurati, per poi essere osannati, anni dopo e morto l'autore, come capolavori assoluti della letteratura internazionale. Non so come facessi, ma ero e probabilmente sono una calamita per libri scandalo; libri che dietro quest'aura di mistero, nascondono storie straordinariamente affascinanti e un lato insospettabile come romanzi didattici, da cui trarre insegnamento. Ovviamente con libri scandalosi non intendo certo riferirmi a "romanzi", se così possono essere definiti, quali "Cinquanta sfumature di grigio" o spazzatura del genere, quelli sono semplicemente storie che ricercano spudoratamente l'eccesso, senza aver nulla di concreto da raccontare e che puntano semplicemente a vendere, contando su un pubblico fisso che certamente comprerà il libro e che inoltre curioso, come non mai e pieno di aspettative andrà a vedere il penoso film che ne verrà tratto. Il genere di scandalo a cui mi riferisco è dovuto alla natura di storie, troppo vere o eccessivamente segnate, ma mai spudoratamente finte perché scritte in maniera toccante e vissuta. La verità fa sempre male, e suscita sempre scalpore, in egual modo della feccia. Le porte della Feltrinelli si aprirono di fronte a noi, Yvette iniziò a correre tra gli innumerevoli volumi presenti, era terribilmente eccitata come sempre le accadeva entrando in una libreria. Non potei far a meno di osservala nel suo fare frenetico, il suo corpo, il suo seno, la sua folta chioma riccioluta fluttuavano in maniera terribilmente affascinante, la fissai per un minuto; ammaliato. Non che non lo sapessi già da prima, ma quell'intera giornata passata insieme a lei me ne diede conferma, riemerse in me quel sentimento d'amore, sincero, che forzatamente stavo cercando di reprimere. Mesi prima mi ero ripromesso di non volerla più amare o meglio mi ero autoimposto di riuscire a rimanere, pur essendole vicina, distaccato; mantenendo cioè una fissa distanza tra me e lei, per impedire a me stesso di innamorarmene nuovamente. In quel momento capii che stavo per superare la soglia e che non volevo farlo, decisi quindi di autoimpormi un secondo allontanamento forzato ma graduale stavolta. Pur avendola amata (nel nostro atipico e a tratti platonico rapporto) come forse nessun'altra ragazza su questa terra, compresi la necessità di andare oltre, di archiviare il capitolo Yvette.
15
Quel pomeriggio acquistai uno dei romanzi che più avrebbe segnato e affascinato me stesso... "Fight Club" di Chuck Palahniuk, non fui di certo io a scoprirne il genio, ma al termine della sua lettura non potei far altro che rimanere senza fiato, aggiungendomi virtualmente all'esercito di seguaci che venerano, letteralmente, questo romanzo, vero e proprio cult. Demmo le spalle alla Feltrinelli e ci incamminammo verso il punto di ritrovo.
- Per concludere in bellezza serve una Corona, esclamò imperante Yvette, sorridendo. - Giusto, ma senza sale, non mi va.
Terminata la cerveza non potemmo far altro che fumarci una sigaretta. Di fronte a noi, imponente, si ergeva in tutta la sua maestosità il castello Normanno-Svevo, vero simbolo della città; illuminato da degli stupendi quanto flebili raggi di sole. Usciti dal locale non potemmo far altro che ammirare quella visione, ammaliati. A protezione del castello vi era un fossato, cui seguiva ovviamente una muraglia di una discreta altezza, muraglia che oggi, superate le ostilità dell'epoca era diventata un luogo su cui potersi sedere, ed ammirare il paesaggio. La scena che vivemmo fu strana, lei fumava, illuminata da quegl'ultimi rossissimi raggi, stupenda, sembrava tranquilla; tutt'altre erano le mie sensazioni. Al mio interno, stava avendo luogo una vera propria guerra civile, che avrebbe fatto impallidire quella spagnola. Una parte di me mi diceva: baciala, baciala ora, muoviti! La parte opposta mi espose l'antitesi, se l'avessi baciata in quel momento non sarei più riuscito ad allontanarmi da lei e tutti i miei propositi sarebbero andati a farsi fottere, con il ben'emerito patrocinio della Città di Bari. Decisi di non baciarla. Col senno di poi, posso tranquillamente dire di essermene pentito, e anche molto; non capita spesso nella vita, di aver l'occasione di baciare una ragazza di una tale bellezza, in condizioni di incanto simili; ma comunque è inutile piangere su ciò che non rappresenta più la realtà, è soltanto controproducente. Raggiungemmo il pullman, prendemmo posto, la Corona, scolata in tempo relativamente breve ed a stomaco praticamente vuoto, ebbe il merito di risvegliare la fattanza solo temporaneamente andata in letargo. L'emisfero destro, quello della creatività prese il sopravvento, iniziai i miei classici discorsi pseudo filosofici, riguardanti storia, musica, arte, Yvette. La natura del contenuto sarebbe bastata già da sola a rendere la mia persona, in un certo senso, "ridicola" ma il tono con cui quei concetti venivano enunciati rendeva il tutto ancora più d'impatto. Non che mi turbasse il fatto di sembrare, per così dire "scemo", stare con Yvette mi piaceva per questo specifico motivo, quella ragazza mi capiva, e quando lo facevo lei rideva e a me interessava solo questo, dunque continuavo, stimolato anche dalle sue argomentazioni di risposta, che tra l'altro non avevano nulla da invidiare alle mie, in termini di illogicità. Quando ebbi finito, ciò che disse fu... - Sei un idiota. Credo che un giorno scriverò un libro su di te, sulle tue passioni, le tue innumerevoli paranoie, la tua devozione spudorata nei confronti dei Guns n' Roses, i tuoi difetti, le tue invidiabili ciglia. Sarà un libro che ti descriverà in maniera totale, a tutto tondo... sì... credo proprio che lo scriverò.
Se fino a questo momento avete gradito la lettura di queste ventimilacentodieci parole, beh... dovete ringraziate quella ragazza, perché il merito è suo. Se non avete gradito, non posso far altro che invitarvi a maledirmi, a maledirla ed a maledire voi stessi perché avete dei gusti letterari molto discutibili. Fortunatamente su questa nostra Terra tutto è relativo, dunque non esiste un'unica verità, nessun gusto, apprezzamento o bocciatura può ritenersi un valore assoluto, valido per tutti, perché nulla in questo mondo può ritenersi tale. Dunque viva la libertà di opinione, viva le diversità, viva i dibattiti, viva tutto ciò che è vita. Viva la vita.
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Tornai a casa sano e salvo, ma soprattutto perplesso, non riuscivo infatti a capire perché dovessi nascondere dietro una flebile foglia di fico la forte attrazione che provavo nei confronti di quella ragazza, e perché mi auto imponessi tutto questo? Non riuscivo a capirmi, non riuscivo a capire il mio inconscio, il ché è tragico, anche considerando il fatto che noi stessi siamo l'entità con cui, passeremo la maggior parte del nostro tempo su questa Terra; nonostante tutto mi convinsi che il mio inconscio avesse ragione, dunque trassi le conclusioni. Non avrei comunque compiuto lo stesso errore fatto in precedenza, avrei infatti semplicemente voltato la pagina, non l'avrei strappata.
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Un tiepido ma coraggioso raggio di Sole di inizio dicembre mi solcò gli occhi, svegliandomi... un nuovo fottutissimo lunedì era nato. L'odio che provavo verso il lunedì, rimasto tra l'altro intatto nel corso degl'anni, era quanto di più grande potesse esistere su questa Terra. Dopo un intero fine settimana denso di birre, shottini di ogni genere, (e nei periodi più fortunati) di canne ero costretto a riiniziare un'altra monotona settimana scolastica. Molto triste. Feci il mio ingresso nel pullman, cercando di renderlo come spesso volontariamente facevo, forse riuscendoci, quanto più teatrale possibile, attraverso sguardi prima accennati e poi ritirati ed un passo quanto mai orgoglioso. Presi posto sul lato destro dei sedili che fiancheggiavano la porta d'uscita centrale di quella carretta di autobus. Yvette era seduta sul lato sinistro della mia stessa fila. Prima di sedermi accennai un saluto o qualcosa del genere, lei ricambiò in egual moneta.
Posai lo zaino. Cuffie. Isolamento.
La giornata scolastica fu monotona, niente di diverso dalla normalità, ma comunque; o meglio fu monotona fino all'arrivo della ricreazione. Alla fine di questa infatti, notai di aver un sms non letto nella casella messaggi; estremamente incuriosito mi fiondai col mio dito indice sull'icona della posta, scoprendo con mio grande stupore di aver ricevuto un messaggio da una ragazza che avevo sì, visto molte volte nel piccolo Liceo che frequentavo, ma con cui però oggettivamente non avevo mai scambiato una singola parola. Sapevo molto poco di quella ragazza, questo "poco" consisteva molto semplicemente nei suoi gusti musicali; più e più volte infatti l'avevo vista indossare t-shirt inneggianti ai miei gruppi rock preferiti, questo aspetto di lei ovviamente mi affascinava, molto. Le risposi. Iniziammo così a messaggiare in maniera assidua. Inizialmente le nostre conversazioni ebbero come unico argomento di discussione i nostri interessi... scoprii che incredibilmente avevamo davvero molte passioni in comune, tra cui Travaglio, la politica in generale, l'amore incondizionato per i Guns, la satira tagliente di Maurizio Crozza, l'arte, e tutto ciò che è cultura in generale. Ovviamente tutto questo non fece altro che avvicinarmi sempre più a quella ragazza, lei era per me una totale novità; non avendo infatti mai avuto modo di conoscerci, nei quattro anni di Liceo precedenti, non potevo considerarla che ovviamente come tale. Iniziammo a vederci nelle pause ricreazionarie. Stava nascendo una discreta sintonia fra noi. Una piacevole discreta sintonia. Durante uno di questi incontri un quesito iniziò a ronzarmi per la testa: stavo conoscendo colei che sarebbe stata destinata a riempire le pagine bianche di un nuovo capitolo del mio libro adolescenziale? O si trattava soltanto di una ragazza a cui piaceva semplicemente la mia stessa musica? Tenendo costantemente i miei occhi su di lei, pensai che solo il tempo mi avrebbe fornito una risposta, così mi sottomisi al volere del fato. Nonostante questo interrogativo stesse monopolizzando, perlomeno momentaneamente i miei pensieri, non potei far a meno di notare il suo fondo schiena. Decisamente migliore rispetto a quello di Yvette. Risalii lo sguardo, soffermandomi sul suo viso. Iniziai ad osservarlo in maniera approfondita. Fui estremamente attratto dai suoi capelli, erano di una bellezza illegale, lunghissimi ed estremamente lisci, si adattavano in maniera perfetta con i lineamenti del suo viso. La seconda cosa che mi colpì, anch'essa in maniera fulminante furono le sue labbra, un acceso rosso carminio le rendeva estremamente attraenti, cosiccome i suoi occhi, di un tonalità di marrone magnificamente profonda ed espressiva. Pur non essendo eccessivo, il suo trucco era molto forte, la tavolozza dei colori era ridotta ad un'unica tonalità di nero, in tono con il suo abbigliamento; tutto ciò le donava un'aurea estremamente gotica, di riflesso tutto ciò mi piaceva, tanto. Davvero tanto.
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Il nostro rapporto diventava sempre più intimo. Nel corso di un'intensa settimana, io conobbi meglio lei e lei conobbe meglio me. In tutto questo però, si inserì un sentimento quanto mai fuori luogo in questo tipo di circostanze e dunque ai miei occhi estremamente inquietante, quello dell'odio. Pur non volendo crederci ed in maniera del tutto paradossale ma soprattutto simultanea al periodo in cui iniziammo a sentirci e a vederci in maniera assidua, iniziai a provare, un senso di vera e propria "repulsione" nei suoi confronti, in quanto pur conoscendola in maniera sempre più approfondita non riuscivo ad innamorarmene, anzi tutt'altro. Uno dei miei peggiori difetti, di cui sono tra l'altro pienamente consapevole è quello di fare una differenziazione netta e radicale fra tutte le persone che conosco. In poche parole o ti amo o ti odio, sono cioè privo di mezze misure. Più che di odio vero e proprio però, si tratta in realtà di un sincero ripudio. Io odio la stupidità ed in tutte le sue sfumature, non ci posso far nulla. In quanto tale, forse saranno in molti a vedere in me lo stupido ma non m'importa. Diciamo che nel mio personale vocabolario il termine stupido non indica semplicemente un elemento caratterizzato da una mancanza d'intelligenza, ma al contrario acquisisce un significato molto più ampio, sostanzialmente tendo a generalizzare ed a porre sotto del suddetto sostantivo tutte le persone che odio, ed a ritenerle dunque, molto semplicemente come stupide; perché d'altronde dividerle in più categorie? Sarebbe un mero spreco di tempo, nonché delle proprie forze. Ecco... in quel periodo iniziò a ronzarmi in testa l'idea che Rose fosse stupida. So che potrà sembrarvi un paradosso piuttosto illogico, ma fu la realtà. Messaggiare con lei diventava sempre più stressante, ogni volta che lo facevo, vivevo qualcosa che poteva essere sintetizzato come la pura antitesi di una conversazione stimolante, ciò mi portava a mentirle, in modo tra l'altro spudorato, il ché ovviamente peggiorava soltanto le cose. Quella ragazza mancava di umorismo, non riuscivo davvero a divertirmi con lei e pur condividendo moltissimi interessi, non sentivo nascere nel mio cuore, nulla che fosse anche lontanamente vicino al concetto di amore. Non mi ritengo un bugiardo, né tantomeno un bastardo così un giorno mi confidai con lei, confessandole tutto. Potrà sembrare brutto a dirsi, ma anche con tutto l'impegno del mondo non sarei mai riuscito a provare amore per lei, anzi procrastinando, probabilmente avrei soltanto favorito un incremento del mio odio nei suoi confronti. Furono, fin ad allora, i dieci minuti più brutti della mia vita, ero infatti cosciente, come è ovvio che sia, del fatto che con le mie parole le stessi facendo male, delle vere pugnalate, fu per me letteralmente straziante. Ovvio era che io non volevo farlo, ma ero costretto dalla mia etica personale. Pur essendo profondamente concentrato nell'esprimere i concetti nella maniera più fluida e chiara possibile, tenendo anche conto degli strettissimi limiti di tempo; notai che, come appena iniziai a parlarle, sulle sue labbra si disegnò un sorriso enigmatico ed indecifrabile, questo non mi distolse certo dal continuare il mio discorso, ma sarei bugiardo nel negare che di fronte a quel sorriso, solo a stento trattenuto, sia rimasto del tutto indifferente, sarei davvero, e soltanto un mero bugiardo. Non riuscii a capire da cosa fosse causato, e di conseguenza cosi si celasse dietro di esso e quale significato avesse? In definitiva, rimasi estremamente perplesso.
