Capitolo III
3.
Presi posto accanto ad una ragazza intenta ad annusarsi i capelli e ad un ragazzo con gli occhiali da vista che passava tutto il suo tempo a giocare con un app per catturare pokémon virtuali.
Sembrava stregato da quella stupida applicazione per smartphone. A quanto pare andava parecchio di moda.
Era passato poco tempo, ma sentivo di non essermi ancora ambientata.
Sembrava quasi non avessi mai terminato gli studi al liceo e il college mi sembrava uno di quegli altri sogni che tanto mi assillavano.
Avevo iniziato ad ascoltare la lezione con interesse assopita dalle parole dell'insegnante, soprattutto quando questa nominò Shakespeare.
Mi erano sempre piaciuti intensamente i temi delle sue opere, dedicati ad una sincera verità e mistero allo stesso tempo.
Per non parlare di quell'amore che al tempo stesso metteva in contrasto la morte come accadeva proprio in Romeo e Giulietta. Mi aveva sempre affascinato tantissimo, nonostante si trattasse di una delle opere più malinconiche di tutta la letteratura Inglese.
Ma come ciò che mi diceva Rose: forse ero semplicemente una masochista nell'animo, e forse non aveva poi tutti i torti.
Dopo un po' aprii la borsa poggiata sul banco e tirai fuori una penna ed un block-notes per prendere appunti. Ero in procinto di scrivere su un blocco nuovo di zecca quando scorsi qualcosa sulla prima pagina.
"Stai lontana dalla Ecro" appariva al centro di una pagina poi totalmente vuota.
«E questo che significa?» sussurrai mentre con l'indice accarezzavo quella calligrafia elegante.
«Ecro? La Ecro corporation? Non si tratterà mica della stessa compagnia del nonno?» pensai.
«Impossibile.» mi sfuggì a bassa voce.
Mi sistemai più dritta sulla sedia, evitando altri rumori.
Dovevo trovare una spiegazione a ciò che avessi davanti.
Non avevo mai sfogliato quel block notes, ma di certo non era mai stato utilizzato da nessuno.
Era sempre rimasto in borsa e mi sembrava impossibile ci avessi scritto in uno di quegli stati di sonnambulismo. Tra l'altro quella non era neppure la mia grafia, di solito non molto ordinata.
Quei pensieri mi martellavano la testa quando la porta dell'aula si aprì interrompendo nuovamente la docente, che sussultò spaventata.
Un ragazzo dai capelli corvini si fece spazio attraverso l'aula e infine si accomodò ad uno dei posti liberi, nel più assoluto silenzio.
La professoressa grassottella divenne rossa dalla rabbia, così come il colore delle sue emozioni.
Ad una certa ora non era più permesso interrompere le lezioni, e nessun altro ritardo veniva tollerato.
«Chi ti credi di essere, giovanotto?!» urlò al nuovo ragazzo.
«Chiunque lei voglia che sia, se mi permette.» Lo intravidi sogghignare. Aveva preso posto nella fascia di posti proprio sotto la mia.
«Stai scherzando?!»
Per poco non scoppiai a ridere insieme al resto degli studenti.
Aveva una bella faccia tosta a rispondere così ad un professore.
Ma quando crollò il silenzio quest'ultimo fece le sue scuse alla docente, e tutto tornò al suo posto. Incredibilmente era riuscito a placare una professoressa sull'orlo di una crisi di nervi.
Notai le sue spalle, erano molto larghe. Da dietro sembrava proprio un tipo interessante... Ma con la mente ritornai subito al block-notes.
Com'era possibile che qualcuno ci avesse scritto senza che me ne fossi resa conto?
Sembrava assurdo anche solo pensare che uno sconosciuto lo avesse tenuto in mano.
Non ero sicura che quel messaggio si riferisse proprio alla Ecro Corporation che conoscevo.
Magari esisteva anche qualcos'altro con quello stesso nome, anzi doveva essere per forza così.
