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21/10/1982

Cara Emily,

Ebbene ecco ancora una lettera dalla tua giovane vicina di casa. Si, a quanto pare non è stato un episodio isolato. È passato un mese dall'inizio della scuola e ancora sono etichettata come "quella nuova".
Mi sento una sciocca a camminare per i lunghi corridoi della scuola, senza vedere accanto qualcuno. Andrebbe bene perfino Styles.
Sua madre lo obbliga ad accompagnarmi a scuola e questo rende tutto molto imbarazzante; sono una gran scocciatura per lui e non sembra interessato a mascherarlo.
La mattina ci salutiamo con un cenno e il pomeriggio ci ritroviamo davanti al cancello per ripercorrere la strada verso casa. Una sola ragazza ha provato ad avvicinarsi: una certa Annabelle: è una ragazza minuta e ogni sillaba che lascia le sue sottili labbra è carica di timore, eppure i suoi occhioni azzurri sono in grado di mettermi in soggezione più di mille parole. Ogni tanto il pomeriggio ci fermiamo a chiacchierare fuori dall'aula di recitazione aspettando il momento in cui le nostre parole verranno surclassate dallo squillante trillo della campanella. 
Mi ha accompagnato per i vari ambienti di questa scuola dandomi anche una chiara idea di quali sono i soggetti da evitare. Ad esempio il tavolo in fondo alla mensa è occupato dalla squadra di calcio della scuola, il giovane melo accanto al muro di cinta è il ritrovo del club del libro mentre l'aula teatro è il territorio del gruppo di teatro e di dibattito.
Mi sono permessa di aggiungere un altro posto da non frequentare: mai rifugiarsi sotto le gradinate alla fine delle lezioni.
Magari qualcuno mi avesse avvisato qualche giorno fa; avevo passato tutta la mattinata a chiedermi se fosse stata una buona idea non portare l'ombrello e la risposta mi è arrivata quando, appena messo piede fuori dalla porta, mi si era riversata contro una raffica di vento e centinaia di gocce mi hanno bagnato i vestiti ed i capelli. Il freddo mi arrivava alle ossa e mentre mi dirigevo sotto quelle dannate gradinate mi maledicevo per aver rifiutato un passaggio da mia zia. Ho gettato lo zaino a terra e incastrato le dita tra i nodi dei miei capelli, ormai lasciati liberi al vento; ho calciato una lattina ma dopo pochi istanti i rumor metallico dell'alluminio contro l'asfalto si è interrotto. Un ragazzo con una felpa nera mi guardava, non so il motivo ma mi ha messo paura quello sguardo insistente. Se ne stava lì: con le mani nelle tasche ed il cappuccio a coprirgli il viso.
Prima che potesse aprire bocca per cacciarmi ho preso lo zaino e sono scappata; dopo una ventina di metri mi sono resa conto di essermene ​appena andata perché spaventata da ciò che poteva dirmi. Un senso di vergogna mi ha oppresso e mi sono sentita quasi in colpa per essermene dileguata senza una parola.
La situazione è peggiorata la mattina dopo: quando Harry mi ha affiancato sul marciapiede e con un ghigno sul viso mi ha chiesto perché fossi scappata da lui.
Inutile dire che volevo sotterrarmi.

Una assidua presenza nella buca delle lettere,

Diana

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