La campanella suonò, cercai di salutarla in maniera gentile ed al tempo stesso distaccata, per far sì che il linguaggio del corpo non fosse in evidente antitesi con quello delle parole, poi di scatto mi voltai e mi diressi verso la mia classe.
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Dopo appena due ore ricevetti un suo sms. Quello fu in assoluto il messaggio più lungo che abbia mai ricevuto in tutta la mia vita. In quel testamento Rose mise l'anima; tramite quell'infinita serie di parole, mi chiese di poter riiniziare il nostro rapporto da zero, spiegandomi le ragioni del suo costante e insopportabile atteggiamento indisponente, mi disse che la sua era stata una sorta di "tecnica" per conquistarmi. Quella che avevo conosciuto fino a quel momento non era la vera Rose, questo il motivo, per cui continuava a sorridere a ricreazione. Con me non aveva funzionato, riutilizzandola avrebbe ottenuto lo stesso risultato anche con altri 99 ragazzi su 100, ne ero sicuro; di conseguenza le sconsigliai, anche per amore della categoria, un futuro riutilizzo. Apparte questo, pensai che forse ciò che aveva scritto fosse vero, forse quelle che avevo tirato erano state soltanto delle conclusioni affrettate, prive di reale fondamento. Pensai che forse ero stato io a sbagliare tutto con lei, dunque speranzoso e stimolato da questa nuova avventura, accettai la sua proposta. La sesta campanella suonò, il freddo mi spinse a raggiungere il pullman in un tempo estremamente breve, nonostante indossassi il mio adorato Montgomery blue, quel giorno soffrii molto quel rigido clima, questo mi insospettì molto, non mi accadeva infatti praticamente mai. Presi posto, da solo, volevo soltanto tornare a casa e dormire. Mi ero già appolaiato quando vidi Yvette. Era praticamente una settimana che non scambiavamo una parola, o uno sguardo, nulla. Andai a sedermi vicino a lei. Non avrei strappato la pagina.
Notai immediatamente che nei suoi comportamenti c'era qualcosa di strano, non so se si trattasse di un qualche tipo di "gelosia" o se fosse soltanto una mia impressione, non lo so, ma a primo impatto quello che pensai fu questo. - Perché mi ignori? Quella domanda mi spiazzò, ma non in maniera esagerata. Del resto era palese che la stessi ignorando, il motivo mi sembrava ovvio. Quale sarebbe stata quella folle persona che avrebbe iniziato una relazione con un ragazzo (Io), che vantava un rapporto del genere con un'altra. - Non ti sto ignorando. Non era credibile, ed inoltre il fatto che ovviamente ne fossi consapevole, fece si che pronunciassi quella frase, già di suo decisamente svincolata dalla realtà, con un tono che ne diminuiva, se possibile, ancor di più la credibilità. Non disse nulla, non serviva, l'impressione sul suo viso era già ampiamente chiarificatrice. - Che fai oggi pomeriggio? Mi guardò in maniera decisamente soddisfatta per poi dire... - Dopo le donne, la musica, il mio seno e la filmografia di Jhonny Depp qual' è la cosa che preferisci? - A dire il vero la gerarchia è un po' diversa, ma comunque credo che la risposta esatta sia... l'erba? - L'accendiamo coglione? - Si. - Bravo... hai vinto un vaffanculo aromatizzato alla marijuana. - Oh, grazie. - Quando potrò ritirare il premio? - Credi che il premio sia l'erba? - Mi pare ovvio! Mi negheresti una parte? - In effetti no... ma tendo a non condivedere con chi mi ignora, sai è una delle massime che guida la mia vita.
- Brava! Sei molto saggia, fortunatamente io non appartengo a quella feccia, dunque, viva la condivisione!
Con quell'ultima frase, riuscii a farla ridere, ne fui molto fiero. - Io scendo, ci vediamo stasera verso le sei. Au revoir Yvette. - Au revoir Bel-Ami, a stasera.
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Come previsto dopo aver pranzato, mi stesi sul letto della mia camera, per poi crollare pressocchè all'istante. Almeno questo mi riferì mio fratello. Saranno state le cinque o giù di lì, quando un'estremamente fastidiosa vibrazione iniziò a snervare il mio, forse troppo, vulnerabile sistema nervoso. In preda ad una vera e propria nevrosi afferrai il cellulare, risposi. Era Rose. - Pronto, dissi io, tremendamente scocciato, premetto che anche se avessi avuto Slash in persona dall'altra parte della cornetta, avrei pronunciato (MondialCasa ti aspetta) quel pronto con lo stesso identico tono omicida. - Disturbo forse? Chiese Rose, quasi come intimorita. - Nah, stavo solo dormendo!?! Dimmi. - Ti chiamo per informarti che sono già sul pullman e fra un'ora sarò da te, devo vederti. Devo ammettere che mi spiazzò, ed in maniera letteralmente imbarazzante, stava decisamente migliorando. - Ah... risposi, in maniera completamente apatica, non facendo trapelare emozioni; non sapevo se essere contento o meno, infatti probabilmente della canna non avrei visto neanche il fumo. Capii però, che quell'incontro sarebbe stato fondamentale per comprendere davvero quale fosse la sua vera natura, dunque convenni che adottare un atteggiamento, ancor prima del suo arrivo, remissivo era quanto di più sbagliato potessi fare, l'avrei palesemente influenzata, ed ovviamente in maniera negativa, di conseguenza non avrei conosciuto, neanche questa volta la vera Rose.
- Ti attendo, estremamente smanioso di vederti, vado a prepararmi.
Andai a farmi una doccia. Tre quarti d'ora dopo ero pronto, impeccabile. Mi recai alla fermata dell'autobus, attendendo il suo arrivo. Non tardò, appena cinque minuti dopo posò per la prima volta i suoi piedi di ballerina nel mio piccolo e deprimente paese. Il suo aspetto mi sorprese, anche il suo abbigliamento sembrava indicare un suo cambiamento, ne fui piacevolmente colpito. Passeggiammo per circa un quarto d'ora, poi mi fermai... la guardai negli occhi e la baciai. Fu un bacio molto intenso, con il quale veniva sancito un sorta di nuovo inizio, per noi e forse anche per me stesso. Una volta terminato la guardai, lei mi sorrise, feci lo stesso e come se nulla fosse accaduto continuammo nella nostra passeggiata. Percorremmo per intero il "corso", che poi coincideva anche con la via principale del paese, questo vedeva la sua fine con una chiesa, se non mi sbaglio dedicata alle Tre Grazie, ne sono tutt'altro che sicuro, ma comunque tralasciando il nome del santo o chi per lui, più chè secondario; raggiungemmo la suddetta chiesa. Nel medesimo istante, sentii in lontananza il rumore di una porta chiudersi, di scatto mi girai... era Yvette, in versione fattona, con tanto di felpone cappucciato. Mi venne davvero difficile credere che quello che stavo vivendo avesse come unico responsabile il fato, le uniche opzioni plausibili erano: 1) Il mio inconscio aveva buttato giù la sceneggiatura dell'incubo perfetto. 2) Qualche regista spuntato stava girando un reality sulla mia vita, e per renderlo più interessante aveva deciso di rovinarmela, inscenando tutte quelle sfortunate coincidenze. Nel corso degli ultimi giorni, prima della mia confessione spassionata a Rose, avevo notato che in lei si era sviluppato, un vero e proprio odio nei confronti di Yvette, cosa che probabilmente stimolò quest'ultima... prendendo una stradina secondaria riuscì infatti a precederci, così da poterci passare davanti e ricordare a Rose che lei esisteva. Alla sua vista infatti, le sue gelosie, a fatica da me insabbiate riemersero. Non potevo cancellare il mio passato. Non so se fosse questo il suo obbiettivo o semplicemente quella era l'unica strada percorribile, non ne ho la certezza, ma diciamo che fui estremamente spinto a credere che tra le due, l'opzione A fosse quella corretta, la percentuale si aggirava intorno al 99,99 %. In quel preciso istante capii che con Rose non sarebbe mai nato qualcosa di veramente imporatante, tra me e lei mancava la fiducia. Non sarei mai riuscito a mettere una pezza definitiva a quella falla, di conseguenza capii che una quantomai prossima inondazione, ci avrebbe inevitabilmente e presto sommerso.
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In seguito ad un'intera ora di mie spiegazioni riuscii infine a farla rinsalire, la baciai una prima volta, poi una seconda, una terza, una quarta, una quinta...
Cercai di farla sentire a suo agio con me, ma evidentemente non ci riuscii, fallii. Decisi comunque di ritentare, non volevo credere che potesse finire così con lei, a causa di una stupida gelosia, perlopiù immotivata, non parlavo più con Yvette da quasi di tre settimane.
In tutto questo la band si stava man mano, letteralmente liquefacendosi, non provavamo infatti da mesi, le motivazioni erano molte. Svariavano dai miei impegni scolastici di studente del quinto, a quelli di Yvette, ovvero di studentessa dalla media dell'otto, che andavano inoltre sommati all'ostentato puritanesimo della madre, che le impediva il più delle volte di uscire e di conseguenza di venire a provare, i vari impegni di Rush e Vins avevano fatto il resto. Quel giorno però (vale a dire, quello successivo alla visita di Rose), dopo mesi... Yvette ebbe il nulla osta. Straordinariamente tutti eravamo disponibili, così finalmente provammo.
Io, Vins e Rush eravamo già nel garage di quest'ultimo da un po', aspettavamo solo l'arrivo della nostra frontwoman, così come accade nei veri concerti. Arrivò, portando con sé una ventata di fascino dark, tipicamente invernale. Dal nostro ultimo non-incontro durante la passeggiata con Rose non avevo avuto modo di parlarle, ero estremamente curioso di vedere come si sarebbe comportata. Entrò, venne verso di me, aveva qualcosa in mano, me la lanciò in faccia, dicendo...
- Tieni bastardo.
Quella che mi lanciò consisteva in qualcosa che da mesi le stavo chiedendo, e che mai aveva deciso di darmi, qualcuno potrebbe pensar male, dunque a scanso di equivoci specifico subito che si trattava di uno splendido maglione nero Calvin Klein Jeans. Perché dopo mesi di preghiere, proprio quel giorno aveva deciso di regararmelo? Perché proprio quel fottutissimo giorno del cazzo? Forse una ricompensa per avermi visto il giorno prima con Rose? Boh. Inoltre il suo comportamento era decisamente strano, non che sembrasse incazzata con me o cercasse di evitarmi, anzi il contrario. Era estremamente gioviale, forse troppo. Improvvisamente sembrava aver bisogno di me, e sentisse un'estrema necessità di starmi vicino, non passò minuto infatti che non l'avessi accanto e i suoi baci (anche se sulla gancia) si sprecarono quel pomeriggio, non l'avevo mai vista così. Mi dava l'impressione di una persona estremamente tesa, che tenta di ostentare sicurezza, ed indifferenza nei confronti di qualcuno (Io) e verso ciò che ha avuto modo di vedere in un passato estremamente prossimo (Rose) ma che non riusce ad accertarlo ed a tollerarlo, per cui l'iniziale indifferenza si trasforma in un forte senso di attaccamento. Le prove terminarono, eseguimmo per intero la scaletta.