Sospirai disperatamente e iniziai a massaggiarmi le palpebre per un improvviso mal di testa.
Non vi erano spiegazioni sensate.
Alzai lo sguardo per guardarmi attorno.
Alla mia destra la ragazza che si annusava i capelli aveva addosso la vergogna, vedevo un po' di viola vorticarle attorno.
Non so dire per cosa, ma di sicuro non emanava cattivi odori.
Alla mia sinistra, invece, il ragazzo con gli occhiali aveva addosso una vivida curiosità, una tonalità di giallo canarino.
Di solito, era difficile non notare quello che le persone a me vicine provavano in un determinato momento. Quando nessuno aveva un sentimento prevalente che risultasse ai miei occhi, per lo più riuscivo a percepire la sua stabilità emotiva senza vederne il colore, che di solito chiamavo aura.
Non appena spostai lo sguardo verso il nuovo ragazzo, persi decisamente un battito.
Mi pietrificai.
Su di lui non percepivo nulla che assomigliasse ad una piccola emozione, figurarsi la sua aura.
La cosa non sarebbe stata così scioccante se solo si fosse trovato un po' più lontano, ma era così vicino che il contrario sarebbe stato impossibile.
Spalancai gli occhi. Non riuscivo a smettere di fissare la sua schiena.
Che caspita succedeva? Era la giornata più strana di tutta la mia inspiegabile vita.
Prima il libro con le sue informazioni deliranti, poi Sophie che sembrava aver levitato davanti ai miei occhi e infine il misterioso fatto che non riuscissi a vedere l'aura di quel ragazzo.
Mi spettinai i capelli con fare nervoso.
Forse si sentì osservato, forse fu solo per caso, ma sta di fatto che subito dopo ritrovai quel tipo ad osservare nella mia direzione.
Rimasi a bocca aperta.
Gli occhi color ghiaccio e il viso fin troppo perfetto sembravano renderlo un principe delle tenebre, o uno di quei ragazzi da sogno che vedevi solamente su instagram e immaginavi nei sogni.
Doveva aver notato la mia espressione da ebete, poiché mi sorrise arricciando le labbra.
«Allora... che c'è?» mi bisbigliò.
Inoltre mi sentii scrutata fin dentro le ossa. Il suo sguardo era penetrante.
«Nulla, perché?»
«Flame?» disse mentre le labbra piene gli si allargarono in un sorriso malizioso.
«C-come? Come fai a conoscere il mio nome?» Mi accigliai.
«Lì.» Con un dito indicò il portacolori sul mio banco.
Gli avevo applicato una targhetta con il mio nome in caso avessi dovuto perderlo. Al liceo era successo una marea di volte.
Iniziai a sentirmi decisamente stupida per non averlo capito prima.
«Ah, sì. È il mio nome, ovviamente... Non che ne abbia altri.» Arrossii.
«Proprio un bel nome. Il mio è Deamer.»
Non mi toglieva gli occhi di dosso e io non potevo fare a meno di constatare come fossero simili al colore degli iceberg, un celeste così chiaro e inverosimile. Particolari come i miei, ma decisamente sublimi.
«Grazie.» gli chiesi evitando il suo sguardo. «Dreamer?»
«No.» Rise. «Deamer, senza la R iniziale.»
Arrossii nuovamente, a quel punto avrei voluto sprofondare.
«Oh, scusa. È che assomiglia così tanto a quella parola che...»
«Silenzio, lì sotto! È da quando è iniziata la lezione che voi due laggiù continuate a creare problemi. Adesso fuori, cortesemente.» La docente si riferì ad entrambi.
In quel momento più che sprofondare, avrei voluto dissolvermi.
Essere buttata fuori dall'aula proprio il primo giorno di college era la cosa più umiliante che potesse succedermi.
Compromettere la carriera universitaria già dall'inizio significava avere problemi in più che di certo nessuno voleva.
Dopo qualche secondo, però, entrambi ci ritrovammo fuori dall'aula.