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Pur negandolo, probabilmente l'inverno era la stagione che preferivo, perché piena di giornate piovose, nebbia, neve, maglioni largissimi, possibilità di essere depresso risultando al contrario del periodo estivo estremamente figo, pomeriggi all'insegna della depressione ed interamente occupati dall'ascolto di musica rock in camera, thè caldo, senza dimenticare infine l'assenza totale di studio, in quanto ancora estremamente lontani dalla fine dell'anno scolastico, tutte cose che portano inevitabilmente quel non so chè di magico, molto film anni '90. Quel mercoledì incarnava tutto questo. Nessun coraggioso raggio di sole mi svegliò quella mattina, ed a grande richiesta vi fu l'acclamato ritorno della sveglia paterna, mi mancava. Sì. Decisamente. Amavo le giornate piovose ed un po' fredde di metà dicembre, l'atmosfera che si respirava sul pullman in quelle mattine costituiva per me qualcosa di estemamente intrigante, non so il perché, ma so per certo che fosse così. Amavo l'abbigliamento invernale. Giubotti (Parka, Montgomery, Napapijri, lo odiavo, giubotto da drogato), cappelli, anfibi, maglioni, sciarponi lunghissimi, pantaloni neri. Questo il mio starter pack. Durante queste mattinate speciali, una volta preso posto, amavo leggere, quell'atmosfera, mi dava un senso di protezione, diventando così il luogo perfetto per leggere un buon thriller. Uno Stephen King letto in un contesto del genere acquista ancora maggior fascino, diventando cioè vero orgasmo, partendo da una basa più che soddisfacente, puro eufemismo. Inoltre, leggere mi faceva sentire in un certo senso superiore rispetto al resto dei ragazzi sul pullman, fossilizzati ad ascoltare deprecabile musica spazzatura ed inoltre estremamente commerciale. Una vendemmia di merda. Quella musica aveva la stessa profondità di una pozzanghera. Ricordo che quel tipo di canzoni mi facessero davvero schifo, ma davvero tanto, a tal punto che l'ascolto perputuato di queste, riuscisse a scatenare in me effetti per così dire alternativi, queste riuscivano infatti nel difficile compito di surclassare la sensazione di estremo ammorbamento di palle vissuta a Bari, e farmi desiderare di essere nato sordo.
Yvette in quelle giornate era ancora più attraente, vestita sempre di nero. Adoravo quei felponi, ed inoltre spesso struccata, incantevole nella sua innocenza. Tra una pagina e l'altra non potevo far a meno di osservarla, immersa com'era nel suo mondo, fatto come il mio di musica e libri. Interessi che ci elevavano al di sopra della massa, o meglio io ne ero convinto. Estremamente convinto. Forse influenzato dagli innumerevoli film e libri, da me visti e letti, aventi come soggetti persone molto simili a me e lei, ossia molto strane, ed a tratti totalmente apatici e distaccati dalla realtà ma al tempo stesso, forse, interessanti. Forse invece, stavo soltando vivendo in una dimensione illusoria, e tra l'altro continua... molto probabilmente era proprio così, ma comunque questa mi piaceva, e ciò costituiva l'unica cosa che davvero contasse.
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L'autobus si fermò, anche quella mattina eravamo arrivati, purtroppo. Scesi, aveva smesso di piovere, ma il cielo continuava ad essere magnificamente chiuso ed opaco. Nell'accendermi la sigaretta, vidi con la coda dell'occhio che Yvette, a grandi passi si stava avvicinando a me.
- Accompagnami al bar (?!)
Il suo tono non precisò se si trattasse di una domanda o di una sorta di imperativo. - No, meglio di no ... non voglio coltivare i sospetti infondati di Rose. - Sostanzialmente mi stai dicendo che non possiamo più memmeno considerarci conoscenti, perché tu ti stai conoscendo con quella? - Beh... In sintesi sì. - Perché permetti di farti condizionare in questo modo? - Senti... io non mi faccio condizionare da nessuno, questo è semplicemente ciò che voglio. In parte era vero, in parte no. - Non ho la pesta, non infetto mica! - Con questo tuo atteggiamento del cazzo mi stai solo rovinando la vita, te ne rendi almeno minimamente conto? - Io ti starei rovinando la vita?
- Direi proprio di sì, credi che sia scemo?... é da una settimana che cerchi continuamente di intrometterti tra me e lei, ed in più modi, al semplice scopo di portare astio tra noi. Credi che non me ne sia accorto? Non tentare nemmeno di negarlo, è palesemente vero. - Non voglio rovinarti la vita. Scusa se io non mi faccio condizionare da nessuno e faccio semplicemente quello che voglio. I tuoi sbagli sono affari tuoi. Non incolparmi mai più di cose che ti riguardano. Addio.
Mi volse le spalle e se ne andò
Crack... la pagina.
Fumai quella sigaretta in maniera nevrotica, testando la resistenza dei miei polmoni; volevo farmi del male, all'improvviso ero diventato masochista. Dei lunghi respiri affannosi ed implacabili attacchi di tosse seguirono quei tiri esageratamente lunghi. Fu l'unica maniera che trovai per sfogarmi, ebbe successo. Polmoni perdonatemi. Entrai a scuola. Vidi Rose in lontananza. Andai da lei. Si girò. Mi baciò. In quegli appassionati dieci secondi il mio esagerato nervosismo venne placato, il mio corpo si ammorbidì ed i miei nervi estremamente tesi si allentarono. La campanella suonò, la baciai un'ultima volta. Andai in classe.
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Natale si avvicinava, mancavano solo tre giorni. Quello che da molti è considerato come il periodo più bello dell'anno stava per arrivare, quello che da me era considerato come il periodo non estivo contenente le vacanze più lunghe dell'anno stava per arrivare. Punti di vista. Come ogni anno, il 22 Dicembre si sarebbe tenuta l'assemblea d'Istituto pre natalizia, ed il successivo veglione. Premetto di non aver mai amato le assemblea d'istituto, o meglio ciò che erano diventate nel nostro Liceo, ovvero lo sfondo per inconcludenti tornei di tressette e poco altro; quell'assemblea però fu diversa, venne invitato infatti un gruppo rock locale, ciò la rese decisamente interessasante. La voce non era nulla di chè, ma nel complesso erano davvero molto bravi.
- Vuoi una prevendita?
Ero così preso dall'entusiasmante cover di Master Of Puppets, che non mi ero, neanche minimamente, reso conto del fatto che una persona fosse accanto a me.
Tutto ciò che mi uscì dalla bocca fu un ciao, terribilmente smorzato. Presi abbondanti cinque secondi per decidere cosa fare. Non avevo ancora chiesto a Rose se lei ci sarebbe andata, ma pensai che fosse ovvio che ci andasse. - Dammella, la prevendita. - Ecco a te. Vidi Rose, era esattamente nella parte opposta dell'enorme sala, dove si stava tenendo l'assemblea, mi diressi verso di lei. - Ho dimenticato di chiedertelo ieri, tu hai già comprato la prevendita per il veglione, vero? - Veglione? No. Non vado al veglione. - Come non vai al veglione? Perché? - Non mi hanno mai attratto, poi troppo casino. - Ho appena comprato la prevendita, cazzo. - Beh, allora vacci! - Ti odio quanto fai così, sei insopportabile lo sai?! - Sono fatta così. - Eh lo so, è questo il problema. - Quindi sarei un problema? - Porca Puttana! Senti basta! Lasciamo perdere... quindi che fai stasera? - Esco. - Allora usciamo insieme. Hai la macchina? - Sì, perché? - Per tornare mi servirà un ovviamente un passaggio, e l'unico luogo in cui potrò trovarlo sarà il veglione, quindi serve la macchina per raggiungerlo, essendo ad una quindicina di minuti dal centro. Passammo la rimanenti due ore d'assemblea a pomiciare, per poi organizzare la serata nei minimi dettagli, ovvero: Cena, limonata aromatizzata, veglione.
Non mi rimaneva ora che trovare un passaggio, impresa che si presentava tutt'altro che facile, ma non impossibile. Io ed Yvette avevamo iniziato a parlarci di nuovo, sicuramente avevamo vissuto periodi migliori, ma come inizio non era male. Forse lei avrebbe potuto salvarmi. Le inviai un messaggio. Come previsto l'esito della missione fu positivo, sarebbe stata lei, o meglio il fratello, a riportarmi a casa. Anche se, a causa di ciò, avrei dovuto prestare estrema attenzione alle mie parole, se avessi compiuto l'impudenza di farmi scappare il suo nome durante la serata con Rose, sarebbe finita.
24
Erano le 3 P.M., estremamente soddisfatto per aver trovato un passaggio per il ritorno, esausto, crollai. Mi svegliai solo tre ore dopo, mi preparai e dopo un'ora abbondante ero sull'autobus. Una volta dentro elaborai nella mia mente la futura dinamica della serata: un'ora dopo sarei arrivato a destinazione, pomiciata intensa con Rose in macchina, cena nel ristorante più costoso che c'era (una trattoria di Kuala Lumpur a confronto sarebbe stata trenta volte migliore), seconda pomiciata in macchina, veglione, dimora. Non sapevo l'orario esatto in cui Yvette se ne sarebbe andata, ma compresi che la scadenza del termine utile per evitare di rimanere a piedi fosse mezzanotte, altrimenti probabilmente non l'avrei più trovata lì. Posai il mio piede destro a terra, ero arrivato. Houston abbiamo un problema, Rose come al solito era in ritardo. Avevo fame, andai a rifocillarmi ed a comprare le sigarette; quando improvvisamente me la trovai davanti. Era stupenda e maledettamente sensuale, uno splendido rossetto di una tonalità estremamente accesa di rosso completava l'opera, rendendola irresistibile. Era diversa, diversa dal solito, finalmente aperta. La baciai. Scoprii che adorava la cioccolata calda, scoprii di adorare la cioccolata calda. Entrammo in un locale. Un tizio mi disse che lì avrei potuto gustare la migliore della città. Il mio palato dopo dieci minuti di attesa venne a contatto con la cosa più buona che avessi mai bevuto. La dolcezza della bevanda, e gli occhi di Rose mi spinsero a berla nel minor tempo possibile. Ci fiondammo in macchina, allontanadoci dal centro. Un minuto dopo, eravamo già fuori paese. Ci spostammo sui sedili posteriori, si sedette su di me, in quell'istante iniziò un bacio lungo un'ora.
Lingua. Labbro superiore. Labbro inferiore. Lingua. Collo.
- Ho fame. - Anch'io, andiamo.
Al contrario di tutte le altre serate passate insieme, quella fu diversa, lei mi piacque, era esilarante e magnificamente impulsiva, tutto ciò mi fece sperare in futuro roseo con lei. Molto più materialisticamente invece in quel momento nel mio presente, non volevo vedere altro che una quattro stagioni fumante, la mia pancia brontolava, in maniera illegale.
Divorai la pizza. Era stranamente ben cotta.
Mi stavo forse innamorando di Rose?
Poche furono le parole durante la cena, gli sguardi le sostituirono. Sì, stava accadendo davvero. Fu Rose stessa a farmelo capire. Ero in piena sintonia con lei, carpivo i suoi pensieri semplicemente guardandola. Stava davvero accadendo! Pagai il conto. Entrammo in macchina, accesi lo stereo. Al suo interno Appetite, non potei trattenermi dall' inserire immediatamente la traccia nove, lo feci... ACHTUNG. In quel momento ebbi un'esplosione di adrenalina, di una tale potenza e quantità che il mio corpo fu costretto a farla erompere dal buco del deretano, nonché che da quelli del naso e delle orecchie. Nonostante la fuoriuscita, questa crebbe sempre più, parallelamente al volume... 33. 34. 35. 36. 37. 38., 39.
- Fermati! Sediamoci dietro.
L'ennesima vibrazione della sveglia fu finalmente udita, ci bloccammo. Senza nemmeno accorgercene si erano fatte le 12.30 A.M. - Cazzo!... è tardissimo, andiamo al veglione, rischio di rimanere a piedi. - Accidenti è vero! Sulle note di Paradise City, raggiungemmo il kartodromo, sede del veglione, ci fermammo. Mi baciò un'ultima volta. - Questa sera sono stato da Dio con te, davvero. Mi guardò, non resistetti alla tentazione di baciarla ancora. Scesi.
Dovevo trovare Yvette. Raggiunsi il capannone, sede effettiva della festa, entrai.
- Oh Mio Dio! Esclamai entrando, esterefatto. - Non la troverò mai! Fui investito da una marea umana di persone credo intente a ballare, dalle lore movenze scordinate non si capiva, molte di queste ubriache sfatte. La cercai dappertutto, disperato. Come sarei tornato a casa? Chiesi in giro, nessuno l'aveva vista. Casualmente riuscii a trovare Bum Bum, credo si sia trattato di un'apparizione divina, un miracolo, qualcosa di cattolico insomma. Non esclusi però l'aiuto di Dio Zlatan. La chiamai per l'ennesima volta, mi rispose una voce estremamente confusa. Capii immediatamente che era ubriaca. Molto ubriaca. - Chi sei? - Cristo, sono io Yvette! Sono Simon, non mi riconosci? Sei ubriaca? Dove sei? - La vita è bella lo sai! No, sono sobrissima. Tu, piuttosto dove sei stato? non ti ho visto per tutta la serata? - Ho avuto... da fare, ma ora rispondimi... Dove sei? - Sulla via del ritorno... Lo disse assumendo un tono epico ed al tempo stesso esilarante, pur essendo estremamente teso non potei trattenermi dal ridere. - Si, okay! Esattamente dove però? - Siamo quasi arrivati. - Starai scherzando spero? - Lo vorrei tanto, ma purtroppo è la verità. Non vedendoti ho pensato che non fossi venuto, dunque non ti ho aspettato. Perdonami. Scusami. Davvero, sono mortificata! Come farai ora?
Pur essendo ubriaca, pronunciò quelle parole in maniera terribilmente dolce, da far mancare il fiato. Parlava a singhiozzi, ne percepii l'estrema inquietudine. Era davvero preoccupata per me.
- Non preoccuparti, stai tranquilla. Me la caverò, come sempre. Lo sai che riesco sempre a cavarmela, no? - Sì, lo so... lo so che te la caverai, ma mi dispiace, mi dispiace terribilmente. Sono un po' brilla. - Eh... diciamo che l'avevo intuito... comunque tu stà tranquilla. Ti chiamo domani. Buonanotte. - Notte.
La situazione aldilà di tutte le rassicurazioni del caso era davvero tragica. Il giorno prima avevo litigato con mio padre, e mi trovavo alle due di notte in un paese che non era il mio, con il cellulare scarico e privo di moneta. Inoltre non c'era nessun'altro del mio paese alla festa. Non sapevo davvero cosa fare.
• "L'amico si vede nel momento del bisogno". Frase fin troppo strumentalizzata, ma terribilmente vera.
Fu Bum Bum ad accompagnarmi a casa, quella gelida notte di fine Dicembre. Non lo dimenticherò mai. Mai.
25
Natale arrivò. Il rientro degli studenti universitari, rese come ogni anno più vivo il paese. Dandomi l'illusione di vivere in un paese normale, l'illusione. Tradizione voleva che si passasse la vigilia in questo modo, ovvero: cenando prima con la famiglia, partecipando poi alla celebrazione eucaristica ed infine festeggiando la nascita di Gesù Cristo facendo seguire uno shottino all'altro, per riscaldarsi ovviamente. Solitamente prendevo parte solo alla terza fase, e parzialmente alla prima. Quella sera però, estremamente fredda, partecipai alla celebrazione. Appena terminata ed aver fatto gli auguri a tutti andai a riscaldarmi. In poco tempo iniziai a sentirmi come una stufa a pellet, e della migliore marca. Compatii per dieci minuti la miserabile vita di una stufa del genere, riscaldandomi intanto sempre più, per poi decidere di tornare a casa. Non fu la notte più eccitante della mia vita.
25 Dicembre, il giorno più bello dell'anno. Bisogna essere felici, è un comandamento dettatoci dalla massa, bisogna omologarsi alla finta felicità che caratterizza la falsa società del 2000. Non si può essere tristi il giorno di Natale. Perché?! Il mio Natale fu una merda, non ricevetti nessun regalo, fatta eccezione ovviamente per le classiche 400000 £ facili da parte di nonni e zii, quelle ci sono sempre, ma regali veri... libri, maglioni, erba, neanche l'ombra. Vita de merda.
Rose mi chiamò, facendomi gli auguri. Iniziò poi a lamentarsi per il troppo cibo che sarebbe stata costretta a mangiare nel corso del pranzo, il quale avrebbe messo in serio pericolo la sua linea da ballerina. La presi in giro per questo. Io non avevo certo di questi problemi, anzi fu proprio sul cibo che sfogai la mia annuale infelicità Natalizia, dovorai tutto. Fui ingordo, estremamente ingordo, ma stranamante felice. Il cibo rende felici, si sa. Mai come il vino però. Anche quell'anno, il giorno di Natale fu il giorno più brutto dell'anno. Passai la giornata a guardare l'infinita carrellata di film che tutti i canali passano quel giorno. Era così, ogni anno cercavo di evitarlo, ma alla fine la sostanza non cambiava, non distanziandosi molto da... Film. Titoli di coda. Pubblicità. Film. Pensai che essere tristi in un giorno in cui tutti si dichiaravano felici fosse un dovere morale. Dettato dalla necessità di distinguersi.
- Scusa ma perché sei triste? Mi chiesi. Hai tutto ciò che un ragazzo della tua età possa chiedere. - Ossia? - Un cervello, un pasto, una cena, una chitarra, centinaia di migliaia di pagine da poter leggere, una ragazza, ottimi gusti musicali, nonché cinematografici ed artistici. Una personalità f... - Ecco fermati, hai colto nel segno! La mia personalità fottuta. - In realta stavo per dire f...orte. - Lei è la responsabile di tutti i miei problemi, delle mie paranoie, nonché di tutti i miei rimpianti.
Qualcuno mi passi la personalità, grazie.
Attenda in linea... un operatore del reparto da lei richiesto le risponderà in meno di un minuto.
Musica (orribile) di sottofondo... attenda prego... Musica (al secondo ascolto ti accorgi che fa ancora più schifo) di sottofondo...
- Parla l'operatore n° 34587933. Come posso esserle utile? - Salve, veda io ho un problema, un problema molto grave. Tendo a pensar troppo. - Cosa le fa credere che questo sia un problema?
- Vuole scherzare forse?! Passo intere giornate a fare ragionamenti inconcludenti. Privi di alcuna utilità. - Lei si ritiene una persona estremamente pragmatica? - Non particolarmente. Perché? - Perché dalle sue parole invece si denota un'estrema pragmaticità, ed in essa inoltre si concretizza anche una parte del suo essere persona, caratterizzandola. - E con ciò? - Beh... vede... dai dati in mio possesso, sono in grado di dirle... anzi mi grava informarla, che in lei il lato pragmatico è opposto ad una parte estremamente sensibile, a tratti romantica... - Ma cosa sta dicendo???!! Non si può essere cinici e romantici allo stesso tempo, non dico che sia un ossimoro, ma poco ci manca. - Rifletta per un attimo. - Operatori del cazzo, su cosa? - Da ciò che le ho appena detto, tiri le conclusioni. - In sostanza sta cercando di dirmi che la mia... è una personalità estremamente contorta e lei non può far niente per migliorare la situazione? - In pratica... sì, questo è ciò che lei è. - Operatori del cazzo. - Non creda però che questo sia necessariamente un problema. - Ma mi ascolta quando parlo?! - Ora ascolti lei! Pensare è l'attività che distingue l'essere umano dal resto delle creature viventi. Pensare è l'azione, al contrario di ciò che pensa lei, con il coefficiente di imporatanza più alto tra quelle citate nel novero delle possibili. Pensare rende indipendenti. Pensi quanto più può, si faccia un'opinione su tutto ciò che la circonda. Vicende amorose, politiche, sociali, economiche, artistiche, musicali, letterarie. Occupi il suo tempo per analizzare, si faccia una propria opinione. Sii unico, inimitabile. Faccia in modo che le sue idee siano originali. Sii qualcuno che la gente stimi o odi. Sii se stesso, pensi. Pensi molto.
Riceverà un messaggio in cui le sarà chiesto di dare un voto alla conversazione appena conclusasi. Grazie per aver chiamato.
26
Le vacanze terminarono, tornai a scuola. Palle piene. Necessità di evacuare. Impossibilità di evacuare. Tristezza conseguente. La scuola non era cambiata molto, da quando l'avevo lasciata in balia del Natale tre settimane prima, anzi non era cambiata proprio per niente. Le settimane passarono. Terminò la prima, la seconda, la terza e poi la quarta... Arrivò il tempo dell'autogestione. Proprio così, per un giorno ci saremmo autogestiti. Incredibile no? Non riuscivamo nemmeno ad organizzarci per un pranzetto di classe ed ora veniva fuori che nelle nostre mani (quelle degli alunni dei quinti) avremmo avuto l'onere di gestire ed organizzare l'intera attività scolastica della giornata. Sostanzialmente l'autogestione consisteva in questo, le classiche sei ore di lezione sarebbero state sostituite da diversi corsi. Ne pianificammo di svariati, così da poter accontentare tutti, apparte i cerebrolesi cronici ovviamente. Vi era cineforum, scrittura creativa, disegno artistico, De andrè in tutte le sue sfumature, difesa personale ed infine anti-contraffazzione. Io ovviamente scelsi scrittura creativa, Rose De Andrè. Il corso iniziò, mi piacque fin dall'inizio, per la sesta volta da quando frequentavo il Liceo avevo l'impressione di essere in un Liceo. Un Liceo vero, non un CoglioniRaduno. Vi era un'atmosfera molto caffè letterario, ovviamente con delle eccezzioni, com'è giusto che sia. Un ragazzo disse di aver iniziato a leggere incuriosito dal titolo di un "libro", tale "Piccoli meccanici crescono", tra l'altro solo il primo volume di una trilogia, mi stupii di come non fosse diventato un bestsellers... le ingiustizie del mondo del letteratura; non ebbi l'ardire di chiedergli i soggetti dei due libri seguenti. L'apice però lo toccammo con un altro ragazzo. Costui ci disse di aver comprato una quantità considerevole di libri nel corso degl'anni, fino a ciò niente di strano, nella norma. Credo che il nostro giudizio nei suoi confronti non sarebbe variato, se non avesse continuato a parlare. Ci confessò infatti di non aver comprato quei libri per leggerli, bensì semplicemente per osservarne, quando ne aveva voglia, la copertina. L'idea di leggere anche solo una pagina di quella enorme pila di volumi non gli passava neanche per l'anticamera del cervello, ciò che gli interessava erano solo ed esclusivamente... le copertine. Assurdo. Fortunatamente subito dopo ci disse anche di aver superato quella fase. Ora quei libri li leggeva anche. Zlatan sia lodato. Le quattro ore finirono. La mia oasi di cultura svanì. Rose mi stava aspettando, il suo corso era durato molto meno. La serata del veglione si era dimostrata solo come un caso isolato, non mi stavo innamorando di lei. Col passare delle settimane la trasformazione da Dott. Rose in Mr. Merda vide una sua reale concretizzazione, con tutto ciò che ne consegueva. Era terribilmente antipatica, a tratti apatica, costantemente rompipalle. Ciò che più mi dava ai nervi in assoluto, era la sua più totale diffidenza nei miei confronti, a torto. Non so se fosse questo il motivo della sua antipatia o altro, so solo che il quel periodo diventò letteralmente insopportabile. Cristo se lo era! Non vi era minuto che non lo passassimo a litigare, per motivi a dir poco velleitari, anzi molto meno aulicamente stupidi. Tutto ciò che facevo le dava fastidio, stare con lei diventò una tortura invece che un piacere. Era terribilmente gelosa, non potevo aver amiche donne. Yvette l'avevo cancellata dalla mia vita ormai da un mese, non mi ricordavo nemmeno che voce avesse più. Stavo sacrificando parte del mio passato per una persona che diceva di apprezzarmi ma non me lo dimostrava affatto, strano. Il giorno di autogestione si avviava verso la dirittura d'arrivo, mancava solo un'ora alla fine di quella giornata. Le parole del Preside e delle varie autorità chiamate ad asserire per celebrare l'evento, vennero sostituite da musica e balli. In quanto alunno del quinto, mi spettava il nobile e scoglionante ruolo di Sorvegliante delle porte d'uscita. Minchia! Rose era accanto a me, in una rarissimo frangente di pace; quando dal nulla... Slash (sfortunatamente solo la sua registrazione in studio) toccò la quarta corda del dodicesimo tasto di una Simil Les Paul Standard del '59. Una splendida, magnifica, celestiale nota risuonò nell'intera sala. Ancora una volta Sweet child ò mine avrebbe segnato la mia vita. Fottendomene altamente della gestione del flusso cessario (ovvero del cesso), mi diressi verso il centro della sala, ballando. Non riuscivo a resistere a quella canzone. Non c'era nulla da fare, ne ero completamente schiavo. Rose non assecondò la mia follia, rimanendo al suo posto, non fu mia complice. Anche se in totale estasi, riuscii a notare che Yvette che mi stava osservando. Yvette... stava ridendo di me... Oh cazzo! Yvette... stava venendo verso di me! Ti prego no... implorai disperato. Intuendo l'immane pericolo, tornai alla mia postazione, cercando di evitare in questo modo qualsiasi possibile contatto. Fallii. Passò dalla porta da me gestita. Mi disse qualcosa, del tipo "Non ti gasare troppo", o comunque una minchiata del genere, niente di più. A Rose bastò. "Che l'Apocalisse abbia inizio!" Gridò sicuramente qualche simpaticone lassù. Una bomba al plutonio potenziato di gelosia era pronta ad esplodere. - Tu stai con lei! Non negarlo! - No! Non sto con lei! Anzi, non parlo con lei da un mese! (Non mentivo) In quale cazzo di idioma del pene devo dirtelo per fartelo capire, in Aramaico antico forse?! Inoltre la tua insinuazione/cazzata dell'anno si basa su un "Non ti gasare troppo", è assurdo. Te ne rendi conto? Questa discussione non ha alcun senso!
Niente, non riuscii a farla ragionare. La gelosia le aveva appannato la vista. - Se tu non ti fidi di me, il nostro rapporto non merita di esistere; è soltanto un mero, falso rapporto. Soltanto una brutta copia del concetto di amore. Null'altro, lo capisci?! - Si, lo so, ma lei... lei... Scusa hai ragione. Ti credo! TI CREDO! Davvero! - Non mi basta Rose. Pensi che un "Ti credo" mi possa bastare? Come puoi credere che mi possa bastare? Tu non ti fidi di me! Ciò mi farà uscire pazzo. Non siamo fatti per stare insieme... poniamo fine a questa patetica farsa da quattro soldi. Fra noi due non funziona... Non te ne sei accorta? Neghi ciò che è palese. - Cosa dici? Noi due stiamo bene insieme. - No ... noi due non stiamo bene insieme. Rose... ti chiedo di allontanarti da me... prendiamoci una pausa di riflessione. - Queste pause non le ho mai capite? Cosa potrà mai risolvere il tempo secondo te?! - Ti sto parlando col cuore in mano. Questo è ciò che sento. Scusami.