Il ragazzo dagli occhi surreali sembrava molto tranquillo, tanto che mi sorrise come se ciò che fosse accaduto lo divertisse.
Gli rivolsi un'occhiata truce.
«Che cos'è che ti fa tanto sorridere, precisamente? È soprattutto colpa tua se ci troviamo in questa situazione.» puntualizzai.
Lì fuori c'era decisamente più luce. Lo osservai meglio.
Indossava una maglietta a maniche lunghe nera e un jeans con degli strappi un po' ovunque.
Un po' troppo punk per i miei gusti, ma non mi dispiaceva.
«È che non mi aspettavo potesse essere così... Come dire esattamente? Spassoso?»
«Scusa, ma che ti aspettavi? Questo è il college. Non è mica un parco divertimenti dove puoi fare quello che vuoi.»
«Ehi, ehi.» Si passò una mano fra i capelli. «Prendi un bel respiro, Fiammetta. Rischi di bruciare l'edificio di questo passo.»
Quel suo sorriso sbieco mi fece venire voglia di prenderlo a pugni.
Mi chiesi se non avessi un emerito idiota davanti agli occhi.
Tanto bello, quanto insopportabile.
«Prego? Il mio nome è Flame, non Fiammetta.» risposi irritata. «E comunque io sono calmissima. Anzi, ora devo proprio andare.»
Mi incamminai verso l'uscita dell'edificio.
«E io intendevo dire che non mi aspettavo fosse così... È differente vederti in questa maniera.» Lo sentii dire alle mie spalle.
Fu allora che mi girai.
«Cosa vorresti dire?»
Nessuno rispose.
Colui che avrebbe dovuto farlo si era appena dileguato nel nulla all'improvviso.
Rimasi per qualche minuto a guardarmi intorno.
Era sparito e, a meno che non avesse deciso di rientrare in aula, per uscire avrebbe dovuto superarmi... Vista l'unica porta a cui davo ormai le spalle.
«Dai raccontami, com'è andata? A me benissimo! Sono anche passata dal corso di Fisica. Sai c'era Jack e...» Rose stava parlando di così tante cose senza nemmeno fare una pausa, che ad un certo punto mancò l'aria persino a me.
«Aspetta... Ma che ti prende? Perché hai quella faccia così pallida?»
Presi un bel respiro e poi sospirai. «Beh, storia lunga a dire la verità. In questi giorni ne succedono davvero di strane e poi oggi in aula si è presentato un tipo che proprio continuo a non capire.»
Scorgevo la città innevata dal finestrino della macchina mentre proseguivamo verso casa.
«Quale ragazzo? Oddio, non mi dire che ti sei già presa una cotta! Sarebbe piuttosto ehm, come dire... Inusuale da parte tua.»
«Ehi! Perché lo sarebbe? Non che ne abbia avute molte nella mia vita, ma comunque non è poi così strano.» mi accigliai. «Comunque non è questo il punto. È successo che non riuscivo a vedere la sua aura né a percepire una singola emozione che gli appartenesse. Ma prima che succedesse questo ho trovato una cosa nel mio blocco appunti.» Le raccontai dell'insolita frase scritta a penna sul block notes, e mi chiesi se non stessi ancora sognando.
«Aspetta... Stai dicendo che qualcuno che potrebbe conoscerti ti ha scritto di stare alla larga dalla Ecro Corporation? La stessa azienda di tuo nonno?!» Batté più volte le palpebre. «E che quel ragazzo, oltre a che non possedere un'Aura, sarebbe sparito nel nulla proprio davanti i tuoi occhi?»
«Sì, e in più era un figo ultraterreno.» ammisi descrivendoglielo.
«Wow, per come ne parli non c'è dubbio.» Mi fece l'occhiolino. «In ogni caso per quanto riguarda quella frase sul block-notes dovresti parlarne con tuo nonno. E per piacere, non con tua nonna. Non oso immaginare come la prenderebbe se sapesse una cosa del genere.»
«Probabilmente mi rinchiuderebbe in una gabbia a vita e poi chiederebbe al nonno di gettare le chiavi solo dopo aver venduto la sua stessa compagnia.» Scherzai.
«Potrebbe anche essere uno scherzo, Flame... Ma di questi tempi il mondo è un posto strano, non è così bello come crediamo. Fidati di me.» Divenne improvvisamente seria.
Rose era una ragazza molto matura rispetto alle ragazze della nostra età. In fondo aveva ragione.
Infatti, anche se viveva ancora a casa dei suoi genitori, per la maggior parte del tempo loro erano sempre fuori per lavoro.
Proprio per questo motivo era lei che ogni volta si occupava di molte responsabilità e di suo fratello minore.
A differenza mia era cresciuta piuttosto in fretta, quindi non la biasimavo se ogni tanto si preoccupava anche di me.
In fondo per me era come una sorella maggiore.
«Sì, mamma.» risi. «Credo tu abbia ragione.»
«Dico sul serio, Flame. Devi stare attenta a chi ti circonda, soprattutto con quello che, ecco... Sai fare.»
Il sorriso mi morì sulle labbra.
«Ti sei forse messa d'accordo con mia nonna? Sembra quasi tu ne sappia qualcosa in più.» le dissi notando che la sua aura aveva preso il colore grigiastro dell'agitazione simile alla paura.
«Non so di cosa tu stia parlando, e poi... ah!» Un cervo apparve nel bel mezzo della strada sterrata nel bosco, a pochi passi dalla villa.
Rose sterzò la macchina violentemente.
Sobbalzammo entrambe per l'urto e nello stesso attimo gli airbag si gonfiarono.
«Stai bene?!» le gridai con la testa ancora spalmata sull'airbag che lentamente si andava sgonfiando.
La mia vista era leggermente sfocata, ma vidi Rose annuire.
Sembrava anche lei un po' stordita dalla botta, ma fortunatamente stava bene.
Scesi per prima dall'auto per vedere cosa fosse accaduto.
Il cervo di poco prima era inerme a terra, immerso in una pozza di sangue.
Emisi un gemito per quella scena.
A volte percepivo anche le emozioni degli animali, ma solo di quelli più grossi.
Sentivo la povera bestia soffrire e mi sentii svenire per il dolore che provava.
Anche per un animale la morte doveva essere crudele come quella di un essere umano.
Mi avvicinai alla creatura e mi abbassai ad osservarla con attenzione.
C'era sangue dappertutto. Persino sul cofano della macchina.
Gli occhi simili ai miei, solo più scuri, imploravano pietà.
Non provava paura, ma solo un sentimento di pietà misto a tristezza dal colore di uno spento azzurrino.
Erano state troppe le volte in cui avevo sentito dire che gli animali non provassero emozioni come noi umani.
Intuivo cosa volesse. Voleva che ponessi fine alle sue sofferenze.
Mi chinai ad accarezzare il suo ventre con una mano, sperando invano che la cosa potesse alleviare il suo dolore.
Fu allora che successe per la prima volta.
Non appena toccai il cervo, la scena davanti alla mia vista si dileguò nel nulla.
Un ragazzino che non poteva avere più di dodici anni, era riverso a terra grondante di sangue nel punto in cui prima si trovava il cervo.
Sembrava incosciente.
Spalancai gli occhi, spiazzata dalla situazione.
Imprecai.
Non sapendo cosa fare e in preda al panico, mi girai verso la macchina in cerca di Rose.
Di fronte a me trovai il nulla, solo altra neve e qualche albero.
«Ehi! Resisti, non mollare!» Mi girai verso il ragazzino ancora riverso a terra.
Perdeva molto sangue.
Ancora ignara di quello che era appena accaduto e con le lacrime agli occhi, misi da parte lo sgomento e valutai attentamente la situazione.
Una cosa era certa. Quel giorno la mia vita era appena cambiata.
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