La lasciai lì. Errai? Non so dirlo. In questi casi la mia filosofia è... "Se sì è umano, altrimenti sono io."
• Quella pausa non avrebbe risolto un bel niente, lo sapevo fin troppo bene. Il problema non era quel periodo, ma il fatto che fra noi non fosse mai scattata davvero la scintilla. La magia. Sarebbe stato estremamente sbagliato protrarre quel perenne precario rapporto per altro tempo, ci saremmo solo rovinati a vicenda.
Non le riparlai mai più.
FINE TERZA PARTE
27
Ed ora che cazzo faccio? Ora sono libero, sì! Cazzo! Sono libero! D'altronde lo stress causato da Rose non c'era più, Rose non c'era più, Yvette non c'era più. Non che fossero passate a miglior vita, badate. Con non c'era più intendo solo che non facevano più parte della mia vita ovviamente. La mia non era libertà, la libertà si conquista, non si subisce. Ero stato sopraffatto da quella situazione. Ne ero vittima. Ero rimasto solo. Non che questo mi dispiacesse, sentivo di non aver bisogno alcuno, in quel monento, di aver una ragazza al mio fianco. Ero stufo di quell'inutile fottutissimo stress femminile, ero felice, o meglio ero neutralmente non triste. Per un momento fu davvero grandioso. Questo stato di inquieta neutralità non durò molto, dopo pochi giorni emerse in me lo spettro dell'angoscia. Ero perennemente assente, apatico, diventai estremamente schivo, non riuscivo più a divertirmi. In sostanza ero depresso, molto depresso. A causa di ciò mi facevo schifo, invece di ritenermi fortunato per esser nato in una parte del mondo, in cui con tutti i problemi possibili, le condizioni di vita erano e sono a dir poco ottimali, continuavo a deprimermi, a rovinarmi. Per quale stupido motivo poi? Porca Puttana non lo sapevo nemmeno! Tutto ciò non faceva altro che peggiorare la situazione. Non avere nessuno al mio fianco mi faceva star male. Non avere una persona che appartenesse al genere femminile al mio fianco, mi faceva star male. Non uscivo mai. Pur restando in casa non studiavo né suonavo, passavo le giornate a guardare film e leggere libri. Libri spesso omonimi dei film stessi. Divenni un critico cinematografico, peccato che non avessi una platea, fatta eccezione che per mio fratello. Fu un periodo orribile. Arrivai persino, nelle fasi più acute, ad avere tendenze suicide, costantemente represse. Nonostante ciò, la mia cultura cinematografica nonché letteraria in quei giorni si ampliò notevolmente, conobbi capolavori quali Arancia Meccanica, Pulp Fiction, Trainspotting, Eyes Wide Shut, Full Metal Jacket, Bastardi senza gloria, Fight Club, Shining, Requiem for a Dream, Donnie Darko e tanti altri. Riuscivo anche a guardare (non vedere, guardare, prestando attenzione ad ogni minimo particolare) anche due film al giorno. In pellicole del genere ogni minima sfumatura ha il suo significato, ed io volevo carpirli tutti. Divenni ossessivo. Fottutamente ossessionato dal cinema. Nacque in me una vera e propria devozione per Tarantino e Kubrick, il loro modo di girare nonché di strutturare un film costituiva per me qualcosa di fantastico.
• "Tarantino in Pulp Fiction introduce una modulazione del tempo totalmente nuova e geniale, che da sola basterebbe a farlo entrare di diritto nell'Olimpo del cinema. Già... peccato che Tarantino non sia solo questo. Tarantino è inventiva, è classe pura; le sue sceneggiature, i suoi dialoghi, densi di sana e pura filosofia metropolitana ... pezzi di storia."
"Leggi la Bibbia Brad? Sihh. E allora ascolta questo passo che conosco a memoria... Ezechiele 25,17... Il cammino dell' uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle inicuità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui [...]. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farà calare la mia vendetta sopra di te" ...il resto è storia. Pur essendo tratto dalla Bibbia, dunque non farina del suo sacco, Tarantino l'ha fatto suo. Questo è ciò che lo rende grande.
Ecco ciò che facevo in quei giorni, tenevo conferenze sulla storia del cinema a casa mia. Riscossi molto successo. Il mio unico ed affezzionatissimo seguace, mio fratello, fu sempre molto soddisfatto. Dopo una settimana lo streaming apparteneva già al passato. In egual modo della droga, anche la cinematografia pur essendo roba buona porta comunque, inevitabilmente, all'overdose. Non vi è via di scampo. Fortunatamente quella da film non constituisce un pericolo concreto per il prosieguo della propria esperienza terrena; comunque, per non rischiare, decisi di troncare la mia esperienza di cinefilo esaurito, ritornando ad essere seplicemente un cinefilo. Le mie proverbiali, quanto inutili, astratte riflessioni diventarono il nuovo polo monopolizzatore delle mie giornate. C'è qualcosa che non va in me? Domande del genere si sprecarono in quel fottuto periodo. Non mi spingo a dire di essere caduto davvero in depressione (perlomeno in una di tipo nevrotico), in quanto sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti di coloro che davvero soffrono di questa patologia, perché non arrivai a quel punto, ma poco ci mancò. Definirei questa fase come estremamente e profondamente introspettiva. La mia quasi depressione andava peggiorando sempre più. Deprimerti aiuta a deprimerti, ascoltare brani tristi asseconda il tuo stato d'animo, dandoti l'illusione di sentirti meglio, in realtà stai solo peggiorando le cose; persino il mio rapporto con Bum Bum cambiò, non era più lo stesso, io non ero più lo stesso. Volevo solo stare solo, nient'altro. Tutto mi infastidiva, niente mi riguardava. La barba non mi riguardava, il mio corpo non mi riguardava, il giudizio dei professori non mi riguardava, il giudizio di una prof, in particolare, molto speciale, non mi riguardava più. In generale porto un bel ricordo di tutti i miei docenti di Liceo, chi per simpatia, chi per preparazione, tutti si sono aggiudicati un posto (per quanto questo possa valere) nella mia memoria. Credo però, anzi ne sono certo, che fra tutte e tutti, quella prof sia stata la Prof. Ossia quella docente che ammiri, ti ispira, odi, ami, ti fa sputar sangue per interi quadrimestri, odi ancora per poi amare nuovamente, quella che quando prendi otto alla sua interrogazione sei l'uomo più felice sulla faccia della Terra; quella da cui, in fondo, pur negandolo, sei attratto, un'attrazione di tipo intellettuale certo, ma pur sempre di un'attrazione si tratta. In definitiva, la Prof. 150 cm. Questa la sua altezza, un corpo dunque estremamente piccolo, fine. A prima vista poteva persino suscitare tenerezza. Un solo minuto di conversazione con lei riusciva a farti cambiare completamente idea. La sua dialettica, la estrema fluidità nonché proprietà di linguaggio avevano il potere di conquistarti. Ascoltarla parlare era qualcosa di catartico; le sue lezioni, insegnava storia e filosofia, avevano ritmo, forza, energia, mai banali, avrei potuto seguirle per ore. Era estremamente acuta, cinica, a volta persino crudele, nascondeva però un lato estremamente umano, che solo di rado emergeva. L'aspetto esteriore rispecchiava quello interiore, molto originale ma anche delicato, proverbiali erano i suoi adorabi abiti fantasia, sempre abbinati col tacco. Abiti per un anno, nei sei quadrimestri in cui ebbi la fortuna di essere suo alunno, non indossò mai lo stesso vestito. Incredibile. Un capitolo a parte meriterebbe il suo taglio di capelli, ma probabilmente mi dilungherei per altre 9877777 parole forse annoiandovi, di conseguenza non mi lancio nell'impresa.
"Te sovviene" cit. La Prof
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Avevo bisogno di uno stimolo (non per cagare, avevo già degnato il cesso della mia presenza quel giorno), uno stimolo per vivere. Dovevo nuovamente avere un obbiettivo per dare un senso, non dico alla mia vita, ma perlomeno a quel mese.
• Scuola:
Quello che stava trascorrendo era il cosiddetto periodo asettico, ossia nell'accezione del suo significato figurato, qualcosa che non genera emozioni, qualcosa di freddo. Febbraio è un periodo di transizione in questo campo. Coefficiente di difficoltà: 4/10. Zero interrogazioni. Zero compiti. Zero impegno. Zero emozioni. Scuola bocciata.
• Donne:
Diciamo che ne avevo piene le balle, scusate il francesismo. Molto semplicemente no grazie. Per ora sto apposto così. Viva la masturbazione! Sicuramente la più nobile tra le arti che un uomo possa adoperare. Donne bocciate.
• Sigarette... Si! Sì, merda! Ci sono... smetterò di fumare. D'ora in poi solo canne isolate. Alongi potrà capirmi. Basta con quello schifo nei polmoni, smetterò gradualmente, in una settimana le eliminerò definitivamente, ce la puoi fare. Ce la farai. Ce la farò! Sigarette promosse.
In una settimana avrei smesso, per sempre. Me lo imposi, mi sarei impegnato. Anche perché altrimenti non sapevo davvero cosa fare (in realtà ero solo un cazzone sfaticato, non ascoltatemi), non che non ci fosse niente da fare, al contrario, anzi... ce n'era in abbondanza. La maturita pian piano, di soppianto, si stava avvicinando. Puttana di una maturità, inutile sgualdrina senza riscontri reali, ecco cosa sei! Come si fa ad essere maturi a diciannove anni? Ci sono persone che non lo sono a novantanove, e lo diventano solo un secondo prima di esalare l'ultimo dei loro affannosi respiri, un'ultima rinfrancante soddisfazione prima di morire. Come poteva qualcuno pretendere che io fossi maturo?! Non avevo nessuna responsabilità, nessun altissimo purissimo e strafottutissimo dovere, uno stracazzo di niente di serio da fare. Queste sono le cose che ti permettono di diventare maturo. Ed io non ero legato a nessuna di queste. Qual è l'unica compito che si ha a diciannove anni? Tutelare la propria vita? Direi di no. Primo perché non è qualcosa di specifico dell'età menzionata, secondo perché non è una responsabilità, bensì semplice istinto di sopravvivenza. Essere fedeli in amore? Nah, non sei neanche tu! Come si può essere fedeli a diciannove anni, quando la scienza ci dice che la natura dell'uomo è di per sé poligamica. Non ci siamo. Vediamo... cercare di risolvere i mali del mondo? Troppo presto, specialmente se vivi in un fottuto paese di provincia, che conta meno di Berlusconi al G8. Essere in pace con se stessi? Farsi una discreta cultura? Porre le basi per essere una persona, uomo, completa, in un futuro che diventa sempre più presente? Sì! Si cazzo! La/e risposta/e è/sono questa/e. Oltre alle sigarette, pur essendo il periodo asettico avrei studiato, avendo molti arretrati, non mi avrebbe di certo fatto male. Il mio obbiettivo però non era studiare nel senso specifico del termine (o meglio nell'unica maniera possibile, secondo molti almeno), ma fare di me una persona con una cultura, in modo da essere indipendente. Il sapere taglia ogni possibile vincolo di sopraffazione. Il sapere rende liberi. Libertà vera. Non avrei studiato solo e soltanto i libri scolastici ed i relativi capitoli assegnati, non solo questo almeno. Nel farsi una cultura, secondo il mio modesto parere, gioca un ruolo fondamentale lo studio da autodidatta, perché disimpegnato, svincolato dall'obbligo scolastico. Di conseguenza molto più efficace del classico studio. Film e libri sono cultura certo, ma anche storia, arte, politica è cultura. Avrei iniziato nuovamente ad informarmi, a guardare con rinnovato interesse telegiornali, canali monotematici; leggere quotidiani, settimanali, mensili, anche Topolino. Avrei letto tutto ciò che mi sarebbe passato davanti. La mia vita era così, solo quando mi rendevo conto di essere diventato un inutile pezzo di lerciume riuscivo ad avere gli stimoli giusti per rinascere.
Siamo qui in diretta dal prestigioso palazzo dei congressi, per annunciarvi la firma del trattato di pace che pone fine alla guerra civile all'interno del nostro Stato. Un' intesa è stata finalmente trovata. "Da oggi non ci sara più morte, la pace regnerà sovrana! Spero solo che questa sia la volta definitiva, in quanto Ministro degli Interni, mi auguro che il mio Stato non toccherà mai più simili condizioni di degrado e disordine. Decisamente inappropriate. Mai più! Grazie dell'attenzione. Buona notte a tutti."
"Queste le parole del ministro Altero Brunetto di Montalcino, Ministro degli interni dello Stato di Simon; dal palazzo dei congressi è tutto, la linea allo studio."
La mia quasi depressione svanì gradualmente, così com'era arrivata. La mia lunaticità mi dava ai nervi. Musica, cioccolata, erba, fumo, (pornografia), tutto ciò riusciva a rivoltare in meno di un minuto il mio stato d'animo, nonché atteggiamento; risultando magari, persino incoerente. Era uno dei miei peggiori difetti o presunti tali. Tralasciando le sostanze ricreative, la facilità del mio io di rialzarsi, così come di cadere nuovamente, mi spiazzava, sbalordiva e terrorizzava sempre più. Cazzone.
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Il giorno del mio compleanno si avvicinava a grandi falcate. Lo odiavo, odiavo maledettamente quel giorno. Quell'inutile, quanto falsa sfilza di auguri, sorrisi, ma anche soldi. Questi non falsi. Quando sorrisi e auguri erano accompagnati anche da colorati bigliettoni. Beh... ero ben contento di sorbirmi l'inter iter, in quel caso anche potenziato, ne valeva la pena. Mancavano pochi giorni, il 21 Febbraio stava arrivando. Che palle! Pensai. Poi riflettei un momento. Il giorno del tuo compleanno tutti ti vogliono bene, ti coccolano, O.K. ti rompono i coglioni con gli auguri però, una quantità di soldi non trascurabile ti aspetta. Una quantità di buon cibo ti aspetta. Perché non godere di tutto questo? Perché oltre ai soldi e all'affetto di poche persone, il resto lo odiavo. Il problema era che il resto, costituiva la fetta più grande, tra quelle che componevano la torta del mio diciannovesimo compleanno. Dunque, non potevo far altro che odiare il sostantivo compleanno, e ciò che esso simboleggiava. Gli aspetti a me sgraditi prevalevano. Capii di essere, non semplicemente pragmatico ma estremamente pragmatico. Quell'operatore del cazzo sapeva il fatto suo. Mi incuriosii. Quel'è quella brutta persona che odia il suo compleanno?! Io. Qualcun altro con me?
Il grande giorno era arrivato. In realtà in un primo momento non me ne ero neanche accorto, un secondo dopo essermi svegliato non ricordavo neanche il mio nome, figuriamoci la data di nascita. Ricevetti i primi auguri di giornata, non quelli di mio padre. Erano anni che non me li faceva. E credo che mi sarei anche offeso se me li avesse fatti, ormai ci avevo fatto l'abitudine a non riceverli, mi avrebbe solo turbato. Non dovetti sorbirmi nessuna scocciatura di nessun tipo quella mattina, ad esempio la fila per il cesso; il compleanno iniziava a piacermi. Era domenica, l'unica aspirazione per quella giornata era sopravviverle. Ricevetti gli auguri di Rose, quelli di Yvette, quelli dei compagni di classe, quelli di alcune vecchiette (che non so come facessero, ma erano a conoscenza della ricorrenza. Le domande della vita.) Vari regali in moneta, anche sta volta nessun regalo reale. Era davvero frustrante. In tutto questo il mio tentativo di convertirmi alla sana vita da non fumatore continuava, con risultati a dir poco incoraggianti. Col cazzo! Le sigarette giornaliere svampate erano ancora troppe. Ed erano passate già due settimane. Sarei arrivato a tre sigarette al giorno. Una la mattina, prima di entrare, una a ricreazione, Il Rito, una prima di dormire. Il fatto è che smettere di fumare a diciannove anni frequentando un Liceo, è quanto di più difficile ci possa essere sulla faccia della Terra. Iniziai a non prendere parte al Rito, o meglio scendendo ma non fumando. Passata la porta della palestra iniziava l'inferno. Mi trovavo davanti una marea umana di sigarette, davvero, tipo cinquanta persone che ti fumano in faccia. Voi direte, non scendere, è così facile. La verità era che io dicevo di non voler fumare, anzi di voler smettere, apertamente, ma era l'esatto contrario. Sostanzialmente mi prendevo per il culo da solo. Non fumavo la seconda sigaretta di giornata, ma scroccavo metà della sua a Bum Bum. Così non mi sentivo in colpa, geniale. La menta malata di un fumatore che dice di voler smettere ma che in realtà sa di non volerlo davvero, arriva anche a toccare vette di tale follia. Diventai un doppio giochista, fottevo me stesso. Il mio culo diventò quello di una puttana, per il numero di volte che mi fottei. Il mio tentativo si protrasse per una settimana ancora, poi fine. Mi giustificai con me stesso con la classica: "Smetterò quando vorrò. Ora semplicemente non voglio, tutto qui... è soltanto una mia scelta."
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Qualche giorno prima della mia resa, ricevetti l'unico regalo di compleanno di quell'anno. Fu Yvette a farmelo. Mi regalò uno splendidò libro, un thriller da togliere il fiato, di scuola danese. L'avrei letto in pochissimo tempo. Quel libro era avvincente, intrigante, misterioso; l'unica pecca fu il finale. Mi deluse. L'autore non mi rivelò l'assasino, non rivelare l'assasino in un thriller, è un assasinio. Un delitto dell'autore verso il lettore. Mesi dopo avrei ritrattato la mia analisi. Compresi la sua scelta. La trama di quel libro, probabilmente inferiore solo a quella de "Il ritratto di Dorian Gray", in questo modo viene elevata ancora più in alto. Probabilmente un finale classico l'avrebbe reso il thriller più venduto della storia, ma chi se ne fotte! Quel gran figlio di buona donna dell'autore in questo modo si è distinto dal resto degli scrittori di categoria, lui ha scelto. Ancora oggi odio e venero questo libro. Il motivo è molto semplice, mi lasciò con l'amaro in bocca, vero; ma mi dette l'illusione, leggendolo, di essere la persona più culuta sulla faccia della Terra. Lessi tutti i suoi libri successivi. Non potei fare altrimenti.
Erano circa le 4 P.M., quando Yvette arrivò a casa per consegnarmi il regalo. Ero solo. Ci sedemmo. Per allentare lo stato di imbarazzo, dettato dal lungo periodo di distanza, stappai due bottiglie di Guinnes da 33 cl. - Cos'hai? Le dissi, era visivamente provata. Anche un cieco l'avrebbe notato. Era a dir poco scossa, sovrappensiero. - Dimmi che non è colpa mia, altrimento mi sento una merda. - No... no, tu non c'entri. Davvero. Il fatto è che da settimane, un sogno mi perseguita, mi inquieta. Non riesco a dargli un senso. - Parlamene, sfogati... tranquilla.
La strinsi a me, pur essendone appena venuto a conoscenza, dunque non sapendo di cosa trattasse, capii che quel sogno la faceva star male. Molto male. Non potei far altro che confortarla, senza alcuna malizia. Mi venne naturale.
- O.K., sospirò.
Iniziò la narrazione...
• Sono all'interno di uno chalet in montagna, circondato da una fitta foresta di betulle. Esco dallo chalet, inizio a correre, mi immergo sempre più nella foresta. Sono piccola, molto piccola, e sono sia spaventata che determinata ad andare lontano. Vesto di pellicce, ho i capelli legati in una treccia ed indosso una collana dorata, con un ciondolo che ha come emblema un albero dai fiori bianchi e rossi, su sfondo blu. - La cosa che mi sconvolge è che ho davvero questa collana, e non ho mai saputo chi me l'abbia regalata. Sto correndo, vedo il bosco delinearsi in tutta la sua ampiezza. Sento freddo, sento il verso degli animali, il fruscio dei cespugli al passare della fauna. Sono stanca, ho il fiatone, un fastidioso suono continua a rimbombarmi in testa. Ad un tratto sento dei passi dietro di me. Passi umani, accompagnati da voci irrequiete e spari di fucile. Inizio ad arrampicarmi su di un albero, vado di ramo in ramo. Ho paura! Poggio il piede su un ramo, è acerbo, non me accorgo; cado. Incredibilmente ne esco incolume, nessun tipo di graffio, frattura o roba del genere, ma ho un mancamento d'aria nei polmoni. La paura aumenta sempre più, ma con questa anche la determinazione. Mi alzo, ricomincio a correre. Mi manca l'aria, sono stanca, inizio a zoppicare. Mi fermo più volte, mi nascondo. Lacrime di dolore mi rigano le guance, non emetto nessun suono, fatta eccezione che per l'affanato respiro. Esco dal bosco, mi ritrovo davanti a un ruscello. Mi nascondo vicino la riva del fiume, dietro un enorme masso. Mi fermo lì, aspetto qualcosa. Non sento nulla; mi sporgo da dietro le rocce, guardo nella direzione da cui ero arrivata. All'improvviso mi sento toccare, costui mi afferra da sotte le braccia. Instintivamente inizio a dimenarmi, pugni, calci. Mi giro. Mio padre, mia padre è colui che mi ha presa; ha un'espressione serena anche se tentennante, dietro di lui scorgo mia madre, la sua faccia è cupa. Mi prendono e mi portano con loro, nella direzione opposta da cui ero arrivata. Mio padre mi ha sulle spalle, mi volto. Vedo delle ombre tra gli alberi che si muovono.
Mi sveglio.
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- Cristo! Esclamai. - Ho paura Simon! Che significa? - Non lo so... non lo so davvero. - Tutte le notti da mesi ormai, faccio sempre questo fottuto sogno. - Sto impazzendo! Disse ancora. - Vieni qui, la strinsi nuovamente a me. Le toccai il seno, era davvero nervosa. Pian piano i nervi le si allentarono. Ci sedemmo sul divano, lei era stesa su di me. Le sbottonai il bottone dei pantaloni. Le accarezzai le cosce per una decina di secondi, pian piano mi avvicinai alla zona puberale. Infilai la mano nella sua fica, molto dolcemente. Desideravo farle dimenticare la paura legata a quel maledetto sogno. Mi venne in mente solo quel modo. Iniziò a godere, io con lei. Ci rilassammo, soprattutto Yvette, era ciò che volevo. Mi fermò, si divincolò dal mio abbraccio e si girò. Si tolse la maglietta, ebbi nuovamente di fronte a me quel corpo, nudo. Si avvicinò, mi baciò. Le slacciai il reggiseno. Mi tolse la maglietta, poi i pantaloni; feci lo stesso. Si mise in piedi sul divano, aveva ancora gli slip. Mi inginocchiai, posai entrambe le mani sulle sue mutandine. Molto lentamente le feci scendere fino a farle toccare i piedi. Avvicinai la mia bocca al suo ombelico, lo baciai. Avevo la faccia immersa nel suo ventre, scesi più in basso. Le mie labbra toccarono le sue labbra, iniziai a lambirle la fica con la lingua. La sentii sibilare, mi toccò i capelli. Si lasciò andare, si ritrovò distesa, io su di lei; nonostante non fosse stato dei più calmi, mi accorsi solo minimamente del cambio di angolazione...
Risalii nuovamente, le baciai i seni. Le morsi i capezzoli, virai sul collo. In quel momento il mio usignolo entrò, iniziò a cantare. Cantò a squarciagola finò a che ebbe voce. Cantò a lungo. Non stonò mai. Le corde vocali iniziarono ad abbandonarlo. Se ne accorse. Uscì. Aveva avuto il suo quarto d'ora di celebrità. Contento tornò al nido.
- Come stai? Mi baciò. - Bene. Sto benissimo. - Mio padre tornerà a momenti, rivestiti. - Tu resti nudo? AHAHAH! - Lo scandalizzerei troppo! Meglio di no. Muoviti! Cazzo! Rivestiti! - Fatto. - Ti voglio bene lo sai. Tanto! - Menti... altrimenti non mi avresti ignorata per due mesi! - Lo sai che te ne voglio, è vero ti ho ignorata, non lo nego... anche perché sarebbe stupido, ma è stato un momento molto strano della mia vita. - Strano? - Io stesso non c'ho capito molto. Te lo giuro! Mi abbracciò, forte. - Cazzone di merda! Sorrisi. Nel suo modo estremamente deviato di intendere il mondo, mi aveva appena detto te ne voglio anch'io.
Mi baciò un'ultima volta e poi uscì. Fu il più bel compleanno in differita della mia vita.
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Era una domenica, ero solo. Ero senza sigarette. Ero senza tabacco. La disperazione cresceva sempre più, vera disperazione. Tentai di placarla con una Guinnes, niente da fare. Spremetti le meningi, dovevo fumare. Da anni raccoglievo, non per collezione ma per sciatteria, tutti i pacchetti di sigarette che finivo in casa, all'interno di tubi cilindrici, celebri contenitori di una nota marca di patatine belga. Avete mai fatto caso, prima di gettare un pacchetto, a quei minuscoli filamenti di tabacco che sempre si raccolgono sul fondo dello stesso. Ecco, svuotai tutti i pacchetti, all'interno dei vari tubi. Credo saranno stati una quindicina. Ne ricavai circa mezzo grammo di tabacco. Praticamente fumai la cartina, ma la mia voglia venne comunque soddisfatta. Ciò mi permise di poter iniziare a studiare. Il periodo asettico stava terminando, di conseguenza sarei stato costretto a convertire lo studio da autodidatta in studio classico. Il primo passo verso la conversione lo compii quella mattina. Fu straziante.
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Yvette era tornata a far parte della mia vita. Io ero tornato a far parte della mia vita. La vita stessa era tornata a far parte della mia vita.
Marzo arrivò, con esso compiti e interrogazioni. Errare è umano, perseverare è da idioti. A questo giro non compii l'errore che puntualmente facevo, ossia rimandare tutte le interrogazioni all'ultima settimana. Le spalmai, nel corso del mese a noi concesso. Andarono tutte discretamente bene, e non mi stancai neanche più di tanto. Marzo finì, con esso anche il periodo dello studio.
L'anno che vi sto raccontando (il 2016), probabilmente sarà quello che riempirà il maggior numero di pagine dei futuri libri di storia, sfortunatamente queste saranno marcate dal sangue. Sangue innocente. Nulla di cui il genere umano possa andar fiero accadde quell'anno. O meglio tutto ciò che di bello vi fu, venne offuscato dalle reiterate dimostrazioni di inumanità del genere umano. Inunaminità che vide una sua palese ed esplicita concretizzazione negli innumerevoli attacchi terroristici, di matrice islamica, che si susseguirono nell'arco di quei dodici mesi. Parigi, Bruxelles, Nizza, Londra, Monaco di Baviera, tanto per citarne alcune, furono le città vittime di questa inumana barbaria e crudeltà. L'aria che si respirava (non nel mio piccolo paese ovviamente) in Europa era estremamente pesante, la paura imperseverava. Vero terrore. Tante furono le vittime innocenti, i legami distrutti, i momenti interrotti, le lacrime versate. Di un numero se possibile ancor maggiore, le bestemmie e le imprecazioni che indirizzai al giorno in cui nacque la religione, causa ovviamente non unica (a morte il Dio Denaro) di tutto questo. O meglio, verso il giorno in cui questa sfociò nel fanatismo. La religione in sé, pur riconoscendomi come non il maggiore tra i credenti, non la ritengo sbagliata. Il messaggio di Gesù Cristo è pienamente condivisibile, Cristo è stato un rivoluzionario. Citando Nietzsche un Superuomo, egli ha proposto una tavola di valori controcorrente, ed è giunto al punto di mettere a repentaglio la sua stessa vita per affermarli. Peccato però che l'originale messaggio sia stato nel corso dei secoli, "interpretato", filtrato, storpiato, ma soprattutto disatteso. La Chiesa attuale, nulla da invidiare ai fasti dei secoli precedenti, è quanto di più lontano, con delle eccezzioni ovviamente, ci possa essere da Cristo, e da ciò che lui predicava. Stesso identico discorso vale per l'Islam. Molte furono le prese di distanza delle varie comunità islamiche rispetto ai vari attacchi. L'Islam non è attentati o stragi di innocenti, ma fede. Ciò che fede gli attentati non sono. Cosiccome le crociate non furono espressione di fede Cristiana, ma semplice avarizia di potere e denaro. Qualunque sia la religione, la paraculata è sempre questa. Giambattista Vico aveva capito tutto della vita.
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Il pericolo ISIS causò l'annullamento della gita all'estero. Il Preside ci impose la Sardegna.
Dopo qualche giorno arrivò il programma. Dire che, come classe, rimanemmo sconsolati è dire poco. Quello che ci presentarono, era il programma più frammentato e meno programmatico che avessi mai visto. In quel momento capimmo che sarebbe stata un'avventura. Piacevole o spiacevole? Decisamente spiacevole! Avremmo fatto un giro estremamete contorto. Totale 20 ore di viaggio. Un vero supplizio.
• Sei ore per raggiungere Civitavecchia.
• Un'ora per imbarcarci.
• Un'ora per prendere posto sul traghetto, cenare, cacare, pisciare.
• Otto ore per raggiungere Olbia.
• Quattro ore finali per giungere finalmente a Quartu Sant'Elena.
Arrivammo in Hotel stremati, verso le 3 P.M. Finalmente pranzammo. Il pasto ci fu servito da un cameriere omosessuale che esordì dicendo... - Ragazzi... sapete... oggi sono un po' giù, sono un po' rinco, ma cercherò ugualmente di soddisfarvi. Il cibo era buono, non eccezionale, ma buono. Era però il cameriere a valere il prezzo del biglietto. Che show quell'uomo! Ci provò in maniera spudorata con molti dei ragazzi seduti ai vari tavoli. Peccato per lui... andò in bianco, mi dispiacque. Una volta terminato il pranzo tutti tornammo nelle nostre camere. La mia era una tripla, Ia condividevo con Bum Bum e lo scemo del villaggio. Quest'ultimo si confermò come tale, iniziò infatti a chiamare tutte le camere dell'albergo. Beccò quella del Preside, solo lui poteva riuscirci. Che dire... un essere superiore. Dormimmo per un'oretta. Ci svegliammo, dopo poco i professori ci dissero che avremmo battezzato la gita visitando una fiera. WOW! Chi ben comincia è a metà dell'opera, pensai. Ci dissero che come Fiera aveva vissuto periodi migliori, ed ora stava vivendo una fase di decadimento. In realtà molto semplicemente faceva cagare. Il momento più alto fu una gara a tre (Io, il selfomane e Bum Bum), senza esclusione di colpi, su dei mini quod per bambini. Gli schianti sui guard reil gonfiabili si sprecarono. La gara fu breve, ma intensa; e non è per dire. I nostri spettatori la vissero in modo simile a come Guido Meda vive un Gran Premio di MotoGp avente Valentino Rossi in testa. Il proprietario dopo pochi minuti ci cacciò, troppa l'ignoranza in pista, il successivo cocktail post gara che gustammo in un delizioso chioschetto cubano completò quell'unico momento accettabile. Stonava come una merda su una Lamborghini, rispetto al resto del pomeriggio.
"La Fiera ha fatto schifo, ma almeno stasera usciremo" pensammo tutti sull'autobus, tornando in albergo. Neanche col cazzo! Il Preside ci impedì di uscire, affermando che non c'erano le condizioni. Non poteva esserci dialogo con quel pastore cerebroleso, di conseguenza io insieme agli altri sciagurati incappati in quella sfigata gita, ci appostammo dinanzi la sua camera. Facemmo casino, tanto casino. Mancava solo il falò. Canti, balli, cori, ingiurie, bestimmie, tentativi di mal'occhio si susseguirono per circa un'ora. Peccato che scoccate le dieci e mezza, uno dei camerieri ci pregò di piantarla. La nostra piccola rivoluzione finì lì. Ci ritirammo di buon'ordine. Passammo il resto della nottata ad alcolizzarci, per classi separate. Fu comunque una palla, nessuna scopata, in generale, zero erba, zero fumo. Solo un po' di vino e qualche bottiglia di Vodka. In realtà ve ne era anche una di Gin, soltanto che in seguto all'essermi preso una sbronza di proporzioni bibliche a base soltanto dello stesso, pochi mesi prima, non riuscivo davvero più a berlo. Solo sentirne l'odore mi dava la nausea. La notte passò così. Il primo dei tre giorni era terminato.
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Il secondo dì andammo Cagliari. Prima tappa fu un parco, molto intrigante, anche se privo di ogni forma di vita umana, erano le dieci del mattino, ma non c'era nessuno, fatta eccezione del nostro gruppo. Se fossimo andati a fare una passeggiata nel Deserto del Gobi probabilmente avremmo visto più gente. Vi erano degli alberi enormi, secolari come minimo. Successivamente andammo a visitare un museo. In quel caso probabilmente ci venne presentato l'esempio più emblematico della meticolosità con cui quella gita era stata organizzata. Di lunedì il Museo era chiuso. Era lunedì. Riuscimmo comunque ad entrare grazie alla conoscenze della guida. La noia più totale. La rassegnazione si tagliava col coltello. Le trecentoventi Euro peggio spese della mia vita. Non che odiassi i musei, tutt'altro, ma diciamo che quello non era il genere di Museo che mi attraeva. Civiltà contadina o roba del genere. Tornammo in albergo. Pranzammo. Dormimmo. Ci alzammo. Quel pomeriggio saremmo tornati a Cagliari, per fare shopping questa volta. Probabilmente non mi crederete, ma credo che quello sia stato insieme alla spericolata gara di quod ed alla fantastica spiaggia che vedemmo l'ultimo giorno, l'unico ricordo felice di quella gita. Definita da tutti i professori in maniera unanime come una merda astronomica, senza ombra di dubbio la peggiore dal 1861. Una volta finito lo shopping, io Bum Bum e un altro mio amico, il più stiloso del gruppo, forse, andammo a prenderci un fresco Aperol Spritz. Ci voleva. Tra un sorso e l'altro non potemmo fare a meno di apprezzare le bellezze femminili che ci sfilavano davanti. Le ragazze di Cagliari non erano niente male.
Ci chiamarono, eravamo in ritardo. Bevemmo a fondo il resto del cocktail e andammo al porto, dov'era il nostro autobus. Alcune ragazze si erano perse, qualcosa mi disse che non saremmo usciti neanche quella sera. Le trovarono, ma il mio presentimento divenne realtà. Il copione della serata non cambiò. Quella nottata però fu più frizzante rispetto a quella precedente, avevamo più alcol. A furia di giochini alcolici ci ubriacammo, il vino fece molte vittime. La seconda notte terminò.
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Il terzo ed ultimo giorno fu qualcosa di difficilmente descrivibile. "Non c'è mai limite al peggio", questo lo slogan da me coniato, e diffusosi a macchia di leopardo nella comitiva, per descrivere la sensazione di disagio estremo che stavamo vivendo. Una tragedia greca. L'ultima città da visitare nel programma era Oristano, ora con tutto il rispetto per gli Oristanesi, ma cosa c'è da vedere ad Oristano? Arrivato a casa mi informai. C'era molto da vedere, ma comunque in quel momento ciò che pensai fu...
• "Anche se può sembrare impossibile anche Oristano deve avere qualcosa di bello (Eccome se ne aveva!), ne sono certo. Qualunque città ha qualcosa da mostrare!"
Qualunque cosa avesse Oristano, quella sottospecie di cighiale tricheco della guida che ci assegnarono non ce la fece vedere; la nostra visita guidata infatti consistette in una lunga quanto snervante passeggiata in un monotono e deprimente quartiere residenziale. Sono sempre andato matto per l'architettura neo-moderna delle case popolari, ma quel giorno alla vista di tale perfezione non riuscii a trattenermi e per la libidine mi sborrai nei boxer. Quella gita doveva far schifo per forza. Credevo di essere a Scherzi a Parte, fra un po' uscirà uno col cartello e ci torneranno i soldi, pensai. Purtroppo il nostro fantomatico salvatore non si presentò mai. Fu al momento del pranzo però, che raggiungemmo il punto più alto in assoluto. Arrivammo su una spiaggia. Avevamo fame, molta fame. Tutta la comitiva stava morendo. Ci saranno stati circa una decina di ristoranti in quei quattro, cinque chilometri di spiaggia, noi andammo nel più squallido. Scoprimmo poi che quello era l'unico squallido. Ce ne rendemmo conto troppo tardi. Entrammo. Probabilmente quello schifo ebbe come causa scatenante il fatto che fossimo comunque una cinquantina di persone, dunque forse le proprietarie non erano pronte ad ospitare una mole simile di clienti, ma comunque quello a cui assistemmo fu davvero ribrezzante. La pasta era scotta, le cozze ancora surgelate, le patatine crude. Iniziammo a ridere per la disperazione. Neanche il mangiare. Nulla avremmo avuto. Finì il pane, ne chiesi dell'altro alla cameriera, questa tornò dopo cinque minuti. Non volevo credere ai miei occhi, iniziammo nuovamente a ridere, ma in maniera convulsa questa volta.
- Ma questa ci prende per il culo?!
Aveva avuto il coraggio di tornare, e servire uno e dico UN PANINO per un tavolo intero. Lì fu il delirio più totale; alla vista di quell'unico insignificante, solo ed indifeso panino vi fu una generale crisi isterica, grosse risate iniziarono a riecheggiare nel locale. Cercai di prenderla con filosofia. Eravamo in tredici al tavolo, lo presi e lo spezzai, questi sono i nostri soldi che vanno in fumo, dissi. Tutti godemmo di quel croccante pane congelato, una mollica a testa. Fantastico.
Arrivò il momento della carne. La scena a cui assistetti mi fece accapponare la pelle. La cuoca, una vecchia pazza, sosia tra l'altro della giapponese assassina presente in Johnny English, stava aromatizzando la carne, con un pennello da pittura, non scherzo. La stava insaporendo con uno di quei pennelloni enormi, sporco tra l'altro. A quel punto un ragazzo, figlio di proprietari di ristoranti, si alzò schifato. La sua protesta fu veemente, giustamente. Si sfiorò la rissa, alla fine delle quindici euro pattuite pagammo solo un terzo. Pranzammo in secondo ristorante. Questo ottimo, sotto tutti i punti di vista. Non c'era nulla da fare, la sfortuna ci aveva preso di mira.
Ci incamminammo lungo la spiaggia. Ad un tratto ci fermammo, di botto. Tutti. Fummo folgorati da una splendida visione. Une delle spiaggie più belle che avessi mai visto mi si presentò davanti. La sabbia era lucente, ambrata, formata da una miriade di granellini ognuna di una tonalità diversa. Il tutto era incorniciato da splendidi e imponenti speroni rocciosi che la delimitavano. L'acqua era limpida, tersa, di un blu avvolgente, ed il mare leggermente mosso. Non dico che da sola quella spiaggia sia valsa le trecentoventi euro che bruciai con la fiamma ossidrica nel momento in cui decisi di iscrivermi, ma cazzo quello era davvero un paradiso per gli occhi e la mente.
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Riparimmo alla volta di Olbia. Quella INSULSA, schifosa, sfortunata, unica, e fantastica gita stava per terminare. Pur essendo stata la quinta essenza dell'indecenza, nonché del ribrezzo, l'avevo passata insieme ai compagni di cinque anni di avventure, lotte, studio, cazzate, sbronze, e anche se fosse stata la peggiore della storia... ah no lo fu! Giusto! Comunque, pur essendo stata la peggiore della storia, l'avevo vissuta con i miei amici, veri amici. Di conseguenza non poteva che essere indimenticabile. Lo fu.
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Ci imbarcammo. Mi piaceva molto viaggiare sul mare, era rilassante. Quel dolce, perenne fluttuare mi riportava ai sani periodi di bimbo in fasce, intento a dondolarmi in culla a destra e a sinistra, strafottendomene altamente di ciò che accadeva nel resto del mondo. Il realtà non ho ricordi nitidi di quei momenti ma credo che i miei pensieri, nonché aspirazioni, a due anni, fossero a grandi linee questi.
Dopo aver cenato mi feci un giro sulla nave, era pressocchè identica a quella dell'andata, pur non essendo la stessa. Entrai nella sala giochi. In quello stesso istante mi trovai immerso anima e corpo negli anni '90, d'altro canto tutte le macchinette presenti lì erano state prodotte in quella decade o giù di lì. Mi appollaiai sul sedile di una di quelle macchina di F1, supergettonate a quei tempi. Inserii il cambio manuale, era più figo, scelsi la macchina, la gara iniziò. Persi. Ne feci un'altra, arrivai secondo. "Ora vinco, cazzo!". Inserii un terzo gettone, in quel momento arrivarono delle ragazze, dall'accento capii che erano romane. Una di queste venne a sedersi affianco a me. Facemmo una partita, vinsi. Era leggermente strabica, molto "grezza". Ci parlai una decina minuti. Non era decisamente il mio tipo.
Chiamai Yvette... - Sì?! - Yvette sono io, Simon. - Lo so. Sai... esce il nome di chi ti chiama... Ti sei ricordato finalmente! - Cosa? - Che esisto. - Sì... Cristo! Che fai? Mi annoio a morte qui! - Sono in ansia... - Perché? Ti hanno messa in cinta forse? - No, coglione! Domani ho la mia prima visita ginecologica. - Perché cos'hai? - Mi è esplosa la vagina! - Rimane il culo. - Idiota... No... in pratica avevo fame. MOLTA FAME e non ricordavo più come si masticasse. Così mi sono ingoiata un cheeseburger intero, e visto che è troppo grande per smaltirlo così com'è devono monitorarlo per vedere il suo percorso. Nel senso, come un'austronauta che vaga nello spazio, capisci? - Come hai detto che si chiama il tuo spacciatore? - E' solo una visita di routine, le donne devono andarci spesso dai sedici anni in poi, anche quando non sono incinte, non hanno tumori, o cheeseburger in tute spaziali. - Non sei incinta vero? - No! Tranquillo. - Ah! Pensavo... vabbè ti lascio. Vado a fumarmi una sigaretta sul ponte. Bonne nuit. - Buona fumata, notte. Salii sul ponte. Mi soffermai per una decina di minuti ad osservare il turbolento infrangersi delle onde sulla carena della nave. Quella notte il mare era tutt'altro che calmo. Fumai la mia bella sigaretta in solitudine. Mi rilassava molto fumare solo. Inoltre non avevo mai fumato su di una nave, di quelle dimensioni perlomeno. Un'ennesima prima volta che sfuma, pensai, tremendamente affranto. Guardai l'orologio, mancava un solo minuto alla mezzanotte. Aspirai l'ultimo tiro, per poi abbandonare il mozzicone al suo destino. Il ventinove Aprile era nato. Yvette il trenta dello stesso mese avrebbe compiuto gli anni. Ero sicuro del fatto che per recuperare tutto il sonno arretrato, accumulato durante quei tre giorni, avrei sfruttato l'intera, appena nata, giornata. Di conseguenza non avrei avuto tempo per comprarle un regalo degno di questo nome. Non dovetti spremermi le meningi a lungo, per capire che quella notte costituiva l'ultimo lasso di tempo utile, per non presentarmi a mani vuote il giorno del suo compleanno. Non lontano dal bar, dentro la nave, vicino la porta per accedere al ponte, avevo adocchiato un piccolo negozio di souvenir. Lì avrei trovato qualcosa, non che andasse matta per i souvenir, ma comunque.
Entrai nel negozio, fortunatamente oltre agli oggettini, vendevano anche dei libri. Ne acquistai uno, a scatola chiusa tra l'altro. (Le piacque moltissimo). Uscendo trovai un tizio che vendeva sigarette di contrabbando. Comprai un pacco di Marlboro rosse. Ne fumai una, poi salii alle "sala poltrone" e andai a dormire.
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La gita era finita, il mio periodo di studio – vacanza era finito. Da quel momento dovetti mettermi a studiare, mancavano poco più di due mesi all'inizio dell'esame. La tensione in classe saliva sempre più, così come il numero di crisi isteriche giornaliere. Le prime delle mie ultime interrogazioni al Liceo furono quelle della Prof, Storia e Filosofia. Andarono bene entrambe. Furono le uniche in cui riuscii ad esaltarmi, nelle altre infatti non riuscii mai a sganciarmi dal sei e mezzo. Anzi no, feci anche anche di peggio. Ad esempio in scienze, in cui riuscii a rimediare soltanto uno stentato sei, tra l'altro dopo quattro ore di interrogazione spalmate in due giorni, in coppia con Bum Bum ovviamente. Di conseguenza i sei alla fine dell'anno fioccarono, così come fioccano i cazzi in una ninfomane. La mia ultima pagella da studente liceale fu questa:
• Italiano, 6.
• Storia, 7.
• Filosofia, Ahimè. 6.
• Inglese, 6.
• Matematica, 6.
• Fisica, 6.
• Scienze, 6.
• Arte, 8
• Ed. Fisica, 10
Una vera merda. Non potevo davvero regalarmi una pagella più schifosa, il mio 6,82 di media rispecchiava in maniera perfetta la mia personale parabola discendente, perlomeno a livello scolastico. Mi immersi anima e corpo nello studio. Ripresi tutti i programmi, ripassai (ed in alcuni casi studiai) tutto. Per prendere un buon voto dovevo necessariamente fare un esame onorevole; altrimenti il temuto sessantuno sarebbe stato lì ad attendermi, fremente. Sostanzialmente dal compleanno di Yvette in poi, studiai quasi tutti i giorni, era per me una sfida personale, più che una questione di voto. Non volevo prendere sessanta, avrei dato a mio padre una soddisfazione troppo grande; che non sarei riuscito a sopportare. Iniziai da italiano.
Alla metà di Giugno avevo delineato il mio percorso. Centrale sarebbe stato il tema della perfezione, e la sua indisponenza nell'essere raggiunta dall'essere umano, nonché impossibilità. Gli argomenti nello specifico erano:
• Italiano, Gabriele D'Annunzio, Il Piacere.
• Inglese, Oscar Wilde, Il Ritratto di Dorian Gray.
• Fisica, circuiti elettrici. Così a cazzo; ero una sega in fisica!
• Storia, il Nazismo, la "presunta perfezione della razza ariana".
• Filosofia, Nietzsche, il Superuomo.
• Arte, Leonardo, La Gioconda.
• Latino, Tacito, Germania. Nello specifico il capitolo 4.
• Scienze, i minerali, il diamante.
Non abbiate paura della perfezione, non la raggiungerete mai!
Questo l'incipit.
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Senza che me ne rendessi conto la scuola era finita, non per i maturandi ovviamente; ma compresi che da quel giorno non avrei più vissuto un giorno da liceale come fatto nei cinque anni precedenti. Quando ne presi coscienza fu per me uno shock. Dovevo riprendermi. Le giornate di limbo tra la fine dell'anno scolastico e l'inizio dell'esame sono al tempo stesso, no anzi nessuna frase del tipo "sono stupende e orribili", fanno schifo e basta! Vengono scandite da un eterno fluire di sensi di colpa. Se esci, ti senti in colpa e non riesci nemmeno a goderti una cazzo di birra perché dovresti essere a casa a studiare. Se decidi di farti una pennichella non riesci a dormire... Come cazzo si chiama la seconda raccolta di Pascoli?! Cristo devo studiare. Se decidi di studiare dopo dieci minuti l'afa ti obbligherà a smettere e ti sentirai in colpa. E' un circolo vizioso da cui non riesci ad evadere. I primi giorni di ripasso mi impegnai molto, non uscivo quasi mai, se non per fumarmi una sigaretta.
Iniziarono gli Europei di calcio, una nuova matrice di sensi di colpa era nata. La nostra prima partita fu contro il temuto Belgio, la guardai a casa, dovevo studiare. Ovviamente non studiai un ben'emerito cazzo, la Nazionale stava giocando in maniera entusiasmante ed io mi entusiasmai con lei. Il cuore italiano stava avendo la meglio sulla tecnica belga. E quando al '90 il siluro terra-aria di Pellè mise in ghiaccio la partita esplosi in un'apoteosi di gioia. Fu fantastico. Quella vittoria mi diede l'adrenalina necessaria che mi serviva per studiare. Andai a dormire alle 4 del mattino. Dopo cinque ore di studio filate.
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Scoprii che oltre alle giornate scolastiche ed a quelle estive, vi erano anche quelle pre maturità. Mi svegliavo verso le nove del mattino. Morto di sonno, ma questo al mio corpo non interessava, ciò che infatti monopolizzava gli interessi del mio cervello e di tutto l'apparato corporeo, in quel periodo, a quanto pareva, era lo studio. Pur avendo ancora bisogno di dormire, mi alzavo. Disperato. Bevevo una tazza di latte, due di caffè e un bicchierino di Rum, quest'ultimo per svegliarmi sul serio. Una volta terminato l'iter completo, composto da una buona mezz'oretta di musica, tre sigarette, una sega, due serie di piegamenti ed una doccia, potevo finalmente iniziare. Per completare l'iter per intero impiegavo in media un'oretta abbondante, dunque iniziavo a studiare verso le 10.30 A.M. Mi fermavo solo alle due del pomeriggio, per mangiare; poi ripartivo, studiando fino alle sette, a volte anche le otto. Questo tipo di giornate si susseguirono per circa due settimane, con alcune eccezioni ovviamente; queste dèfaillance furono dettate da frasi del tipo... "Vaffanculo io non studio più! Pascoli, D'Annunzio, Pasteur, Freud, Hegel, Nietzsche, Leopardi succhiatemi il cazzo! Sparatevi una sega invece di rompermi i coglioni la prossima volta! Io vado a sbronzarmi alla faccia vostra! Addio Inutili libri! Au revoir". Lo sfogo era seguito da una sbronza colossale, e da un successivo pentimento simile a quello adoperato dei monaci masochisti nel '300, al quale seguiva un'autosegregazione lunga dai due ai tre giorni. In base al grado di pentimento. Tutto ciò si ripeteva a cicli regolari.
Studio. Studio. Rottura di palle. Sfogo. Sbronza. Pentimento. Autosegregazione. Studio.
Con buona pace dello studio tranquillo e frazionato.
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Le giornate pre maturità videro finalmente la loro dipartita. Lasciarono spazio alla notte prima degli esami. La notte magica. La notte in cui tutti parlano di te, in quanto maturando; tutti ti dedicano canzoni, o meglio "Notte prima degli esami", tutti ti fanno gli auguri, alcuni vengono addirittura sotto a casa a prenderti per il culo (i veri amici). In poche parole, la notte in cui nessuno vorrebbe essere al tuo posto. Compreso ed escluso te. In fin dei conti l'esame è una sfida. Una sfida con se stessi, le proprie conoscenze, le proprie abilità, il proprio fegato, nonché sangue freddo, qualcosa di stimolante dunque, ma è l'esame! E' qualcosa di fatidico, qualcosa che non dimenticherai mai. Nel bene e nel male. E' uno di quei momenti nella vita in cui non puoi far cilecca, altrimenti rischi di rimanerci. L'avvento di quella notte provocò in me una scarica di adrenalina pura, ero molto eccitato. Forse anche felice; in quanto cosciente che quindici giorni dopo sarei stato libero! Libero davvero cazzo!
A causa probabilmente dell'eccessiva sovreccitazione non riuscivo a prender sonno. - Fanculo! Mi alzai e andai a fumare una sigaretta. Mi ristesi sul letto. Niente. Avevo bisogno di qualcosa che mi piacesse. Che mi piacesse alla follia. Guns N' Roses, Live at Ritz '88. Ecco cosa ci voleva! Libidine. Tra una canzone e l'altra mi sentivo con i miei compagni, erano tutti molto tesi, ma sostanzialmente la stavano vivendo come me, e cioè... "Senza pinzier". Stare tesi non aiuta, eccitarsi sì. Il concerto dura un'ora, è secondo me la miglior live performance della storia dei Guns. Me lo godei, in tutte le sue tracce, senza rimessione di peccato. Dai grandi classici, ai pezzi meno conosciuti, fino ad arrivare a cover di lusso, vi era tutto in quel concerto. Proprio con una cover, della splendida Knocking on Heaven's door di Bob Dylan il live terminò. La mia Notte prima degli esami con essa.
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